HANEKE, Michael
Regista e sceneggiatore cinematografico austriaco, nato a Monaco di Baviera il 23 marzo 1942. È uno dei principali artefici della renaissance di inizi anni Novanta che ha riportato l’Austria tra le grandi cinematografie internazionali, come sancito anche dalla Palma d’oro a Cannes ottenuta nel 2009 per Das weisse Band (Il nastro bianco) e nel 2012 per Amour.
Der siebente Kontinent, film d’esordio del 1989 realizzato da H. all’età di 47 anni dopo esperienze di regia teatrale e televisiva, possiede già, sia sul piano stilistico sia sotto il profilo teorico, quei temi forti che diverranno le costanti del suo percorso registico. H. riesce qui a trovare equilibrio tra stilemi bressoniani di sottrazione e negazione allo sguardo di snodi cruciali (adoperati per sottolineare lo statuto finzionale del film), eleganza formale nella messa in scena derivata dal cinema di Alfred Hitchcock, e una maniera di affrontare il discorso sulla violenza debitrice della lezione di Pier Paolo Pasolini, a detta del regista, l’unico che sia riuscito, in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976), a rappresentarla in maniera responsabile.
La riflessione sulle responsabilità connaturate ai sistemi di rappresentazione lo porta a reinterpretare André Bazin («le cadre est un cache», ovvero l’inquadratura è una benda, un nascondiglio) con lucida severità: se l’immagine è limitata dai bordi, per H. sarà proprio oltre tali bordi che bisognerà concentrare l’attenzione dello spettatore, per renderlo consapevole della limitatezza della propria prospettiva. Un pensiero riassumibile nell’idea che ciò che si può vedere è sempre e soltanto frammento tra frammenti. Da qui la condanna all’incertezza interpretativa. Temi nodali che saranno al centro (come del resto dimostrato già dal titolo) di 71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls (1994): 71 tessere di realtà, briciole antinarrative di vita quotidiana spesso insignificanti che compongono un mosaico in cui a emergere è il nonsenso dell’esistenza. Una frammentazione in segmenti programmatici del racconto corale sulla banalità del male che il regista riproporrà nel centrale Code inconnu. Récit incomplet de divers voyages (2000; Storie).
71 Fragmente è il capitolo conclusivo della ‘trilogia della glaciazione’ che ha come secondo tassello Benny’s video (1992), lavoro che trae spunto, ancora una volta, dalla cronaca nera, da H. considerata come epifenomeno della patologia del sociale. In tali opere il regista prosegue l’indagine sull’implosione della famiglia borghese: se in Der siebente Kontinent si autodistruggeva estenuando i suoi stessi rituali ‘perbene’, in Benny’s video il discorso si concentra attorno alla figura dei figli, visti come un ascesso in cui si depositano gli umori neri, biliosi, le contraddizioni, i rimossi di un contesto sociale che cerca di dissimulare il male con l’ostentazione del benessere. Questa riflessione, in seguito, trascenderà la cronaca per lambire la Storia: succederà in Caché (2005; Niente da nascondere), metafora delle tensioni tra islam e Occidente; e in Das weisse Band, dove il culto della disciplina degenera nella fascistizzazione del quotidiano in cui rintracciare i prodromi del nazismo.
L’analisi sui meccanismi di subordinazione alle tecnologie di videoregistrazione, per cui solo la visione diventa principio di veridizione, cominciata in Benny’s video, è proseguita in Funny games (1997) e nel provocatorio remake Funny games U.S. (2007). Qui H. gioca spietatamente con le abitudini spettatoriali, con le convenzioni di produzione di senso del cinema spettacolare teso a mistificare la violenza in oggetto di consumo. Il regista, negando la sua rappresentazione, le restituisce l’essenza minacciosa da cui abitualmente viene spogliata.
Dopo essersi confrontato nel 2001, per La pianiste (La pianista), con l’adattamento dell’omonimo romanzo di Elfriede Jelinek e, nel 2003, con la dimensione postapocalittica di Le temps du loup (Il tempo dei lupi), nel 2012 H. ha realizzato Amour, dove, senza rinunciare all’inflessibile rigore, affronta i gesti di strenua volontà di resistenza quotidiana di due anziani amanti di fronte all’ineluttabile separazione.
Bibliografia: C. Wheatley, Michael Haneke’s cinema. The ethic of the image, New York-Oxford 2009; P. Brunette, Michael Haneke, Urbana 2010; The cinema of Michael Haneke. Europe utopia, ed. B. McCann, D. Sorfa, London-New York 2011.