MICENEO
. Linguistica. - S'indica convenzionalmente con il nome di m. la lingua degli antichi testi greci scritti nel 2° millennio a. C. in un sillabario chiamato, anch'esso convenzionalmente, Lineare B. Si tratta di brevi iscrizioni, per lo più inventari e documenti di contabilità, incisi con uno stilo su tavolette di argilla poi lasciate seccare al sole e conservate negli archivi dei palazzi cretesi-micenei, per cui v. anche la trattazione in cretese-micenea, civiltà (App. III, 1, p. 543 e in questa Appendice).
A Cnosso in Creta si sono trovate circa 3000 tavolette (compresi i frammenti); nel resto della Grecia il sito archeologico più ricco è ancora Pilo in Messenia (circa 1200 tavolette); altre iscrizioni provengono da Micene e Tirinto nell'Argolide (rispettivamente circa 70 e 4 tavolette) e da Tebe nella Beozia (circa 40 tavolette). Brevissimi testi sono incisi o dipinti su vasi provenienti da varie parti della Grecia: in Creta da Cnosso, Khania e i suoi dintorni, in Argolide da Micene e Tirinto, in Attica da Eleusi, e in Beozia da Kreusis, Orcomeno e Tebe. È possibile che parte almeno dei vasi trovati sul continente sia originaria di Creta. La data delle tavolette di Cnosso è discussa; si pensa di norma alla fine del 15° e all'inizio del 14° secolo a. C., ma si è anche proposto di datarle alla fine del 13° secolo. La maggior parte delle altre tavolette vengono appunto datate alla fine del 13° secolo, benché vi siano ancora dubbi per Tebe.
Scrittura. - La Lineare B fu decifrata nel 1952 dall'architetto inglese M. Ventris che vi scoperse una forma di greco antico. È una scrittura sillabica strettamente imparentata con le varie scritture cretesi (che sembra siano di origine epicorica) e soprattutto con la Lineare A, benché non sia sicuro se sia un adattamento della Lineare A o la Lineare A e la Lineare B derivino da una fonte comune. Un simile adattamento al greco di una scrittura sillabica (anch'essa di origine cretese) fu fatto nel 1° millennio a. C. a Cipro dove venne usata per il dialetto epicorico fino all'epoca ellenistica. La Lineare B procede da sinistra a destra e per lo più le parole sono divise da una sbarretta verticale. Ha un massimo di 89 segni sillabici; per circa 15, peraltro assai rari, non si è ancora trovato un valore sicuro. Gli altri indicano di norma una vocale (a, e, i, o, u) o un gruppo di consonante (C) + vocale (V) (pa, pe, pi, po, pu, ka, ke, ecc.). Segni del tipo VC o CVC non esistono; in rarissimi casi si hanno segni del tipo CCV (dove di norma la seconda consonante è w o j): twe, two, forse rja, rjo; fa eccezione *62 = pte. Le convenzioni grafiche sono numerose; non si fa distinzione tra occlusive sorde, sonore e sorde aspirate (pa = [pa], [ba], [pha] ecc.); solo le dentali distinguono le sorde e le sorde aspirate dalle sonore. r e l non sono distinti (ra -= [ra] e [la]). Oltre ai segni per sillabe con p, t, d, k, s, m, n troviamo serie di segni per q, w e j (vedi oltre). I valori dei segni trascritti ra2 ro2 e za, ze, zo sono ancora discussi. Per i primi si pensa a r e l palatalizzato o a un gruppo di r o l + [y] (cioè ra2 = r/lja); per i secondi si pensa o a un'affricata ([ts]/[dz]) o a una velare palatalizzata o a gruppo di velare + [y]. a2 vale [ha] ma non vi sono altri segni per h e a può venir usato per a2. Nelle vocali la scrittura non distingue le lunghe dalle brevi.
Qui possiamo solo accennare alle varie regole grafiche. Di norma una consonante che chiude la sillaba non viene scritta; in fine di parola, per es., -to può indicare [-ton], [-tos], [-tor], ecc. Anche il secondo elemento dei dittonghi in i spesso viene omesso (wo-no = woinos "vino"), ma c'è un segno speciale per ai, e ra3 vale [rai]. Per indicare un gruppo tautosillabico del tipo CCV si fa uso delle vocali "cieche": ta-ra- può valere tra/tla (ma anche tara/tala). Da tutto ciò risulta che l'interpretazione di un gruppo di segni non è mai univoca: pa-te indica sia patēr "padre" sia pantes "tutti", e potrebbe anche indicare phantes, il participio di phēmi "dico".
Oltre ai segni sillabici la Lineare B ha anche più di 130 ideogrammi o logogrammi che si sogliono traslitterare convenzionalmente con un numero (*200, *202, ecc.) o con una parola latina (VAS, VIR, MULIER, ecc.). In parte almeno gl'ideogrammi sono di facile interpretazione e di notevole aiuto nella comprensione e classificazione dei testi.
Altri segni indicano i numerali (il sistema è di tipo decimale):
Tra i risultati più notevoli della micenologia recente è lo studio paleografico delle mani degli scribi; a Cnosso si sono identificati almeno 78 scribi diversi e a Pilo 45. Sembra quindi probabile che i testi non fossero vergati da scribi professionali, ma dai vari funzionari addetti all'amministrazione del palazzo.
Lingua.- Con la decifrazione della Lineare B, che precede di almeno 4 (se non di 6) secoli i più antichi documenti alfabetici, il greco è divenuto una delle lingue indoeuropee attestate in data più antica, secondo solo allo hittito.
Il sistema grafico non ci permette di esplorare a fondo i tratti linguistici del m., ma alcuni fatti sono ormai certi. Il sistema fonologico ha molti punti di contatto con quello greco, ma ne diverge sia nell'inventario sia nella distribuzione dei fonemi. I segni qa, qe, qi, qo rappresentano le antiche labiovelari dell'indoeuropeo (*kW, *gW, *gWh) che in greco sono divenute o labiali o dentali a seconda della posizione e del dialetto (mic. -qe, gr. te "e"; mic. re-qo-me-no, gr. leipomenoi "lasciati"); il cambiamento delle labiovelari in velari prima e dopo u è già avvenuto in miceneo. I segni wa, we, wi, wo e ja, je, jo, *65 = ju (?) testimoniano della conservazione regolare della semivocale [w] (il digamma greco) che è scomparsa in attico e sopravvive solo in parte in alcuni dialetti greci. j- indica il suono di passaggio che si sviluppa automaticamente tra i e una vocale seguente; raramente appare anche in posizione iniziale e dopo una vocale diversa da i ed è possibile che continui la semivocale [y] dell'indoeuropeo.
I cambiamenti più importanti che definiscono il greco rispetto all'ie. sono già avvenuti: *dh > th, -s- intervocalico è caduto o divenuto h, le sonanti *n e *m̥ si sono sviluppate in vocali vere e proprie (a o o). Si discute sulle liquide sonanti *ó e *l̥; secondo alcuni si sarebbero conservate come tali (il che sembra improbabile), secondo altri si sarebbero già sviluppate in vocale (a o o) + liquida. Infine il m. conserva vari gruppi consonantici che il greco ha semplificato: cfr. per es. ai-ka-sa-ma, cioè aiksma- e gr. aikhmē "punta", "apice".
Anche nella morfologia (della sintassi si sa poco) si riscontrano tratti arcaici. Il duale è conservato; la flessione nominale sembra abbia più distinzioni casuali del greco benché questo sia ancora discusso. Certamente nel plurale vi è una distinzione netta tra il dativo e lo strumentale; la desinenza -phi che in Omero sopravvive in condizioni artificiali è usata nella flessione atematica e nella flessione in -a- con valore di strumentale e locativo plurale. Il genitivo sing. tematico è in -o-jo come in Omero; la desinenza di dativo sing. atematico è per lo più -e(i) (l'antica desinenza di dativo) in contrasto con il greco -i (dal locativo) che appare di rado in miceneo. I comparativi mostrano ancora l'antico suffisso sigmatico che più tardi venne sostituito da un suffisso a nasale (cfr. mic. me-zo-e, cioè mezo(h)es da *meg-yos-es, rispetto al gr. me(i)zones "maggiori"). Nel verbo il fatto più notevole è l'assenza quasi completa dell'aumento nel preterito. La desinenza primaria della 111 pers. sing. media è -to(i) come in arcadecipriota e non -tai come nel resto del greco.
Parte del lessico rimane oscura; ciò è dovuto non solo alla preponderanza di nomi propri che, a parte alcune eccezioni (per es. e-te-wo-ke-rewe-i-jo, un derivato in -ios di Etewoklewēs, gr. Eteokles), sono difficilmente interpretabili, ma anche al fatto che molte parole effettivamente non hanno riscontro nel 1° millennio. Si può dare un'idea del divario lessicale tra m. e greco alfabetico, osservando che in un campo semantico limitato come quello dei titoli, nomi di mestiere e nomi professionali, abbiamo circa 150 termini diversi in m. di cui circa 40 hanno riscontro diretto nel 1° millennio (sia pure con alterazioni semantiche) e circa 30 sono "riconoscibili" in greco, cioè sono formati di radici e suffissi ben noti. Del rimanente una cinquantina di termini rimane oscura anche in m., mentre a una trentina si può attribuire un significato m. relativamente ben definito, senza che peraltro se ne conosca un equivalente greco. È notevole, d'altro canto, che i vari imprestiti semitici, che ci sono noti dal greco (khrusos "oro", ecc.), e che si credeva fossero penetrati nel greco nel 1° millennio, sono in parte già presenti in miceneo.
Nel lessico si ritrovano di frequente tratti arcaici che ci son noti solo da Omero e dalla comparazione. Tra i nomi propri sono frequenti e affatto banali quelli degli eroi omerici (a-ki-re-u = Akhilleus), che spesso indicano umili artigiani; tra gli aggettivi sono frequenti quelli del tipo rhodoeis "di rose", mic. wo-do-we (wo(r)do-we(nts)).
L'articolo non compare mai, visto che probabilmente aveva ancora solo l'uso pronominale; la congiunzione è sempre -qe, Gr. te, mai kai.
Si è discusso a lungo sulla posizione dialettale del miceneo. Le tavolette di Creta e del Peloponneso mostrano un'unità sorprendente dal punto di vista della scrittura e del dialetto; le nuove tavolette di Tebe hanno gli stessi tratti. Sino ad ora, almeno, si era d'accordo nel non identificare il m. con il greco comune o con il dorico; da entrambi lo differenzia un'innovazione, cioè il cambiamento di -ti- in -si- (cfr. mic. di-do-si "dà", dor. didōti). Si è tuttora d'accordo nel riconoscere gli stretti legami del m. con l'arcade e il cipriota, cioè con i due dialetti che continuano il dialetto parlato nel Peloponneso alla fine del 2° millennio a. Cristo. Ogni altra conclusione dipende dalle varie teorie proposte sulla ripartizione dialettale della Grecia nel 2° millennio a. C.; secondo alcuni la divisione tra ionico-attico ed eolico avvenne più tardi, cosicché in certo senso il m. sarebbe imparentato con entrambi questi gruppi dialettali; secondo altri la differenziazione è più antica, ma anche in questo caso le opinioni variano sul peso relativo delle isoglosse che uniscono il m. all'eolico e al ionico-attico. Il problema è anche complicato da discrepanze, forse di origine dialettale, che si riscontrano nel m. stesso. E. Risch (Proceedings of the Cambridge Colloquium on Mycenaean Studies, 1966, p. 150 segg.) parla di un m. "normale", caratterizzato da un cambiamento di e in i (di-pa, ma gr. depas), dal dat. sing. in -e(i) e dal trattamento in -o- delle nasali sonanti, e di un m. "speciale" che manca di questi tratti. Il m. "normale" sarebbe scomparso con la distruzione dei palazzi e sarebbe forse stato la lingua dell'aristocrazia, il m. "speciale" sarebbe stato continuato dai dialetti meridionali od orientali. Una versione oltremodo ipotetica di questa teoria identifica il m. speciale con il dorico, che sarebbe stato la lingua dei soldati e operai in contrasto con la lingua minoicizzata dell'aristocrazia (J. Chadwick).
Bibl.: Resoconti bibliografici (dal 1957-58) sono pubblicati mensilmente in Nestor e annualmente in Studies in Myc. Inscriptions and Dialect (dal 1956). Tre riviste si occupano soprattutto di studi micenei; Minos (dal 1959), Kadmos (dal 1962), Studi Micenei e Egeo-Analitici (dal 1966).
Testi: J. Chadwick, Linear B tablets from Thebes, in Minos, 10 (1969), p. 115 segg.; J. Chadwick, J. Killen, J.-P. Olivier, The Knossos tablets. A transliteration, Cambridge 1971; E. L. Bennet, J.-P. Olivier, The Pylos tablets transcribed, Roma 1973-76; A. Sacconi, Corpus delle iscrizioni in Lineare B di Micene, ivi 1974; ead., Corpus delle iscrizioni vascolari in Lineare B, ivi 1974; T. Spyropoulos, J. Chadwick, The Thebes tablets II, suppl. 4 a Minos, 1975.
Dizionari: A. Morpurgo, Mycenaeae Graecitatis lexiconm Roma 1963 (in parte arretrato). J.-P. Olivier e altri, Index généraux du Linéaire B, ivi 1973. Molto utile è anche il Myc. glossary di Ventris e Chadwick (v. sotto).
Introduzioni: M. Doria, Avviamento allo studio del Miceneo, Roma 1965; J. Chadwick, The decipherment of Linear B, Cambridge 1967 (più elemenare degli altri); id., The Mycenaean World, ivi 1976; S. Hiller, O. Panagl, Die frühgriechischen Texte aus Mykenischer Zeit, Darmstadt 1976 (con ricca bibliografia).
Interpretazione e grammatica: L. R. Palmer, The interpretation of Mycenaean Greek, texts, Oxford 1963; M. Ventris, J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, 2ª ed., a cura di J. Chadwick, Cambridge 1973 (fondamentale). Tra le raccolte di articoli più importanti è M. Lejeune, Mémoires de philologie mycénienne, I (Parigi 1958), II e III (Roma 1971-72).