METODOLOGIA MEDICA
Il carattere scientifico della moderna medicina deriva dalla sua aderenza alla metodologia scientifica, poiché la scientificità di ogni disciplina deriva non tanto dai suoi contenuti quanto dalla metodologia adottata. Pertanto, la definizione di m.m. presuppone una definizione della metodologia scientifica.
Per metodologia scientifica si deve intendere un insieme di tecniche, concettuali od operative, mediante le quali si persegue la sistemazione e lo sviluppo delle conoscenze in una determinata disciplina, e di regole o norme di condotta o raccomandazioni per ciascuna mossa in cui si articola il procedimento d'indagine. Da questo insieme prende corpo una procedura, cioè una strategia generale che indica una sequenza ordinata di mosse che il ricercatore deve percorrere per giungere allo scopo della ricerca.
Analogamente la m.m. è costituita da due distinte parti: a) la semeiotica medica, che si occupa delle tecniche di rilievo dei segni presentati dal malato e della loro interpretazione; b) la m.m. propriamente detta − ovvero la metodologia clinica -, che prende in esame gli aspetti formali dell'attività clinica, descrivendone i caratteri salienti e prescrivendo le regole a cui chi svolge un'attività clinica deve attenersi per procedere secondo canoni scientifici.
Nel 20° secolo, caratterizzato da una straordinaria evoluzione del carattere tecnologico della medicina clinica, si è dedicata sempre maggior attenzione al primo settore della metodologia, quello relativo alla descrizione e allo studio delle tecniche e delle strumentazioni cliniche, mentre minore interesse si è manifestato per lo studio, la ricerca e l'insegnamento delle regole metodologiche, ritenendo forse che la loro relativa immutabilità non richiedesse particolari approfondimenti. Si comprende così come anche nell'ordinamento degli studi universitari la semeiotica medica abbia potuto assurgere a dignità d'insegnamento autonomo, mentre fino alla recente (1985) riforma degli studi di medicina, l'insegnamento della metodologia clinica sia stato sempre associato − senza costituirne parte risaltante − alla patologia speciale medica, cioè alla descrizione dei modelli di malattia.
Semeiotica e tecniche di analisi. - La semeiotica medica (v. anche, in generale, semeiotica, XXXI, p. 338) comprende sia aspetti descrittivi sia aspetti interpretativi delle diverse tecniche diagnostiche. Nella sua parte descrittiva essa prende in considerazione i vari rilievi clinici − solitamente chiamati ''sintomi'' se riferiti dal paziente, e ''segni'' se messi in rilievo dal medico − utili alla formulazione della diagnosi clinica. In rapporto alle diverse tecnologie impiegate per la raccolta dei rilievi clinici, la semeiotica viene distinta in:
a) semeiotica fisica, relativa ai rilievi possibili senza uso di strumenti particolari o con strumentazioni assai semplici (fonendoscopio, martelletto per riflessi) facilitanti, ma non strettamente necessarie per il rilievo del dato clinico; comprende i rilievi clinici ottenibili con i classici atti dell'ispezione, palpazione, percussione e ascoltazione. Fa parte di questo esame preliminare − anzi solitamente lo precede − anche l'anamnesi, con la quale il medico raccoglie dal paziente i motivi della consultazione e le notizie mediche di rilevanza clinica;
b) semeiotica strumentale, delle immagini (o, con termine meno usato, morfologica) e di laboratorio, tutte basate su tecniche di esplorazione assai più complesse e quindi più costose ma anche assai più precise. La semeiotica strumentale è basata sull'utilizzazione di strumentazioni complesse e specifiche per una determinata indagine (per es., elettrocardiografia, elettroencefalografia); la semeiotica delle immagini comprende le tecniche di radiologia medica, di medicina nucleare, ecografiche, nonché le tecniche più complesse della tomografia assiale computerizzata e della risonanza magnetica nucleare; la semeiotica di laboratorio è basata su tecniche di ricerca chimiche o microbiologiche o citologiche e istologiche. Il rinnovamento subito dalla semeiotica negli ultimi decenni riguarda essenzialmente questi settori.
Un compendio anche sommario delle tecniche che compongono queste branche della semeiotica medica è inattuabile al di fuori di un trattato specifico. In effetti la clinica si giova attualmente di svariatissime metodiche derivanti dalla chimica, dalla fisica, dalla biologia di base, adattandole alle varie esigenze della diagnostica. Tecnologie e strumentazioni sempre più sofisticate hanno permesso di ricavare informazioni cliniche non solo dallo sfruttamento delle radiazioni X − utilizzazione che ha dato origine alla radiologia, le cui prime applicazioni risalgono alla fine del 19° secolo − ma anche dall'impiego delle diverse radiazioni nucleari (dando origine alla medicina nucleare) per ottenere informazioni di tipo sia metabolico (tecniche traccianti) sia morfologico (tecniche scintigrafiche lineari o mediante gamma camera; quest'ultima apparecchiatura permette l'esecuzione di esami morfologici dinamici). Inoltre, lo sfruttamento degli echi delle onde ultrasoniche ha permesso lo sviluppo di tecniche in grado di fornire informazioni sulle alterazioni della corrente sanguigna (esame eco-doppler) o sulla morfologia di organi e formazioni patologiche (tecniche ecografiche). L'utilizzazione di tecniche informatiche ha permesso di potenziare in maniera estremamente dettagliata la risoluzione delle immagini radiografiche, dando origine alla Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), con la quale è possibile esplorare la morfologia e la struttura pressoché di tutti gli organi interni, evidenziando con precisione elevatissima eventuali modificazioni di forma e/o di volume nonché lesioni anche molto minute e iniziali. Ancor più recentemente, mediante sofisticate apparecchiature in grado di ottenere informazioni dal modo in cui certi atomi reagiscono a radioonde in presenza di intensi campi magnetici, sono state messe a punto tecniche di studio morfologico (Risonanza Magnetica Nucleare, NMR) capaci di fornire immagini ancor più dettagliate − soprattutto per quanto riguarda il sistema nervoso centrale − di quelle ottenibili con la TAC.
Questi pochi esempi relativi alle numerosissime applicazioni strumentali sono indicativi dell'elevatissimo sviluppo tecnologico che caratterizza l'attuale fase della medicina, e rende ragione del fatto che la moderna semeiotica sia sempre a maggior contatto con altre discipline, quali la fisica, la chimica, l'ingegneria, la cibernetica. Si comprende così come per l'espletamento e il progresso di queste attività siano sorti discipline e campi di ricerca intermedi quali la chimica biologica e la chimica clinica, la fisica medica, la bioingegneria, l'informatica medica, e così via.
Alle tecniche descritte va aggiunto un altro settore d'indagine, quello dell'endoscopia. Con questo termine si comprendono tutte le tecniche che permettono di esplorare mediante appositi strumenti a fibre ottiche (endoscopi) organi cavi quali esofago, stomaco e duodeno (esofago-gastro-duodeno-scopia), colon (colonscopia), trachea e bronchi (tracheo-bronco-scopia), ovvero anche cavità chiuse, quali la regione peritoneale (laparoscopia o celioscopia, se l'indagine è diretta allo scavo pelvico femminile per l'esame degli organi genitali interni). L'utilità di queste tecniche non si limita alla possibilità di compiere una diretta osservazione degli organi e delle eventuali lesioni a loro carico (ulcere, neoplasie, processi emorragici, ecc.) ma si estende al fatto che esse rendono possibile il prelievo bioptico di frammenti di tessuto per un esame istologico. In effetti, l'esame istologico delle lesioni presenti negli organi profondi è divenuto un ausilio sempre più diffuso e più prezioso per il clinico proprio in virtù dei miglioramenti delle tecniche del prelievo bioptico (v. anche endoscopia, in questa Appendice).
Oltre al prelievo endoscopico va ricordata la possibilità di eseguire agobiopsie (cioè prelievi di piccoli frustoli di tessuto mediante appositi strumenti simili a un grosso ago) senza bisogno di ricorrere ai piccoli interventi chirurgici in uso nelle prime applicazioni delle tecniche bioptiche. Sono state inoltre introdotte le tecniche di biopsia guidata, consistenti nell'esecuzione di un'agobiopsia durante un esame ecografico (biopsia eco-guidata) o una TAC (agobiopsia TAC-guidata), in modo che lo strumento con cui si attua il prelievo bioptico possa essere indirizzato con precisione non solo sull'organo d'interesse ma anche in una particolare regione o lesione dell'organo stesso.
Tutte le tecniche semeiologiche descritte finora sono solitamente applicate allo studio di un organismo in condizioni di riposo e di digiuno, in modo che il risultato dell'esame non sia influenzato da fattori esterni (semeiotica in condizioni basali). Ma informazioni talora ancor più rilevanti sulle condizioni di un organismo si possono ottenere con l'applicazione di test di laboratorio o esami strumentali, dopo appropriati stimoli standardizzati: si parla in tal caso di semeiotica funzionale. In effetti, questi procedimenti possono fornire utili indicazioni sull'integrità dei meccanismi con cui l'organismo reagisce alle perturbazioni esterne, per mantenere il suo equilibrio funzionale.
Tipico esempio di questo modo di procedere è rappresentato dal test detto ''curva glicemica da carico orale di glucosio'' o, più brevemente, OGTT (Oral Glucose Tolerance Test): con tale esame vengono seguite le variazioni del livello del glucosio nel sangue dopo somministrazione orale di una quantità fissa (75 g) di glucosio, fornendo così informazioni sulla validità dei meccanismi ormonali e metabolici che l'organismo deve mettere in atto per mantenere costante il tasso ematico di glucosio. Ma oltre che nell'ambito della semeiotica di laboratorio, le indagini funzionali vengono attuate anche nell'ambito della semeiotica strumentale (per es., gli studi delle variazioni della pressione arteriosa in ortostatismo, elettrocardiogramma da sforzo, elettrocardiogramma dinamico secondo Holter, e così via) o nell'ambito della semeiotica d'immagine (per es., gli studi angiografici eseguiti in particolari condizioni, l'angiocardioscintigrafia mediante gamma camera, ecc.) e anche nell'ambito della semeiotica fisica (per es., la registrazione delle variazioni della frequenza cardiaca dopo sforzo fisico, ecc.). È intuitivo che la semeiotica funzionale assume particolare rilevanza, oltre che nella clinica, cioè nello studio di condizioni patologiche, anche per l'analisi di particolari condizioni fisiologiche, quali quelle relative alla medicina dello sport, branca della medicina attualmente in costante e rapido sviluppo.
Questo moltiplicarsi di tecniche d'indagine clinica ha indubbiamente aumentato in modo straordinario il numero di rilievi chimici sui quali il medico moderno può basare il suo giudizio facilitando il compito dell'individuazione della diagnosi o per lo meno rendendo questa assai più precisa e circostanziata di quanto non potesse essere nel passato. Tuttavia questa dovizia di dati clinici ha portato non solo aspetti migliorativi della diagnosi, ma anche aspetti negativi, tra cui anzitutto l'atteggiamento mentale, purtroppo diffuso tra i medici, per cui la diagnosi scaturisce sempre e automaticamente dalle indagini di laboratorio o da quelle strumentali.
Si assiste così a una dispendiosa, dispersiva e talora esasperata ricerca del dato di laboratorio ''rivelatore'' della diagnosi e a una sempre minore attenzione al giudizio sul significato logico del dato stesso. A questo atteggiamento va fatta risalire anche gran parte della cosiddetta ''spersonalizzazione'' del rapporto medico-paziente e della stessa attività clinica, intendendo con ciò la tendenza a esaminare il paziente solo o prevalentemente mediante la semeiotica strumentale e di laboratorio, relegando in secondo piano il colloquio con il paziente. Vengono così presi in considerazione − e per di più mediante aride prescrizioni di accertamenti clinici − solo i problemi strettamente fisici del paziente, dimenticando che ogni malattia è sempre fonte di angosce e di paure e che il paziente desidera dal medico non solo la risoluzione del problema fisico, ma anche − se non soprattutto − un atteggiamento di rassicurazione o, quanto meno, una compartecipazione ai suoi problemi.
Un secondo aspetto negativo riguarda l'analoga convinzione che si fa strada nel paziente, che la diagnosi si possa leggere direttamente dal dato di laboratorio. Ne consegue la persuasione − facilitata anche da alcuni atteggiamenti dei mass-media − che chiunque possa ''fare il medico'', in una sorta di ''fai-da-te'' sia nei riguardi della diagnosi (mediante un confronto del dato di laboratorio con i cosiddetti dati di normalità) sia nei riguardi della terapia. Dev'essere invece ribadito il concetto che il dato di laboratorio è soltanto uno strumento imperfetto, soggetto all'errore (v. diagnostica, in questa Appendice), e che la diagnosi clinica dev'essere sempre, anche nei casi apparentemente più semplici, il risultato di un'attenta valutazione non tanto del dato di laboratorio in sé, quanto del suo significato diagnostico in relazione alle possibili ipotesi di malattia.
Un ultimo aspetto negativo derivante dall'abbondanza di informazioni semeiologiche attualmente ottenibile, è rappresentato dalla frequente dimenticanza del principio secondo cui un incremento del numero di informazioni non significa necessariamente aumento anche dell'accuratezza diagnostica. In effetti il rilievo clinico dev'essere considerato sempre fonte d'informazione ma anche di possibili errori (errori falsi positivi e falsi negativi). Può quindi darsi che un'informazione diagnostica supplementare introduca nella valutazione diagnostica globale elementi di errore. Questo principio dovrebbe sempre ricordare al medico che lo strumento principale per una corretta diagnosi è rappresentato non tanto dalla quantità quanto dalla qualità dei dati clinici e dalla valutazione logica delle conclusioni che da essi possono essere tratte. Da queste considerazioni si può vedere come la medicina attuale − superate in gran parte le difficoltà legate all'insufficienza delle informazioni su cui basare la conclusione diagnostica − debba semmai guardarsi dagli inconvenienti di una sovrabbondanza di informazioni che il medico spesso fatica a dominare in una visione completa e/o coerente.
Quanto esposto in tema di tecniche diagnostiche riguarda il carattere descrittivo della semeiotica; l'aspetto interpretativo di essa riguarda lo studio del significato generale dei sintomi e dei segni, cioè la loro corrispondenza con i fenomeni fisiologici e patologici. Tale studio va oltre il semplice collegamento fenomenologico, e tende anche ad approfondire il tipo di lesione (ma non di malattia) che ha prodotto un determinato reperto clinico.
Pertanto la semeiotica non si limita ad affermare genericamente che un soffio cardiaco corrisponde alla presenza di una valvulopatia, ma insegna a studiare le caratteristiche del soffio al fine di precisare il tipo e la sede della lesione causa del sintomo. Così dal rilievo che il soffio è udibile durante la sola diastole cardiaca (cioè durante la fase di dilatazione ventricolare) e particolarmente alla fine di questa fase; dal rilievo che il soffio è circoscritto alla punta cardiaca e che si associa a un rinforzo del primo tono cardiaco e a un rumore aggiunto (schiocco d'apertura della valvola), la semeiotica giunge a un'interpretazione più dettagliata del significato del segno clinico, precisando che il vizio valvolare dev'essere situato a livello della valvola atrio-ventricolare di sinistra (valvola mitrale) e che tale vizio consiste in un restringimento della valvola stessa (stenosi mitralica).
L'attività interpretativa del semeiologo ha quindi come obiettivo non solo di precisare la relazione tra rilievo clinico e fenomeno patologico direttamente implicato (per es., rantoli bronchiali = essudato nei bronchi; crepitio polmonare = presenza di liquido alveolare), ma anche di risalire − per quanto possibile − alle cause prime della modificazione patologica. Gli elementi che permettono questi approfondimenti possono essere caratteristiche di tipo cronologico (la durata di un dolore stenocardico è solitamente diversa in caso di spasmo ovvero di occlusione coronarica); topografico (la localizzazione di crepitii polmonari in una zona circoscritta è compatibile con una polmonite, mentre la loro presenza a entrambe le basi polmonari è indicativa di una stasi polmonare); relativi all'intensità del sintomo (un dolore molto intenso all'ipocondrio destro può indicare una colica epatica, mentre se il dolore è modesto e discontinuo la mette in dubbio). Un aspetto del tutto peculiare in questo contesto è rappresentato dal fatto che un reperto patologico può essere rappresentato non tanto dalla comparsa di segni anormali, quanto dall'assenza di segni fisiologici: per es. l'assenza di borborigmi (rumori di gorgoglio addominali) è indicativa di paralisi intestinale. S'inserisce qui il problema del significato del risultato negativo, ritenuto spesso − e a torto − un dato inutile e privo di valore informativo.
Si definisce ''negativo'' un risultato di un rilievo clinico rientrante nei limiti ritenuti normali. A questi dati molti medici e la maggioranza dei pazienti dedicano poca attenzione, ritenendoli privi, come s'è detto, di significato diagnostico. In realtà il dato negativo può assumere un ruolo anche decisivo nelle fasi finali della diagnosi differenziale, la fase cioè nella quale il medico mette a confronto le ipotesi diagnostiche più verosimili (v. diagnostica, in questa Appendice). Si consideri, per es., il caso di un paziente portatore di una sintomatologia dolorosa all'emitorace e all'arto superiore sinistro, interpretabile o come infarto cardiaco o come periartrite scapoloomerale. È evidente che in queste circostanze il riscontro di un quadro elettrocardiografico normale (= negativo) e di normali (= negativi) valori dell'enzima creatinfosfochinasi e della sua frazione MB, possiede un valore informativo, ai fini della decisione del medico, pari a quello che sarebbe derivato dal riscontro di un elettrocardiogramma alterato o da variati livelli enzimatici. È vero che nelle fasi iniziali e intermedie del procedimento diagnostico, quando sono in gioco più di due ipotesi alternative solo il dato positivo sufficientemente specifico (e non il dato negativo) può risultare decisivo per la diagnosi; ciò non significa tuttavia che pur in queste circostanze, il dato negativo sia totalmente privo di valore informativo. In effetti − come si dirà anche oltre, trattando del complesso sindromico − l'individuazione della diagnosi consiste in una progressiva caratterizzazione del quadro sintomatologico fin quando esso non risulterà corrispondere a una sola delle possibili malattie. Così, il dato negativo, eliminando almeno una delle ipotesi diagnostiche in gioco e restringendo in misura più o meno rilevante il campo d'indagine, finirà per rappresentare sempre un progresso nel procedimento diagnostico. Esemplificando, il problema dell'origine di una sindrome diarroica potrebbe essere completamente definito dal risultato positivo di una coprocoltura che dimostri la presenza di salmonelle; quando il medesimo esame risulta invece negativo sarà pur sempre necessario continuare l'indagine diagnostica, ma in condizioni più favorevoli, poiché la negatività della coprocoltura avrà eliminato almeno una delle ipotesi diagnostiche preliminari. Il guadagno d'informazione ottenibile da un risultato negativo è quindi correlabile alla quantità di ipotesi diagnostiche che esso elimina. Su questo principio si basa la misura del potere informativo di un test clinico che costituisce un importante criterio di scelta e prescrizione dei test diagnostici più adatti a una determinata situazione clinica.
Di particolare rilievo metodologico è infine l'associazione di diversi sintomi o segni, cioè il cosiddetto complesso sindromico. La sua importanza deriva dal fatto che il procedimento diagnostico − come si è accennato più sopra − consiste in genere in un progressivo arricchimento del complesso sindromico rilevabile nel paziente finché esso non diventi così caratteristico da risultare compatibile con il quadro clinico proprio di una sola malattia.
Per esemplificare, il riscontro di uno stato anemico può essere compatibile con molte situazioni morbose: anemie dovute a mancata produzione di globuli rossi per mancanza di ferro o di vitamine o di altri fattori; anemie dovute a mancanza delle linee cellulari progenitrici dei globuli rossi; anemie dovute ad aumento di distruzione di globuli rossi, e così via. Il riscontro del carattere ipocromico dell'anemia (il che significa che la riduzione dell'emoglobina è proporzionalmente maggiore della riduzione del numero dei globuli rossi) costituisce già un complesso sindromico (anemia+ipocromia) caratteristico di un numero molto più ristretto di forme anemiche: anemie da carenza di ferro, anemie cosiddette talassemiche e poche altre. Ulteriori esami mirati potranno affinare ancor più il complesso sindromico rilevabile nel paziente; se i risultati saranno tali da evidenziare il complesso sindromico costituito da: anemia+ipocromia+iposideremia e ipoferritinemia+presenza di sangue fecale, il medico potrà formulare una diagnosi precisa, visto che tale insieme di sintomi si ritrova descritto, nella nosologia medica, solo a carico della malattia: anemia sideropenica da emorragia cronica digestiva.
Il complesso sindromico non va confuso con la sindrome morbosa (v. diagnostica, in questa Appendice): s'intende infatti con questo termine un gruppo di sintomi che si riscontrano frequentemente associati nello stesso paziente senza tuttavia che si sia potuto ancora riconoscere la causa morbosa che determina l'associazione stessa impedendo pertanto che essi possano essere ascritti a una ben definita malattia. La sindrome morbosa rappresenta spesso uno stadio precoce dell'individuazione di una nuova malattia. Quando Ippocrate descrisse, in uno dei suoi famosi aforismi, la possibilità che in una donna che non fosse in periodo puerperale, si verificasse galattorrea (secrezione lattea mammaria) associata ad amenorrea (scomparsa del flusso mestruale), descrisse una sindrome morbosa − galattorreapamenorrea non puerperali − di cui non poteva conoscere la causa. Solo in questi ultimi decenni, con la possibilità di dosare l'ormone prolattina e di esaminare radiologicamente la struttura dell'ipofisi, si è individuata la causa, adenoma prolattino-secernente dell'ipofisi, dei sintomi descritti da Ippocrate: in tal modo quello che era solo un elenco descrittivo di sintomi è stato trasformato in una malattia nosograficamente ben definita.
In quest'opera di ricostruzione sia dei quadri di malattia sia della diagnosi nel singolo paziente, l'ambito della semeiotica s'incontra e in parte si fonde con quello della fisiopatologia, che studia, con procedimento diverso, le modalità con cui si verificano i fenomeni patologici conseguenti all'azione di una determinata causa patogena. Per cui, una distinzione − forse eccessivamente didattica e schematica ma concettualmente accettabile − tra compiti della semeiotica e compiti della fisiopatologia potrebbe consistere nel fatto che compito della semeiotica è fornire al medico l'interpretazione dei sintomi, mentre compito della fisiopatologia è la previsione della loro comparsa in presenza di una determinata causa morbosa.
Caratteri propri della metodologia medica.- A differenza della semeiotica, la m. m. propriamente detta, o metodologia clinica, prescinde totalmente dai contenuti della medicina, cioè da ciò che la medicina sostiene circa la causa o le alterazioni di questa o quella malattia, e si rivolge invece esclusivamente agli aspetti formali del discorso medico, analizzando ciò che deve fare il medico e come deve farlo. Essa si presenta quindi come una specie di grammatica generale che stabilisce le regole del procedimento clinico, controllando altresì che tali regole vengano rispettate.
La metodologia clinica, quindi, rappresenta un settore fondamentale delle conoscenze mediche il cui peso, per la formazione e l'azione del clinico, lungi dall'essere sminuito in seguito al progresso tecnologico della medicina, si è fatto ancor più rilevante. Essa, infatti, insegna a fare il miglior uso dei rilievi clinici forniti dalla semeiotica. Come si è detto, il numero elevato di dati che il clinico riceve dalle indagini di laboratorio, strumentali o di altro tipo eseguite nel paziente, non sempre contribuisce a semplificare il procedimento interpretativo del quadro clinico, ponendo spesso problemi di logica decisionale: decisione se prescrivere questa o quella indagine, se controllare un dato o ritenerlo sufficientemente probativo, se passare dalla fase diagnostica a quella terapeutica, se ammettere questa o quell'altra diagnosi. Queste decisioni rappresentano l'intima sostanza dell'atto diagnostico, e il loro compimento abbisogna di regole derivate dalla logica formale. Non a caso i primi insegnamenti clinici con ordinamento di tipo universitario erano associati a insegnamenti di filosofia, quando non erano essi stessi impartiti da filosofi.
Per comprendere la funzione della metodologia, è necessario considerare il percorso logico che sottostà all'utilizzazione del dato clinico da parte del medico. Una volta formulate le ipotesi diagnostiche preliminari, il clinico deve esaminarle una per una, mettendole alla prova con adatti test strumentali o di laboratorio. Il fondamento logico di tale operazione può essere così formulato: "Se il paziente fosse effettivamente affetto dalla malattia M, il test di laboratorio T dovrebbe dare il risultato R. Pertanto, se si verificherà R, l'ipotesi I, secondo cui il paziente può essere affetto da M, risulterà corroborata; d'altro canto, qualora R non si verificasse, si potrà d'ora innanzi trascurare l'ipotesi I e concentrare l'attenzione solo sulle ipotesi diagnostiche residue".
Inoltre, mediante operazioni di ''corroborazione'' e di ''confutazione'', il clinico si prefigge di raggiungere la certezza della diagnosi o per lo meno di avvicinarvisi entro limiti ragionevoli. Sono quindi necessarie adatte regole in grado di guidare non solo la raccolta dei rilievi diagnostici, ma anche le conclusioni ricavabili dalle osservazioni cliniche: non va dimenticato il principio di logica, secondo cui da premesse vere possono essere anche dedotte − mediante ragionamenti viziati − conclusioni errate.
Il complesso di queste regole costituisce la metodologia clinica. Tra di esse si possono citare:
a) regole sull'esecuzione delle fasi diagnostiche (per es., ''osservare tutto'', ''scegliere ipotesi plausibili'', ''scegliere test informativi'', e così via);
b) regole sull'organizzazione reciproca delle fasi diagnostiche (per es., ''formulare le ipotesi solo dopo un'accurata osservazione'', ''è giustificato passare alla fase terapeutica quando i costi diagnostici tendono a salire eccessivamente'', e così via);
c) regole di valutazione degli elementi clinici raccolti (''seguire criteri probabilistici'', ''seguire criteri deduttivi'', ecc.);
d) regole di giustificazione dei procedimenti (''scegli la diagnosi più probabile'' o ''più semplice'', ''analisi decisionale'', e così via).
Le modalità con cui tutte queste regole vengono applicate nella pratica clinica al fine di pervenire alla formulazione di una diagnosi costituiscono il procedimento diagnostico (v. diagnostica, in questa Appendice).
Dato che il procedimento diagnostico è essenzialmente un processo ragionativo e ha caratteristiche probabilistiche, le regole di metodologia clinica hanno come riferimento obbligato la logica formale, per quanto attiene alla validità e ai limiti delle diverse forme (inferenze induttive, deduttive) del ragionamento diagnostico, e alla statistica, per quanto attiene alla valutazione dell'affidabilità delle scelte diagnostiche o terapeutiche.
In particolare, il riferimento alla natura probabilistica della diagnosi ha prodotto un'analisi del ragionamento medico basata sul cosiddetto teorema (o formula) di Bayes, dando così origine al termine diagnosi bayesiana.
Con questo termine s'intende sottolineare che una diagnosi non dev'essere considerata di principio ''certa'' ma piuttosto ''verosimile'' (anche se la verosimiglianza può raggiungere livelli così elevati da poter essere praticamente equiparata alla certezza). Il grado di verosimiglianza di una diagnosi può quindi essere espresso in termini di probabilità che sono in relazione sia con elementi probabilistici a priori (come la diffusione della malattia nell'ambiente da cui proviene il paziente), sia con elementi relativi alle caratteristiche dei rilievi clinici (probabilità che un sintomo sia associato a una determinata malattia). Il teorema di Bayes rappresenta appunto lo strumento statistico adatto a trasformare tali probabilità in probabilità di malattia, indice, quest'ultimo, della verosimiglianza che il paziente in studio sia effettivamente affetto da una determinata malattia.
Nella sua formulazione più comune, la formula di Bayes è esprimibile nel modo seguente:
dove: P(D/S) è la probabilità che sia presente la malattia D una volta che siano stati rilevati i sintomi S; P(S/D) e P(S/D-) rappresentano le probabilità che si manifestino i sintomi S rispettivamente nei malati (veri positivi o sensibilità del test) e nei non malati della malattia D (falsi positivi); P(D) e P(D-) sono le probabilità (frequenze) della presenza e rispettivamente dell'assenza della malattia D.
L'approccio bayesiano è in grado di analizzare e di descrivere il motivo per cui un medico si orienta, sulla base di un determinato sintomo clinico, verso una diagnosi piuttosto che verso un'altra. Si supponga per es. che un medico, di fronte a un paziente con un dolore toracico, ammetta un 60% circa di probabilità che egli sia affetto da mialgia intercostale, mentre la possibilità che abbia un infarto miocardico sia valutata al 30%. Si supponga ora che il medico rilevi un aumento delle transaminasi (SGOT) nel siero, evento che si verifica con probabilità del 19% nei soggetti con infarto e del 9% nei soggetti senza infarto. Applicando la formula di Bayes alle due possibilità diagnostiche si ottiene che la probabilità di verità dell'ipotesi ''infarto miocardico'' risulta pari al 51%, mentre quella dell'ipotesi di ''mialgia'' risulta pari al 49%. Quindi, dopo aver rilevato l'aumento delle SGOT, l'orientamento del medico s'inverte, essendo divenuta più probabile la diagnosi d'infarto miocardico rispetto a quella di una semplice mialgia.
Anche se l'approccio bayesiano alla diagnosi è stato spesso criticato come troppo artificioso e complesso per ammettere che rappresenti realmente il procedimento diagnostico seguito dal clinico al letto del malato (il medico, di fatto, giunge alla diagnosi senza eseguire materialmente alcun calcolo formale delle probabilità), ciò non significa che il ragionamento clinico non sia conforme, sul piano logico, all'approccio bayesiano. In realtà, man mano che il clinico costruisce nella sua mente le ipotesi diagnostiche, esse vengono sicuramente ordinate secondo un criterio di verosimiglianza, cioè di probabilità logica, stabilita in base alla regola di Bayes, e via via che il medico acquisisce una nuova informazione, la sequenza probabilistica viene modificata, sempre in conformità alla regola di Bayes.
Appare infine interessante ricordare, sempre a proposito dei contributi dati dalla statistica medica alla diagnosi clinica, un tipo di analisi dell'atto medico recentemente sviluppata: l'analisi del comportamento medico secondo la teoria delle decisioni.
Molto sinteticamente, l'analisi decisionale consiste in un metodo di valutazione delle possibili decisioni terapeutiche o comportamentali che possono essere adottate in una ben determinata situazione clinica, quantificandone la convenienza (utilità attesa) al fine d'individuare e conseguentemente adottare quella più vantaggiosa. L'analisi decisionale può essere adattata, per le sue caratteristiche, al reperimento delle vie diagnostiche e degli interventi terapeutici più convenienti per una determinata malattia o allo studio di uno specifico problema di un singolo paziente; tale flessibilità d'impiego non corrisponde tuttavia ad altrettanta semplicità. La costruzione e l'utilizzazione degli schemi decisionali richiede la conoscenza di un'elevata quantità di dati clinici non sempre disponibili. In aggiunta, la valutazione delle utilità attese richiede una quantificazione impossibile su una base oggettiva − e assai problematica anche con un approccio soggettivo − del valore da assegnare ai possibili esiti clinici (guarigione, morte, guarigione con invalidità, aggravamento dello stato di malattia, ecc.). Tale operazione rappresenta indubbiamente il punto più delicato dell'intera strategia. In ogni caso, l'analisi decisionale alla diagnosi costituisce indubbiamente un'interessante metodica di giustificazione e quindi di scelta di determinate decisioni cliniche, soprattutto quando queste debbano essere prese relativamente a casi o situazioni cliniche assai complesse e problematiche.
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