Metodi scientifici
Come orientare la conoscenza della realtà
La ricerca di un metodo nasce con il pensiero umano, ma solo con la scienza moderna diventa un problema fondamentale: infatti senza un metodo scientifico non è possibile accrescere le nostre conoscenze del mondo naturale. Il metodo scientifico unisce l’osservazione sperimentale con la costruzione di un linguaggio coerente e rigoroso. Non è immutabile – nella scienza antica era legato alla matematica, nella scienza moderna è più vicino alla fisica –, non è unico – è fatto di varie procedure e strategie –, non è uguale per tutte le scienze – il metodo della fisica è molto diverso da quello della medicina –. Per questi motivi è più opportuno parlarne al plurale
L’esigenza di un metodo che orienti il pensiero e la conoscenza nasce assieme alla filosofia e alla scienza. Alle origini della filosofia Socrate ha proposto il metodo del dialogo che, attraverso la discussione, permette di risalire a concetti generali (l’arte, la bellezza, la religione); alle origini della scienza Pitagora e i pitagorici hanno individuato nella natura una struttura matematica e proposto un metodo aritmetico e geometrico per descrivere la realtà fondamentale dell’Universo.
Già nel mondo greco, quindi, si comincia a distinguere un metodo in senso generale, utile per pensare, e un metodo scientifico per conoscere la realtà. In particolare, i criteri fondamentali del metodo matematico vengono descritti da Aristotele negli Analitici e definiti da Euclide negli Elementi. Tale metodo si articola in due momenti essenziali: porre le premesse e dedurre da esse una serie di conseguenze.
Soltanto con la nascita della scienza moderna, tuttavia, il problema del metodo diventa davvero fondamentale. È una delle principali preoccupazioni dei primi scienziati moderni e forma l’oggetto di opere da considerarsi decisive nella storia del pensiero moderno, come il Nuovo organo (1620) del filosofo inglese Francesco Bacone, il Discorso sul metodo (1637) di Cartesio, le Regole del filosofare (1687) di Isaac Newton.
In questo contesto si sviluppa una nuova distinzione, interna al metodo scientifico, tra metodo matematico – identificato con il modello deduttivo seguito negli Elementi di Euclide – e metodo fisico, definito da Galileo. Il metodo galileiano può essere suddiviso in quattro fasi: l’osservazione sperimentale (le «sensate esperienze»); la definizione dell’ipotesi (o modello); la deduzione matematica (le «necessarie dimostrazioni») e infine la verifica delle deduzioni, per confermare o meno l’ipotesi iniziale e per determinare la legge in grado di descrivere il fenomeno.
Questo schema consente di distinguere l’esperienza semplice e immediata di un fenomeno naturale – per esempio, osservare una palla che cade – dall’esperimento scientifico. Quest’ultimo parte da un’osservazione sperimentale e la sviluppa attraverso l’applicazione di una procedura (il protocollo sperimentale) che fa uso di specifiche misure e operazioni collegate tra di loro. L’obiettivo è dimostrare o convalidare un’ipotesi: per esempio, l’esperimento delle sfere fatte scorrere lungo un piano inclinato ha permesso a Galilei di determinare la legge del moto uniformemente accelerato.
Lo sviluppo delle procedure di misurazione (misura) ha reso sempre più precisa l’osservazione sperimentale e ha incorporato nel metodo fisico una dose sempre maggiore di linguaggio matematico, traducendo gli esperimenti in relazioni numeriche.
Già Galilei, infatti, aveva affermato che il libro della natura «è scritto in lingua matematica», e la traduzione dell’esperimento in operazioni matematiche ha costituito un aspetto importante del suo metodo. Tre secoli dopo, Einstein sostiene che ogni concetto fisico deve essere descritto tramite una definizione operativa, nel senso che ogni concetto generale (a cominciare da quello di tempo) deve essere definito mediante una serie di operazioni fisiche, possibili almeno in linea teorica: per esempio, se si postula che la luce abbia una velocità finita, bisogna provare quanto tempo impiega un segnale luminoso a percorrere una traiettoria tra due punti distanti nello spazio.
Con la meccanica quantistica (quanti), teoria adoperata per spiegare il comportamento della materia a livello microscopico, si afferma il principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale, in alcuni casi, la misura di una grandezza produce un’ineliminabile incertezza nella conoscenza dei valori di altre grandezze osservabili. Per esempio, tanto più si cerca di rendere precisa la descrizione della posizione di una particella, tanto più aumenta l’incertezza nella determinazione della sua velocità, e viceversa. Su questa base viene messa in discussione la possibilità di una misurazione completa dei fenomeni osservati e vengono introdotte procedure statistiche di misura.
Il metodo scientifico, quindi, si basa sull’osservazione e sulla sperimentazione, sulla misura, sulla produzione di risultati per generalizzazione (induzione) e sulla conferma di tali risultati attraverso un certo numero di verifiche. Per fare un esperimento, tuttavia, è necessario prima possedere un’ipotesi e degli strumenti per verificarla. Ciò garantisce efficacia al metodo perché impone di seguire regole ben definite rispetto all’azione da compiere, limitando gli errori e consentendo così il progredire della conoscenza. Dal punto di vista delle procedure, il metodo scientifico si articola in due distinti momenti: il primo è quello dell’individuazione di una strategia in base alla quale si scelgono le decisioni da prendere nell’affrontare un problema scientifico e i passi, derivanti da tali decisioni, che è necessario compiere. Per esempio, nell’affrontare un problema geometrico, può capitare che si debba stabilire preliminarmente in che modo e dopo quali passi è possibile applicare il teorema di Pitagora. Il secondo momento è rappresentato dalla definizione di un algoritmo, cioè di una serie di regole ben definite, per riuscire a risolvere in un numero finito di passaggi un problema posto all’interno di una teoria già definita. Tramite questo algoritmo viene descritto dettagliatamente l’ordine di ciò che deve essere fatto: così per applicare il teorema di Pitagora a un qualunque triangolo rettangolo si deve prima tracciare un quadrato costruito sull’ipotenusa e due quadrati costruiti sui cateti, e poi misurarne le aree.
L’indagine sui metodi scientifici si è rinnovata nel primo Novecento tramite l’epistemologia, una disciplina che studia i metodi, il linguaggio e i fondamenti delle scienze e richiede perciò una stretta collaborazione di scienziati e filosofi. Le ricerche epistemologiche hanno riconosciuto che tra i metodi delle diverse scienze vi sono differenze, che si sono progressivamente ampliate, di linguaggi, di apparati strumentali e di oggetti della esperienza; ciò ha imposto l’abbandono dell’idea di un metodo scientifico unico. Se in generale il metodo scientifico si connota per il suo carattere rigoroso, razionale, oggettivo e comunicabile, nonché per il suo fine di accrescere il patrimonio conoscitivo dell’umanità, il metodo di ciascuna scienza è invece condizionato dalla costruzione concettuale, basata spesso sull’uso di formule e di simboli: così la chimica fa uso delle formule per descrivere la composizione delle sostanze (per esempio, H2O rappresenta la formula molecolare dell’acqua), mentre la fisica fa uso delle equazioni differenziali per rappresentare gli andamenti e le relazioni reciproche delle grandezze studiate.
Come accennato, il metodo di ciascuna disciplina è anche condizionato dall’oggetto di cui essa si occupa e che spesso non appartiene all’esperienza comune (un protone o un frammento di DNA non sono oggetti comuni) oltreché dall’apparato strumentale che adopera; un acceleratore di particelle o una sonda spaziale sono strumenti di altissima sofisticazione costruiti appositamente per studiare specifici fenomeni fisici; ogni metodo, inoltre, è il prodotto di un’autonoma e più o meno lunga tradizione culturale e storica.
Le scienze sperimentali si dividono in scienze naturali (fisica, astronomia, chimica, biologia), che descrivono tramite funzioni matematiche una varietà generale di fenomeni naturali, e in scienze umane (economia, sociologia, psicologia), che riguardano singoli eventi, oggetti o individui. Vi sono poi scienze che si trovano, per così dire, a mezza strada tra le scienze naturali e quelle umane. È il caso della medicina che da un lato si serve di analisi di tipo chimico e fisico, come le analisi del sangue, e usa un linguaggio descrittivo rigoroso che vale in generale, dall’altro è orientata verso l’obiettivo della guarigione e del mantenimento in buona salute di un singolo individuo.
La consapevolezza della varietà dei metodi scientifici e della necessità di distinguere tra quelli propri delle scienze naturali e quelli propri delle scienze umane e sociali ha messo in luce alcuni problemi tra loro connessi: l’unità della scienza e il cosiddetto riduzionismo.
Le varie discipline possono convergere verso un’unica scienza fondamentale? La tesi di una scienza unitaria è sostenuta dal riduzionismo. Nell’antichità si poteva identificare l’unitarietà della scienza nella matematica; nell’era moderna, secondo l’impostazione riduzionista, tutta la scienza è riconducibile alla fisica e in particolare, dal Novecento, alla fisica del mondo microscopico; ciò è dovuto all’accresciuto valore metodologico assunto dagli apparati sperimentali che consentono di ‘vedere’ le particelle elementari della materia o di risalire ai primi secondi dell’origine dell’Universo. Questi fatti consentirebbero di ricondurre la realtà e la sua comprensione alle particelle ultime di cui è composta la materia.
Il riduzionismo ha varie gradazioni: il fisicalismo forte sostiene la possibilità di ridurre i linguaggi di tutte le scienze nel linguaggio della fisica; il fisicalismo debole postula che tutto l’esistente si risolva in entità fisiche come i campi e le particelle e che i livelli superiori della realtà dipendano da tale livello fisico. Gli avversari del riduzionismo sostengono invece che ogni scienza possegga un suo particolare quadro teorico e che le scienze nel loro insieme descrivano aspetti diversi della realtà, i quali possono essere composti in una comprensione globale del mondo, ma non ridotti a un’unica prospettiva fondamentale di conoscenza.
Se si guarda allo stato attuale delle singole scienze, si possono ricavare importanti indicazioni sulle differenze esistenti tra un metodo scientifico e l’altro. Esaminiamo quattro modelli di metodo scientifico – fisico, chimico, biologico e medico – che divergono tra di loro in modo sempre più marcato.
Il modello fisico. Nella fisica del Novecento, il metodo sperimentale si è sviluppato grazie alla teoria della relatività speciale e generale (che ha indicato il carattere operativo dei concetti fisici elementari) e alla meccanica quantistica. Quest’ultima ha abbandonato il determinismo della fisica classica e ha introdotto un metodo basato sulla descrizione statistica e quindi sulla probabilità. Il metodo fisico, forte dei suoi successi, comporta l’adesione al fisicalismo e l’affermazione del primato della fisica: il metodo scientifico è unitario ed è quello elaborato per la prima volta dalla fisica.
Il modello chimico. Già in chimica l’impostazione del metodo è diversa rispetto alla fisica. È possibile riconoscere una varietà di aspetti che distinguono i chimici dai fisici. La descrizione dal punto di vista microscopico degli atomi, prodotta grazie alla meccanica quantistica e agli strumenti che ne analizzano la struttura, non completa la descrizione chimica di una sostanza. Non si tratta soltanto della complessità dei calcoli: basta pensare che in chimica è importante anche sapere come sono disposti nello spazio gli atomi che formano le molecole e che ciò ha una influenza rilevante sulla reattività (cioè sul comportamento chimico) delle sostanze.
Il modello biologico. Ancora maggiori sono le differenze tra la fisica e la biologia. L’obiettivo principale della biologia attuale (fondamentalmente biologia evolutiva) è spiegare, tramite la genetica, il modo in cui gli individui hanno raggiunto un alto grado di adattamento alle loro condizioni di esistenza. Tale obiettivo richiama alcune domande: tutti i fenomeni evolutivi possono essere spiegati con il ricorso alla natura, all’azione e alle relazioni dei geni? L’ereditarietà può essere ridotta ai processi descritti dalla genetica molecolare? Ogni fenomeno di selezione può essere risolto in processi che coinvolgono i geni? Il concetto di gene costituisce, quindi, l’oggetto specifico della biologia evolutiva e richiede un metodo che fa uso del metodo fisico, ma non si riduce a esso.
Il modello medico. È possibile individuare nella medicina attuale due metodi distinti. Da un lato, è presente un approccio sperimentale che ricerca l’origine (spesso chimico-fisica) delle malattie e che descrive l’azione svolta sull’organismo da un farmaco. Dall’altro, vi sono metodi statistici che studiano le malattie e le risposte ai trattamenti su larghe fasce di popolazione, sia per individuare quali siano i fattori di rischio e le malattie più diffuse sia per sviluppare sistemi di prevenzione.
Nell’indagine clinica il medico, che deve curare un singolo paziente, si serve di entrambi i metodi: così, alle analisi di laboratorio unisce la conoscenza delle abitudini del paziente. In questo caso la possibile divergenza tra l’oggetto scientifico della medicina – la malattia come si manifesta nel singolo paziente – e i concetti generali di malattia e di salute richiede un metodo molto particolare e molto lontano dal carattere generale e oggettivo del metodo della fisica.
L’epistemologia (dalle parole greche epistème «scienza» e lògos «discorso, spiegazione») studia la natura, i fondamenti, i limiti, i metodi e i criteri di validità della conoscenza scientifica. Essa si presenta come un aspetto della filosofia della scienza, settore della ricerca filosofica presente già nella filosofia greca che indaga i problemi generali posti da ogni forma di sapere scientifico. L’epistemologia si occupa soprattutto delle indagini legate agli aspetti più recenti dello sviluppo scientifico. Per esempio, l’epistemologia della fisica indaga la natura dello spazio e del tempo a partire dalla teoria della relatività speciale e generale e dal modo operativo in cui i concetti di spazio e tempo sono usati.
Diversamente da quanto si crede in genere, la fisica e la chimica differiscono nel linguaggio, negli obiettivi, nei metodi e nella visione della natura. Le differenze di stile e di metodo di chimici e fisici possono essere schematizzate in quattro punti: il fisico usa equazioni matematiche, il chimico usaun linguaggio simbolico basato su formule; i simboli del primo sono algebrici, quelli del secondo geometrici; il fisico misura e costruisce modelli, il chimico, pur servendosi di modelli geometrizzati, guarda alle trasformazioni, seguendo le quali purifica i materiali; in fisica prevale l’attività razionale e matematica, per la ricerca di leggi naturali; il chimico, invece, rintraccia le regole nella varietà delle possibili combinazioni tra gli atomi che formano le molecole; il fisico vede nella materia particelle distribuite in campi di forze, il chimico vede sostanze che si trasformano.