VISCONTINI, Metilde
Secondogenita di Carlo e Luigia Marliani, nacque a Milano il 1° febbraio 1790.
Trascorse l’infanzia da suddita austriaca, nella cerchia familiare alto borghese e abbiente che, tratto beneficio dalle riforme teresiane della seconda metà del Settecento, occupò una posizione eminente nella Milano capitale napoleonica.
Nella cerchia parentale si adottava una politica matrimoniale capace di non disperdere e anzi incrementare i patrimoni: i nonni paterni di Metilde, Giovanni Battista Viscontini e Bianca Ferrario, possidente mantovana (celebrata in un ritratto di Angelica Kauffmann), diedero in sposa la figlia Elena a Giovanni Battista Milesi, ricco commerciante bergamasco; il figlio Carlo prese in moglie la cugina Luigia Marliani, figlia di Maddalena Ferrario (sorella di Bianca) e di Pietro Marliani; la sorella di Metilde, Elena, sposò il cugino Carlo Milesi. La zia Elena Viscontini Milesi fu immortalata nei versi del poeta Carlo Porta: «Viva sura Lenin/ el so bell coo/ el so bell anem, el so cor sinzer/ viva el so spiret» («Viva la signora Lenin/ il suo bel viso/ la sua anima bella, il suo cuore sincero/ viva il suo spirito»). Luisa, figlia della “sura Lenin” fu nonna dello scrittore Carlo Alberto Pisani Dossi. Dello zio di Metilde, Rocco Marliani, Stendhal scrisse che fu «uomo virtuoso» e «uno dei più rispettabili cittadini di Milano». La figlia di lui, Maddalena Marliani, fu giudicata da Napoleone «bella tra le belle» e celebrata da Ugo Foscolo ne Le grazie. Bianca Milesi, cugina e coetanea di Metilde, fu patriota, scrittrice, disegnatrice, moglie del medico Benedetto Mojon, amica di Anna Woodcock, moglie di Carlo Cattaneo.
Metilde crebbe in mezzo a una nidiata di cugini e cugine, in un ambiente che univa agiatezza, cultura e orgoglio patriottico. Affinò così un’intelligenza duttile, una spiccata sensibilità e una capacità di relazione, capaci di condurla nelle traversie personali e politiche della sua esistenza privata e del suo tempo tumultuoso.
Il 6 luglio 1807 andò sposa al generale polacco Jan Dembowski, trentaquattrenne pluridecorato, veterano delle guerre napoleoniche, gradito ai Viscontini per rango e patrimonio. Figlia dei lumi e della rivoluzione francese, Metilde resistette dapprima alle nozze di convenienza ma, troppo giovane e inesperta, si sottomise al volere dei genitori e alla determinazione del fidanzato, desideroso di imparentarsi con una solida famiglia che concedeva la ricca dote di 150 mila lire. Nel 1808, nato il primogenito Carlo, Dembowski partì per combattere in Spagna. A lungo sola, Metilde fu oggetto di scandalo per un presunto “intrigo amoroso” (così definito dall’incaricato d’affari svizzero a Milano, barone Giovanni Antonio Marcacci) che, giunto alle orecchie del marito, ebbe conseguenze nefaste sulla già fragile intesa tra i coniugi. Fu un frangente doloroso per lei che, bersaglio delle malelingue, vide travolta da un analogo scandalo la cugina Maddalena Marliani. Corteggiata da Foscolo, nel 1809 Maddalena, moglie del banchiere Paolo Bignami, tentò il suicidio. Uniti al suo capezzale, Metilde e il poeta strinsero un’amicizia destinata a consolidarsi nelle avversità. Nel 1810, insignito del titolo di barone e posto al comando della piazza milanese, Dembowski inaugurò una convivenza all’insegna del sospetto e della violenza. Il 12 aprile 1812 nacque il secondogenito Ercole. Nel 1813 il generale fu messo a riposo e la frustrazione, unita all’indole bellicosa e prepotente, rese la vita domestica intollerabile, come testimoniava nel 1814 Teresa Casati in una lettera al marito Federico Confalonieri: «La moglie del generale Dembowski è fuggita da suo marito, si disse per i cattivi trattamenti che il medesimo la faceva subire» (Trompeo, 1963, p. 33).
Il 20 aprile 1814, alla notizia della sconfitta subita dal viceré Eugenio di Beauharnais a opera degli austriaci, Milano assistette al linciaggio del ministro delle Finanze Giuseppe Prina in quello che per Foscolo fu un «vile e sanguinoso tumulto architettato dal denaro e dalla vendetta di pochi patrizi […] ed eseguito dalla plebe avida di rapine» (Acchiappati, 1971, p. 155). Animato da un sentimento di vendetta per il regime francese che pure gli aveva concesso onori e ricchezza, Dembowski si schierò tra gli istigatori della sommossa.
I coniugi erano più che mai distanti e inconciliabili. Alla fine di marzo 1815, ottenuta una separazione provvisoria, Metilde riparò a Berna con il secondogenito Ercole (il 31 marzo anche Foscolo partì da Milano verso l’esilio). Qui condusse vita ritirata, stringendo amicizia, tra gli altri esponenti della società cólta elvetica e internazionale, con il sapiente Jakob Heinrich Meister e soprattutto con l’arciduchessa Julie di Sassonia-Coburgo, moglie separata dell’arciduca Costantino, fratello dello zar Alessandro di Russia, dalla quale ottenne protezione contro eventuali tentativi di Dembowski, mai rassegnato, di ricondurla a sé. In settembre, appreso che Foscolo si trovava a Zurigo in miseria, iniziò con lui una corrispondenza e, nei limiti delle sue possibilità, gli prestò soccorso in denaro. Il 13 maggio 1816 il poeta raggiunse quella che definiva la «gentile e più cara donna» per quattro giorni a Brünnadern, poco distante da Berna, dove Metilde affittava una residenza di campagna, adiacente alla dimora estiva di Elfenau dell’arciduchessa Julie. Presto sarebbe rientrata a Milano per salutare il primogenito Carlo, destinato dal padre al collegio dei padri Scolopi di Volterra. Partì in giugno, arrivando a Milano per alcuni tempestosi incontri con Dembowski, che riuscì a sottrarle il piccolo Ercole. Grazie all’intervento della granduchessa Julie, Metilde ottenne protezione dal governatore militare della Lombardia, conte Ferdinand Antonín Bubna von Littitz, che le restituì Ercole. Tornata con lui in Svizzera, in agosto rivide per l’ultima volta Foscolo in partenza per l’esilio inglese e gli fornì una lettera di presentazione per il reverendo dottor Martin Sandys Wall di Oxford, cappellano del principe reggente, rampollo di una illustre famiglia di scienziati e imprenditori.
In autunno, di nuovo a Milano, fu autorizzata a vivere «separata di letto e di appartamento» nella casa maritale della contrada del Gesù. L’8 agosto 1817, fatto appello alla giustizia militare, cioè a Bubna, in quanto moglie di un generale, ottenne la separazione definitiva.
Una volta sistemata nel palazzo di piazza Belgiojoso, proprietà del fratello Ercole Viscontini, Metilde avviò un’esistenza meno travagliata, sempre all’insegna del riserbo e della discrezione. La saletta azzurra del suo appartamento divenne il ritrovo di una cerchia che comprendeva, oltre ai coniugi Teresa e Federico Confalonieri, l’abate Luigi di Breme, Giuseppe Pecchio e l’avvocato novarese Giuseppe Vismara che, il 4 marzo 1818, condusse con sé l’amico francese Henri Beyle, presto noto come Stendhal grazie al suo volume Roma, Napoli, Firenze nel 1817, recensito dalla Edinburgh Review e apprezzato da Johann Wolfgang von Goethe. Nella saletta azzurra, tra l’altro, prese breve vita Il Conciliatore, giornale dei romantici e dei patrioti e maturò la cospirazione antiaustriaca del 1821.
L’accesso alla saletta fu per Stendhal «l’inizio di una grande frase musicale», l’amore per Metilde che, sotto l’assedio dello spasimante, cercò di sottrarsi alla relazione amorosa ma non all’amicizia di una personalità tanto vivace. Nel maggio 1819 Metilde partì per Volterra per incontrare i figli ospiti del collegio. Inseguita fin lì da Stendhal, timorosa dell’occhiuto marito e dei pettegolezzi sulla sua condotta, Metilde gli intimò di tenersi lontano da lei, rifiutandogli per sempre ogni contatto. Il 29 dicembre, sull’onda della disperazione, Stendhal iniziò a scrivere le prime pagine de L’amore, il trattato che le vede protagonista sotto il nome di Leonora. La figura di Metilde ispirerà diversi personaggi stendhaliani, di volta in volta dolce e severa, sensibile e determinata, sempre capace di esercitare fascino e di ispirare mistero. I due si rividero un’ultima volta nel giugno 1821, prima della partenza di Stendhal da Milano dove, sorvegliato dalle spie, era sospettato di complicità nella cospirazione costituzionale, fallita tuttavia il 7 aprile 1821 con la vittoria delle truppe di Bubna sul Ticino.
Dopo l’arresto di Confalonieri il 13 dicembre 1821, il gruppo della saletta azzurra cadde sotto il tiro della polizia. Metilde subì un primo e duro interrogatorio il 24 dicembre, sospettata di aver inviato del denaro a Pecchio, nel frattempo riparato a Madrid, e di aver divulgato un suo scritto. In un capolavoro di abilità e dissimulazione, Metilde ammise i fatti comprovati ma politicamente irrilevanti, negò di essere a parte di una cospirazione e non compromise alcuno dei patrioti. Dopo un secondo interrogatorio il 26 dicembre, Metilde si rivolse a Bubna, pretendendo di essere soggetta alla giurisdizione militare e non a quella civile, cosa che ottenne nel febbraio 1822. Non fu più interrogata né incriminata.
Morto Dembowski il 22 luglio 1822, Metilde richiamò i figli da Volterra e ricostituì la famiglia ma ormai, estremamente provata dalle ansie coniugali e politiche, morì a Milano, il 1° maggio 1825, in casa della cugina Francesca Milesi Traversi.
Arch. di Stato di Milano, Processi politici, bb. 30, 32, 34; Presidenza di Governo, b. 47.
Su Stendhal e M. V. si vedano, in particolare: Stendhal, Correspondance, V (1816-1820) e VI (1821-1830), a cura di H. Martineau, entrambi Paris 1934, rispett. ad ind. e p. 7; Id., Mélanges intimes et marginalia, I, Paris 1936, passim; Id., Journal, IV (1810-1811) e V (1811-1823), a cura di H. Martineau, entrambi Paris 1937, ad ind.; Id., L’amore, Milano 1968, passim. Nonché, fra i diversi contributi sull'argomento, P.P. Trompeo, Incontri di Stendhal, Napoli 1963 e A. Collet, Stendhal et Milan, de la vie au roman, Paris 1987. Si vedano, inoltre: U. Foscolo, Ed. nazionale delle opere, Epistolario, vol. 5 (1814-primo trimestre 1815) e successivi, a cura di P. Carli, Firenze 1956, passim; A. Jenni, Matilde Dembowski Viscontini in Svizzera: e il Foscolo a Berna, in Arch. stor. lombardo, LXXXIV (1957), vol. 7, pp. 200-247; G. Acchiappati, Foscolo a Milano, Milano 1971; C. Porta, Poesie milanesi, Milano 2000, pp. 465 s.; M. Boneschi, La donna segreta: storia di M. V.D., Venezia 2010.