METEORE (gr. τὰ Μετέωρα, da μετέωρον "luogo elevato")
S'intende con questo nome la breve serie di rilievi chiusa tra gli alti corsi del Salambrías (Peneo) e del Trikalinos, a N. di Triccalo, nella parte settentrionale della pianura occidentale tessala; rilievi che per le loro particolari condizioni morfologiche e storiche assumono, nel complesso della regione, una spiccata individualità.
La zona delle Meteore è costituita da una massa di conglomerati e arenarie oligo-mioceniche, formatasi per deposito deltizio in un lembo d'acqua salmastra o poco profonda, sottoposta a disturbi di qualche entità (faglie) durante il Pliocene, e infine sollevata in una fase più recente, alla quale è in sostanza dovuto il processo di sviluppo delle sue caratteristiche forme d'erosione. Il paesaggio si presenta come una selva di pareti levigate e nude, ora dritte come lame taglienti, ora incise in enormi monoliti, isolati a mo' di torri, o variamente riuniti in gruppi dagli aspetti più strani; ma con superficie in alto quasi pianeggianti, e pressoché continue, quando s'immaginino colmati gl'intagli che la interrompono e la frammentano dalla sommità alla base. La massa ha una potenza superiore ai 300 m.; i livelli superiori, che raggiungono e oltrepassano i 550 m., ospitano, di regola sui pilastri di maggiori dimensioni (sui quali v'è posto per qualche prato e per qualche gruppo d'alberi), ma talora anche sull'esile vetta di angusti pinnacoli, un buon numero di monasteri (v. appresso), ai quali preesistevano, in profonde incavature fra le rocce, degli eremitaggi ancor oggi visibili. La morfologia della regione è quella caratteristica delle masse rocciose (di varia costituzione) risultanti da strati disposti in serie orizzontali o quasi, che siano state sottoposte a un progressivo, e più o meno rapido, abbassamento di livello delle acque correnti. La grande permeabilità della roccia e l'esistenza in questa di fessure verticali (diaclasi) han fatto qui in modo che l'affondamento delle incisioni prevalesse dapprima sull'arretramento delle pareti: di qui l'angustia delle vallecole che frammentano la massa rocciosa e che dovettero tendere continuamente ad approfondirsi con l'accentuarsi del sollevamento. Ma una volta cessato questo, o diminuito, le incisioni stesse vennero allargandosi, mentre si formò alla loro base uno zoccolo roccioso; il risultato finale è in conclusione un continuo ridursi, da ogni lato, dei pilastri nei quali la massa risultava scomposta.
Alla singolare impressione che questo, e i paesaggi simili - anche, e forse a torto, più famosi - dei Pläner nei calcari cretacei della cosiddetta Svizzera Sassone, o della massiccia mole del Montserrat, producono sul visitatore, contribuisce infine in misura non trascurabile la vivacità e il contrasto dei colori, dove per la nuda roccia sorgente dal basso d'una zona boscosa, dove per la gamma dei toni spiccanti sulle pareti di recente sfaldate ed erose, contro la patina ferruginosa che incrosta quelle dove si è prodotta la soluzione e il conseguente deposito della parte ferrosa del cemento conglomerante.
Storia e arte. - La prima menzione di un eremo (Σκήτη των Σταγῶν, ora Kalampáka) s'incontra in una crisobolla anteriore all'anno 1143. La σκήτη constava di parecchi eremitaggi e di una chiesa comune (kyriakón: dominicum), costruita su una roccia detta Colonna della Doúpianē: aveva un'organizzazione federale con a capo un prótos, organizzazione costituita nel sec. XIV, al tempo del dominio serbo, sotto il governo di Simeone Uroš, dall'igumeno Nilo. Questi fondò anche quattro chiese, di cui si conserva tuttora quella della Hypapantē (Purificazione). Ma i veri fondatori dei monasteri furono Atanasio (morto nel 1383) e Joasaf (morto nel 1389), al secolo Giovanni Duca Paleologo, figlio di Simeone Uroš.
Il numero dei monasteri ammontò, secondo le testimonianze dei viaggiatori, a 24; una stampa del 1882 ne mostra 16, di cui sei soltanto si conservano ancora, cioè quelli della Trasfigurazione o di Metéōron propriamente detto, di Barlaam, di S. Stefano, della S. Trinità, di Rousánēe della Hypapantē. Di questi solo i primi quattro sono ancora abitati da monaci. Il più antico è quello della Hypapantē fondato, secondo un'iscrizione ancora superstite, nel 1366; vengono poi in ordine di tempo: il monastero della Trasfigurazione (di cui la parte più antica è del 1388 e la più recente del 1545-53), quello della S. Trinità (1476), di Barlaam (1536), di Rousánē (I545) e di S. Stefano (1798).
Nella forma generale e nella disposizione degli ambienti (refettorî, celle, ecc.) i monasteri sono simili a quelli dell'oriente ellenico, solo mancano della cinta turrita, non necessaria, perché i monasteri non erano praticabili se non per mezzo di scale e di corde (v. la figura col disegno di Barsky). Ora l'ascesa è facilitata da scale scavate nella roccia.
I katholiká (chiese comuni) dei monasteri sono costruiti in varî tipi architettonici, predomina il consueto tipo athonita (del Monte Athos).
Le chiese e le cappelle sono adorne di affreschi e di iconi, in cui si può seguire l'evoluzione della pittura bizantina e postbizantina dal sec. XIV al XIX. Nel monastero di Barlaam è conservato anche il nome del pittore tebano Franco Katalános (1566), che operò anche nel monastero della Lavra sul Monte Athos.
Le sacrestie sono ricchissime di arredi sacri, croci, vestimenti, ecc., e vi si conserva un discreto numero di codici e manoscritti bizantini, di cui alcuni trasferiti recentemente nella Biblioteca Nazionale di Atene.
Bibl.: L. Heuzey e H. Doumet, Mission archéologique de Macedonie, Parigi 1876, p. 440 segg.; Porfirij Uspenskij, Viaggio ai monasteri delle Meteore, dell'Ossa e dell'Olimpo in Tessaglia (in russo), Pietroburgo 1896; N. Beis, Συμβολὴ εἰς τὴν ίστορίαν τῶν μονῶν τῶν Μετεώρων, in Βυϑαντίς, I (1909), pp. 191 segg., 557 segg., II (1911-12), p. i segg.; G. Dainelli, Le Meteore di Tessaglia, in Memorie geografiche, n. 13, Firenze 1910; G. Sotiriou, Αἰ μοναί τών Μετώρων, in ‛Επετηρις τῆς ‛Εταιρείας βυϕαντ σπουδῶν, IX (1932), p. 383 segg.