METEMPSICOSI (dal gr. tardivo μετεμψύχωσις, da μετά o ἐμψύχωσις, esprimente cioè l'idea della rianimazione di un corpo)
Le concezioni primitive intorno all'anima sono concordi nel considerare questa (v. anima; animismo) come indipendente nella sua esistenza dal corpo, allo stesso modo che l'inquilino dalla casa in cui dimora; onde, secondo queste concezioni, l'idea che l'anima possa abbandonare il corpo temporaneamente durante il sonno o l'estasi, oppure stabilmente per la morte, sia che dopo di questa l'anima seguiti a esistere per sé senza alcun corpo o sia che entri di nuovo in un altro corpo di uomo o d'animale o di pianta e perfino di una sostanza inorganica. Su questa concezione popolare le antiche religioni e filosofie hanno costruito teorie capaci di spiegare da una parte la costituzione fisica dell'uomo e la sua origine e, dall'altra, la sua costituzione morale e la sua sorte. A questo secondo scopo ha servito la dottrina della metempsicosi, la teoria cioè che l'anima dopo morte passa di continuo da un corpo all'altro, finché non si sia resa del tutto indipendente e libera dalla materia. Questa dottrina è poi più facilmente accolta colà dove è diffusa la credenza che il numero delle anime sia limitato.
Il terreno classico in cui primieramente, per quanto sappiamo, ha fiorito questa teoria è l'antica India, dove di già le Upanióad contengono la dottrina che il bene e il male operato in una vita viene ricompensato automaticamente, per intima connessione causale (karman), con la reincarnazione nella vita successiva in un corpo, a seconda del merito, superiore o inferiore, durante un corso indefinito di esistenze (saṃsāra), dal quale solo si può uscire per mezzo della conoscenza della natura labile di tutte le cose o per mezzo dello yoga, consistente in un'ascesi rigorosa, mista a esercizî corporali di vario genere. Questa dottrina fu accettata in parte e perfezionata dal Buddha, il quale, come mezzo di redenzione dal dolore, pose il nirvāṇa, o l'estinzione completa della sete del piacere; e quanto all'anima negò la sua esistenza perpetua per ogni singolo individuo, concependo un succedersi di esistenze, un processo continuo di nuove formazioni esistenziali onde le vite successive sono come altrettante fiamme, l'una accesa dall'altra che la precede (v. anche buddhismo).
In occidente troviamo la dottrina delle metempsicosi (senza che si possa stabilire se realmente provenisse dall'Oriente) nella religione mistica degli orfici, dalla quale è poi passata nella filosofia greca, accolta come fu da Pitagora, da Empedocle, da Platone e dai neoplatonici; con la diffferenza però che qui la metempsicosi non termina, come nel buddhismo, con l'annientamento dell'individualità umana, ma col trionfo completo dello spirito - concepito come eterno - sulla materia, nella quale era stato imprigionato (σῶμα-σῆμα) e da cui riesce finalmente a liberarsi. Una risonanza hanno avuto queste teorie nel linguaggio del popolo e in specie dei poeti, come Pindaro e Virgilio; secondo i quali dopo la morte le anime, prima di ottenere un posto stabile di felicità negli Elisi, finché non abbiano condotto una vita intera senza macchia entro il giro di 1000 anni, sono rimandate, dopo aver bevuto con le acque del Lete la dimenticanza delle passate esistenze, a terminare il ciclo delle loro reincarnazioni sopra la Terra. Secondo scrittori antichi, alla metempsicosi credevano anche gli antichi Celti e altri popoli.
Dall'ellenismo la metempsicosi è passata anche ad altre religioni; ma ha trovato favore soltanto presso qualche autore particolare o qualche ristretto circolo intellettuale: nel giudaismo Filone e i cabbalisti, nell'islamismo i Drusi e altre sette, nel cristianesimo gli gnostici, i manichei e nel Medioevo i catari. Più di recente, la teoria della metempsicosi è stata accolta con favore da circoli spiritisti e da sette mistiche; in queste, generalmente, con tendenza ad accogliere piuttosto le concezioni indiane che quelle occidentali.
Bibl.: A. Bertholet, Seelenwanderung, Halle 1904; articolo Transmigration, di varî, in Hastings, Encycl. of Religion and Ethics, XII, Edimburgo 1921, pp. 425-440; H. Oldenberg, Die Lehre der Upanishaden und die Anfänge des Buddhismus, 2ª ed., Gottinga 1923; E. Rohde, Psyche, 9ª-10ª ed., II, Tubinga 1925; P.D. Chantepie de la Saussaye, Lehrb. der Religionsgesch., 4ª ed., I, ivi 1925.