METAFONESI (fr. métaphonie; sp. metafonía; ted. Umlaut; ingl. mutation)
Col nome di "metafonesi" o "metafonia" si designa un fenomeno di armonia vocalica, per cui si verificano nelle lingue processi vasti e interessantissimi di assimilazioni fra vocali a distanza. Il movimento assimilativo può essere progressivo (lat. anatem: anitem; néglego accanto a colligo, ecc., dove la vocale induttrice è in sillaba iniziale) o regressivo (lat. homo: hemo; bonus -os accanto a bene). Di rado l'assimilazione è regressiva e progressiva in pari tempo (lat. vêgintê: *vêgentê). Generalmente, l'azione più forte si svolge in senso regressivo. Eccone qualche esempio; ant. sl. túnúkú (russo tonkyj) da tënúkú "piccolo, sottile"; gr. γόργυρα da γέργυρα "prigione"; lat. milium (gr. μελίνη); ted. Äcker, Väter, Gärten, ecc., dove l'a fu palatalizzato per effetto di un i di sillaba finale scomparso, ecc.; si può dire, anzi, che la metafonesi tipica è quella in cui la vocale accentata si assimila più o meno alla vocale di sillaba finale.
Assumiamo come esempio, la metafonesi in Italia. Profonde alterazioni della tonica, per influsso del plur. in -i, si verificano nei dialetti alpini e prealpini (Val Vigezzo: kamp "campo", plur. kèmp; mataâ "fanciullo", plur. matèâ, ecc.; fjur "fiore", plur. fjir; kòrp "corpo", plur. kèrp, ecc.). Per il passato, il fenomeno dovette essere estesissimo e vivacissimo in tutti i parlari settentrionali, soprattutto quando le toniche erano è e î. Per queste vocali possiamo constatarlo ancor gagliardo negli antichi testi dal Piemonte alle Venezie e di tutta la valle padana; nei quali testi è e î, sotto l'azione di -i, volgono ad i e u. Oggi rimangono in più dialetti tracce preziose (per es., emil. bol. ûnôc "ginocchio", plur. ûnuâ; mod. curtèl "coltello", plur. curté???, ecc.). L'influsso di questo -i di plur., oltre l'Emilia e la Romagna, scende per le Marche e per l'Umbria, dove s'incontra con un'altra metafonesi (quella di -u, lat. -ú). Siamo, così, al tipo preziosissimo di metafonesi centro-meridionale (brevemente descritto sotto la voce italia: Lingua e dialetti), che può essere rappresentato, nella sua forma piena (che diciamo "napoletana", perché la riscontriamo già perspicua nel testo napoletano del Regimen sanitatis) da questa figura:
Questa forma di metafonesi dovette abbracciare nel passato anche le località e le regioni dove in progresso di tempo si svilupparono un iè e un è e un uî e î dai dittonghi ie e uo, ottenendosi un tipo di metafonesi che diciamo arpinate (iè e uî) o ciociaresco (è e î), sorto dal precedente (per es., arp. mié???jə"meglio", fué???ke "fuoco"; cioc. tèmpə"tempo", lî???kə"luogo"; ma per contro: mèle, ròta, vòve "bue", perché la finale è -e -a). La sezione II di questa metafonesi centro-meridionale si trova, in maggiore o minore grado, anche nell'Italia meridionale estrema (Calabria, Sicilia, Puglia meridionale), dove la sezione I (é??? e î in i e u) si dissolve nel fenomeno siculo-calabro-pugliese di é??? e î??? in i e u, quali si siano le vocali finali (per es., tila "tela", vina "vena", ecc.). Osserviamo che appare immune da metafonesi (sia da quella settentrionale di -ê, sia da quella centromeridionale di -ê, e -ù) la Toscana; osserviamo ancora che tutti questi sviluppi metafonici debbono essere di ragione molto antica (se laddove i lat. ê e ù si sono svolti, come a Molfetta, in -aie- e -aue-: naiete "nido", mauete "muto" anche gli i e u metafonici hanno avuto il medesimo svolgimento: saieve "sevo", nauete "nodo"); osserviamo infine che una "descrizione" di un fenomeno profondo e complesso, come la metafonesi, non può avere la pretesa di essere una vera e propria "spiegazione" storica. Oggi non possiamo dare che una "descrizione" della metafonesi italiana centro-meridionale. Ma già questa descrizione rappresenta un grande passo verso la soluzione del problema. Se, a ragion d'esempio, si riuscisse a dimostrare che nell'Italia inferiore, come in Sardegna, rimasero intatti i lat. ë e ú, la spiegazione della nostra metafonesi diverrebbe tutt'altra, e il fenomeno di armonia vocalica, anziché essere determinato dalle vocali fin. -ê e -ù, sarebbe stato provocato dall'azione di -e -o -a, che avrebbero ridotto rispettivamente gli í e gli ú ad é e ó. In progresso di tempo, un processo di livellamento e di analogia, attraverso fasi complesse, di cui rimangono le vestigia nei testi antichi, avrebbe provocato le condizioni linguistiche attuali. La spiegazione del fenomeno sarebbe diversa; ma i risultati non cambierebbero.
I fenomeni metafonetici, a ben guardare, rientrano in quelli generali di alternanza, nello studio dei quali non si può spesso prescindere dalle funzioni di categoria e di determinazione. Per esempio, se si possono dire di natura essenzialmente fonetica le metafonesi del tipo dei fiorentini: cucina (cocina), fucile (focile), mulino (molino), piem. drümí (dormire" accanto a drumí), non v'ha dubbio che una ragione morfologica, che consiste nella distinzione di singolare e plurale, si annida nella metafonesi per -ê. Divenuta, in questo caso, la metafonesi, un segno discriminativo del plurale, è naturale che essa cada anche sotto la considerazione morfologica.
Bibl.: F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Losanna e Parigi 1916, pp. 123 e 224; E. Sapir, Language, New York 1921, p. 197. Per la metafonesi in Italia, G. Bertoni, Italia dialettale, Milano 1916, pp. 61, 71, 135 segg. Alle opere citate a p. 205 di questo volume, si aggiunga: C. Merlo, Fonologia del dial. di Sora, Pisa 1919; id., Fonologia del dial. della Cervara, Perugia 1922; L. A. Ondis, Phonology of the Cilentan Dialect, New York 1932; J. Freund, Beiträge zur Mundart von Ischia, Lipsia 1933.