MESSENIA
Regione del Peloponneso sud-occidentale delimitata a E dal Taigeto, a Ν dal fiume Neda, a O dal Mare Ionio e a S dal Golfo di M.; il nome deriva da quello della regina Messene, figlia del re di Argo, Triope, che sposò Polykaon e assieme a questi si stabilì nella regione.
Se si eccettua una zona, relativamente ridotta, comprendente i monti di Kyparissia, il Monte Aigaleos e l'Itome, il rimanente territorio è costituito da terre coltivabili, di particolare fertilità nella zona tra l'Itome e il Taigeto: nella pianura, famosissima nell'antichità, di Stenyklaros, verso la quale furono sempre dirette le mire degli Spartani.
Alla fine del II millennio a.C. la M. costituiva lo stato della dinastia dei Neleidi, uno dei tre grandi regni micenei del Peloponneso (gli altri due erano quelli degli Atridi dell'Argolide e della Laconia). Secondo la tradizione mitica, con l'invasione dorica e con la caduta dei regni micenei il Peloponneso venne suddiviso in tre parti, assegnate per sorteggio ai tre Eraclidi: Temenos prese l'Argolide, Cresfonte la M. e Aristodemo la Laconia.
Dall'VIII sec. a.C. gli Spartani ambirono alla conquista della M. soprattutto per le sue fertili pianure. Tre lunghe guerre ebbero come conseguenza la sottomissione delle popolazioni messeniche. Con la prima (735-715 a.C.) gli Spartani imposero ai Messeni una condizione intermedia tra gli iloti e i perieci, per cui questi ultimi erano obbligati a coltivare i terreni; dopo la seconda guerra, iniziata da una rivolta dei Messeni, gli Spartani suddivisero la terra in klèroi e ridussero quelli allo stato di iloti (669-659 a.C.).
La terza guerra (464-454 a.C.) segnò la fine dei Messeni che dopo la disfatta furono costretti a rifugiarsi a Naupatto in Focide. Da lì mossero di nuovo per stabilirsi alcuni in Sicilia, altri nelle Euesperides di Libia. Circa un secolo più tardi i Beoti combatterono a capo della lega beotica nel Peloponneso e vinsero gli Spartani. Il vincitore, lo stratega tebano Epaminonda, ebbe l'idea di rimpatriare i Messeni della «diaspora» e fondò egli stesso la capitale del nuovo stato messenico, Messene (v.), alle pendici dell'Itome. Ciò non pose fine alla disputa tra Spartani e Messeni e questi ultimi, come apprendiamo da documenti epigrafici, quando i Romani occuparono la Grecia, si posero sotto la protezione del Senato romano e poi degli imperatori, perché fosse garantita la delimitazione dei confini del loro stato.
Delle città e dei santuari di cui parlano gli autori antichi, da Omero fino a Pausania, gli scavi hanno localizzato i più significativi; molti siti, tuttavia, restano pressoché inesplorati.
Nella M. orientale si ha notizia in antico di tre importanti città: Phares (Pharai), Antheia e Thouria. Phares è stata localizzata nella zona dell'attuale Kalamata. Secondo la tradizione la città fu fondata da Phari, figlio di Hermes, mentre Diokles è indicato come suo primo re di qualche fama. Il sito fu abitato almeno fin da epoca protoelladica, come mostrano i ritrovamenti in località Akovitika.
Qui lo scavo ha messo in luce edifici con fondazioni in pietra e alzato in mattoni crudi, cronologicamente riconducibili alla metà del III millennio a.C., che dovrebbero rappresentare un settore dell'abitato protoelladico. A breve distanza da questo sono stati scoperti i resti di un edificio con pietre ben lavorate e doni votivi, risalenti all'epoca arcaica. In base a testimonianze epigrafiche il luogo è stato identificato come un santuario dove erano venerati Atena e Posidone. In epoca classica ed ellenistica l'abitato di Phares era probabilmente nel sito attualmente occupato dalla fortezza di Kalamata, come documentano resti di edifici scavati in quelle zone.
I nomi Antheia e Thouria corrispondono a città che occupavano lo stesso luogo: Antheia è il nome omerico dell'abitato, che si trovava a destra dell'odierna strada Kalamata-Megalopolis, su un'altura dove sono state individuate almeno venticinque tombe a camera micenee e una a thòlos, recentemente scavata (1984-1988). Queste tombe appartengono all'Antheia omerica. Dopo la prima guerra messenica si stabilirono nella zona residenti lacedemoni e il nome Antheia, dalla fine dell'VIII sec. a.C., venne sostituito da Thouria. Il sito di Thouria, dove in epoca storica si trovava la città più importante della M. orientale, è confermato dalle iscrizioni rinvenute nella zona. La sua acropoli si trovava nel luogo più elevato della collina, poco più in alto dell'odierno villaggio di Pharmisi. Oggi si conservano cinque ambienti, appartenenti alla cinta difensiva dell'acropoli, il cui muro, di età ellenistica, è costruito secondo il sistema isodomo in blocchi squadrati. Ricerche effettuate nel secolo scorso avevano già segnalato la presenza delle fondazioni di due templi. Uno di essi sembra fosse dorico, períptero, verosimilmente consacrato al culto di Atena, che occupava il posto più significativo nella vita religiosa della città. In epoca ellenistica ha inizio il culto della dea Syria, che conobbe la sua massima fioritura in epoca romana.
Poco più a Ν di Thouria, presso l'attuale villaggio di Haghios Phloros, si trovano le sorgenti del fiume Pamisos che, come attestano alcuni autori antichi, esse avevano proprietà terapeutiche ed erano pertanto venerate come divinità. Una notevole quantità di dediche votive qui rinvenute, per lo più statuette bronzee, che si datano dal 500 a.C. alla fine dell'età antica, permettono l'identificazione del luogo di cui abbiamo notizia dalle fonti.
In prossimità delle sorgenti e a Ν del villaggio di Haghios Phloros, una missione archeologica svedese mise in luce, negli anni '30, un tempietto dedicato al culto del dio fluviale Pamisos. È un piccolo tempio dorico distilo in antis, con la crepidine misurante m 7,420 x 6,875.
Nello scavo all'esterno della fondazione del tempio, si rinvennero parti dell'alzato e della trabeazione. Il materiale impiegato era il pòros stuccato, mentre la crepidine era realizzata in calcare. Le tegole di copertura erano in terracotta, con antefisse a decorazione vegetale. Dinanzi al tempio si rinvenne l'altare rettangolare, collegato all'edificio da una rampa in pietra.
A oriente della pianura di Stenyklaros, ben nota anche nell'antichità, sono stati effettuati notevoli ritrovamenti.
La città omerica di Dorion è identificata con le rovine di un abitato preistorico situato sulla collina di Malthi, a SO dell'attuale villaggio di Vasilikò.
Nello scavo, effettuato dalla missione archeologica svedese, sono state individuate cinque fasi costruttive. Resti assai labili appartengono al Neolitico e al Protoelladico (fino al 2200 a.C.). I più significativi sono quelli di epoca Mesoelladica (2200-1800 a.C.), nel corso della quale l'insediamento raggiunse la sua massima prosperità e venne munito di un períbolo difensivo a pianta ellissoidale. Le case sono costruite sul lato interno, lungo il períbolo: al centro dell'area, in un punto in cui il piano del terreno è più elevato, si trovano strutture di maggiore importanza, riferibili a luoghi di culto o a edifici di carattere amministrativo. Tra questi si distingue un vano a forma di η, con al centro una base di colonna in pietra, e un focolare o altare, elementi che inducono a identificarvi un santuario, ovvero uno dei vani principali della residenza di un capo. A breve distanza da questo abitato preistorico, in località Lakathela, sono stati scoperti resti di strutture di un santuario arcaico, verosimilmente consacrato al culto di Posidone, ipotesi che è avvalorata dal ritrovamento di molte statuette in terracotta e in bronzo raffiguranti cavalli e bovidi, consueti doni votivi in luoghi di culto di quella divinità.
A Ν di Malthi, in località «Psari» e sul poggio «Metsiki» una grande tomba a thòlos è stata scavata negli anni 1982-1986. Una recente significativa scoperta nella M. settentrionale è costituita dallo scavo di un edificio del VI sec. a.C. nel villaggio di Kopanaki, pochi chilometri a O della collina di Malthi. Esso costituisce un esempio unico di architettura abitativa non solo nella regione della M., ma in tutto l'antico mondo ellenico. Delle strutture si sono conservate solo le fondazioni, mentre lo strato di distruzione contiene molte tegole di copertura e abbondante ceramica del VI sec. a.C. In pianta, la struttura abitativa ha uno schema ortogonale, con l'asse longitudinale in direzione NO-SE. Ha una superficie di c.a 513 m2 e gli ambienti sono disposti in uno schema a π attorno a un cortile interno rettangolare, in comunicazione con la pastàs sul lato N. Le stanze più grandi del complesso si trovano a Ν e, come si deduce dallo spessore dei muri, questo doveva essere a due piani. Gli ambienti erano complessivamente otto, con pavimento in terra battuta, a eccezione di quello dei vani VII e VIII dell'ala meridionale, rivestiti di grandi lastre calcaree di una forma inconsueta. Le fondazioni dell'edificio sono costituite da grossi blocchi in calcare non lavorati, mentre nell'alzato erano impiegati mattoni crudi, alcuni dei quali sono stati trovati entro lo strato di distruzione formatosi a causa di un incendio, come mostravano i depositi di ceneri e i resti lignei carbonizzati, probabilmente delle armature o delle travature della copertura. La pianta (che però per quanto riguarda l'angolo a SE è frutto di ricostruzione ipotetica, poiché in quel punto si trova una costruzione moderna che ha ostacolato l'esplorazione) ci mostra la distribuzione degli ambienti. Per la loro funzione e per i materiali rinvenuti, tali ambienti passono senza difficoltà identificarsi con quelli che, nulla tradizione degli autori antichi su questo tema, sono contrassegnati da specifiche funzioni: l'ambiente I è il cortile; l'ambiente II la pastàs; il III, il IV e il V sono vani di immagazzinamento; il VI è l'androne; il VII e l'VIII sono officine; il IX è il protiro mentre l'ambiente X dovrebbe far parte, assieme agli altri due integrati nella ricostruzione della pianta, delle stanze di abitazione e delle foresterie. Come luoghi di soggiorno (gineceo e camere da letto) dovevano essere utilizzati anche gli ambienti del secondo piano delle ali NE e NO. Il complesso dovrebbe essere andato in rovina, per un incendio, negli anni tra il 570 e il 560 a.C.
Nella M. occidentale, sul golfo Messenico e nel sito dell'odierno villaggio di Petalidi, è stata individuata l'antica Koroni (v. vol. VI, p. 598, s.v. Rafìna e S 1970, p. 400, s.v. Koroni), di cui si conservano resti di case di età romana. Tra i villaggi di Longa e di Nea Koroni, è stato scoperto un ampio tratto del Santuario di Apollo Korythòs, divinità che sembra essere stata qui venerata dal Geometrico alla fine dell'antichità. In epoca paleocristiana, al di sopra degli antichi ruderi, venne edificata una basilica. In tutto sono stati distinti cinque templi, corrispondenti a differenti momenti edilizi, il più imponente dei quali era dorico períptero con 6 x 12 colonne e cella con due colonne in antis. Nel corso degli scavi sono venuti alla luce molti reperti: statuette in bronzo arcaiche e classiche, anse di vasi bronzei, spade, punte di lancia, statuette in terracotta, frammenti di ceramica e frustuli di sculture in marmo.
Asine di M. si trovava nel luogo in cui in epoca moderna è sorto il villaggio di Nea Koroni. Il rinvenimento più importante in quell'area è il grande pavimento a mosaico di una casa romana, che presenta al centro Dioniso con la pantera e un satiro, e in quattro spazî semicircolari scene di combattimento con belve; agli angoli si trovano animali selvaggi e, negli spazi romboidali tra queste raffigurazioni, ci sono maschere teatrali illusionisticamente pendenti, adorne di nastri rossi. Il castello di Koroni si erge ancor oggi dalla sommità della piccola, ma imponente penisola. Nella sua costruzione, risalente alla prima epoca cristiana, furono reimpiegati anche materiali appartenuti all'antica cinta di fortificazione che fu ricostruita nel periodo della dominazione veneziana e turca.
La maggior parte della M. occidentale, compresa nel distretto oggi denominato Pylia, costituisce la più vasta regione di Pylos. In epoca micenea Pylos fu una delle più importanti città del Peloponneso, sede del re Nestore, figlio di Neleo. Il palazzo della dinastia dei Neleidi è stato identificato nel complesso architettonico scavato tra il 1939 e il 1961 sulla collina di Englianos (v. pylos). Molte tombe a camera sono state scoperte nella zona circostante, mentre a breve distanza dal palazzo si è rinvenuta una tomba a thòlos che è tra le più grandi a noi note, con un diametro di 9,35 m. Presso la penisola di Koryphasion è venuta alla luce un'altra grande tomba a thòlos, quella che in età classica era attribuita dagli abitanti del luogo al figlio di Nestore, Thrasymedes.
La città di epoca classica, principalmente nota perché menzionata da Tucidide nella descrizione della guerra del Peloponneso, si localizza sulla penisola di Koryphasion, dove in epoca più recente venne edificato il castello medievale di Navarrino. Nello stesso sito continuò la sua vita la Pylos di età ellenistica e romana, come mostrano elementi architettonici sparsi, individuati nell'area della penisola. Le necropoli ellenistica e romana sono state localizzate a E della collina di Prophitis Ilias; oggi l'area è invasa dalle acque e si è trasformata in una laguna costiera, denominata Divari. Un tumulo con tombe ellenistiche, rinvenuto a una distanza relativamente breve (tra Koryphasion e il villaggio di Gargalianoi) apparteneva verosimilmente alla Pylos ellenistica. Tra i rinvenimenti spiccano le coppe in vetro, due delle quali sono del tipo «millefiori». Sicuramente riferibile a Pylos è anche il tumulo scavato nel 1981-1982, proprio vicino alla laguna di Divari, che conteneva venticinque sepolture datate dal IV sec. a.C. al I sec. d.C. Questo complesso funerario ha fornito molti elementi per la conoscenza del rituale di sepoltura nella regione, ma soprattutto un significativo complesso di ceramiche, nel cui ambito si distinguono importazioni dalle regioni orientali del bacino del Mediterraneo, ma soprattutto, dall'Italia: un segno, anche questo, della koinè artistica ellenistica.
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Notizie degli scavi in: ADelt, XVII, 1961-62, B1, Chron., pp. 92-105; XVIII, 1963, B1, Chron., pp. 91-100; XIX, 1964, B2, Chron., pp. 161-173; XX, 1965, B1, Chron., pp. 201-206; XXII, 1967, B1, Chron., pp. 206-207; XXIII, 1968, B1, Chron., pp. 156-159; XXIV, 1969, B1, Chron. pp. 142-145; XXV, 1970, B1, Chron., pp. 173-186; XXVI, 1971, B1, Chron, pp. 193-194; XXVII, 1972, B1, Chron., pp. 256-267; XXVIII, 1973, B1, Chron., pp. 181-196; XXIX, 1973-74, B2, Chron., pp. 315-337; XXX, 1975, B1, Chron., pp. 86-96; XXXI, 1976, B1, Chron., pp. 81-87; XXXV, 1980, B1, Chron., pp. 171-173; XXXVI, 1981, B1, Chron., pp. 151-156; XXXVII, 1982, B1, Chron., 135-138; XXXVIII, 1983, B1, Chron., pp. 111-113; XXXIX, 1984, B1, Chron., pp. 78-79; XL, 1985, B1, Chron., pp. 103-106; XLI, 1986, B1, Chron., pp. 41-42; Prakt, 1953, pp. 238-250; 1954, pp. 299-316; 1955, pp. 245-255; 1956, pp. 202-206; 1957, pp. 118-120; 1958, pp. 184-193, tavv. CXLIII-C; 1959, pp. 174-179, tavv. CXLVI-CL; 1960, pp. 195-209, tavv. CLI-CLXI; 1962, pp. 99-112, tavv. XCIV-CII; 1963, pp. 114-121, tavv. LXXXVII-XCIII; 1964, pp. 78-95, tavv. LXXXI-XCVIII; 1965, pp. 102-120, tavv. CXV-CXLIV; 1966, pp. 119-132, tavv. C-CXIV; 1974, pp. 139-162, tavv. CIX-CXIII; 1975, pp. 428-514, tavv. CCCIII-CCCXXVII; 1976, pp. 253-283, tavv. CLXX-CLXXXIII; 1976, pp. 469-550, tavv. CCLV-CCLXXVII; 1977, pp. 229-295, tavv. CXLI-CLX; 1977, pp. 296-356, tavv. CLXI-CLXXIX; 1978, pp. 130-134, tavv. CVI-CXIII; 1978, pp. 323-360, tavv. CXCVI-CCXIV; 1979, pp. 138-155, tavv. CV-CXIII; 1980, pp. 120-187, tavv. CIII-CXXX; 1981, pp. 194-240, tavv. CLIX-CLXXX; 1982, pp. 191-231, tavv. CXXIX-CXLVII; 1983, pp. 169-208, tavv. CXLVII-CLXVIII.