Vedi MESSENE dell'anno: 1961 - 1961 - 1973 - 1995
MESSENE (v. vol. iv, p. 1082)
L'esteso scavo che va conducendo dal 1957 ad oggi il Servizio Archeologico Greco, sotto la direzione di Orlandos, ha arricchito di molto i ritrovamenti di M. dei quali solo in minima parte si dava notizia nell'antico. Questo scavo, fatto al centro della città, probabilmente nell'agorà, ha messo in luce edifici, sculture ed epigrafi che hanno in parte chiarito la topografia della città, la sua decorazione scultorea, i suoi culti e la sua situazione politica, soprattutto per i primi anni dell'èra volgare.
Il centro della città occupava un grande complesso quadrato che comprendeva uno spazioso cortile al centro del quale si elevava il tempio, messo in luce solo quest'anno (1969) nella sua parte O, dedicato ad una divinità ancora sconosciuta; si tratta di un tempio dorico periptero (m 13,45 × 27,86), ottimo lavoro di età ellenistica. Lungo i lati lunghi erano state sistemate molte dediche, di diverse forme, tra le quali due esedre semicircolari sul lato settentrionale e una in quello meridionale. Il cortile attorno al tempio era circondato sui quattro lati da portici larghi m 4,50 con una serie di cinquanta alte colonne, su basi cilindriche marmoree, fusto scanalato e capitelli corinzî in calcare; tra le foglie di acanto sono delle Nikai cou le ali aperte. Nel muro dietro i portici si aprono molti ambienti di destinazione diversa, contrassegnati sulla pianta dalle lettere Α, Β Γ, Δ, fino a Ξ. Cominciando dal lato orientale l'ambiente Γ è un grande spazio rettangolare (m 20,80 × 21,66) percorso internamente, su tre lati, da un bancone continuo di pietra con lo schienale arrotondato, mentre sul quarto lato si apre sul portico attraverso due porte con triplice apertura ciascuna.
L'edificio doveva essere coperto da un tetto ligneo sostenuto internamente da quattro colonne di una delle quali è stata trovata, durante lo scavo, la fondazione della base. I muri sopra il bancone erano ad ortostati, separati da una cornice in due zone delle quali la superiore era divisa mediante paraste a sezione semicircolare in numerosi pannelli entro i quali si aprivano delle finestre.
Per la grandezza del suo impianto e per la presenza del bancone continuo, questo edificio può essere identificato con il Synèdrion ricordato dalle epigrafi, cioè il Bouleutèriòn dei Messeni.
L'ambiente contiguo, a N di Γ, non è una parte del Bouleute'riòn come si era creduto, ma un pròpylon, cioè un ingresso verso il cortile rettangolare dalla ripida strada che passava dietro il lato orientale del Bouleutèrion. Poiché il livello di questa strada era più alto del pavimento dei portici, l'ingresso a questi avveniva da una parte mediante un piano inclinato lastricato, dall'altra mediante una discesa in terra battuta. Tra questi due piani si trova un muro con tre porte, delle quali sono state trovate le soglie. Il pròpylon ha verso la strada due pilastri rettangolari di pietra con basi decorate con kyrnàtion e copertura appoggiata a due paraste simili; questi pilastri non sono stati trovati in situ.
La parte del pròpylon che si affacciava al portico interno era costituita da due alte colonne corinzie di calcare tra paraste.
L'edificio che segue immediatamente verso N è un piccolo teatro scavato sul pendio della collina; il suo kòilon, più grande di un semicerchio, è separato mediante quattro scale in tre kerkìdes, con 11 serie di gradini fino all'ultimo diàzoma. I gradini, attualmente scomparsi, esistevano anche sul diàzoma superiore e oggi sono dispersi sulla strada in salita. Sulla parte superiore del diàzoma vi sono tracce di un muro in curva, probabilmente un portico, con semicolonne doriche, delle quali si conservano tre frammenti. L'orchestra è pavimentata di lastre di diverso colore, e la scena rettangolare, costruita allo stesso livello dell'orchestra, entrava in comunicazione con essa attraverso tre porte; il teatro era accessibile sia dal portico orientale allo stesso livello del cortile, sia dalla strada più alta, mediante una scala di discesa. Da questa stessa strada si accedeva anche al diàzoma supenore. Dentro l'orchestra e a fianco del kòilon si trova una base di statua equestre, dedicata, secondo l'iscrizione dall'elladarco Ti. Claudio Saithida (I. G., v, 1, 1451) e raffigurava o qualche imperatore romano o un antenato di Saithida, che era stato onorato come eroe dagli abitanti di M., secondo Pausania (iv, 32, 2). Nel portico orientale, davanti al teatro e al sinedrio, è stata trovata una statua priva di testa e gambe, un po' più piccola del naturale, che doveva rappresentare Apollo o Dioniso, come si deduce dai capelli fluenti sulle spalle. Questa scultura presenta una notevole sensibilità plastica e una dettagliata resa dei muscoli che le dà un tono realistico. Il ritmo morbido della figura e il suo asse spostato in fuori rivelano il caratteristico schema prassitelico, alla scuola del quale si ispira l'artista di quest'opera, probabilmente dell'inizio del III sec. a. C. Sul lato settentrionale e in particolare nell'angolo di incontro del portico orientale con quello settentrionale è stato messo in luce un òikos rettangolare allungato (m 3,90 × m 7,75) che presenta verso il portico due semicolonne tra due paraste.
Contro il muro di fondo di questo òikos è stata trovata una grande base rettangolare (m 1,72 × 3,52), che doveva sostenere una statua di eccezionale grandezza, della quale sono stati trovati un grande piede di marmo e due braccia, uno piegato e l'altro disteso, appartenenti a qualche personaggio qui onorato; dentro l'òikos è stata trovata anche la testa marmorea di un giovane, senza barba con gli occhi inseriti e con i capelli trattenuti da un nastro metallico. Il modo di lavorazione della testa ha fatto pensare ad un'opera - testa di Apollo - del famoso scultore di Messene Damophon, che secondo le ultime teorie, pare abbia lavorato nella prima metà del II sec. a. C.
Il resto del muro del portico settentrionale fino al lato O del cortile, è costituito dal muro di terrazzamento della collina che sovrasta questo lato. Il terrazzamento è interrotto, circa alla metà della sua lunghezza, da una monumentale scala di ingresso al cortile dal N, larga m 7. Questa scala in basso, cioè nel portico settentrionale, presenta due colonne corinzie tra due paraste, mentre in alto era chiusa da un muro con tre ingressi, dei quali sono state trovate e restaurate le soglie.
Come l'ingresso orientale così anche l'ingresso settentrionale aveva in alto, davanti alla scala un pròpylon sporgente con due colonne. A destra e a sinistra della scala sulla terrazza superiore vi erano uno per parte due edifici allungati rettangolari. Di questi edifici quello occidentale era destinato al culto del Sebastòs (cioè Augusto: Gaio Giulio Cesare Ottaviano) come risulta dalla iscrizione trovata in situ davanti alla colonna orientale del pròpylon della scala.
L'Augusteo (Sebastèion) viene ricordato anche su di un'altra epigrafe (I. G., v, 1, 1462) dove è detto Cesareo. Secondo quest'ultima, il cittadino romano M. Cesio Gallo, tesoriere e antistràtagos, riparò i quattro portici dell'Asklepieion. Questo ha fatto supporre che forse tutto l'insieme quadrato appartenga ad un Asklepieion (Kirsten-Kreicher). La salita alla terrazza settentrionale avveniva dal portico attraverso due piccole scale che si aprivano entro il muro stesso del portico.
Sul lato O il breve spazio rettilineo accanto all'angolo N-O è occupato da una piccola scala di ingresso al cortile da O; a questa segue un ambiente rettangolare allungato diviso trasversalmente mediante due serie di colonne in tre parti, la mediana è più grande delle due laterali ed hanno, lungo i muri, banchi con piede di leone, siguificativi di un qualche culto misterico che si teneva nell'ambiente. È certo che l'ambiente K era un tempio fuori del normale, non libero, come al solito, sui quattro lati, ma inserito nella serie regolare degli oìkoi del lato O; secondo l'iscrizione trovata sul posto questo tempio era dedicato ad Artemide, in particolare proprio alla Artemide Orthia, venerata a Sparta. Nell'interno sono state trovate la base della statua della dea, appoggiata al muro di fondo, e una serie di basi disposte a semicerchio che portavano statue di sacerdotesse di Artemide ora perdute. Come sappiamo da altre iscrizioni la cura del culto della dea era affidata all'associazione dei vecchi di Oupisìa (οὖπις è un altro epiteto della dea). Davanti alla statua è stata trovata la base della tavola usata per i sacrifici incruenti e, accanto ad essa il bòthros per i sacrifici cruenti.
Delle basi che portavano le statue di sacerdotesse, una menziona il nome di Damophon, figlio di Xenophilos, un'altra Apollonion figlio di Demetrios, da Alessandria, come autori delle relative statue. Il primo era forse nipote del grande Damophon; circa sette statue di sacerdotesse sono state rinvenute nel Santuario, tutte però senza testa e mutilate; una di queste, studiata particolarmente, è stata attibuita ad età adrianea. Delle teste delle sacerdotesse se ne è trovata solo una metà, con la pettinatura in uso presso le giovani imperatrici romane di età antonina, ma i corpi con la figura allungata e l'abito a cintura alta, testimoniano senz'altro per una datazione all'ultima età ellenistica, al I sec. a. o d. C.
Dopo il tempio di Artemide vi è un ambiente rettangolare con una coppia di due colonne abbinate verso il portico; all'interno, davanti al muro di fondo sono state trovate molte basi rettangolari, una delle quali sosteneva una statua di pietra alla quale appartiene un grande frammento di un piede destro con alto sandalo, di buona fattura, con parte del panneggio di un himàtion. Non è improbabile che questo frammento appartenga ad un'opera di Damophon che, come è noto, lavorò molte statue nella sua patria Messene. Delle altre basi una porta l'epigrafe dedicatoria della città a Philokrateia, sua benefattrice.
Il ritrovamento di tante basi con dedica davanti all'ambiente M dimostra che questo era riservato a scopi cultuali o politici. L'ambiente successivo ha esattamente lo stesso schema del tempio di Artemide, le stesse dimensioni e la stessa facciata verso il portico con la differenza che la divisione in tre parti non è qui realizzata con colonne ma mediante muri attraversati da porte. Anche nel fondo di questo ambiente erano collocate basi cultuali e di conseguenza anch'esso doveva avere carattere cultuale o politico.
Particolare interesse presenta l'ambiente immediatamente successivo verso N, che si apre verso la stoà con una coppia di due colonne abbinate di calcare, tra due paraste, ma l'intercolumnio mediano è molto più grande degli altri. Questa disposizione è certamente dovuta alla grande esedra circolare esistente all'interno, sulla quale dovevano essere sistemate statue, come avviene in altri ambienti simili dei templi, per esempio il Dionision di Thasos (Bull. Curr. Hell., 1959, p. 328). Sfortunatamente, tranne una piccola mano che tiene una stoffa, nessun altro frammento di statua appartenente all'esedra è stato trovato. All'ambiente Ξ segue un ingresso al cortile, allo stesso livello di esso, chiuso all'esterno da porte. L'ultimo ambiente del lato O è molto lungo (m 15,20) e raggiunge il muro isodomico S del cortile usato come muro di terrazzamento sul lato S. In questo ambiente è stato trovato soltanto il sostegno di una base rettangolare e immediatamente vicino, dentro la terra, un frammento di un elmo in pietra di un oplita che conserva sulla parte superiore due buchi per fissare il lòphos.
Sul quarto e ultimo lato del cortile, quello meridionale si trova una costruzione quadrata che ha all'interno un peristilio quadrato e piccoli ambienti contigui sul lato O, dentro uno dei quali vi è un pozzo. Non è molto chiara la funzione di questa costruzione che è racchiusa entro un recinto terrazzato. Inizialmente si è creduto che si trattasse di un pritanèion ma è anche possibile che si tratti di un'abitazione dei sacerdoti del tempio che si trova nel cortile.
Un po' più ad E di questa costruzione si trova un heròon di forma rettangolare (m 3,50 × 6,5o) costruito con blocchi regolari, collegati mediante grappe a Π. Nella sua metà orientale, esistono due sarcofagi sotterranei, uno sopra l'altro, violati da tempo. Non è possibile sapere a chi apparteneva questo monumento per la mancanza di epigrafi o di qualsiasi altra testimonianza. Data però la sua posizione, in un luogo preminente dell'agorà, possiamo supporre che si tratti di una tomba familiare di qualche persona importante. Infine va ricordato che a N-O dell'agorà e ad una certa distanza da essa, è stato scavato un portico a forma di Π, con un acquedotto di pietra, accessibile mediante tre gradini. Sul suo stilobate si vedono le tracce delle colonne; il portico era a due piani e doppio cioè con una fila interna di colonne ioniche di calcare, delle quali è stata trovata una base in situ. Davanti al portico è stata scoperta la base di un'esedra circolare. Ultimo importante ritrovamento della campagna di scavi è stato fatto accanto alla cosiddetta "fabbrica ceramica"; si tratta dei modelli fissi (παράδειγμα) in pietra, a grandezza naturale, di tegole ed embrici, di tipo laconico (altezza massima m 1,13, massima larghezza m 0,55), ritrovamento prezioso perché solo due esemplari erano conosciuti finora, cioè quello dell'agorà di Atene e quello di Assòs.
Bibl.: Su Damophon di M.: M. Bieber, The Sculpture of Hellenistic Age, New York 1955, p. 158; Jahrbuch, 1966, Arch. Anz., p. 378; sull'Asklepieion: Kirsten-Kraiker, Griechischenlandkunde, Heidelberg 1962, pp. 422 ss.; sugli scavi: Th. Sofoulis, Praktikà, 1895, p. 27; G. P. Oikonomos, ibid., 1909, pp. 201-205; id., ibid., 1925, pp. 55-66; A. K. Orlandos, ibid., 1957, pp. 121-125; 1958, pp. 177-183; 1959, pp. 172-173; 1960, pp. 210-227; 1962, pp. 99-112; 1963, pp. 122-129; 1964, pp. 96-101; id., ᾿Αρχ. Δελτίον, XIX, 1964, pp. 156-160; id., in ᾿Αρχ. ᾿Εϕ., 1965, pp. 110-121; N. D. Papachatzis, in Χαριστῆριον εἰς Ορλάνδον, IV, 1967-68, pp. 363-365 (per l'Asklepieion).