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MESOPOTAMOS
Cittadina dell'Epiro sud-occidentale, nella valle di Phanari (nòmos di Preveza), 4 km ad O del golfo di Ammudia o Splanza, allo sbocco del Cocite nell'Acheronte. Il centro attuale sorge sul luogo dell'antica Ephyra o Kichyros, ed è costruito sul pendio occidentale della collina di H. Joannis, sulle rovine dell'omonimo monastero del XVIII sec. e dell'antico μαντείον dei morti. A circa 750 m più a N una lunga e stretta catena di montagne è dominata dalla cima di Xilòkastro e conserva tracce di antiche mura. Il fiume Paramithiótikos (antico Cocite) tocca il pendio orientale della catena e, scendendo dalla valle di Paramìthia, dopo aver accolto le acque del fiume Vuvos (antico Puriflegetonte), si getta nell'Acheronte immediatamente più a S della collina.
Poiché l'Acheronte costituiva circa dal IV sec. a. C. il confine della Thesprotia verso N e della Kassopaia verso S (Pseudo Skyl., Peripl., 31; Strabo, vii, 7, 5; Thoukyd., 1, 46, 4), Ephyra, che si trovava sulla sponda settentrionale dell'Acheronte, apparteneva all'antica Thesprotia.
Il luogo è stato riconosciuto nel 1958 durante gli scavi del Servizio Archeologico Greco, che hanno messo in luce, sulla collina di H. Joannis, sotto il monastero in rovina, le tracce del Nekromanteion ellenistico, lo stato più antico del quale ci è conservato nella descrizione della Nèkyia omerica (Odiss., x, 511 ss.; II, 12 ss.).
Sulla collina settentrionale, Xilòkastro, si conservano tracce sporadiche di due o tre cinte di mura: l'inferiore, meglio conservata, di circa m 1000 di perimetro, è costituita da grandi e piccoli blocchi grezzi, con riempimento di ciottoli. Sul lato meridionale, meglio conservato, si trova la porta, con un corridoio lungo e stretto, protetto da due torri rettangolari; la torre orientale è più sporgente, come nella Porta dei Leoni a Micene secondo la tipologia della Porta Scea. All'interno, sul lato occidentale, nella terra addossata alle mura è stata trovata una piccola costruzione (m 6 × 3,50), con frammenti ceramici preistorici e classici, databile circa al IV sec. a. C., e due inumazioni di bambini entro grossi dolî di ceramica fatta a mano, della prima Età del Ferro.
Queste ceramiche e soprattutto l'aspetto delle mura ciclopiche, come anche qualche frammento miceneo trovato sull'Acropoli, datano il recinto agli ultimi anni dell'epoca tardoelladica. Tra i rinvenimenti sono notevoli alcuni frammenti di una "saliera" protoelladica, di fabbricazione indigena, frammenti di vasi fatti a mano con decorazione a rilievo (categoria 2) e frammenti di vasi brunastri che ricordano vasi minî primitivi (categoria 3), caratteristici della ceramica epirota dell'Età del Bronzo.
Simile ceramica - pochi frammenti micenei in una tomba a cassa del Tardo Elladico III, una spada micenea di bronzo del Tardo Elladico III B - sono stati trovati anche nello scavo del Nekromanteion e nei dintorni della collina. Tracce di antiche mura si vedono anche più in alto delle mura ciclopiche e appartengono ad uno o due recinti più piccoli.
Rovine di alcune costruzioni si conservano anche sulla collina di H. Joannis, ma sono quasi sparite dopo la costruzione del villaggio attuale. È stata trovata una stipe votiva con ceramiche e idoli di terracotta rappresentanti una divinità femminile, databili dalla seconda metà del VII sec. a. C. fino alla fine del V o inizio del IV sec. a. C. È raffigurata la dea Persefone o Phersephone (Plut., Θθσρύς, 31), spesso col pòlos tipico della dea infernale. La identificazione di queste rovine con Ephyra è confermata da Tucidide (i, 46, 3-4), secondo il quale la flotta dei Corinzî e degli alleati ormeggiò nel 433 a. C., poco prima della battaglia navale di Sybota, presso Cheimérion di Thesprotia. Gli elementi topografici che ci dà Strabone (vii, 7, 5) sono gli stessi. La corrispondenza di queste due descrizioni ci conferma che ambedue attingono alla stessa fonte (Ecateo). Il fatto però che Strabone conosce lo stanziamento con il nome indigeno di Kichyros, imposto probabilmente dopo il 343-42 a. C., permette di postulare una fonte mediana del IV o del III sec., che aveva presente anche il geografo Ecateo.
Secondo le notizie di Tucidide e di Strabone è certo che Ephyra o Ephire, nota all'epoca di Strabone col nome di Kichyros, si trovava ad una notevole distanza dal porto di Cheimeri. Essa è localizzata esattamente nella Thesprotia, sulla sponda settentrionale dell'Acheronte, che separa la Kassopaia dalla Thesprotia, vicina all'uscita dell'Acheronte dal lago di Acherousia, prima che il fiume si getti nel porto di Cheimeri. Secondo Strabone l'uscita delle acque dal lago di Acherousia era un seguito dell'Acheronte; secondo Tucidide questa regione si chiama Elaiàtis.
Troviamo circa la stessa topografia nella descrizione poetica della Odissea (x, 511 ss.); la scena però è localizzata sulle coste settentrionali dell'Eussino, nel paese dei Cimmerî (Od., xi, 14). Ma se sarà accettata la molto probabile ipotesi di G. Huxley, secondo la quale alla località "dei Cimmerî", popolo scitico sconosciuto, nell'VIII sec., ad Omero e nell'Asia Minore, viene sostituito "dei Cheimerî", cioè degli abitanti della regione di Cheimeri di Thesprotia (regione che si identifica col braccio meridionale del golfo di Ammudia), allora la descrizione omerica del paese dei morti corrisponderebbe al paesaggio reale dell'Acheronte e di Ephyra. Questo era già stato notato anche dagli antichi: Pausania (i, 17, 5), descrivendo la regione di Acherousia, suppone che Omero potesse averla vista quando aveva localizzato laggiù il paese dell'Ade, soprattutto perché aveva dato ai fiumi dell'inferno nomi thesprotici.
Alcuni cambiamenti del corso del fiume Acheronte e il recente prosciugamento delle paludi di Acherousia, hanno mutato notevolmente l'aspetto della valle. Nella antichità l'Acheronte lasciava verso S a Kassopaia, la collina di Kastrì, dove sono le rovine di Pandosia, colonia degli Elei. Il limo del fiume cambiò gradualmente il lago in una grande palude, parte della quale si conserva a sinimstra e a destra della foce, contribuendo nello stesso tempo ad ostruire il grande golfo di Almmudia, che è in via di riempimento. Nell'antichità il golfo doveva essere molto più grande, come possiamo dedurre dal fatto che la flotta corinzia vi poté ormeggiare nel 433 a. C., così come la più grande flotta di Ottaviano, prima della battaglia di Azio (Dio Cas., l, 12, 2) e, undici secoli più tardi, nel 1084, la grande flotta normanna di Roberto il Guiscardo, che qui svernò rimanendo però distrutta dalla malaria.
In realtà 1 km ad E di Ammudia, è visibile un'ampia zona di sabbia marina, appartenente all'antica costa del golfo. È anche accertato che in qualche periodo geologico il mare entrava molto più all'interno, quasi 5 km, perché ad E dell'Acheronte è stato trovato, ad una profondità di m 17,50, uno strato di sabbia marina e di conchiglie. Il braccio settentrionale del golfo, l'antica Àkra Cheimèrion di Strabone, era il punto più caratteristico tra Thỳami e Acheronte per i naviganti (Strabo, vii, 7, 5; Paus., viii, 7, 2).
Dai rinvenimenti fatti nella città e nelle vicinanze è testimoniata la successione della vita nella valle di Paramithiàs-Acheronte, dal Paleolitico Recente fino al Neolitico. Lo stanziamento di Ephyra fu uno dei più importanti dalla prima Età del Bronzo fino alla fine circa del mondo antico. Qualche toponimo ed etnico della regione (Kìchyros, Kassopòi-Kassopèi, Àmymnoi) che si incontrano anche nel resto dell'Epiro, il nome della dea di Ade, Persefone, dimostrano che elementi orientali si introdussero tra gli abitanti più antichi. Lo stanziamento preistorico si estendeva su due colline fino al Cocite. Dai ritrovamenti micenei dello stanziamento e della regione (tomba di Paramithiàs del Tardo Elladico II; tomba a thòlos di Parga, del Tardo Elladico III B) è dimostrato che durante il XIV-XII sec. coloni micenei erano stanziati sulla costa della Thesprotia. A quegli abitanti si deve la costruzione delle mura ciclopiche e il nuovo nome di Ephyra (che si incontra in molti punti della Grecia). Il fatto che i nomi Ephyra e Acheronte si incontrino anche nell'Elea; il fatto che gli Elei abbiano fondato sei secoli dopo un'altra colonia, appena 5 km ad E, Pandosia, sulla collina di Kastrì (Demost., vii, 32); il fatto che alcuni miti che collegano l'eroe eleo Eracle con Ephyra e Pandosia, risalgano all'epoca tardomicenea e arcaica: tutto questo rende molto probabile l'ipotesi che gli abitanti della valle dell'Acheronte, provengano dal Peloponneso occidentale che in questo periodo ha una grande attività coloniale. Per conseguenza l'opinione del Fick che il nome dell'Ephyra thesprotica sia di origine illirica, apparentato con Ebura, località nelle vicinanze di Salerno, non è accettabile per molte altre ragioni (Lepore), ma anche perché il nome proviene dalla Grecia meridionale, dove era molto comune (Strabo, viii, 3, 5-6).
L'economia dei coloni era fondata sul mare e sul commercio dei prodotti indigeni. L'Acheronte navigabile nel suo basso corso, e le profonde coste facilitavano i trasporti. Si scambiavano cereali (Od., xix, 291-2), armi di bronzo, gioielli, ceramica, con il legname dei boschi epirotici, vino, olio dell'Elea, ricca di olive, prodotti della pastorizia dei pastori del Pindo, i bovini della regione che erano conosciutissimi (cfr. il mito di Gerione), pirite e veleni per le frecce. La preparazione dei veleni era una specialità degli ephyroti già dall'epoca micenea (Od., i, 259 ss.; ii, 328 ss.; Euryp., Androm., 159-160; Eliano, xi, ii). Ad Ephyra venne Odisseo per procurarsi i veleni per le sue frecce; qui fu accolto dal re dei Thesproti, Feidon, che lo onorò con ricchi doni (Od., xiv, 316; ixi, 287). La fondazione verso il 700 a. C. di Pandosia, una colonia degli Elei sulla sponda sinistra dell'Acheronte, non rivela solo un desiderio degli Elei di controllare la valle a S del fiume, ma anche una necessità di rafforzare la colonia antica che forse era un po' indebolita a causa della malaria e della invasione dei pirati. Durante l'età arcaica e classica Ephyra continuò il suo ruolo di centro commerciale e di tramite per la comunicazione con l'interno. Questo è dimostrato anche dall'importanza che ebbe il Nekromantèion in età arcaica (v. l'episodio di Periandro, Herod., v, 92, e i doni votivi arcaici della stipe). Secondo Pindaro (Nem., vii, 7, 37-38) il mitico Neottolemo, tornando da Troia per mare, sbarcò ad Ephyra per andare a Molossia e a Dodona.
Alla vigilia della guerra peloponnesiaca Ephyra era la più importante città della valle (Thoukyd., i, 46, 4): la presenza di 10 navi di Elei nel golfo di Cheimeri insieme alla flotta corinzia si spiega con gli importanti interessi esistenti tra le due colonie; il suo graduale declino non pare che sia senza relazione con la reazione degli indigeni contro i coloni occupanti. Pare che questa reazione sia stata mossa da Atene, durante la guerra peloponnesiaca, allo scopo di neutralizzare l'influenza dei Corinzi sulle tribù epirotiche (Thoukyd., i, 47; iii, 50, 3) e guadagnare il controllo dello stretto di Corinto (Thoukyd., i, 36, 2; 44, 3). Il risultato di questa nuova situazione fu lo stanziamento di abitanti indigeni degli Elei in una nuova città cinta di mura, la Elaia o Elea, che dobbiamo cercare nella regione di Ammoudias (porto di Elea), sul braccio settentrionale del golfo, cioè a Cheimeri, là dove si vedono estese rovine di fortificazioni. La città, come è riportato già nello Pseudo-Skylax (Periplous, 30) batté la sua prima moneta nel 360-42 a. C., mettendo come simbolo il Pegaso, il tridente e la κυνέη, simboli cioè dell'Ade, per sottolineare i suoi diritti sull'antico santuario.
Il santuario di Ade (Nekromantèion) recentemente messo in luce, consta di un ampio tèmenos poligonale con accesso a N, un tempio in tecnica poligonale formato da un'area centrale di forma rettangolare, attorniata da tre piccoli ambienti su entrambi i lati. Al di sotto della corte c'è il vano sotterraneo, scavato nella roccia, sostenuto da archi, nel quale avvenivano le apparizioni dei defunti. Tutt'intorno al tèmenos nella parte interna, si aprivano ambienti destinati a ricevere i pellegrini; un lungo corridoio e un passaggio labirintico davano accesso al tempio. Una parte a O era destinata a locali connessi col culto. La fase attualmente messa in luce risale al periodo ellenistico: costruito nel corso del III sec. a. C., fu distrutto probabilmente dai Romani nel 168 a. C. e quindi abbandonato (Polyb., xxx, 15; Strabo, vii, 7, 3; Liv., xlv, 34; Plut., Emil., 29; Appian., iii, 9; Plin., Nat. hist., iv, 39); solo la parte O fu riutilizzata sino al IV-V sec. d. C. Alcune modalità del rito hanno potuto essere documentate dai trovamenti: negli ambienti che affiancano l'area centrale del tempio, destinati a depositi magazzini, erano conservate alcune derrate; macchine simili a quelle usate nei teatri erano destinate alle apparizioni.
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Topografia, storia e miti: Philippson, in Pauly-Wissowa, VI, 1907, c. 20, s. v., n. 7; Th. S. Hughes, Travel in Sicily, Greece and Albania, 1820, p. 310; W. M. Leake, Travel in northern Greece, 1835, IV, p. 51 ss.; L. Salvator, Parga, 1907, pp. 112 ss.; H. Treidler, Epirus in Altertum, 1917, pp. 112 s.; G. Huxley, in La Parola del Passato, XIII, 1958, pp. 245-48; E. Lepore, Ricerche sull'antico Epiro, 1964, pp. 3 ss.; 38 ss.; 93; Proceeding Prehist. Society, XXX, 1964, pp. 204-208; S. I. Dakaris, Οὶ Γενεαλογικοὶ μῦϑοι τῶν Μολοσσῶν, 1964, pp. 5-6, 7; N. G. L. Hammond, Epirus, Oxford 1967.
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