RANZO, Mercurino
RANZO, Mercurino. – Nacque a Vercelli nei primissimi anni del Quattrocento da Roglerio, appartenente al collegio dei notai di Vercelli, e dalla novarese Franceschina Caccia; sono noti i nomi dei fratelli Bartolomeo, anch’esso notaio collegiato, e Giovanni, e delle sorelle Dorotea, Antonia, Beatrisina e Aluisia.
La famiglia Ranzo, attestata a partire dagli ultimi decenni del XII secolo, fece parte del gruppo dirigente urbano nella fase consolare del Comune, mantenendo successivamente stretti legami con l’episcopato vercellese.
La formazione retorico-grammaticale di Ranzo, quasi certamente realizzata in Vercelli, è documentata, nel 1429, dalla sua nomina a rector scholarum in Chieri. Qui ebbe come collega Bartolomeo Guasco, che da pochi mesi aveva lasciato il suo impiego di segretario di Tommaso Fregoso in Genova. Dal carteggio intercorso tra Guasco e l’umanista siciliano Antonio Beccadelli, invitato con insistenza dal primo a intercedere presso i Visconti per una sua sistemazione alla corte milanese, emergono i legami di amicizia di Ranzo con i dinamici circoli umanistici lombardi, in particolare con il poeta Beccadelli e con Catone Sacco, professore di diritto civile all’Università di Pavia con forti interessi letterari. In questo torno di anni Ranzo studiò diritto a Chieri, dove, nel 1427, il duca di Savoia Amedeo VIII aveva disposto il trasferimento dell’Università di Torino. Il 9 agosto 1431 venne incaricato di tenere l’orazione in occasione dell’elezione di Stefano Guigonardi a rettore della locale facoltà di diritto, conservata nel codice Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. XI 123 (4086), cc. 14r-17r.
Il manoscritto, che trasmette una silloge di testi di umanisti italiani e di sermoni accademici tenuti nelle Università di Torino e di Pavia negli anni Venti e Trenta del Quattrocento, venne probabilmente esemplato da un quaderno studentesco approntato da Ranzo durante gli studi universitari.
Il vercellese conseguì certamente la laurea in diritto civile prima del febbraio del 1434, quando è appellato con il titolo di doctor. Dal 1431 prese avvio la sua fitta serie di incarichi nell’amministrazione giudiziaria sabauda: esercitò la giudicatura a Chieri, nel 1431; a Torino e nel suo distretto, non continuativamente, tra il 1436 e il 1444; a Perosa, nel 1438; a Savigliano, nel 1444; a Pinerolo, tra il 1448 e il 1450. Fu juge-mage a Nizza e Châteauneuf tra il 1440 e il dicembre del 1443 e ricoprì inoltre la carica di vicario di Savigliano nel 1435 e la giudicatura delle appellazioni ultra Padum nel 1444.
Fra l’autunno del 1434 e la primavera del 1436 soggiornò con una certa continuità in Vercelli, dove è ricordato come «civis et habitator». Frequentò, inoltre, gli ambienti universitari di Pavia fra il 1437 e il 1438, come rivela il corpus di testi composti presso lo Studium generale ticinense e raccolti da Ranzo nell’antigrafo del citato codice Marciano, Lat. XI 123 (4086). Non sono note le ragioni della sua presenza a Pavia; forse ricoprì incarichi di docenza nello Studio cittadino, ipotesi tuttavia non verificabile per l’assenza dei rotuli dei professori attivi in quegli anni.
Gli interessi umanistici del vercellese, certamente alimentati dai contatti con gli ambienti letterari lombardi, trovarono espressione nel suo De falso hypocrita, testo comico ultimato a Pavia il 15 aprile 1437, come testimonia la sottoscrizione trasmessa nei tre codici che lo conservano, appartenuti ai bavaresi Albrecht von Eyb, Hermann e Hartmann Schedel, personaggi di spicco del primo Umanesimo tedesco che studiarono nelle università dell’Italia settentrionale nei decenni centrali del Quattrocento. La farsa goliardica è incentrata sulla beffa organizzata da un gruppo di giovani, probabilmente studenti, ai danni di un ecclesiastico pederasta. Sul piano tematico e linguistico questo testo si inserisce appieno tra le coeve produzioni comiche realizzate in ambiti vicini allo Studio pavese quali la Philogenia e la Repetitio magistri Zanini coqui di Ugolino Pisani e la Cauteriaria di Antonio Barzizza. Ranzo accolse dalla tradizione novellistica una serie di temi e di personaggi, oltre che il principale elemento dell’azione scenica della farsa, cioè la beffa, messa in atto per sanzionare l’anomalia rappresentata dal corteggiamento omosessuale da parte di un religioso e per ripristinare un ordinato sistema di rapporti sociali e morali. Le forme linguistiche e la struttura sono invece riprese dalla commedia classica latina, così come molti recuperi lessicali, derivati soprattutto da Plauto e Terenzio.
Nel suo impianto narrativo il De falso hypocrita risente chiaramente della lettura dello Janus sacerdos, testo composto da un autore anonimo in Pavia nel 1427. È tuttavia evidente la volontà di Ranzo di adattare il testo ai canoni offerti dai comici classici, intervenendo sulla struttura del modello ed eliminando alcuni eccessi di situazione e di lingua presenti nello Janus sacerdos, chiari prestiti dalla tradizione goliardico-farsesca. La più convinta critica all’ipocrisia e alla corruzione dei costumi del clero conferisce al De falso hypocrita tratti di modernità e di aderenza a criteri di ‘verosimiglianza’: gli intenti di rappresentazione della mentalità e dei costumi della società urbana in parte derivano forse dalla formazione culturale e professionale dell’autore, che poté attingere all’area della conflittualità e della devianza sociale, in cui si trovò a operare come iudex, il patrimonio di elementi comici e, in modo meno rilevante, linguistici della sua opera.
I legami con Vercelli, in cui possedeva un’abitazione con studio nella vicinia di San Lorenzo, si consolidarono nel 1441, quando Ranzo si unì con una cospicua famiglia di mercanti vercellesi sposando Andreetta de Margaria, figlia di Giacomo, da cui ebbe i figli Felicita, Apollonia, Giovanni Bartolomeo e Giovanni Simone.
Negli anni Quaranta si consolidò la posizione di Ranzo nell’entourage dei duchi di Savoia, che lo impiegarono per alcune importanti missioni politico-diplomatiche, inviandolo a Roma, nel 1447, per omaggiare, a nome della casa ducale, il nuovo pontefice Niccolò V, e a Venezia, nel febbraio del 1450, per curarvi alcuni affari della casa ducale. Il suo cursus honorum si arricchì di incarichi sempre più prestigiosi in seno al Consiglio ducale cismontano, di cui fece parte almeno dal 1444. La volontà del duca Ludovico di Savoia di irrobustire la presenza piemontese ai vertici dello Stato sabaudo agevolò l’ascesa di Ranzo, che venne nominato presidente del Consiglio ducale di Chambéry nel 1453, terzo piemontese a ricoprire questa carica dopo Giovanni Costa e Giacomo della Torre. La preparazione giuridica e la fedeltà alla casa ducale del vercellese lo candidarono alla presidenza del Consiglio ducale cismontano, cui fu nominato con lettere patenti del 26 marzo 1458. A partire da questo incarico iniziò a essere ricordato con il titolo di miles auratus. Nei mesi successivi venne immatricolato nel collegio dei dottori giuristi di Torino: come dottore collegiato negli anni 1458-62 prese parte a diverse commissioni d’esame di laurea in diritto nello Studium generale cittadino. Il suo nome non compare tuttavia nei rotuli dei professori conservati, né sono emerse altre evidenze documentarie sulla sua attività di docenza nell’università sabauda.
Diversi interventi del presidente Ranzo riguardarono l’organizzazione delle istituzioni ecclesiastiche in area vercellese. Nel maggio del 1460 fu incaricato dal duca Ludovico di Savoia di seguire direttamente l’immissione dei canonici regolari lateranensi nell’abbazia di S. Andrea di Vercelli, in sostituzione dei canonici vittorini, secondo quanto disposto dalla bolla di papa Pio II del 1° marzo 1459. Nell’aprile del 1461 intervenne per risolvere i dissidi sorti dopo la morte di Percivalle de Lucingio, abate del monastero di S. Stefano di Vercelli, curando il passaggio dell’abbazia, retta temporaneamente da monaci vicari, nell’area di controllo ducale attraverso il consueto ricorso all’istituto della commenda: questa fu assegnata da Pio II ad Agostino Corradi da Legnano, che la cedette al duca Ludovico, a favore del figlio di questi Francesco, in cambio dell’abbazia vercellese di S. Andrea. Una delle sue ultime attestazioni è la sottoscrizione, nell’ottobre del 1464, di un decreto del Consiglio ducale a favore del monastero di San Pietro di Lenta.
Morì nella prima metà del 1465, pochi mesi dopo il duca Ludovico di Savoia, come registra l’autobiografia di suo nipote Mercurino Arborio di Gattinara, primogenito di Felicita Ranzo e del giurisperito Paolo Arborio. La notizia fornita dal futuro cardinale e gran cancelliere di Carlo V trova conferma nel silenzio delle fonti su Ranzo a partire proprio dal 1465. Nel mese di ottobre dello stesso anno alla presidenza del Consiglio ducale cismontano è documentato Viffred d’Allinges: questa nomina rafforzò la generale ripresa savoiarda in atto all’interno della conformazione politica piemontese creatasi negli anni di governo di Ludovico di Savoia, quando si dispiegò la carriera di Ranzo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Protocolli ducali, prot. 97, cc. 211r-216r; prot. 52, c. 236bisr; prot. 50, cc. 105r-106r; Conti della Tesoreria di Savoia, inv. 16, reg. 102, c. 416v; Vercelli, Archivio Storico del Comune, Protocollo di Giovanni de Scutariis di Antonio (1428-1431), 2553 (n. 2485); Archivio di Stato di Vercelli, Archivi di famiglie e persone, Avogadro di Casanova, G.F. Ranzo, Series familiae de Ranzo; Vercelli, Biblioteca Civica, C.A. Bellini, Serie degli Uomini e delle donne Illustri della Città di Vercelli col Compendio delle vite de’ medesimi, III, 1, Scrittori e uomini letterati, cc. 39v-40r.
G.B. Modena, De origine et stemmate insignis ac vetustae familiae Sillanae et de Ranzo, Torino 1611; Statuta antiqua et nova venerandi sacrique Collegii iurisconsultorum Augustae Taurinorum, Torino 1680, p. 188; Cariche del Piemonte e paesi uniti [...] dal fine del secolo decimo sino al dicembre 1798, a cura di G. Galli Della Loggia, I, Torino 1789, pp. 165-169; O. Derossi, Scrittori Piemontesi, Savoiardi, Nizzardi registrati nei cataloghi del vescovo Francesco Agostino Della Chiesa e del monaco Andrea Rossotto, Torino 1790, p. 91; G. De Gregory, Istoria della Vercellese letteratura ed arti, I, Torino 1819, pp. 478 s.; C. Dionisotti, Notizie biografiche dei Vercellesi illustri, Biella 1862, pp. 49 s.; Id., Storia della Magistratura Piemontese, Torino 1881, p. 238; C. Bornate, Historia vite et gestorum per dominum magnum Cancellarium (Mercurino Arborio di Gattinara), con note, aggiunte e documenti, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XVII (1915), p. 239; A. Tallone, Parlamento Sabaudo, III, Bologna 1929, p. 462, s.v. Mercurinus de Ranzo; IV, Bologna 1931, p. 464, s.v. Mercurinus de Ranzo; VIII, Bologna 1935, p. 146, doc. 3917; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato Sabaudo (1418-1601), I, (1418-1536), Roma 1962, pp. 51, 76, 109, 134, 154; P. Rosso, Umanesimo e giurisprudenza nei primi decenni di attività dell’Università di Torino: appunti su M. R. (1405 c.-1465), in Bollettino storico bibliografico subalpino, XCVIII (2000), pp. 653-689; Insignia doctoralia. Lauree e laureati all’Università di Torino tra Quattro e Cinquecento, a cura di I. Naso - P. Rosso, Torino 2008, pp. 66, 70, 229-231, 256 s., 260, 272; M. Ranzo, De falso hypocrita, a cura di P. Rosso, Firenze 2011.