Mercati, fiere, commerci e vie di comunicazione
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A partire dall’XI secolo alla crescita demografica e al fenomeno di urbanizzazione si accompagna una crescita degli scambi a livello regionale e interregionale che, in alcuni casi, favorita da particolari congiunture, trasforma i mercati locali in consessi fieristici internazionali. È la regione francese della Champagne il crocevia di tutte le merci scambiate sul mercato europeo, almeno fino al momento dello sviluppo dei traffici marittimi tra Mare del Nord e Mediterraneo. Le vie marittime come quelle fluviali consentono di trasportare grossi carichi eludendo i ripetuti pedaggi e balzelli delle vie terrestri, ma l’arretratezza delle strumentazioni nautiche, le tempeste e le aggressioni dei pirati rendono la navigazione ancora molto rischiosa.
Varie sono state le ipotesi sulla provenienza sociale dei mercanti e del loro capitale. Una parte degli studiosi sostiene che si tratti di ex proprietari o funzionari di domini fondiari che investono nei commerci i profitti provenienti dalla vendita o dalla rendita delle terre. Altri, in maniera più cauta e facendo riferimento alla documentazione esistente, preferiscono parlare di una casistica variegata. Molto suggestiva è l’immagine di uomini che provengono dalle schiere di gente senza terra dedita alle avventure e ai pellegrinaggi, che fungono da rigattieri, carrettieri, affaristi. Mercanti avventurieri, quindi, ai quali sono richieste doti fisiche di resistenza e adattamento, ma anche cautela e doti morali affinché si tengano lontani dalle taverne, dalle risse, dal gioco.
Per ciò che concerne lo status giuridico, anche quando ha una estrazione servile, il mercante è considerato un uomo libero e il suo errare non è mai sentito come una minaccia per la società, poiché per esercitare la sua professione egli deve poter godere della libertà di movimento. Il migliore esempio di questo mercante resta quello, esposto dallo storico belga Henry Pirenne, di san Godrick di Finchal, che comincia la sua attività mercantile raccattando i relitti portati sulla spiaggia dalle onde del mare e percorrendo la campagna come venditore ambulante, per unirsi poi a una compagnia di mercanti con i quali si muove lungo le coste del Mare del Nord. Non di rado il mercante provvede, da solo o in società con altri, all’acquisto o al noleggio di una nave cimentandosi personalmente nell’attività marinaresca.
Indipendentemente dalla strategia scelta, che si muova per mare o per terra, l’obiettivo è sempre quello di ridurre i rischi: le frequenti aggressioni e depredazioni lo spingono a viaggiare in gruppi in cui vige l’obbligo di reciproco aiuto e tutela nelle situazioni di emergenza. Un esempio è la carovana armata, che parte sotto il comando di un capo, con un portabandiera in testa e servitori armati a protezione dei carri carichi di merce. Alle carovane commerciali della terraferma corrispondono le carovane di navi o mude, con le quali i mercanti cercano di proteggersi dagli attacchi dei pirati. Ciascuna nave, solitamente equipaggiata con armi, può lasciare il gruppo solo per la sosta nel porto di destinazione per poi attendere il rientro della carovana e fare rotta verso il paese di provenienza.
Sotto il profilo della conduzione degli affari, se la documentazione relativa al Nord Europa è piuttosto scarsa, nelle città italiane, in particolare a Genova e Venezia, già a partire dall’XI secolo due sono i contratti tipici del commercio estero, la commenda e la societas maris. Si tratta di società costituite da due soggetti per la conduzione di una singola impresa. Il tractator si assume l’onere di viaggiare con la merce, mentre lo stans, che è colui che investe il capitale – un altro mercante, una fondazione, un ente religioso –, resta a terra. I due contratti sostanzialmente si equivalgono con la differenza però che nella societas maris il tractator fornisce anche un terzo del capitale e quindi riceve due terzi dei profitti invece di uno come accade nella commenda. Simili accordi sono particolarmente diffusi nel commercio marittimo mediterraneo e, benché limitati a una singola spedizione, non è raro che nei casi di successo siano seguiti da un nuovo contratto tra le stesse parti.
La colonna mercantile è la forma societaria più diffusa ad Amalfi; la sua peculiarità sta in un coinvolgimento diretto di tutti i partecipanti all’impresa commerciale, dal marinaio che presta la propria opera, al padrone della nave che impegna il mezzo, al capitano che si prende l’incarico di condurla a destinazione, al mercante che investe i capitali. Ciascuno di essi, in proporzione al valore del suo apporto, ottiene quote in base alle quali, a impresa ultimata, sono divisi i profitti o le eventuali perdite.
Mercati e fiere, che nascono dall’esigenza di favorire la concentrazione in uno stesso luogo di merci e prodotti altrimenti difficilmente raggiungibili o commerciabili, affondano le proprie radici nel sistema economico curtense. Nonostante la propensione all’autosufficienza economica, l’organizzazione del latifondo consente la produzione di eccedenze che sono messe in circolazione nei mercati. Lo stesso si può dire per conventi e cenobi: anche una parte dei loro prodotti finisce sui banchi dei mercati che assolvono in epoca carolingia a funzioni di scambio e approvigionamento esclusivamente locali, consentendo di scambiare prodotti della terra con oggetti di manifattura, andando a integrare il paniere dei beni autoprodotti.
Con l’evolversi della città, nell’XI e XII secolo, i mercati urbani mutano le loro caratteristiche originali: alcuni di essi vanno assumendo un’importanza sempre maggiore trasformandosi, grazie a particolari congiunture, in grandi fiere. Possiamo distinguere tra fiere locali o regionali – fatte di solito coincidere con feste religiose, così da approfittare della presenza dei pellegrini e trarre profitto dalla grande concentrazione di individui – che non differisce molto dai comuni mercati se non per la periodicità stagionale, e fiere che per durata, presenza qualitativa e quantitativa dei forestieri, dimensione dei traffici, guarentigie concesse, possono essere a ragione definite fiere interregionali o internazionali.
La fiera è solitamente istituita con un atto del signore, che concede ai mercanti che la frequentano privilegi quali il viaggio sotto salvacondotto, che garantisce la protezione del mercante lungo il cammino per la fiera; la non applicazione del diritto di rappresaglia, cioè della facoltà di rivalersi per eventuali insolvenze su mercanti della stessa area di origine; il superamento delle norme antiusuraie con la possibilità di effettuare operazioni creditizie. A fronte di queste concessioni il signore ha un rientro economico proveniente dalle tasse sulle abitazioni e sui banchi di vendita dei mercanti, dai pedaggi di entrata e uscita dalla città, dalle imposte sulle vendite, dai diritti su pesi e misure. Pur senza arrivare a vedere una relazione di causa-effetto, non si può escludere una parziale influenza delle fiere sullo sviluppo delle città. Vi sono però delle eccezioni. Il caso italiano appare peculiare, poiché, a fronte di uno sviluppo cittadino particolarmente intenso, abbiamo fiere di non particolare rilevanza. Questo è però, con ogni probabilità, da attribuire al fatto che l’ininterrotta attività di scambio dei mercanti della penisola non rende necessario stimolare la crescita degli appuntamenti fieristici.
Le fiere della Champagne nascono come semplici mercati agricoli a carattere locale. Tra l’XI e il XII secolo la posizione favorevole lungo le antiche strade che portano dalla Germania settentrionale al Mediterraneo, la crescita della popolazione e della produzione, l’attenta politica dei conti di Champagne, ne favoriscono lo sviluppo, tanto che nel 1137 i frequentatori sono in così gran numero da rendere necessario l’alloggiamento dei mercanti di Arras fuori dai confini della fiera. Sei sono le fiere che compongono il ciclo, due si tengono a Troyes (giugno e novembre) e Provins (maggio e settembre), una a Lagny e una a Bar sur Aube. Si tratta di appuntamenti fondamentali nel quadro dell’economia internazionale da un punto di vista merceologico, finanziario e formativo. Attraverso di esse fluisce la maggior parte dei prodotti del tempo quali telerie e lanerie francesi e fiamminghe, lino della Germania, sete lucchesi, cera, zucchero, allume, lacca, vini, cavalli, spezie.
È qui che i mercanti italiani in cerca di pannilana incontrano quelli fiammighi, che già alla fine del XII secolo sono riuniti in una associazione commerciale conosciuta nel secolo successivo come “hansa delle diciassette città” che si occupa principalmente di regolare i rapporti tra le città aderenti e le fiere. La consistente presenza italiana vale ai mercanti di quest’area la concessione, fin dal primo decennio del XIII secolo, di un salvacondotto e (qualche decennio più tardi) del privilegio di potersi amministrare la giustizia da soli, venendo così sottratti alla giurisdizione dei sovrintendenti fieristici. Sotto l’aspetto finanziario vale la pena ricordare che il sistema di cambio adoperato presso la Champagne, basato sul soldo di Provins, è adottato in tutti i centri che hanno relazione con quelle fiere; qui nasce il sistema della compensazione in base al quale gli uomini di affari saldano crediti e debiti oppure ne rinviano il pagamento alla fiera successiva. Infine, favorendo l’incontro di individui con lingue, usi e culture differenti le fiere assolvono una formativa funzione di confronto e conoscenza reciproca. Verso la metà del Duecento, quando la regione viene incorporata nel regno di Francia e vengono inaugurate le prime rotte marittime da Genova, Venezia, Pisa, verso Bruges e le Fiandre, le fiere della Champagne si avviano verso il declino.
Mari e fiumi costituiscono un vettore privilegiato del commercio poiché garantiscono una relativa rapidità e consentono di effettuare carichi di materiali di grandi dimensioni, quali legna o pietre da costruzione altrimenti difficili da spostare. Non mancano però i rischi; per mare, soprattutto, si è soggetti a tempeste, incendi, aggressioni di pirati ai quali si aggiungono usanze discutibili come il cosiddetto diritto di albinaggio, che consente ai signori dei territori costieri di appropriarsi di quanto a seguito di naufragi va ad arenarsi sulle spiagge.
La navigazione medievale è di regola costiera, l’alto mare è considerato pericoloso, gli unici a tenersi lontani dalle coste sono i pirati e non è un caso che siano loro i primi a utilizzare la bussola introdotta dalla Cina in Occidente nel corso del XII secolo. La navigazione in prossimità della terraferma è dovuta alla mancanza di mappe marittime, i portolani, guide a uso dei naviganti che descrivono le caratteristiche di coste e porti, e le carte nautiche si diffondono solo nel XIII secolo. Alcune delle rotte che consentono una circolazione meno ardua sono quelle da Venezia a Rodi, da Genova a Messina, da Barcellona a Maiorca e Minorca, da Candia ad Alessandria. Nell’Atlantico si procede in linea retta praticando il cabotaggio, nel Baltico la norma è la navigazione a scandaglio e i marinai si orientano con i campanili delle città anseatiche.
Quando possibile si preferisce procedere lungo vie d’acqua interne con l’inconveniente però della crescita dei costi per via dei molteplici dazi. Benché i pedaggi contribuiscano ad attenuare i vantaggi delle vie fluviali, queste consentono di trasportare in un solo viaggio una quantità di merce talmente elevata che i costi risultano ancora vantaggiosi rispetto al trasporto terrestre. Nello spazio germanico, più che nelle altre aree, gravosi sono i dazi imposti sui corsi d’acqua navigabili come il Weser, l’Elba e il Danubio; sul Reno, alla fine del secolo XII, si contano circa 19 stazioni daziarie, senza che tale tipo di trasporto abbia mai perso vigore. Con una grossa zattera simile a una piattaforma, sono solcate le acque dei fiumi a oriente dell’Elba, in Lituania e Polonia. La Senna è la principale via commerciale nella Francia del Nord, e largamente percorsi sono anche la Loira, la Garonna e il Rodano. In Inghilterra il trasporto per fluitazione riveste un’importanza fondamentale, i fiumi maggiori Avon, Humber, Lea, Stour, Severn, Tamigi, Trent, Wye, Witham sono messi in comunicazione con quelli minori creando una rete viaria sulla quale vigilano attentamente le comunità locali, consapevoli dei benefici che ne riceve il commercio.