mente e cervello
Dal vitalismo alla mente come proprietà emergente
Nel campo del problema mente/cervello si sta verificando quanto è accaduto a partire dai primi decenni del Novecento riguardo alle scienze della vita. Prima di allora, i vitalisti si ispiravano al concetto, tanto gratificante quanto oscuro, secondo il quale la vita era considerata alla stregua di un soffio, una specie di anima che pervade ogni essere vivente ma che prescinde completamente dal suo corpo e da questo si ‘allontana’ al momento della morte. In questo senso il soffio vitale di un animale e l’anima umana potevano essere considerati varianti l’uno dell’altra.
Oggi sappiamo che la vita è la risultante di un incredibile numero di attività cellulari e molecolari e che talvolta è sufficiente che una sola di esse si interrompa perché tutto l’organismo ne risenta e perisca, anche se tutte le altre sono ancora perfettamente funzionanti. Non a caso, per ritornare alla erroneità del concetto vitalistico, oggi sappiamo che con la morte cerebrale, che decreta la morte dell’individuo pensante, non vi è per fortuna la morte di ogni sua parte e che quell’individuo può ancora generosamente donare porzioni della propria vita consistenti in molti dei suoi organi, ancora perfettamente vitali. Un orologio può fermarsi perché un suo meccanismo si inceppa, ma non per questo siamo autorizzati a concludere che da quell’orologio è fuoriuscito un principio vitale che lo faceva muovere. Analogamente, non è appropriato concludere che la mente alberga nel nostro cervello come un aristotelico omuncolo, senza alcun collegamento con la struttura nella quale opera.
I progressi più impressionanti in questo tipo di problemi sono avvenuti in quei settori che analizzano le funzioni cerebrali con un approccio riduzionista. Esso si basa sul presupposto che in natura una data funzione è simile in ogni animale nel quale essa venga analizzata, come ha affermato Jacques Monod, secondo il quale ≪ciò che vale per un batterio vale anche per un elefante≫. Quindi, per comprendere le attività di base è saggio e talvolta indispensabile analizzare prima il più semplice e provare a estrapolare quanto scoperto al più complesso. Questa strategia scientifica ha dato risultati straordinari, fornendo all’umanità gli antibiotici, la delucidazione del codice genetico e della struttura del DNA, nonché un’infinita di altre conoscenze di fondamentale importanza. Nel campo neurobiologico, grazie a questi avanzamenti si è scoperto il codice di comunicazione dei neuroni; la comprensione del funzionamento di questo codice ha permesso la messa a punto di una vasta categoria di farmaci per il trattamento di ansie, insonnie, depressioni, e in parte anche di affezioni gravissime come la schizofrenia. Queste conquiste, di grande importanza anche per la comprensione dei meccanismi che presiedono a tutte le funzioni cerebrali, hanno indotto un numero crescente di neuroscienziati a sostenere una correlazione funzionale diretta e senza soluzione di continuità fra neuroni, cervello e mente.
Il vastissimo insieme di studi sopra delineato, anche se potrà ancora portare un notevole contributo al progresso delle neuroscienze, non prende in considerazione – proprio per il metodo riduzionista adottato – la nozione che spesso in natura si verificano salti qualitativi imprevedibili, non analizzabili e non comprensibili senza il ricorso a procedimenti scientifici più complessi, capaci di valutazioni globali, basati sull’analisi dei sistemi non lineari. Infatti, ogni qualvolta si verifica un aumento di complessità del sistema in analisi, si può osservare (o dedurre in base a certe caratteristiche) la comparsa di proprietà imprevedibili, dette proprietà emergenti, che complicano, spesso a dismisura, la possibilità di predire o teorizzare il modo con il quale quella proprietà si è generata (per es., le proprietà dell’acqua non sono facilmente prevedibili pur conoscendo quelle dell’idrogeno e dell’ossigeno che la compongono). Questa conclusione vale a tutti i livelli di organizzazione della materia: dagli atomi alle molecole e da queste alle cellule; dalle cellule che costituiscono un organismo alle società di organismi, comprese quelle fondate dagli uomini.
Come procedere, allora? La risposta più appropriata nasce considerando le attività mentali come proprietà emergenti. Proprietà, cioè, che pur essendo il frutto esclusivo dell’attività dei neuroni, non ne sono una semplice e diretta espressione funzionale. Giova sottolineare, a questo proposito, che le conoscenze che si vanno progressivamente acquisendo sulle proprietà dei singoli neuroni prospettano una complessità funzionale tale da rendere ancora più impredicibili funzioni ‘globali’ come quelle mentali, le quali emergono dall’attività di miliardi di queste cellule. Il problema mente/cervello, pertanto, dovrebbe essere considerato non solo scartando le ipotesi dualistiche ormai obsolete, ma neppure limitandosi ad approcci sperimentali esclusivamente basati su concezioni riduzionistiche, anche se queste sono state – e saranno nei decenni futuri – estremamente fruttuose nella ricerca biologica di base. Nessuno, al momento, sembra avere una risposta soddisfacente per quanto riguarda l’approccio sperimentale basato sul concetto di attività mentali come proprietà emergenti. Certamente questo tipo di problema non sarà risolto grazie all’intuizione geniale del singolo scienziato, ma deve essere affrontato integrando con mentalità aperta tutte le più svariate discipline che si occupano del cervello, consapevoli di essere di fronte alla sfida più complessa che l’uomo abbia mai affrontato, e convinti che la versione odierna dell’imperativo socratico dovrebbe essere ≪conosci il tuo cervello≫.