Menone
(gr. Μένων, lat. Menon) Dialogo di Platone. Vi si affronta il problema della virtù per stabilire se essa possa essere insegnata (come pretendono i sofisti). Socrate, personaggio del dialogo, mediante il procedimento ironico, mostra quanto sia difficile definire cosa sia la virtù in quanto forma unica cui ricondurre tutte le virtù particolari: il coraggio, la temperanza, la giustizia, ecc. (72 c-d). Con il suo tocco di torpedine (79 a-d) egli lascia frastornati gli interlocutori che tentano di definire la virtù in relazione alla politica e al comando, al bello e al buono, e alla capacità di procurarselo (77 a-78 b). Occorre stabilire se della virtù vi sia scienza e, successivamente, se, in quanto oggetto di scienza, essa sia insegnabile. Socrate illustra il procedimento dialettico condotto in base all’interrogazione (75 d), la maieutica, e successivamente se ne avvale per interrogare uno schiavo sulle proprietà geometriche del quadrato in modo che questi le ‘ricordi’ benché non sapesse di conoscerle. È così illustrata la teoria dell’anamnesi. «Non v’è da stupirsi se [l’anima] possa far riemergere alla mente ciò che prima conosceva» (81 c) e, in tal senso, conoscere è ricordare (85 d). La scienza, al modo della scienza matematica, prende avvio da assunti ipotetici per approdare a conoscenze che l’anima, immortale, possiede da sempre. La virtù non è però innata, al modo della scienza (dunque ricavabile mediante l’anamnesi), e non è neppure insegnabile, come dimostra il fatto che politici eminenti, quali Temistocle o Aristide, pur possedendola, non abbiano potuto insegnarla ai figli. Essa dipende non dalla scienza, ma dall’opinione «vera» (ἀληθὴς δόξα) o «retta» (ὀρθὴ; 98 b-c), la quale, non meno buona o utile della scienza, è però una «ispirazione divina», al modo della μανία dei poeti e degli indovini.