Mengzi («Libro del maestro Meng o Mencio»)
(«Libro del maestro Meng o Mencio») Opera cinese costituita da una raccolta di aforismi e di aneddoti della vita di Meng Ke (➔ Mencio) e delle sue conversazioni con sovrani e discepoli dell’epoca. Grazie al filosofo Zhu Xi (➔), il M. divenne, con i Lunyu (➔) («Dialoghi»), il Daxue (➔) («Il grande studio») e lo Zhongyong (➔) («Il giusto mezzo»), parte dei Sishu (➔) («Quattro libri»), raccolta fondamentale nell’iter studiorum dei cinesi dall’inizio del 14° sec. fin quasi alla fine della dinastia Qing (1644-1911). È verosimile che il testo dell’opera sia da ascrivere alla mano di vari discepoli di Mencio e nonostante ciò può essere ritenuto, come rimarcò D.C. Lau, uno dei testi meglio preservati dell’epoca degli Stati Combattenti (5°-3° sec. a.C.). Menzionato nel cap. 30 della Storia della dinastia Han (Han shu), composta nel 1° sec. d.C., il M. risultava a quell’epoca ancora privo di commentari e costituito di 11 libri (pian). A Zhao Qi (m. 201 d.C.), contemporaneo di Zheng Xuan (127-200), si deve il primo commentario esistente, benché altri esegeti fossero similmente impegnati nella sua interpretazione. Il testo era allora costituito da due parti, una di 7 libri e l’altra di 4, rispettivamente interiora et exteriora, per un totale proprio di 11 libri, come riferito nella storia dinastica Han. Inoltre, ognuno dei 7 libri costituenti una delle due parti fu a sua volta diviso, forse per ovviare alla lunghezza, in due parti, raggiungendo così complessivamente il numero di 14 libri, considerati juan nella Storia della dinastia Song (Song shi), composta nel 14° sec., e rimasti tali in molte successive edizioni del testo. Il M. raggiunse lo status di opera canonica solo nel 12° sec., quando Zhu Xi, fra vari altri pensatori confuciani, compose il Mengzi jizhu (1177), rimasto il commentario più autorevole sino alla dinastia Qing. All’inizio del 19° sec. datano le opere esegetiche di Jiao Xun (1763-1820) e di Ruan Yuan (1764-1849), mentre di due secoli prima è quella del giapponese Yamai Konron (m. 1728), pubblicata da Ogyū Hokkei nel 1731 con un’addenda. L’importanza di quest’opera nella filosofia e nella formazione dei cinesi fu subito colta anche dai gesuiti missionari in Cina, tanto che il testo, tradotto in latino solamente in minima parte verso la fine del 16° sec., fu poi divulgato a stampa nell’Europa filosofica del sec. 18° nei Sinensis imperii libri classici sex (1711) del gesuita F. Noël.