MENEDEMO di Eretria
Filosofo greco, fondatore della cosiddetta scuola socratica di Eretria. Visse tra la seconda metà del sec. IV a. C. e la prima del III (dal 339/37 al 265, secondo le date più verosimili). Trovatosi a Megara, vi subì l'influsso di Stilpone, filosofo della scuola megarica; passato a Elide, vi fu prima scolaro e poi successore di Mosco e di Anchipilo, seguaci di Fedone di Elide. Più tardi, verso la fine del secolo, egli trasferì la sua scuola nella sua patria, che gli affidò alti incarichi politici, specie per i rapporti con Antigono Gonata. Nel 273 fu però esiliato dal partito antimacedonico, e morì, secondo la tradizione, suicida.
Delle sue dottrine poco è noto, anche perché M. non lasciò alcuno scritto; e quel poco non si differenzia molto dalla filosofia megarica, che per prima aveva conosciuto. L'identificazione megarica del bene socratico con l'unità zenoniana torna nella negazione del valore d'ogni distinzione particolare di virtù; e l'interpretazione intellettualistica dell'unità socratica di virtù e conoscenza riappare nella dottrina, riferita da Cicerone, secondo cui "omne bonum in mente positum et mentis acie, qua verum cerneretur": dottrina ben consona allo spirito dialettico ed eristico della scuola megarica. Così nella dottrina logica propugnante l'abolizione dell'ἐστίν predicativo (invece di λευκός ἐστι "è bianco", bisognava dire, secondo M. λελεύκωται "biancheggia"), e perciò analoga a quella del sofista Licofrone, si manifesta tipicamente l'influsso di quelle difficoltà di natura eleatica della predicazione dell'essere che la scuola megarica particolarmente avvertiva per gli elementi eleatici delle sue dottrine.
Bibl.: C. Mallet, Hist. de l'école de Mégare et des éc. d'Élis et d'Eretrie, Parigi 1845; U. v. Wilamowitz-Moellendorff, Antigonos v. Karystos, Berlino 1881, p. 86 segg.; K. v. Fritz, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XV, coll. 788-94.