MENECRATE (Μενεκράτης, Menecrătes)
Figlio di Menecrate, scolpì con Dionisiade una parte della Gigantomachia sul grande altare di Pergamo, verso il 180 a. C.; restano le firme, ma non si possono identificare i rilievi. Possibili omonimie rendono alquanto incerta l'associazione del documento con altre notizie. Potrebbe essere il padre adottivo degli autori del Toro Farnese (Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 34; v. apollonio di tralle); più difficile crederlo il "Tebano" socio d'un Sopatro, che firmò due statue a Delfi sul principio del sec. II (Dittenberger, Sylloge inscript. Graec., 3ª ed., II, nn. 597 e 710). Varrone, secondo Ausonio (Mosella, 307), aveva posto un M. tra i sette architetti più famosi nelle sue imagines degli uomini illustri, e uno studioso moderno ha supposto che fosse il progettista dell'ara accennata, mentre qualcuno dubita che il nome, nel testo latino, risulti da una storpiatura dei copisti.
Bibl.: C. Weickert e M. Bieber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, Lipsia 1940, p. 386; G. Lippold e E. Fabricius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, Stoccarda 1931, col. 803 segg.