MENARINI
– Famiglia di industriali della carrozzeria. Il capostipite, Ettore, nacque a Bologna, il 2 febbr. 1879, da Clemente, agiato contadino, e Clementa Bragaglia. Sesto di sette figli, venne mandato giovanissimo a lavorare come operaio; successivamente si impiegò presso un carrozziere, Marco Fiorini, dal quale imparò il mestiere.
Il know-how appreso presso Fiorini era parzialmente innovativo in quanto l’officina, in quel periodo, aveva cominciato a realizzare carrozzerie su chassis per automobili oltreché carrozze da cavalli.
Nel giro di poco tempo, Ettore si distinse come tappezziere e divenne caporeparto; nel 1914, decise di mettersi in proprio e di aprire una piccola carrozzeria insieme con due soci ma, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu richiamato alle armi e la società non fu neppure ufficialmente registrata. Dal 1916 al 1918, fu impegnato come autista e meccanico nelle retrovie del fronte italo-austriaco; al ritorno a Bologna riprese la propria attività e, nel 1919, fondò la Ditta Menarini e C. (di cui era, tuttavia, unico titolare).
L’impresa aveva sede in una stalla riadattata, fuori porta S. Felice, in via del Chiù. Dapprincipio le carrozzerie venivano solo riparate, poi, su commesse della Fabbrica italiana automobili Torino (FIAT), in seguito all’acquisto di alcuni macchinari si avviò anche la produzione di carrozzerie (o parti di carrozzeria) per le nuove vetture lanciate con successo sul mercato: la 501, la 503 e la 520. Comunque, per buona parte degli anni Venti l’attività principale della Menarini rimase la realizzazione di «carrozze da turismo» trainate da cavalli: un lavoro svolto in collaborazione costante con il cliente e di stampo decisamente artigianale, dal momento che per costruire una carrozza occorrevano dai quattro ai sei mesi.
Dal 1925, nella nuova sede di viale Berti Pichat 10, sempre in collegamento con la FIAT, la Menarini iniziò la produzione di carrozzerie per trasporti collettivi e usi industriali – autocarri, autobus, furgoni, cabine di trazione – operando, quindi, nell’ambito di un mercato in rapida espansione e, all’epoca, assai rilevante in quanto, per quasi tutti gli anni Trenta, la produzione nazionale di vetture per trasporti collettivi fu superiore a quella delle automobili per uso privato.
Agli inizi del secondo conflitto mondiale, la ditta era insediata su una vasta area di circa 3500 m2, di cui circa 2500 coperti, dove lavoravano approssimativamente 150 addetti, quasi tutti in sede, anche se vi erano alcuni distaccamenti, in particolare una succursale in via Balbo 33 e una rimessa in via S. Donato 160. I locali, dotati di magazzini sotterranei, vennero ulteriormente ampliati nel 1942, quando si costruì nelle adiacenze un nuovo deposito di circa 800 m2.
Durante gli anni della guerra si registrò un preoccupante esodo della manodopera specializzata, attratta dalle paghe più alte corrisposte da imprese non vincolate ai prezzi bloccati delle commesse belliche; alla Menarini infatti il 40% della produzione era legata agli ordinativi pubblici. Questa percentuale aumentò nelle fasi finali del conflitto, allorché la ditta produsse anche carrozzerie per autoambulanze, carri-officina e mezzi militari per conto del ministero dell’Aeronautica, dell’Officina militare delle trasmissioni di Roma, della Croce rossa italiana (CRI).
Tra il 1944 e il 1945, a pochi mesi dalla Liberazione, la fabbrica dovette interrompere la produzione perché ripetutamente colpita dai bombardamenti, quindi lo stabilimento venne requisito dagli Alleati. Solo nell’autunno del 1945, Ettore ebbe la possibilità di riprendere appieno il proprio ruolo imprenditoriale, affiancato più incisivamente dai figli.
Dei cinque maschi nati dal matrimonio con Argia Atti, il primogenito Arnaldo (Bologna, 26 dic. 1906 - 12 genn. 2003), ingegnere, iniziò a lavorare autonomamente nel settore edile e non ebbe mai a che fare con l’impresa paterna; anche Carlo (Bologna, 22 sett. 1923 - 7 dic. 1999) laureato in medicina, intraprese un percorso professionale diverso. Gli altri tre, invece, Dante (Bologna, 22 giugno 1909 - 13 apr. 1983), Giorgio (Bologna, 27 ag. 1911 - 17 genn. 1999), ed Eugenio (Bologna, 22 sett. 1923) portarono avanti la ditta di famiglia che, nel 1941, aveva assunto il nome di Carrozzeria Menarini Bologna snc: Dante e Giorgio, diplomati all’istituto tecnico bolognese Aldini-Valeriani, entrarono presto a far parte della società, mentre Eugenio, ragioniere, divenne socio solo nel 1951, quando il padre Ettore ne uscì completamente.
Il primo a entrare in ditta fu Dante che, non ancora diciottenne, aveva iniziato a frequentare i locali dell’officina; seguì Giorgio, dopo alcune brevi esperienze presso aziende meccaniche in Belgio e Francia; ultimo Eugenio, all’indomani della Liberazione.
La ripresa postbellica fu abbastanza rapida: la Menarini, che sul finire del 1946 riusciva a produrre un autobus al mese, nel 1952, arrivava a 6-7. Proprio all’inizio degli anni Cinquanta si ebbe la svolta che fece decollare l’azienda grazie a un’intuizione di Dante, il quale comprese che nelle carrozzerie gli allestimenti interni degli autobus, all’epoca in legno, avrebbero potuto essere realizzati a prezzi ugualmente vantaggiosi in metallo; quindi, grazie anche a contatti con imprese svizzere all’avanguardia nella produzione di profilati leggeri, progettò un primo modello interamente in metallo. In questa fase di notevole sviluppo, dopo la morte del fondatore Ettore, l’azienda fu condotta da Dante come direttore generale, da Giorgio, direttore tecnico e da Eugenio, direttore amministrativo.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l’officina fu spostata in periferia, in località S. Sisto, in uno stabilimento più ampio che venne ulteriormente rinnovato di lì a qualche anno. Nel 1961 la Menarini occupava oltre 370 operai e una quarantina tra impiegati, intermedi e dirigenti; al Salone dell’auto di quell’anno la ditta presentò per la prima volta la carrozzeria Essediemme, destinata a largo successo negli anni Sessanta e Settanta.
L’Essediemme si caratterizzava per una minore tara, porte elettrocomandate, maggior isolamento acustico e l’intercambiabilità di molti pezzi in caso di guasti. In questa fase, si irrobustirono i rapporti commerciali e collaborativi con le principali case automobilistiche nazionali, in primis la FIAT, ma anche la Lancia e l’Alfa Romeo; contemporaneamente si iniziarono a produrre anche i rimorchi.
Gli anni Settanta, tuttavia, alla Menarini furono caratterizzati da una conflittualità aziendale, tra proprietà e forze sindacali, particolarmente intensa.
Per lunghi periodi, a causa dei numerosi scioperi, la produzione procedette a singhiozzo; inoltre la Federazione impiegati operai metallurgici (FIOM) sperimentò proprio alla Menarini inedite forme di lotta, talvolta replicate presso altre aziende italiane (come, per esempio, l’assunzione di personale inesperto e non qualificato attraverso il canale dell’ufficio di collocamento). Per far fronte alla pesante situazione che si era creata, Eugenio, che dal 1975 era alla guida dell’Assoindustriali di Bologna e vicepresidente nazionale della Federmeccanica, abbandonò tali cariche rientrando in azienda. L’acme della conflittualità fu raggiunto nel 1978: il 31 gennaio, le Formazioni comuniste combattenti in collaborazione con Prima Linea, compirono un attentato alla casa di Eugenio e, nello stesso anno, il direttore della Menarini fu gambizzato da terroristi di estrema sinistra.
Sulla fine degli anni Settanta, il graduale attenuarsi dello scontro politico-sindacale contribuì alla normalizzazione all’interno dell’azienda, divenuta nel frattempo società per azioni, la quale, nel 1979, acquisì le Officine meccaniche automobili di Granarolo.
Morto nel 1983 Dante (cavaliere del lavoro dal 2 giugno 1976), la presidenza passò inizialmente al figlio Sandro, quindi al fratello Giorgio. Alla morte di Dante, la ditta (Menarini spa dal 1984) occupava 750 dipendenti: da pochissimo aveva iniziato la fabbricazione di interi autobus, in cooperazione con altre ditte meccaniche, e produceva circa 60 carrozzerie di autobus al mese.
Negli anni Ottanta, tuttavia, giocarono negativamente sulla situazione aziendale l’eccesso di prudenza in materia finanziaria della proprietà che, privilegiando l’autofinanziamento sul prestito bancario, rallentò l’espansione e rese la ditta più debole di fronte alla concorrenza, soprattutto straniera. Inoltre, alcune fasi del processo produttivo erano rimaste legate al retaggio di una cultura artigianale che faceva lievitare i costi e i tempi di realizzo.
Per questo insieme di ragioni, Giorgio ed Eugenio, si risolsero a cedere alcuni pacchetti azionari alla Breda costruzioni ferroviarie, che avrebbe contribuito a modernizzare l’impresa; tuttavia, nei primissimi anni Novanta, dissapori con la nuova dirigenza portarono alla totale fuoriuscita della famiglia Menarini dall’azienda, da allora Bredamenarinibus.
Fonti e Bibl.: La documentazione aziendale antecedente alla seconda guerra mondiale è andata quasi completamente distrutta, a pochi mesi dalla Liberazione, in un bombardamento. Fonti documentarie sono reperibili a Bologna, Arch. della Camera di commercio (sede di Palazzo Affari), f. r.e.a. 61854; altre fonti in Arch. di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, bb. 7, cart. 45/1941; 8, cartt. 41/1942, 43/1942, 5/1943; 37. Vedi poi, in particolare: S. Boschi, Carrozzeria Menarini. Cinquantenario. 1920-1970, Bologna 1970 e le brevi schede su Dante ed Eugenio in I grandi di Bologna. Repertorio alfabetico dei personaggi illustri dal 1800 a oggi, a cura di F. Basile - G. Castagnoli, Bologna 1991, sub vocibus. Ampi riferimenti alla vicenda imprenditoriale della Menarini in C. Biscaretti di Ruffia, Carrozzieri di ieri e di oggi, Torino 1952, ad ind., e L. Giovannetti - L. Burato, L’automobilismo italiano. Annuario generale. 1970, Torino 1970, s.v.; per inserire il percorso imprenditoriale dei M. nell’economia e nella società bolognese si vedano, inoltre: V. Negri Zamagni, L’economia, in Bologna, a cura di R. Zangheri, Roma-Bari 1986, e V. Capecchi, L’industrializzazione a Bologna nel Novecento. Dagli inizi del secolo alla fine della seconda guerra mondiale, in Storia illustrata di Bologna, a cura di W. Tega, IV, Bologna dall’Unità alla Liberazione, Milano 1990.
T. Menzani