MENABREA, Luigi Federico, conte
Uomo politico, nato a Chambéry il 4 settembre 1809. Ufficiale dei genio, appassionato per le scienze fisiche e matematiche (pubblicò, tra l'altro, alcuni pregevoli studi sulle serie di G. L. Lagrange), fu insegnante di geometria descrittiva, di meccanica e di costruzioni nell'Accademia militare di Torino (1839-1848), dove era stato egli stesso, non molto innanzi, discepolo di G. A. Plana. Nel 1848, accostatosi alla politica, scrisse nella Concordia di L. Valerio, che era l'organo del liberalismo di sinistra, e fu in missione nei Ducati, che s'erano allora uniti al Piemonte. Deputato al parlamento per il collegio di Verrès durante la prima legislatura, rappresentò poi, dalla II a tutta la VI, quello di S. Giovanni di Moriana; e in quegli anni andò modificando a mano a mano in senso moderato le proprie idee, anzi fu tra i più cospicui del partito cattolico contro la politica ecclesiastica del conte di Cavour. Fu nominato senatore il 29 febbraio 1860, alla vigilia della cessione della Savoia alla Francia.
Nel 1859 aveva diretto, insieme con Carlo Noé, i lavori d'inondazione della pianura tra la Dora e la Sesia, per impedire l'avanzata dell'esercito austriaco (onde nel 1875 ebbe il titolo di Marchese di Val Dora); e poi, come colonnello del genio, aveva partecipato a tutta la campagna da Palestro a Solferino e S. Martino. Nel 1860, distintosi negli assedî d'Ancona, di Capua e di Gaeta, ottenne la medaglia d'oro e il grado di tenente generale.
Ministro della marina nel primo gabinetto Ricasoli (giugno 1861-maggio 1862), e dei lavori pubblici in quello Farini-Minghetti (dicembre 1862-settembre 1864), firmò a Vienna, il 3 ottobre 1866, la pace con l'Austria, la quale restituì allora la Corona ferrea ch'era stata tolta da Monza nel 1859 e che il M. consegnò a Vittorio Emanuele, a Torino, il 4 novembre, nella solenne cerimonia della presentazione dei verbali del plebiscito veneto. Quel giorno stesso, egli ebbe il Collare della SS. Annunziata.
Il 27 ottobre 1867, dimessosi il secondo ministero Rattazzi, assunse con mano ferma il potere, deplorando solennemente le impazienze garibaldine e inviando nello stato pontificio un corpo di truppe agli ordini di Raffaele Cadorna. Ma non poté impedire, come aveva sperato, l'intervento francese e le truppe dovettero essere richiamate in fretta dopo Mentana. Più felice fu nel mantenere l'ordine all'interno: riuscì poscia a migliorare le dissestate finanze pubbliche, mentre trattava con Napoleone III, anche personalmente a Vichy, per un'alleanza franco-italo-austriaca che avrebbe dovuto anzitutto aprire all'Italia la strada di Roma. Quelle trattative fallirono allora e fallirono anche nell'anno seguente. Il M., dopo aver rifatto due o tre volte il suo gabinetto, che in origine era costituito quasi soltanto di senatori, si dimise il 19 novembre 1869. La sua vita parlamentare era finita. Nel 1870, fu in missione straordinaria a Vienna e nel 1873 andò a Stoccolma per l'incoronazione del re Oscar II. Nel 1874 ricevette alla frontiera l'imperatore Francesco Giuseppe che veniva a Venezia per restituire a Vittorio Emanuele la visita fattagli, l'anno innanzi, a Vienna; e finalmente fu ambasciatore a Londra (1876-1882) e a Parigi (1882-1892) negli anni difficili della questione di Tunisi. Morì nella nativa Savoia, a Saint-Cassin presso Chambéry, il 26 maggio 1896.
Bibl.: A. Verona, L. F. M., in L. Carpi, Il Risorg. ital., Milano 1884, vol. I, pp. 419-437; M. Mari, L'arresto del generale Garibaldi e il ministero M., Firenze 1913.