memoria
Il termine designa la capacità di conservare e riproporre le immagini delle esperienze passate, siano esse sensibili o intellettuali; ma designa anche le stesse immagini o ricordi di quelle esperienze. Con questi valori occorre nelle opere latine e volgari di Dante.
La dottrina della m. ha avuto il primo importante svolgimento dalla filosofia platonica. Platone nel Menone (86a-c; cfr. 81c) riconosce che la m. è propria dell'anima, e che il conoscere è ricordare, cioè " ridestare nella m. " ciò che ci pare di non sapere e che invece è solo dimenticato. Nella tradizione platonica, Plotino afferma (Enn. IV III 29-30) che l'anima ha m. non solo sensibile (e cioè delle esperienze che si ottengono grazie alla percezione dei sensi), ma anche intellettiva (cioè dei pensieri e delle rappresentazioni: ma cfr. Platone Tim. 37b, 51b). Secondo Aristotele, invece, m. è uno dei sensi interni, insieme con la fantasia o immaginativa e l'estimativa o cogitativa; la m. è direttamente propria della percezione sensibile, e solo indirettamente o accidentalmente si ha m. di cose passate o contemplate (Mem. et rem. 1, 450a 12-14; 2, 451a 28-29 e 449b 18-23). Tuttavia va tenuto presente il contributo dei medici dell'antichità, i quali hanno legato la ‛ qualità ' dei sensi interni al temperamento di ciascuno (un'interessante testimonianza in Plotino op. cit. IV III 26 " proprio per via del temperamento fisico noi siamo di memoria tenace ovvero smemorati "); Galeno ha ripreso e trasmesso al Medioevo la triplice distinzione aristotelica dei sensi interni (cfr. H.A. Wolfson, The internal senses in Latin, Arabic, and Hebrew philosophic Texts, in " Harvard Theological Review " XXVIII [1935] 72). Ma nella tradizione arabo-ebraica la classificazione dei sensi interni subisce una modificazione; per quanto ci riguarda, in genere si distinguono due capacità di conservare le esperienze: una che conserva le ‛ forme ' del senso comune, o anche della fantasia, ed è detta immaginazione, mentre l'altra, che è deposito della cogitativa, è la m. propriamente detta; questa ha sede nel lobo occipitale del cervello; ‛ veicolo ' di queste potenze è lo ‛ spirito ', o soffio vitale; esso fa da mediatore tra l'anima e il corpo; così in campo medico Costantino Africano, il quale ritiene la tripartizione aristotelico-galenica (cfr. De communibus medico cognitu necessariis locis V 81, Basilea 1539, 152 " Actio regitiva sive ordinativa est phantasia, ratio et memoria, quae omnia mens sunt vocata "), afferma che lo ‛ spirito animale ', cioè lo spirito che procede dal cervello, " transit... de anteriori cerebro ad posterius, et hoc non fit nisi cum necesse fuerit recordari alicuius rei quae tradita est oblivioni, tempore scilicet quo fit cognitio in praeteritis " (De Anima et spiritus discrimine, Basilea 1539, 310).
Nell'Occidente latino non si hanno che sporadici tentativi di sistemare la riflessione sulle facoltà proprie del conoscere. La m. occupa un posto nelle dottrine oratorie: cfr. Cic. Inv. I VII 9 " memoria est firma animi rerum ac verborum ad inventionem perceptio "; Rhet. ad Her. I II 3 " oportet... esse in oratione inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam, pronuntiationem ", e III XVI 28 " ad thesaurum inventorum atque ad omnium partium rhetoricae custodiem, memoriam, transeamus ". Ma grande rilievo ha la m. nel pensiero di s. Agostino, sulla traccia della dottrina platonica della reminiscenza (il riferimento esplicito è in Trin. II I 15). Egli individua tre facoltà dell'anima, m. intelletto e volontà, che rappresentano la traccia della Trinità nell'uomo (Trin. XIV VII 13 " memoria, intelligentia, voluntas ", ma in IX IV 4 i termini occorrenti per designare le tre facoltà sono mens, notitia, amor) forse rifacendosi alla trilogia di Gregorio di Nissa νοῦς, λόγος, ἀγάπη (De Hominis opificio, Patrol. Graec. XLIV 137B-C; cfr. R. Javelet, Image et Ressemblance au douzième siècle, de saint Anselm à Alain de Lille, s. l. 1967, II, Tables des idées, sub v. mémoire). La m. rappresenta, in particolare, la traccia del Padre; ma nel Medioevo, la Summa Duacensis documenta un triplice modo d'intendere la m., due dei quali spettano alla teologia e uno alla filosofia (in physicis): il testo, rifacendosi a Rabano Mauro (In Eccli. 17, 1, Patrol. Lat. CIX 874) e allo ps. agostiniano De Spiritu et anima (cap. 35, Patrol. Lat. XL 805 ss.), afferma che la m. corrisponde allo Spirito Santo, e aggiunge: " Alio autem modo et diverso loquitur Augustinus attribuens memoriam vel mentem Patri. Unde secundum hanc vim loquentes, describere possumus memoriam sic dicendo: memoria est conservatio similitudinis Dei in anima per quam ipsa anima naturaliter ducitur in id quod naturaliter est intelligendum et naturaliter diligendum, hoc est in primum verum et primum et summe bonum... Tertio autem modo accipitur memoria secundum physice vel philosophice loquentes hoc modo: memoria est thesaurus in quo recipiuntur ymagines rerum vel species per extrinsecas similitudines acceptae " (La " Summa Duacensis " [Douai 434], ediz. P. Glorieux, Parigi 1955, 21).
Nella tradizione agostiniana m., si è visto, ha come concorrente il termine mens; ma quest'ultimo termine designa propriamente la parte superiore dell'anima razionale (cfr. Agostino Trin. XV VII 11 " non... anima, sed quod excellit in anima, mens vocatur "), mentre la m. sembra essere la ‛ parte ' dell'anima che di Dio e degl'intelligibili conserva le tracce (Conf X 24-25); tuttavia anche la m. è considerata parte superiore dell'anima (X 17 " ego ascendens per animum meum ad te, qui desuper mihi manes, transibo ad istam vim meam, quae memoria vocatur, volens attingere, unde attingi potest, et inhaerere tibi, unde inhaereri tibi potest "; ma cfr. In Iohannis evang. 23, 11, Patrol. Lat. XXXV 1589 " ecce in mente tua video aliqua duo, memoriam tuam et cogitationem tuam, id est, quasi aciem quandam et obtutum animae tuae "), o addirittuta è identificata con l'animus (Conf X 14 " cum animus sit etiam ipsa memoria "). Così Isidoro Etym. XI I 12 " mens... vocata quod emineat in anima vel quod meminit "; De Spiritu et anima, cit., cap. 34, 803-804 " Memoria etiam mens est; unde et immemores amentes dicimus. Omnium rerum thesaurus et custos est memoria, nec enarrari potest, tam grandis est eius perplexitas; et animus ipsa est. Mens autem vocata est, quod emineat in anima, vel quod meminerit. Quapropter non anima, sed quod excellit in anima, mens vocatur, tanquam caput vel oculus. Unde et ipse homo secundum mentem imago Dei dicitur "; Uguccione Derivationes (sub v. memini): " est memoria firma comprehensorum mora in mente; unde quidam volunt quod derivetur a mora, quia autem dicitur memoria quasi in mente mora ethimologia est... Item a memini haec ‛ mens, tis '; unde haec ‛ mentio, nis ' et ‛ mentior, mentiris, mentitus '... "; Summa Duacensis, cit., 21 " Notanda est etiam... differentia mentis et memoriae... Mens dicit ipsam animam substantialiter, sed in ratione ad suum actum; memoria vero dicit ipsum animae habitum vel principium ducendi vel ipsam ductionem qualem supra posuimus " (cfr. il passo citato della stessa opera).
Le prime classificazioni delle potenze dell'uomo, risultanti da contaminazioni di notazioni artistoteliche, stoiche, platonizzanti e mediche, sono fornite all'Occidente nel sec. XII dai testi dei medici arabi e utilizzate da filosofi della natura quale Guglielmo di Conches e da mistici quali i vittorini. Ma Pietro Lombardo ritorna alla trilogia agostiniana (O. Lottin, Psychologie et morale aux XIIe et XIIe siècle, I, Lovanio-Grenoble 1942, 438) e solo con la diffusione del De Fide orthodoxa di Giovanni Damasceno nella traduzione di Burgundio da Pisa (cfr. l'ediz. E.M. Buytaert, St. Bonaventure N. Y.-Lovanio-Paderborn 1955, XXXIV 129-130; il Damasceno dipende da Nemesio De Natura hominis 13, Patrol. Graec. L 660B-664A; è da notare che per il Damasceno duplice è la m., essendo " coacervatio " sia delle esperienze sensibili che di quelle intelligibili), delle opere di Avicenna, Aristotele e Averroè, i Latini compiono un notevole sforzo di assimilazione delle dottrine psicologiche (cfr. P. Michaud-Quantin, Albert le Grand et les puissances de l'âme, in " Revue du Moyen Age latin " XI [1955] 59). La classificazione-tipo dei sensi interni nel sec. XIII è: senso comune, immaginazione, fantasia, estimativa, m. (Michaud-Quantin, op. cit., p. 69); oltre che senso interno, la m. allora viene considerata anche, prevalentemente sotto l'influsso agostiniano, come facoltà dell'anima razionale (B. Nardi, L'avverroismo del primo amico di D., in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 105).
Molti dei temi ai quali si è accennato tornano nell'opera di D.; ne analizzeremo qui di seguito le occorrenze fondamentali.
La m. come facoltà. - Secondo D., la m. è una facoltà (virtù) dell'uomo, sia a livello di senso interno sia a livello di potenza dell'anima razionale. Essa è il " thesaurus " che conserva il ricordo delle esperienze passate (Cv II II 4 Però che l'uno era soccorso de la parte [de la vista] dinanzi continuamente, e l'altro de la parte de la memoria di dietro; IV XXVIII 11 E benedice anco la nobile anima in questa etade li tempi passati... però che, per quelli rivolvendo la sua memoria, essa si rimembra de le sue diritte operazioni; Pd XXVIII 10 così la mia memoria si ricorda / ch'io feci riguardando ne' belli occhi).
In quanto senso interno, la m. non conserva solo, secondo la dottrina del tempo, la materia della cogitativa, ma anche, secondo D., quella della fantasia, fungendo così da ‛ deposito ' di questa, cioè dando ad essa il materiale sulla quale si ‛ esercita ': Vn XVI 2 molte volte io mi dolea, quando la mia memoria movesse la fantasia ad imaginare quale Amore mi facea.
I testi fondamentali per la dottrina dei sensi interni sono, come si è detto, quelli dei filosofi arabi; in essi è ben illustrato il ruolo che la m. svolge nei confronti della fantasia, oltre che dell'estimativa o cogitativa: cfr. Avicenna Liber de anima, ediz. S. Van Riet, Lovanio-Leida 1968, 10 " Et aliquando perveniet ab intentione [cioè, dall'impressione dovuta ad esperienza interiore; cfr. pp. 6-7] ad formam [cioè, all'immagine ricavata dai sensi], et memoria habita non habebit comparationem ad id quod est in thesauro retinendi, sed ad id quod est in thesauro imaginandi; et erit eius conversio, aut ex hoc quod convertitur ad intentiones quae sunt in retentione, ita ut intentio faciat formam necessario apparere et converteretur iterum comparatio ad id quod est in imaginatione, aut propter conversionem ad sensum "; e 20 " Haec autem virtus imaginativa solet semper rimari duos thesauros formalis et memorialis et semper repraesentare formas; incipiens a forma sensata aut memorata procedit ab ea ad contrariam vel ad consimilem vel ad aliquid inter quod et illam sit aliqua comparatio, et haec est natura eius "; Averroè Comm. magnum in Arist. De anima libros, ediz. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, II, t.c. 153 " ymaginatio enim est voluntaria nobis; cum enim voluerimus ymaginari res depositas in virtute conservativa quas prius sensimus, poterimus facere. Et hoc intendebat [Aristotele] cum dixit: possumus enim facere, etc. Idest, et possumus etiam per hanc virtutem fingere formas ymaginabiles, quarum individuo nunquam sensimus "; cfr. anche R. Bacone Opus maius, Francoforte s. M. 1964, V, Perspectiva I X 3 " nisi adsit imaginatio et memoria visionis prius factae circa rem, non fiet comprehensio in secundo modo ", cioè il ricordo di una sensazione passata, e l'anonimo De Potentiis animae et obiectis (ediz. D.A. Callus, in The Powers of the Soul, an early Umpublished Text, in " Rech. théol. anc. et méd. " XIX [1952] 154): " Et est iterum conversio virtutis sensibilis interioris super imaginem tamquam rem, et secundum hoc dicitur imaginatio. Et est iterum alius actus secundum quem movetur vis ab uno phantasmate ad aliud componendo ac dividendo ac si essent res, et secundum hoc dicitur phantasia. Dicitur iterum imaginativa secundum transformationes quae fiunt in sompno, et fit reditio iterum super sensus prout apparet quod videat, et ita de aliis, maxime autem usus est in hac secundum visum. Dicitur etiam memoria secundum conservationem phantasmatum sensibilium sine qua conservatione non procedunt actus praedictarum virium. Dicitur autem memorativa in quantum memoratur aliquid prius sensatum ". Nella cultura latina m. viene dunque a significare anche, in generale, il ‛ tesoro ' delle ‛ forme ' come delle ‛ intenzioni ', per dirla con Avicenna, e cioè di tutto ciò di cui si è avuto esperienza; m. è quindi anche il tesoro della fantasia (seguendo così la tripartizione aristotelico-galenica dei sensi interni; per questo v. IMAGINAZIONE).
In Vn XXXIV 4 Dico che secondo lo primo questo sonetto ha tre parti: ne la prima dico che questa donna era già ne la mia memoria, e § 6 Per questo medesimo modo si divide secondo l'altro cominciamento, salvo che ne la prima parte dico quando questa donna era così venuta ne la mia memoria (ma cfr. 7 1 Era venuta ne la mente mia: lo stesso verso è al § 8 1) m. (o mente) è il ‛ luogo ' che conserva la ‛ forma ' della ‛ donna ' (si noti che spesso in D. ‛ mente ' sta per m.: v. MENTE); ma in XV 2 io le direi, che sì tosto com'io imagino la sua mirabile bellezza, sì tosto mi giugne uno desiderio di vederla, lo quale è di tanta vertude, che uccide e distrugge ne la mia memoria ciò che contra lui si potesse levare; e però non mi ritraggono le passate passioni da cercare la veduta di costei, D. afferma che l'immagine, o forma sensibile, della sua donna si accompagna a un desiderio di vederla così forte da vincere ogni altro ricordo che potrebbe sorgere dalla m. e distrarlo.
Il processo mediante cui la forma della donna amata viene richiamata dalla m. e domina l'anima dell'amante è così illustrato da Dino del Garbo nel commento a Donna me prega di G. Cavalcanti (cfr. G. Favati, La glossa latina di Dino del Garbo a " Donna me prega " del Cavalcanti, in " Annali Scuola Norm. Sup. Pisa " XXI [1952] 90): " Hic ergo vult dicere quod amor habet esse in parte memoriali, quum impressio speciei rei, ex qua creatur amor, conservatur in memoria et retinetur in ea sicut lumen procedens ab aliquo corpore luminoso ", e " Et haec est causa quod talis homo non potest firmiter ymaginare: quod cum homo, qui est in perfecto amore, est in cogitatione alterius rei, subito venit sibi in apprensione species rei quam diligit. Et hoc accidit quod species rei, quam amat in memoria eius, licet sit in potentia quando de ea non cogitat, tamen est in potentia multum propinqua actui: unde ex modica alteratione accidit quod talis species fiat in actu; et tunc circa ipsam cogitat et ideo disrumpitur et abscinditur species prima et apprensio prima; et hoc est quod vult dicere iste cum dicit Et uol ch'uom miri non fermato loco; idest, et facit haec passio ut homo non firmiter possit cogitare in aliquo " (p. 100).
Alla m. come facoltà dell'anima secondo la tradizione agostiniana D. si riferisce in Pg XXV 83 l'altre potenze tutte quante mute; / memoria, intelligenza e volontade / in atto molto più che prima agute: dopo la morte, le facoltà dell'anima ordinate al corpo restano inattive (mute), mentre quelle proprie dell'anima razionale e che non hanno bisogno degli organi del corpo per operare sono in atto al massimo delle loro possibilità.
Ci si riferisce alla m. di D. in If XXX 135 ch'ancor per la memoria mi si gira, cioè l'impressione è ancora viva nella mia m., Pg XX 147 (se la memoria mia in ciò non erra), e XXXIII 125 (Forse maggior cura, / che spesse volte la memoria priva, / fatt'ha la mente sua ne li occhi oscura), dove Beatrice afferma che la maggiore attenzione prestata, che spesso offusca la m., ha oscurato la mente di D. tanto che egli non riconosce ciò che pure sa (cfr. Benvenuto: " quod habet in memoria videre non credit "); perciò, continua Beatrice, la tramortita sua virtù ravviva (v. 129), rafforza la sua memoria (virtù) con l'acqua del fiume Eunoè.
Più generalmente, ci si riferisce alla " capacità di ricordare " in Cv IV IV 14 li lunghi capitoli sono inimici de la memoria; XIV 8 quanto gli uomini smemorati più fossero, più tosto sarebbero nobili; e per contrario, quanto con più buona memoria, tanto più tardi nobili si farebbero (negli argomenti contro la tesi secondo la quale nobiltà è legata all'antichità della stirpe); XXVII 5 Conviensi adunque essere prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria de le vedute cose, buona conoscenza de le presenti e buona provedenza de le future (per cui cfr. Cicerone Inv. II LIII 160 " Prudentia est rerum bonarum et malarum neutrarum scientia. Partes eius: memoria, intelligentia, providentia. Memoria est, per quam animus repetit illa, quae fuerunt; intelligentia, per quam ea perspicit, quae sunt; providentia, per quam futurum aliquid videtur ante quam factum est "; Isidoro Differentiae II 87, Patrol. Lat. LXXXIII 83A " Inter memoriam, mentem, et cogitationem, talis distinctio est, quod memoria praeterita retinet, mens futura praevidet, cogitatio praesentia complectitur "; Uguccione [loc. cit.]: " Item, memoria praeterita retinet, mens futura praevidet, cogitatio praesentia complectitur "); Pd IX 126 la Terra santa, / che poco tocca al papa la memoria; Ep III 8 illud de memoria sane tua non defluat; in Rime dubbie VI 12 memoria scioccuzza vale " m. debole ".
Il libro della memoria. - In Vn I In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova, e II 10 verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi, D. paragona la m. a un libro che conserva il ricordo del passato. La metafora torna spesso in D. (Rime LXVII 59 nel libro de la mente che vien meno; If II 8 o mente che scrivesti ciò ch'io vidi; XV 88 Ciò che narrate di mio corso scrivo; Pd XVII 91 portera'ne scritto ne la mente; XXIII 54 [il] libro che 'l preterito rassegna) e ha attirato l'attenzione degli studiosi, dallo Zingarelli (Il libro della memoria, in " Bull. " I [1893-94] 98-101), il quale si è rifatto a Pier della Vigna: " in tenaci memoriae libro perlegimus " (Historia diplomatica Friderici II, ediz. Huillard-Bréholles, VI I, 502), a E.R. Curtius (Das Buch als Symbol in der D.C., in Festschrift Paul Clemen, Bonn 1926, 44-54, ora in Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Berna 1948, 327-334), a C. S. Singleton (Saggio sulla " Vita Nuova ", trad. ital. Bologna 1968, 39-75), il quale nota che la metafora è antica (come ben documenta citando testi di varia natura, a cominciare da quelli di Agostino, ad es. Civ. XX 14), ed era molto usata nel Medioevo specie per indicare, in contrapposizione al libro della rivelazione o Bibbia, il ‛ libro ' della natura che parla di Dio all'uomo in modo analogo a quello.
Del resto, Tommaso d'Aquino (Sum. theol. I 24 1 ad 1, dove si discute del " liber vitae " e della " praedestinatio ") indica testi ancora più antichi: " Dicitur autem metaphorice aliquid conscriptum in intellectu alicuius, quod firmiter in memoria tenet, secundum illud Prov. [3, 1]: ‛ Ne obliviscaris legis meae et praecepta mea cor tuum custodiat '; et post pauca [3, 3] sequitur: ‛ describe illa in tabulis cordis tui '. Nam et in libris materialibus aliquid conscribitur ad succurrendum memoria ".
La M. e il ‛ suggello '. - Una diversa metafora è quella che accosta la m. alla cera nella quale il sigillo imprime la sua impronta: Cv I VIII 12 Onde acciò che 'l dono faccia lo ricevitore amico, conviene a lui essere utile, però che l'utilitade sigilla la memoria de la imagine del dono, [la] quale è nutrimento de l'amistade, e Rime dubbie VII 3 Amor ne la memoria ti suggella. D. fa spesso ricorso anche a questa metafora: cfr. Pg XXXIII 79-81 Sì come cera da suggello, / che la figura impressa non trasmuta, / segnato è or da voi lo mio cervello (ma si veda anche X 45 come figura in cera si suggella; XVIII 38-39 ma non ciascun segno / è buono, ancor che buona sia la cera); Pd I 23-24 l'ombra del beato regno / segnata nel mio capo; II 132 [il cielo, della mente divina] fassene suggello; XXIV 143 la mente mi sigilla.
L'immagine deriva dal De Anima di Aristotele ed è applicata alla m. da Alberto Magno (cfr. Liber de memoria et rem., in Opera, ediz. A. Borgnet, IX, Parigi 1891, I 4, 103b " Aliquando enim pictura quae fingitur in anima sensibili per sensum accepta, est passio et qualitas quaedam illius eiusdem partis animae, cuius superius diximus esse memoriam habitum quendam: factus enim motus sensibilis ad animam, signat unum individuum in quo reflexio fit per memoriae actum: et hoc sic est sicut figura quaedam vel alius motus sensibilis gustus vel odoratus, sicut sigillantis annuli qui in cera relinquit signum sine materia, sicut in libro de Anima est determinatum ", e De Anima, ediz. C. Stroick, in Opera, ediz. B. Geyer, Münster W. 1968, II I 3, 68b (ad Aristotele De Anima II 1, 412b 7 " non oportet quaerere, si unum est anima et corpus sicut neque ceram et figuram [κηρὸν καὶ τὸ σχῆμα]: " Non enim quaerimus, si figura est idem cum cera in sigillo, neque universaliter umquam dubitamus, si idem sit actus et id cuius est actus sicut materiae ".
M., intelletto, ingegno. - Di grande interesse per comprendere la concezione dantesca dell'ispirazione e della composizione poetica sono le occorrenze del termine m. in una con intelletto e ingegno. In Pd I 9 Nel ciel che più de la sua luce prende / fu'io, e vidi cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende; / perché appressando sé al suo disire, / nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire (cfr. Ep XIII 77), D. afferma che quanto più la nostra facoltà intellettiva si avvicina a Dio, sommo vero e perciò suo oggetto naturale e proprio, tanto più essa s'immerge in lui, quasi uscendo fuori di sé, cioè operando al di fuori delle condizioni abituali della sua attività in questa vita, di modo che la m. è incapace di tener dietro alla visione dell'intelletto e di conservarne tutto il ricordo (cfr. Ep XIII 78; che glossa così il passo: Ad quae intelligenda sciendum est quod intellectus humanus in hac vita, propter connaturalitatem et affinitatem quam habet ad substantiam intellectualem separatam, quando elevatur, in tantum elevatur, ut memoria post reditum deficiat propter transcendisse humanum modum). Anzi, in Pd XXXIII 57 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che 'l parlar nostro, ch'a tal vista cede, / e cede la memoria a tanto oltraggio, s'insiste sul fatto che la visione di Dio trascende, eccede ogni capacità di ricordo, ma trascende anche ogni capacità espressiva dell'uomo. Si stabilisce dunque un rapporto tra intelletto e m. da un lato, m. e capacità espressiva dell'uomo, o meglio attività poetica, dall'altro: cfr. I 10-12 quant'io del regno santo / ne la mia mente potei far tesoro, / sarà ora matera del mio canto: tutto ciò che ho potuto conservare nel tesoro della m. (mente) è materia della mia poesia.
Dell'incapacità di conservare il ricordo di un'esperienza eccezionale D. parla anche in Vn XXI 8 (Poscia quando dico: Ogne dolcezza, dico quello medesimo che detto è ne la prima parte, secondo due atti de la sua bocca; l'uno de li quali è lo suo dolcissimo parlare, e l'altro lo suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo come adopera ne li cuori altrui, però che la memoria non puote ritenere lui né sua operazione, per cui cfr. II 5 Apparuit iam beatitudo vestra, e XXI 4 12-14 Quel ch'ella par quando un poco sorride, / non si pò dicer né tenere a mente, / si è novo miracolo e gentile), ma nel Paradiso è tema costante: XVIII 8-12 qual io allor vidi / ne li occhi santi amor, qui l'abbandono: / non perch'io pur del mio parlar diffidi, / ma per la mente che non può redire / sovra sé tanto, s'altri non la guidi: senza l'aiuto della grazia la m. (mente) non può ritornare su sé stessa, e quindi ricordare; non si tratta solo (pur) d'incapacità di esprimere in linguaggio il ricordo, ma dell'incapacità umana di ricordare quell'esperienza; XX 12 cominciaron canti / da mia memoria labili e caduci ribadisce l'impossibilità per la m. di conservare la traccia dell'esperienza sovrumana di D. (cfr. ancora XXXIII 67-75; m. è al v. 73). Talora, tuttavia, il ricordo non può essere espresso in immagini poetiche: XIV 103 Qui vince la memoria mia lo 'ngegno (cfr. XXXIII 106-108).
Per intendere il rapporto intelletto-m. bisogna rifarsi all'esperienza mistica propria della tradizione cristiana. L'Ep XIII 80, a proposito di Pd I 4-9, richiama s. Agostino De Quantitate animae, s. Bernardo Tractatus de consideratione e Riccardo di San Vittore De Gratia contemplationis (per l'influenza su D. di questi e altri mistici, cfr. E.G. Gardner, D. and the Mystics, Londra 1913); ma mentre i primi due testi non offrono elementi decisivi, per intendere il passo citato serve meglio l'Agostino delle Conf. IX 10, dov'è descritta la visione di Ostia: " Et adhuc ascendebamus interius cogitando, et loquendo, et mirando opera tua; et venimus in mentes nostras, et trascendimus eas, ut attingeremus regionem ubertatis indeficientis... ubi vita sapientia est... Et dum loquimur et inhiamus illi, attigimus eam modice toto ictu cordis, et suspiravimus et reliquimus ibi religatas primitias spiritus, et remeavimus ad strepitum oris nostri, ubi verbum et incipit et finitur "; ma serve soprattutto Riccardo di San Vittore (op. cit. V 2, Patrol. Lat. CXCVI 169D-170A): " Tribus autem modis, ut mihi videtur, contemplationis qualitas variatur. Modo enim agitur mentis dilatatione, modo mentis sublevatione, aliquando autem mentis alienatione... Mentis alienatio est quando praesentium memoria menti excidit, et in peregrinum quemdam et humanae industriae invium animi statum divinae operationis transfiguratione transit. Hos tres contemplationis modos experiuntur, qui usque ad summam eiusmodi gratiae arcem sublevari merentur ", e IV 23, 167B " Cum enim per mentis excessum supra sive intra nosmetipsos in divinorum contemplationem rapimur, exteriorum statim imo non solum eorum quae extra nos, verum etiam eorum quae in nobis sunt omnium obliviscimur. Et item cum ab illo sublimitatis statu ad nosmetipsos redimus, illa quae prius supra nosmetipsos vidimus in ea veritate vel claritate quae prius perspeximus ad nostram memoriam revocare omnino non possumus. Et quamvis inde aliquid in memoria teneamus, et quasi per medium velum et velut in medio nebulae videamus, nec modum quidem videndi, nec qualitatem visionis comprehendere, vel recordari sufficimus. Et mirum in modum reminiscentes non reminiscimur, dum videntes non pervidemus, et aspicientes non perspicimus, et intendentes non penetramus ".
Per quanto riguarda poi il rapporto ingegno-m., va rilevato che le invocazioni alle muse (If II 7 e Pg I 8) o ad Apollo (Pd I 13) premesse alle tre cantiche sono richiesta della gratuita assistenza divina nello svolgimento, da parte dell'ingegno (alto ingegno, If II 7) o fantasia poetica (alta fantasia, Pd XXXIII 142), della materia raccolta e conservata dalla m. (non per nulla madre delle muse è la M.: cfr. Isidoro Etym. III XV 1-2 e Boccaccio Esposizioni, ediz. G. Padoan, pp. 97 ss. §§ 17-20, 102 §§ 37-39); l'ispirazione vale dunque innanzi tutto a vivificare il ricordo di ciò che il poeta ha visto, e quindi a sostenere la sua capacità creativa. Ingegno (v.) è la somma delle capacità naturali innate di cui un certo uomo è dotato. Nel caso specifico, ingegno e arte (v.) rappresentano nella tradizione retorica i due estremi delle capacità naturali dell'artista e delle risorse delle tecniche di composizione. Ma Guglielmo di Conches (Glossae super Platonem XXXV, ediz. E. Jeauneau, Parigi 1965, 83) nota: " ingenium doctrina et studio emendatur vel corrumpitur ", di modo che nel testo dantesco ingegno può valere ‛ la somma delle capacità poetiche rafforzate dell'arte '. Ingegno e m. stanno in rapporto tale che la m. offre all'ingegno la ‛ materia ' da elaborare. In senso generico, m. e ingegno occorrono insieme in Cv II XV 8 l'anime libere... d'ingegno e di memoria dotate.
La M. come ‛ ricordo '. - Nel senso di " ricordo ", il termine m. occorre in Cv II VI 7-8 questa anima non è altro che un altro pensiero accompagnato di consentimento, che, repugnando a questo, commenta e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice. Ma però che ancora l'ultima sentenza de la mente, cioè lo consentimento, si tenea per questo pensiero che la memoria aiutava, chiamo lui anima; il ‛ ricordo ' è ‛ abbellito ' e quindi ‛ aiutato ', dal consentimento; If XXIV 84 la memoria il sangue ancor mi scipa (il ricordo della vista dei serpenti altera ancora il sangue di D.); Pg II 107 Se nuova legge non ti toglie / memoria o uso a l'amoroso canto (non ti toglie il ricordo, o impedisce l'esercizio); XXVIII 128 [il fiume Lete] toglie altrui memoria del peccato, mentre in D. le memorie triste / ... non sono ancor da l'acqua offense (XXXI 11); Ep II 1 memoria eius usque quo sub tempore vivam dominabitur michi.
Altre occorrenze ritengono, insieme col valore fondamentale di " ricordo ", la connotazione di " fama ", e, nel caso di ‛ buona m. ', quella di " gloria " (cfr. Alano di Lilla Liber de distinctionibus, Patrol. Lat. CCX 855C, sub v. MEMORIA): Cv IV XI 14 amore hanno a la memoria di costoro; XIV 11 (ancora negli argomenti contro la tesi che nobiltà sia legata all'antichità della stirpe) di sua bassa condizione non è memoria, 12 fia sempre la sua memoria, cioè la sua fama (di Gherardo da Camino), e 14 Pognamo che ne la etade di Dardano de' suoi antecessori bassi fosse memoria, e pognamo che ne la etade di Laomedonte questa memoria fosse disfatta, e venuta l'oblivione... Noi, a li quali la memoria de li loro anticessori ... [non è rimasa]: che l'oblio sia corruzione del ricordo, e cioè delle immagini conservate nella m., più che l'attenuarsi e l'allontanarsi di esse dalla soglia della coscienza risulta anche dal § 10 (con ciò sia cosa che l'oblivione sia corruzione di memoria): cfr. Avicenna Canon III fen I, IV 12, in Opera, Venezia 1557, 203A " Et oblivio quidem, et corruptio memoriae, secundum plurimum non accidunt nisi ex frigiditate, et humiditate "; Cv IV XXIX 5 la statua fatta in memoria del tuo antico... la statua... rimasa per memoria d'alcuno valente uomo; § 7 la bontade, che in sola la memoria è rimasa; If VIII 47 bontà non è che sua memoria fregi; XIII 77 conforti la memoria mia; XXIX 103 Se la vostra memoria non s'imboli / nel primo mondo da l'umane menti; Pg XII 16 perché di lor memoria sia; Pd XIX 16 in terra lasciai la mia memoria; Mn II III 6 Virgilius... Aeneam patrem Romani populi fuisse testatur in memoriam sempiternam, e V 11 Huius etiam memoriam confirmavit Poeta noster.
L'espressione ‛ reducere a m. ', " richiamare alla m. o alla mente ", quindi " ricordare ", è ricalcata su quella latina ad memoriam reducere (cfr. VE II III 2, VI 7; per essa si veda Cic. Inv. I LII 98 " reducere in memoriam ", e Platone Meno, interprete Henrico Aristippo, ediz. V. Kordeuter, rec. et praef. C. Labowsky, Londra 1940, " Plato latinus " I, 82b; e Phaedo, interprete Henrico Aristippo, ediz. L. Minio-Paluello, ibid. 1950, " Plato latinus " II, 73a, 88d: in tutti questi luoghi l'espressione occorrente è " in memoriam reducere "). L'espressione occorre in Cv I IX 2, III XII 12, XIII 10, IV XIX 3, XXIX 2 (io riduco a memoria e rappresento li miei maggiori).
L'espressione ‛ memoriam facere ' (Mn II VIII 4) vale " ricordare " con valore attivo; ‛ avere a m. ' significa " ricordarsi " (Pg XIII 127 se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe / Pier Pettinaio in sue sante orazioni); ‛ a m. di ' vale " in ricordo di ", " ricordandosi di " (IX 15 forse a memoria de' suo' primi guai). Il passo in memoria aeterna erit iustus (da Ps. 3, 7), citato in Mn III I 4, vale " vita eterna " (cfr. Alano di Lilla, loc. cit.); v. anche MENTE.
La M. degli angeli. - In Pd XXIX 71-81 si pone il problema se gli angeli abbiano intelletto, m. e volontà (l'angelica natura / è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, v. 72) e si risponde che essi non hanno bisogno di rememorar per concetto diviso (v. 81). Era dottrina comune ai teologi medievali che gli angeli contemplano Dio e in lui hanno conoscenza continua e intuitiva di tutto, e quindi non hanno necessità di ricordare. Nelle scuole teologiche tuttavia si discuteva quale fosse la conoscenza che gli angeli hanno del mondo naturale e dei fatti contingenti, e, per conseguenza, se essi hanno m. dei fatti passati, alla stregua degli uomini, che ricordano ciò che non è più presente e ‛ compongono ' e ‛ dividono ' le nozioni. D. nega che gli angeli abbiano m., perché contemplano tutto in Dio come in un eterno presente e in lui hanno conoscenza anche del mondo contingente; anzi il poeta considera vana la speculazione teologica che si esercita su problemi privi di reale fondamento. Un'esauriente, anche se rapida, analisi del passo e i necessari riferimenti alla cultura teologica medievale sono in B. Nardi, Il tomismo di D. secondo Emilio Bodrero, in Nel mondo di D., Roma 1944, 371-375; E. Bodrero (in D. contro Duns Scoto, in " Archivio di filosofia " IX 2, 83-97) afferma che l'opinione criticata da D. è quella di Duns Scoto; cfr. ancora B. Nardi, Il canto XXIX del Paradiso, in Convivium XXIV (1956) 300-301.
〈\aut>Alfonso Maierù〈/aut>