MEMMO di Filippuccio
MEMMO di Filippuccio. – Figlio dell’orafo Filippuccio, nacque a Siena in data imprecisata. Anche suo fratello Mino (o Minuccio) fu pittore e pittori furono i suoi figli tra cui spicca Lippo di Memmo, raffinato compagno e socio di Simone Martini.
Quest’ultimo, avendo quasi certamente passato un periodo di apprendistato nella bottega di M., divenne in seguito anche suo genero.
Il primo documento che riguarda M. si trova nel libro di Biccherna del 1288 (Archivio di Stato di Siena, Biccherna, 97, c. 2r), quando dovette pagare una multa in solido con il fratello. Era quindi già maggiorenne e questo porterebbe a porre la sua data di nascita intorno ai primi anni Sessanta del Duecento. La seconda citazione documentaria che si ha di lui è contenuta nel libro di Biccherna del 1294 (ibid., 110, c. 125r); ed è in questo periodo che possono già ipotizzarsi probabili suoi occasionali soggiorni a San Gimignano. È qui infatti che egli dovette guadagnare la sua maggiore fama e dimorare per un periodo di tempo compreso tra il 1303 e il 1317 diventando pittore civico e organizzando la sua bottega, destinata a essere condotta sempre a livello familiare.
Appare evidente che M. arrivò a San Gimignano già con una formazione e una prima parte di attività svolta probabilmente anche fuori da Siena. Fu Previtali (1962) il primo che provò a ricomporre il quadro e a dare avvio alla redazione di un catalogo che tuttora non appare di facile composizione. Per intendere quale dovette essere il primo fatto fondamentale per la formazione dello stile di M. bisogna, ancora oggi, fare riferimento all’indicazione di Longhi, il quale identificò la mano dell’allora giovane pittore nella basilica superiore di Assisi, nei primi momenti, intorno al 1290, della decorazione affidata a Giotto e alla sua vasta bottega.
M. dovette avere il compito di eseguire in particolare molte delle mezze figure di santi e profeti che apparivano nei compassi delle fasce decorative delle Storie bibliche, ma anche intervenire nelle prime Storie francescane. La partecipazione a questa impresa non è più stata messa in discussione, soprattutto perché gli esiti di quella esperienza tornano a lungo e costanti nelle opere di Memmo.
Dopo Assisi egli ebbe certamente qualche rapporto con la città di Pisa, ma contrastata appare l’attribuzione delle eventuali opere che lì avrebbe eseguito.
Vi sono state infatti alcune proposte critiche (Protesti Faggi, 1988, p. 6; Martelli, 1996, pp. 19-21) che sposterebbero, seppure con qualche cautela, la Madonna col Bambino ancora nella chiesa di S. Francesco, e il S. Giovanni Evangelista (Altenburg, Lindenau-Museum), entrambi parte di uno stesso polittico e attribuiti a M. da Previtali (1962), sotto il catalogo del problematico Maestro di San Torpè, pittore ipoteticamente collocato al fianco di Giotto ad Assisi (Weppelmann, 2008). Non è stata chiaramente affrontata dalla critica la questione del dossale (Madonna e santi) dell’episcopio di Oristano, riferibile, sempre per Previtali, al periodo pisano di Memmo. Ma la sua qualità e soprattutto la ricerca plastica nella costruzione delle figure, sebbene rese in chiave più corsiva, depongono in favore del mantenimento dell’opera nel catalogo di M.: la resa meno elegante, che è limitata però solo alle parti decorative, e non è certo riscontrabile in quelle spaziali e stilistiche, si deve, forse, alla destinazione eccentrica del dipinto nota già all’autore. Previtali proponeva di identificare il committente dell’opera nella figura dell’arcivescovo Scolaro Ardinghelli, ricordato in un’iscrizione del 1292, posta sotto gli affreschi del palazzo pubblico di San Gimignano e divenuto in seguito arcivescovo di Arborea, dove morì nel 1300.
Seppure con qualche incertezza critica, è con tale bagaglio che M. dovette arrivare a San Gimignano. I primi documenti relativi a quel soggiorno lo mostrano impegnato, nel 1303 e nel 1305, nella decorazione di libri per il podestà (Davidsohn, p. 311). Benché i codici siano andati perduti, questo elemento ha permesso alla critica di ricostruire per M. anche un’attività non sporadica di valente miniatore (Previtali, 1964).
Ulteriori approfondimenti critici (Boskovits, 1983) hanno però evidenziato una indubbia discrepanza stilistica, non si direbbe qualitativa, tra tavole e affreschi da un lato e miniature dall’altro imponendo così una forte riduzione del corpus delle miniature già attribuite a M., tra cui spiccavano alcuni famosi corali eseguiti per il duomo di Siena a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, con la necessità, tuttavia, di creare anonime figure di miniatori per poter delineare un catalogo omogeneo, ma non più ascrivibile a M. (Labriola, 2002, pp. 41-45, 281-288).
L’attività di pittore civico a San Gimignano si espletò, com’era consuetudine anche nella sua città natale, attraverso l’esecuzione non solo di opere monumentali, ma anche di stendardi, gonfaloni e opere di uso corrente. Dai pagamenti di questi lavori si apprende che egli viveva in città con tutta la sua famiglia (Graham) e risultava essere un regolare stipendiato del Comune. Relativamente alle opere di maggiore respiro si pone il problema di alcuni affreschi perduti condotti da M. nel palazzo pubblico (Carli, 1962, p. 73).
Gli affreschi dovevano probabilmente essere legati a quelli, eseguiti nello stesso luogo, che celebravano il passaggio di Carlo d’Angiò in città nel 1267, ma che recano al di sotto una lunga iscrizione più tarda, datata 1292. Benché gli affreschi di M. siano andati perduti, torna utile ricordarli per due motivi. Il primo di carattere stilistico, poiché si può supporre che M. avesse maturato un particolare interesse per certi linearismi di matrice protogotica presenti in quei precedenti affreschi celebrativi che, tuttavia, proprio a San Gimignano, erano rappresentati non tanto da lasciti angioini bensì ancora svevi; un tale interesse tenne definitivamente M. lontano da un’adesione completa ai modi ducceschi. Il secondo motivo è legato alla data dell’iscrizione e al fatto, già accennato, della presenza lì del nome di Ardinghelli. Proprio la presenza del suo nome e quindi di un possibile committente anche di M. in quel luogo e a quella data pone il problema di un rapporto di M. con San Gimignano prima del 1303, allorché egli è documentato in città. Esiste poi un documento successivo che lo vede tornare, nel 1317, a eseguire altre «figure nel palazzo, cioè nella sala del Consiglio del Popolo» (Graham, p. 40), e questa volta insieme con il figlio Lippo. In quello stesso anno quest’ultimo eseguiva la sua celebre Maestà sempre nel palazzo pubblico; ma la critica esclude che il documento che vede padre e figlio insieme possa essere relativo a quest’opera e tanto meno agli affreschi perduti (ibid.).
Carli (1962) ha riferito a un periodo intorno al 1305 gli affreschi dipinti da M. nella controfacciata della collegiata cittadina.
Tali affreschi si trovano in parte nella grande lunetta del terzo registro e in parte subito al di sopra della porta d’entrata. I primi, oggi sciupati e mutilati dall’apertura di un oculo, rappresentano, in un’impaginazione architettonica ancora molto vicina al Giotto di Assisi, alcune figure femminili sdraiate con accanto un santo (forse, S. Nicola che dota le tre fanciulle). L’altra parte rimane ben leggibile solo nelle due figure di angeli posti ai lati di un finto tabernacolo, dove compaiono una Santa e una Madonna col Bambino ridipinte quasi totalmente ai primi del Quattrocento.
A seguire va scandita una serie compatta di commissioni che comprendono l’affresco dell’abside della chiesa di S. Iacopo al Tempio (Madonna con Bambino e santi: Van Marle, 1920) e il dossale proveniente dal distrutto convento di S. Chiara (Madonna con Bambino e santi: San Gimignano, Museo civico) dove M. esibisce, proprio nello studio della plasticità delle figure, un ritorno di linguaggio giottesco aggiornato, a cui aggiunge una vivacità cromatica di pura matrice senese.
A tal proposito vale la pena di notare che, sebbene la critica abbia eliminato dal catalogo miniatorio di M. anche i codici eseguiti per la chiesa fiorentina di S. Stefano in Pane, allo stato degli studi non è possibile escludere completamente un passaggio fiorentino di M., poiché nel prosieguo della sua attività egli non sembra fermarsi a una acquisizione del solo linguaggio giottesco di Assisi, ma di conoscerne anche i più tardi e spesso non ortodossi sviluppi fiorentini.
Vanno poi ricordati i resti di affreschi con Storie di Maria e una Maestà con committente nella parete destra della chiesetta di S. Pietro in Forliano, in cui Carli (1963) giustamente trovava l’intervento di un aiutante ormai definibile come «martiniano». All’interno di questo gruppo di opere vanno posti i celebri affreschi per la camera del podestà nel palazzo pubblico di San Gimignano, che la solita infallibile vista di Cavalcaselle individuò nei pochi lacerti visibili al di sotto dello scialbo che sarebbe stato eliminato solo intorno al 1921: un ciclo, che per lo studioso doveva essere riferibile a un pittore senese.
Tuttavia, riportata alla luce, l’opera per ricevere un’attribuzione convincente e definitiva dovette attendere sempre un’indicazione di Longhi. Il ciclo fu eseguito tra quel 1305 che data gli affreschi della collegiata e il 1311, anno in cui tutti i lavori della torre dove si trova la camera furono completati. La particolarità di questo ciclo è data dal suo essere un racconto di storie profane più o meno a carattere erotico. A fianco alla parabola del Giovane dissoluto, oppure alla rappresentazione licenziosa di Campaspe e Aristotele, o ancora alla lettura da parte di giovani amanti del «libro galeotto», si trovano narrate le quotidiane vicende di una giovane coppia, presumibilmente quella di un eventuale podestà, vissute in ambienti che sono quelli del tempo di Memmo. I moduli formali con cui si srotola la narrazione mantengono un grande risalto plastico ponendo però al contempo meno attenzione all’intelaiatura spaziale tipicamente giottesca. Il naturalismo minuziosamente descrittivo associato a una delicata vena psicologica pone tuttavia questo ciclo non completamente all’interno della cultura figurativa della Siena duccesca di quegli stessi anni.
Dopo il citato documento del 1317 a San Gimignano non si hanno più notizie di M., che, infatti, dovette fare ritorno a Siena, dove un documento del 1321 lo vede ricevere una somma di denaro. Sempre a Siena si conserva l’ultimo documento a lui relativo: è la trascrizione, datata 1324, della vendita di una casa a Simone Martini, divenuto da poco suo genero per averne sposato la figlia Giovanna.
Non è possibile precisare la data di morte di M. che tuttavia, proprio per la totale assenza di documenti, non può porsi troppo oltre il 1324.
Fonti e Bibl.: G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia, III, Firenze 1899, p.174; R. Davidsohn, Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, II, Berlin 1900, pp. 311 s.; J.C. Graham, Una scuola d’arte a San Gimignano nel Trecento, in Rassegna d’arte senese, V (1909), pp.40s.; R. Van Marle, M. di F., ibid., XIII (1920), pp. 50 s.; E. Li Gotti, Gli affreschi della stanza della torre nel palazzo del Podestà di San Gimignano, in Rivista d’arte, XX (1938), pp. 379-391; R. Longhi, Giudizio sul Duecento (1948), in Opere complete, VII, Firenze 1974, pp. 48-53; G. Previtali, Il possibile M. di F., in Paragone, XIII (1962), 155, pp. 3-11; E. Carli, L’arte a S. Gimignano, in G. Cecchini - E. Carli, S. Gimignano, Milano 1962, pp. 72-79; Id., Ancora dei Memmi a San Gimignano, in Paragone, XIV (1963), 159, pp. 27-44; G. Previtali, Miniature di M. di F., ibid., XV (1964), 169, pp. 3-11; Id., Giotto e la sua bottega, Milano 1967, pp. 36 s.; M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, L’«Homo astrologicus» e altre miniature di M. di F., in Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, I, Milano 1977, pp. 111-119; A.M. Giusti, M. di F., in Il gotico a Siena: miniature pitture oreficerie oggetti d’arte (catal., Siena), a cura di G. Chelazzi Dini, Firenze 1982, pp. 65-74; M. Boskovits, Il gotico senese rivisitato: proposte e commenti su una mostra, in Arte cristiana, LXXI (1983), pp. 260-263; C. De Benedictis, M. di F. tra Assisi e Siena, in Roma. Anno 1300…. Atti della IV Settimana di studi, Roma… 1980, a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 211-220; A. Protesti Faggi, Un episodio di protogiottismo a Lucca: la «Madonna della rosa», in Antichità viva, XXVII (1988), 2, pp. 3-9; C. Martelli, Per il Maestro di San Torpè e la pittura a Pisa nel primo Trecento, in Paragone, s. 3, XLVII (1996), 5-7, pp. 19-47; A. Labriola - C. De Benedictis - G. Freuler, La miniatura senese: 1270-1420…, Ginevra 2002, pp. 41-45, 281-288; S. Spannocchi, Le «Storie profane» di M. di F. a San Gimignano, in La terra dei musei. Paesaggio arte storia del territorio senese, a cura di T. Detti, Firenze 2006, pp. 364-371; A. Labriola, Simone Martini e la pittura gotica a Siena, Firenze 2008, p. 32; S. Weppelmann, in Maestri senesi e toscani nel Lindenau-Museum di Altenburg (catal.), a cura di M. Boskovits, Siena 2008, pp. 214-217; A. Labriola, in Giotto e il Trecento… (catal., Roma), a cura di A. Tomei, II, Milano 2009, pp. 203 s.
M. Becchis