MEMBRANA
(XXII, p. 823)
Biologia. - Introduzione. - La m. è un componente essenziale di tutte le cellule degli organismi viventi. Una m. plasmatica, formata da un doppio strato lipidico e da proteine, delimita ogni cellula e costituisce una barriera selettivamente permeabile che regola la comunicazione tra l'ambiente extracellulare e quello intracitoplasmatico. All'interno della cellula, ciascun compartimento citoplasmatico (nucleo, reticolo endoplasmatico, apparato del Golgi, lisosomi, mitocondri, perossisomi e vescicole) è delimitato e separato dal resto del citoplasma da una propria m. che ha struttura, composizione e proprietà funzionali identiche a quelle della m. plasmatica. Mediante l'utilizzo di tecniche di analisi biochimica, molecolare e ultrastrutturale, sono oggetto di studio la composizione, la struttura, l'organizzazione, la dinamica e le proprietà funzionali delle m. (v. anche cellula, in questa Appendice; citologia, App. III, i, p. 396; IV, i, p. 461).
Si possono evidenziare quattro principali funzioni esercitate dalle m.: a) controllo della struttura e composizione dei vari compartimenti cellulari e dei processi biochimici che avvengono al loro interno; b) trasporto di specifiche molecole da un compartimento all'altro; c) trasduzione di segnali chimici e segnali di proliferazione e attivazione cellulare; d) sede di specifiche attività enzimatiche come la fotosintesi nei cloroplasti, la fosforilazione ossidativa nei mitocondri e la degradazione di macromolecole nei lisosomi. Le m., inoltre, interagiscono con il citoscheletro cellulare e con i componenti della matrice extracellulare regolando il movimento e la forma di una cellula.
La prima definizione generale della teoria cellulare a opera di M. J. Schleiden e Th. Schwann (1838-39) presumeva già l'esistenza di una struttura membranosa che circondava le cellule. Questa ipotesi fu confermata nel 1840 da W. Bowman che, studiando la struttura del muscolo, disegnò la cellula muscolare delimitata da una m., il sarcolemma. Da questa preliminare osservazione iniziarono una serie di studi biochimici sulla struttura molecolare della m. plasmatica. Nel 1895 E. Overton osservò una maggiore permeabilità della m. a molecole liposolubili e suggerì, per primo, la possibilità che le m. fossero quindi ricche di molecole lipidiche. Del 1925 è la prima indicazione che la struttura delle m. biologiche è composta da un doppio strato di molecole lipidiche, ed è attribuita a E. Gorter e R. Grende. Dopo aver estratto tutti i lipidi da un numero noto di eritrociti, i due scienziati trovarono che se formavano un ipotetico monostrato, l'area totale della superficie cellulare risultava circa doppia rispetto al valore reale. I lipidi quindi dovevano necessariamente essere disposti in un doppio strato. Nella prima metà del Novecento, la maggior parte degli studi si concentrò sulle proprietà elettriche della m., sulla conducibilità, sulla tensione superficiale, sullo spessore e infine sulla permeabilità. Nel 1935 J. F. Danielli e H. Davson proposero il primo vero modello strutturale della m. cellulare così composto: una porzione interna di natura lipoide delimitata da due strati di molecole lipidiche disposte con le teste polari rivolte verso l'esterno e permeabili a diverse molecole liposolubili. Le proteine ricoprivano lo strato esterno extracellulare e quello intracitoplasmatico e costituivano una struttura idrosolubile e permeabile a specifiche molecole. In virtù delle variazioni del punto isoelettrico delle proteine stesse, la m. consentiva inoltre il passaggio di cationi e di anioni; nel 1943, proseguendo i loro studi, gli stessi Danielli e Davson identificarono la struttura e la posizione delle proteine di membrana. Gli amminoacidi idrofobici delle proteine, in realtà, attraversavano lo strato formato dalle teste polari dei lipidi, penetravano lo strato lipoide e si posizionavano tra le catene di acidi grassi stabilendo con essi legami idrofobici.
L'avvento della microscopia elettronica, nel 1950, con il raggiungimento di elevati gradi di risoluzione, offrì la possibilità di osservare l'ultrastruttura delle membrane. Mediante l'impiego di coloranti specifici, risultò che in tutte le cellule le m. plasmatiche e intracellulari avevano una struttura trilamellare: due strati elettrondensi di circa 2 nm di spessore formati dalle teste polari delle molecole lipidiche e dalle porzioni idrofiliche delle proteine di m. delimitavano uno strato interno idrofobico lipidico, trasparente agli elettroni, di eguale spessore, e formato dalle code idrocarburiche delle molecole lipidiche e dalle porzioni idrofobiche delle proteine inserite nella membrana. Già in questo periodo fu possibile notare che lo strato esterno, in contatto con lo spazio extracellulare, appariva frammentato e irregolare, mentre lo strato in contatto con il citoplasma appariva più continuo, regolare e ben delimitato. Fu quindi accertato con metodi biochimici che tali irregolarità derivavano dalla presenza, sullo strato esterno, di residui di carboidrati, legati alle proteine e ai lipidi. Per la prima volta veniva introdotta l'idea dell'asimmetria chimica e strutturale della membrana. Il nuovo modello, esteso in linea generale a tutte le cellule, fu denominato unitario.
Nel corso degli anni Sessanta questo modello fu però oggetto di numerose critiche in quanto appariva troppo rigido e statico; le differenze di composizione chimica e le numerose diverse funzioni via via attribuite alle m. nei diversi sistemi cellulari non lo rendevano sufficientemente valido per tutti i tipi di m., e inoltre le proteine di m. risultavano completamente separate dalle molecole lipidiche del doppio strato. Nel 1966 J. Lenard e S. J. Singer, contemporaneamente a D. F. H. Wallch e P. H. Zahler, proposero un nuovo modello di m. nel quale lipidi e proteine s'intercalavano in vario modo, formando, mediante particolari legami chimici, delle subunità di membrana. Di fondamentale importanza furono gli studi del 1970 di C. D. Freye e M. Edidin, i quali dimostrarono che le proteine nel doppio strato lipidico non erano fisse, ma si potevano muovere rapidamente lungo il piano della membrana.
Era aperta la strada al modello cosiddetto del mosaico fluido proposto in seguito da Singer e G. L. Nicholson nel 1972. In base a considerazioni di natura termodinamica e a nuove evidenze sperimentali, proposero una struttura a mosaico della m., in quanto formata da una matrice lipidica costituita, per la maggior parte, da fosfolipidi disposti in modo da formare un doppio strato continuo. I gruppi polari dello strato esterno sono in contatto con la fase acquosa extracellulare, mentre quelli dello strato interno interagiscono con il citoplasma. Le proteine globulari hanno una struttura anfipatica, sono provviste cioè di una o più estremità idrofiliche e di una o più porzioni idrofobiche; esse sono intercalate all'interno del doppio strato lipidico e, a seconda delle dimensioni e della struttura, lo attraversano interamente o solo in parte. Sui due strati sono localizzate alcune proteine interamente polari, idrofiliche, che possono interagire con le porzioni polari dei lipidi e delle altre proteine anfipatiche. Le diverse caratteristiche funzionali delle m. nei vari tipi cellulari erano quindi dovute all'estrema eterogeneità e capacità di traslazione delle proteine, alla loro mobilità, alle possibili interazioni proteina-proteina e proteina-lipidi, alla fluidità e mobilità della matrice lipidica. L'estrema capacità dinamica, la fluidità, la struttura e l'organizzazione molecolare dei lipidi e delle proteine permettevano, quindi, di estendere tale modello alle m. cellulari di tutte le cellule degli organismi viventi. Pur con le successive modifiche apportate, il modello del mosaico fluido è ancora oggi considerato valido. Dalla metà degli anni Settanta è stata ulteriormente sottolineata l'asimmetria chimica, la diversa composizione, l'organizzazione dei lipidi e delle proteine e le differenti capacità funzionali dei due strati. Sono state inoltre identificate alcune specifiche strutture molecolari, denominate domìni, che svolgono particolari funzioni biologiche caratteristiche di ciascuna m. cellulare o porzione di essa.
Tipi di membrana. - Le m. hanno uno spessore di 5÷8 nm, a seconda del tipo cellulare e del compartimento che delimitano. In ogni cellula ne distinguiamo due tipi: la m. plasmatica e la m. intracellulare.
Membrana plasmatica. - Tutte le cellule sono delimitate da una m. che nelle cellule animali è chiamata plasmatica. Costituisce una barriera tra l'ambiente extracellulare e il citoplasma. Attraverso la m. plasmatica passano le sostanze nutritive ed escono i prodotti di secrezione cellulare. Le prime reazioni molecolari della cellula a stimoli extracellulari avvengono a livello di questa membrana. Particolari molecole proteiche, come i fattori di crescita, l'insulina, l'acetilcolina e altre, vengono trasferite all'interno della cellula mediante un sistema attivo di trasporto formato da particolari proteine di m., i recettori, che, dopo interazione con il ligando, trasmettono specifici segnali molecolari all'interno della cellula. Anche il passaggio di alcuni ioni come il sodio, il potassio, il calcio è regolato da specifiche proteine di m. che formano delle strutture denominate canali. Un ristretto numero di molecole anioniche attraversano invece la m. liberamente per semplice diffusione: sono l'acqua, l'urea, l'ossigeno, l'ossido di carbonio, il glicerolo e molte molecole liposolubili. Nelle cellule epiteliali la m. plasmatica è divisa in domìni o regioni, differenti per morfologia e struttura. Si distinguono un dominio apicale, che guarda il lume della cavità, e un dominio basolaterale che, mediante delle giunzioni intercellulari, è in diretto contatto con le cellule vicine, con la sottostante m. basale e con la matrice extracellulare. Nei procarioti, specie nei batteri, esiste quasi esclusivamente la m. di superficie o limitante dove si compiono quasi tutte le attività enzimatiche per la produzione di energia.
Membrana intracellulare. - Ciascuno dei numerosi organelli contenuti nel citoplasma delle cellule degli organismi viventi ha una propria m. intracellulare specificata qui di seguito. Solo nelle cellule vegetali troviamo, in più, tonoplasti, plastidi e soprattutto cloroplasti.
Mitocondri. Sono delimitati da una struttura a doppia m. che contiene i sistemi enzimatici per la produzione di energia e per il trasporto di carboidrati, proteine e lipidi. La m. interna, che si ripiega all'interno della matrice mitocondriale a formare le creste, è adibita, in particolare, al trasporto di elettroliti e di ioni idrogeno, e alla regolazione del sistema enzimatico dell'ATP.
Lisosomi. Sono delimitati da una m. che deve evitare la fuoriuscita nel citoplasma degli enzimi idrolitici contenuti al loro interno. Attraverso la m. lisosomiale passano polipeptidi, polisaccaridi, polinucleotidi, glicolipidi e altre molecole che devono essere digerite. Studi morfologici hanno poi evidenziato la capacità dei lisosomi di fondersi con le m. di altri compartimenti intracellulari e con la m. plasmatica.
Perossisomi. Sono delimitati da una m. singola adibita alla produzione di perossidi d'idrogeno e alla loro riduzione in acqua. Sono sede delle beta-ossidazioni degli acidi grassi e della sintesi di alcuni lipidi.
Nucleo. È una doppia m., interna ed esterna, che ripiegandosi dà origine ai pori che regolano il movimento di macromolecole tra la matrice nucleare e il citoplasma. La m. nucleare interna è associata alla cromatina, mentre quella esterna è ricca di ribosomi ed è in diretta continuità con il reticolo endoplasmatico.
Reticolo endoplasmatico e apparato del Golgi. La m. in questi compartimenti delimita una serie di cisterne e vescicole di varie dimensioni. Su queste m. avvengono le diverse fasi della sintesi proteica (sintesi ribosomiale, traslocazione, glicosilazione, trasporto e secrezione).
Vescicole e vacuoli. Nel citoplasma sono inoltre presenti numerose altre formazioni vescicolari rivestite da una membrana. Il movimento e il trasporto di queste vescicole sono regolati da specifici recettori di m. che interagiscono con i microtubuli e con i microfilamenti.
Composizione e struttura della membrana. - La caratteristica principale della m. è la sua struttura anfipatica: idrofobica, apolare nella porzione centrale e idrofilica, polare nei due strati esterni. È composta da proteine, lipidi, carboidrati, ioni e acqua. I carboidrati, quando sono legati alle proteine e ai lipidi mediante legami covalenti, formano i glicolipidi e le glicoproteine. La proporzione tra proteine e lipidi dipende dal tipo di m. e dal compartimento che delimitano. Si passa dal 20% di proteine nel caso della mielina nel sistema nervoso al 75% nel caso della m. interna del mitocondrio.
Lipidi. La matrice lipidica del doppio strato è formata da fosfolipidi e glicolipidi a struttura anfipatica (una testa polare idrofilica e una coda apolare idrofobica) e, solo negli eucarioti, anche da colesterolo. La quantità relativa di queste molecole lipidiche dipende dal tipo di m. cellulare: per es., negli eritrociti il 61% sono fosfolipidi, l'11% glicolipidi e il 22% colesterolo, mentre nei cloroplasti l'80% sono glicolipidi e il 12% fosfolipidi. Il colesterolo è presente in maggiore quantità nella m. plasmatica in forma non esterificata, mentre diminuisce sensibilmente in quelle intracellulari. I fosfolipidi più importanti sono: la fosfatidilcolina, la fosfatidiletanolamina, la fosfatidilserina, il fosfatidilinositolo, il difosfatidilglicerolo, la sfingomielina e il plasmalogeno. I glicolipidi più importanti sono invece i gangliosidi, i cerebrosidi e il galattosildigliceride. Fosfolipidi e glicolipidi sono distribuiti in modo asimmetrico tra i due foglietti del doppio strato. Per es., la sfingomielina e la fosfatidilcolina sono prevalenti sullo strato esterno mentre il fosfatidilinositolo è maggiore su quello interno dove svolge l'importante ruolo di trasmettere al citoplasma i segnali extracellulari. Il colesterolo è presente in maggiore quantità nello strato esterno e regola la fluidità della membrana. Anche nelle m. intracellulari è presente una distribuzione asimmetrica dei fosfolipidi. La porzione interna del doppio strato, quella idrofobica, è formata dalle code idrocarburiche, gli acidi grassi, dei fosfolipidi e dei glicolipidi. Possono essere in forma satura, con un atomo d'idrogeno per ogni legame di carbonio, o in forma insatura con un doppio legame tra due atomi di carbonio. La presenza di colesterolo inibisce la formazione di doppi legami, e meno numerose sono le catene insature minore è il grado di fluidità. I lipidi e le proteine possono muoversi lateralmente sul piano della m., ma è raro che avvengano passaggi di molecole lipidiche dallo strato esterno a quello interno. La fluidità è il requisito fondamentale per le normali funzioni della m. come la sua biogenesi, il traffico, l'esocitosi e l'endocitosi.
Proteine. Tutte le m. biologiche contengono proteine in quantità variabile e dipendente dal tipo di m. e dalla specifica funzione: sono quasi assenti nelle m. delle fibre mieliniche, mentre la concentrazione massima si ha sulla m. interna dei mitocondri. La maggior parte delle proteine legano, sulla loro porzione terminale, delle catene di oligosaccaridi, gli zuccheri, e formano le glicoproteine. Nel processo di sintesi delle proteine di m. gli zuccheri si aggiungono alla catena amminoacidica neoformata durante il loro passaggio nel reticolo endoplasmatico e nel Golgi. I più importanti oligosaccaridi sono l'N-acetilglucosamina, il mannosio, il galattosio, il fruttosio e l'acido sialico.
Struttura delle proteine di membrana. Ne esistono 5 classi.
Classe I: sono le proteine estrinseche o periferiche che non hanno una sequenza idrofobica e non penetrano nello strato lipidico. Sono legate, mediante legami ionici, alle teste polari dei fosfolipidi o delle altre proteine. Componenti della matrice extracellulare all'esterno, o strutture del citoscheletro sul lato citoplasmatico, sono associate, per lo più, a proteine di questa classe.
Classe II: sono le proteine con amminoacidi idrofobici inseriti parzialmente nel doppio strato con la porzione idrofilica generalmente a diretto contatto con il citoplasma.
Classe III e IV: sono le proteine integrali (transmembrana) che attraversano interamente lo strato lipidico e sono formate da amminoacidi polari situati sia sul lato esterno, sia su quello intracellulare. Hanno interazioni con le porzioni polari dei fosfolipidi, con la matrice extracellulare e con strutture citoplasmatiche. I domìni polari sono legati a sequenze amminoacidiche apolari (la sequenza transmembrana di circa 20÷30 amminoacidi) che attraversano la m. una sola volta (Classe iii) o più volte (Classe iv). Alcuni recettori di m., i canali e le pompe ioniche sono formati da complessi di proteine appartenenti a queste due classi.
Classe V: di recente scoperta, sono le proteine periferiche ancorate alla matrice lipidica attraverso legami covalenti con i glicolipidi.
Anche le proteine sono capaci di movimenti laterali sul piano della m. ma con una velocità sensibilmente minore rispetto ai lipidi. In cellule polarizzate la restrizione della mobilità laterale di alcune proteine mantiene la specificità delle diverse porzioni della membrana.
La maggior parte delle proteine espresse sulle m. intracellulari e sulla m. plasmatica sono i recettori per le molecole extracellulari. Trasmettono all'interno della cellula un'ampia gamma di segnali molecolari, sono regolati da specifici sistemi enzimatici, anche loro associati alla m., e da altre proteine a funzione regolatoria, le proteine G. Le principali funzioni dei recettori sono: il controllo della permeabilità della m., la regolazione dell'attività dei canali per lo scambio degli ioni (Ca, K, Na, ecc.), il trasporto intracellulare delle proteine e dei lipidi, l'internalizzazione di fattori di crescita e di ormoni polipeptidici e steroidei. Virus, batteri, parassiti e lectine vegetali possono penetrare all'interno della cellula legandosi ad alcuni recettori. Un gruppo particolare di recettori è rappresentato dalle integrine. Queste molecole legano componenti della matrice extracellulare e molecole associate alla m. plasmatica di altre cellule, inviano segnali al citoscheletro, controllano il movimento, la migrazione e la polarità cellulare. La maggior parte dei recettori attraversa la m. una o più volte ed è provvista di una porzione extracellulare con il sito specifico per il ligando, una porzione transmembrana idrofobica e una coda citosolica ad alta attività enzimatica e capace d'interagire con il citoscheletro e con le altre strutture citoplasmatiche.
Biogenesi e traffico di membrana. - Le proteine e i lipidi di m. sono codificati dai geni nucleari, sintetizzati sui ribosomi e trasportati agli specifici compartimenti cellulari. Le proteine e i lipidi diretti al nucleo e ai mitocondri sono trasferiti direttamente dai ribosomi, mentre le proteine e i lipidi destinati agli altri compartimenti sono inseriti dai ribosomi sulla m. del reticolo endoplasmatico. Da qui attraverso specifiche vescicole passano nell'apparato del Golgi dove avvengono le glicosilazioni e le conversioni delle glicoproteine e dei glicolipidi nelle forme mature. Lo smistamento inizia dalla porzione terminale del Golgi (il trans-Golgi) mediante distacco di vescicole di varie dimensioni dirette agli altri compartimenti cellulari, i lisosomi, il compartimento endocitico e la m. plasmatica.
La m. regola l'entrata di macromolecole provenienti dall'esterno mediante diversi meccanismi: la pinocitosi per l'ingresso di materiale fluido, la fagocitosi per materiale corpuscolato da digerire, e l'endocitosi per l'internalizzazione di macromolecole. Tutti i processi sono caratterizzati da invaginazioni di piccole zone di m. con formazione di vescicole che si chiudono, sono internalizzate, si fondono tra loro e sono trasportate all'interno della cellula. Un particolare tipo di endocitosi di alcune molecole è caratterizzato dalla formazione di vescicole rivestite da una proteina citoplasmatica, la clatrina, che riveste interamente la vescicola. Con questo meccanismo sono internalizzati la maggior parte dei fattori di crescita e alcuni virus.
La funzione secretoria, che è tipica di cellule come gli epatociti, i fibroblasti, i neuroni e le cellule del sistema endocrino, si compie mediante l'esocitosi. Questo è uno degli aspetti più significativi dell'interazione molecolare tra componenti di membrana. Infatti, durante l'esocitosi, si ha la fusione tra la m. delle vescicole secretorie e lo strato interno citoplasmatico della m. plasmatica. Nella prima fase della fusione i granuli diventano più grandi, e sulla loro m. viene espresso un recettore che è un canale per il passaggio di ioni. Questa struttura, insieme con altre proteine regolatrici associate alla m., facilita il passaggio della vescicola secretoria attraverso il citoscheletro e i microfilamenti che rivestono il lato citoplasmatico della m. plasmatica. A questo punto inizia la fusione delle m., l'apertura della vescicola, e il rilascio nello spazio extracellulare del materiale secretorio. Le proteine e i lipidi della m. vescicolare restano invece inseriti nella m. plasmatica.
Attraverso un dinamico equilibrio tra endocitosi ed esocitosi la m. plasmatica rinnova la sua struttura di lipidi e proteine e mantiene costante l'area della sua superficie. In molte cellule animali tale equilibrio è regolato attraverso il rilascio di frammenti di m. plasmatica a sua volta controllato dal citoscheletro e dal movimento delle m. intracellulari.
Le giunzioni. In alcuni tipi di cellule, in particolare in cellule epiteliali, sono stati identificati specifici domìni della m. plasmatica. Queste regioni regolano l'adesione e il passaggio di molecole da una cellula all'altra e sono denominate giunzioni. Nelle cellule animali si possono trovare tre tipi di giunzioni: le giunzioni strette, i desmosomi e le giunzioni gap; nelle cellule vegetali non sono evidenziabili le giunzioni strette e i desmosomi, ma si possono trovare giunzioni simili alle gap denominate plasmadesma. Le giunzioni strette sono localizzate nella m. laterale delle cellule epiteliali in prossimità dei villi. Bloccano il passaggio dei liquidi attraverso lo spazio intercellulare. I desmosomi sono stati identificati subito al di sotto delle giunzioni strette, lungo tutta la porzione laterale della m. e in alcune zone di quella basale. Oltre a mantenere la coesione tra le cellule che formano gli epiteli, questo tipo di giunzione permette di ancorare la m. plasmatica a particolari strutture della matrice extracellulare. Le giunzioni gap sono distribuite lungo la porzione laterale, regolano il passaggio selettivo di molecole di piccole dimensioni e controllano l'attività metabolica della cellula (fig. 1). Il plasmodesma è il solo tipo di giunzione presente nelle cellule vegetali e regola gli scambi intercellulari di molecole e di segnali chimici.
Metodi sperimentali per lo studio delle membrane. - I metodi sperimentali di separazione cellulare hanno offerto contributi fondamentali alla conoscenza della struttura e delle funzioni delle m. biologiche. È oggi possibile isolare i vari compartimenti cellulari e identificare le attività molecolari delle specifiche membrane. Dopo aver isolato la m. plasmatica e le vescicole endocitiche è possibile, per es., studiare, in condizioni sperimentali e controllate, i meccanismi di trasporto di componenti molecolari della m., l'endocitosi mediata da recettore e i segnali trans-membrana di attivazione cellulare. I metodi più comuni per la separazione delle m. prevedono la rottura della cellula, l'omogenizzazione e la successiva centrifugazione su gradienti che sfruttano le differenze di densità delle varie membrane. Questo è possibile in quanto la densità di ogni m. dipende, in modo significativo, dal suo contenuto di proteine e lipidi. La successiva identificazione viene fatta mediante l'uso di specifici marcatori enzimatici e chimici. A titolo di esempio, la glucosio-6-fosfatasi e il citocromo b5 P450 sono specifici del reticolo endoplasmatico, la glicosiltransferasi e la tiamino fosfatasi sono localizzate sulla m. del Golgi, l'acido sialico e l'adenilciclasi sulla m. plasmatica, i complessi istone-RNA sono associati ai pori della m. nucleare.
Per l'analisi morfologica e ultrastrutturale delle m. viene generalmente impiegata la criofrattura (freeze-fracture). Questa metodica separa la m. lungo la porzione idrofobica nei due foglietti: esterno, faccia esoplasmatica (E), e interno citoplasmatico, faccia protoplasmatica (P). A un'analisi ultrastrutturale la faccia di frattura appare liscia in corrispondenza dei lipidi e intervallata da particelle e rugosità di varia grandezza che rappresentano le proteine di membrana. Recentemente sono disponibili diverse metodiche che combinano la criofrattura con l'immunocitochimica e permettono di correlare direttamente la distribuzione di un antigene o di un recettore con una classe specifica di componenti strutturali e di estendere lo studio morfologico all'analisi della dinamica della m. plasmatica.
Bibl.: B. Alberts, D. Bray, J. Lewis, M. Raff, K. Roberts, J. D. Watson, Biologia molecolare della cellula, trad. it., Bologna 1984; M. K. Jain, Introduction to biological membranes, New York 1988; W. H. Evans, J. M. Graham, Membrane structure and function, Oxford 1990.
Tecnologia. - Operazioni con membrane. - Introduzione. - I processi a m. sia in fase liquida sia in fase gassosa hanno assunto un ruolo di estrema importanza in molti settori industriali, in medicina, nelle tecniche di rilascio controllato di specie biologicamente attive, nel controllo dei fenomeni d'inquinamento. Operazioni con m. sono da considerarsi vere e proprie unità fondamentali nei processi di separazione. Sono stati anche realizzati reattori enzimatici e reattori chimici in cui il trasporto selettivo di materia nella fase m. è accoppiato a trasformazioni chimiche (p. es. nella produzione di amminoacidi). Le m., quando caricate con catalizzatori, operano come veri e propri reattori chimici. Le operazioni con m. sintetiche in più di un aspetto riproducono o simulano analoghe operazioni condotte dalle m. naturali presenti negli organismi biologici.
L'interesse per i processi di separazione con m. è legato al fatto che questi sono in genere atermici, non coinvolgono cambiamenti di fase né l'impiego di additivi chimici; sono non distruttivi e caratterizzati da bassi consumi energetici; sono modulari e richiedono bassi spazi d'ingombro. Le operazioni a m. sono inoltre semplici in generale nella loro conduzione e nella loro impiantistica.
Più complessa è invece la comprensione di fenomeni di trasporto in fase m. che sono all'origine della selettività delle stesse, e dei fenomeni di trasporto all'interfaccia m.-soluzione. In tab. 1 sono elencate le operazioni con m. maggiormente sviluppate a livello industriale. Le m. sintetiche utilizzate nelle operazioni di separazione e conversione possono essere definite come fasi sottili caratterizzate da un elevato rapporto superficie-spessore capaci di lasciarsi attraversare sotto adatte forze motrici da alcune delle specie presenti nei fluidi che le bagnano e non da altre che vengono invece totalmente o parzialmente respinte. Le possibilità d'impiego di m. in operazioni diverse da quelle di separazione e di conversione (per es. in elettronica molecolare, in processi fotochimici, ecc.) suggerisce anche una definizione più generale del tipo: fasi sottili solide, liquide o gassose, capaci di trasporto selettivo di materia e/o di energia sotto adatte forze motrici.
Le m. sintetiche possono essere preparate a partire da materiali polimerici diversi, da materiali ceramici o da metalli. Sono state anche sviluppate m. liquide supportate in polimeri microporosi, o sotto forma di emulsione (microsfere sospese in opportuni solventi). Sono state studiate numerose m. e diverse sono quelle disponibili a livello commerciale. Le loro proprietà più importanti sono una elevata selettività, un'alta permeabilità meccanica, stabilità termica e chimica. In fig. 2 sono raccolti i vari tipi di m. esistenti, classificate secondo la loro struttura (m. simmetriche, asimmetriche, ecc.), tecnica di formazione (per es. inversione di fase), meccanismo di trasporto, campo di applicazione. Sono di particolare importanza le m. asimmetriche. La loro scoperta negli anni Sessanta da parte di due ricercatori statunitensi dell'università della California (S. Loeb e S. Sourirajan) segna la data d'inizio dello sviluppo industriale dei processi a m., e in particolare dell'osmosi inversa. Una struttura asimmetrica permise infatti di ottenere elevate permeabilità di acqua dolce, dato il minimo spessore dello strato denso superficiale, nella dissalazione delle acque salmastre, rendendo questo processo competitivo con i processi evaporativi (v. anche dissalazione, in questa Appendice). Le m. asimmetriche vengono in genere preparate mediante la tecnica della inversione di fase. La loro struttura è caratterizzata dalla presenza di uno strato denso dello spessore di pochi μm o decimi di μm, privo di pori (strato attivo) su di uno strato sottostante microporoso, di qualche decina di μm, che funziona da supporto al primo.
Il processo di formazione consiste essenzialmente nello stendere una soluzione di polimero disciolto in un solvente volatile, su di un adatto supporto, per es. una lastra di vetro, un tessuto. L'evaporazione del solvente porta a un aumento della concentrazione del polimero sulla superficie della soluzione, e alla sua precipitazione. La formazione di questa fase solida rallenta la successiva evaporazione degli strati più interni. Il film polimerico asimmetrico che si forma viene quindi immerso in un bagno di coagulo in cui è presente un non-solvente per il polimero.
L'inversione di fase (solidificazione) della m. dalla soluzione originaria è descritta dal diagramma della fig. 3. Il processo può essere seguito sul lato solvente-polimero (SP) del diagramma. L'inversione procede man mano che il solvente viene estratto dalla m. e il non-solvente diffonde in essa. Si ha la formazione di un sistema bifasico, con una fase ricca di polimero che forma la m., e una povera di polimero e ricca nel non-solvente che forma i pori della membrana. La solidificazione è possibile solo nelle zone 2, 3 e 4 della fig. 3. La morfologia e le proprietà delle m. sono quindi determinate dalla termodinamica del sistema, espressa dalla forma della curva che delimita il sistema a due fasi di fig. 3 e dalla cinetica del processo, determinata dai flussi del solvente e del non-solvente. Le caratteristiche chimiche del polimero, del solvente e del non-solvente, e la temperatura di formazione della m. influenzano sia l'equilibrio delle fasi che la velocità di trasporto dei solventi. Molto importante è la composizione dei fluidi coagulanti, che controlla la cinetica del trasferimento di materia. Un incremento della concentrazione del solvente nei fluidi coagulanti riduce la forza motrice per la diffusione del solvente verso l'esterno e del non-solvente verso l'interno, dando luogo a strutture più omogenee e spugnose. M. più dense risultano da alte concentrazioni del polimero nella soluzione originaria, alta temperatura e alto contenuto del solvente nei fluidi coagulanti.
Le m. composite realizzate negli anni Settanta sono anch'esse caratterizzate da una struttura asimmetrica con uno strato sottile denso superficiale, che è la vera e propria m., supportato da uno strato poroso. Esse tuttavia vengono ottenute per polimerizzazione in situ (policondensazione, poliaddizione, ecc.) di un adatto polimero sulla superficie di una m. microporosa di altra natura (per es. polisolfone). La realizzazione di questo tipo di m. ha permesso l'impiego di un maggior numero di materiali nella formazione degli strati densi, rispetto a quelli usabili con la tecnica dell'inversione di fase. Altre tecniche utilizzate sono: l'inversione termica di fase nella preparazione di m. microporose in polipropilene, o polivinilidenfluoruro; il bombardamento con radiazioni ionizzanti (per es., m. microporose in policarbonato); la formazione di strati ultrasottili, su adatti supporti, da plasma gassosi (m. per ossigenazioni gassose, ecc.). La morfologia delle m. sintetiche asimmetriche e composite è rappresentata in fig. 4.
Negli anni Ottanta sono state realizzate anche m. asimmetriche in materiale ceramico adatte a processi di microfiltrazione e ultrafiltrazione. Nella tab. 2 sono indicati i polimeri più usati nella preparazione di diverse m. commerciali utilizzate nei processi di osmosi inversa, ultrafiltrazione e microfiltrazione. Nella tab. 3 sono invece indicati i polimeri impiegati nella preparazione di m. usate nel trattamento delle miscele gassose, insieme con i corrispondenti fattori ideali di separazione.
Le m. possono essere formate in configurazioni diverse e in particolare in forma piana, tubolare o capillare. Le m. piane possono essere utilizzate tal quali in sistemi tipo filtro-pressa, o avvolte in moduli a spirale per aumentare il rapporto superficie/volume occupato. Le m. capillari e quelle tubolari vengono assemblate in moduli che ne contengono un numero diverso a seconda delle loro dimensioni, in genere fino a 18÷19 nel caso di m. tubolari con diametro interno di circa 0,6÷2,5 cm; diverse centinaia e decine di migliaia rispettivamente nel caso di m. capillari con diametro interno sull'ordine del mm, o di fibre cave (diametro interno dell'ordine dei 40 μm). Nella fig.5 sono schematizzati i diversi moduli a m. oggi utilizzati.
Qui di seguito presenteremo le operazioni a m. maggiormente sviluppate, suddivise tra quelle che operano separazioni di gas e quelle impiegate nella separazione di specie in fase liquida (in particolare microfiltrazione in flusso tangenziale, ultrafiltrazione, osmosi inversa, tutti processi che hanno una differenza di pressione idrostatica applicata tra le due facce della m. come forza motrice). Verranno anche descritte l'elettrodialisi e la dialisi Donnan. Saranno anche brevemente presentate operazioni a m. oggi in rapido sviluppo industriale, quali la pervaporazione, e sistemi di notevole potenzialità, oggetto di approfonditi studi, quali per es. le m. liquide, le m. liquide supportate, la distillazione a membrana.
Separazione di gas. - Il frazionamento, la purificazione e la concentrazione di miscele gassose con processi di m. è una tecnica che dal punto di vista concettuale risale al 19° secolo. La possibilità di separare l'ossigeno dall'aria fu uno dei primi problemi a essere affrontato. Nel 20° secolo, studi basati sull'impiego di m. cellulosiche portarono tuttavia negli anni Cinquanta-Sessanta alla conclusione che il processo non era ancora competitivo rispetto alla tecnica criogenica tradizionale, data la bassa permeabilità delle m. a disposizione. La permeazione di un gas in una m. polimerica non porosa può essere descritta in prima approssimazione da un modello solubilità-diffusione. I componenti la miscela gassosa si solubilizzano inizialmente sulla faccia pressurizzata della m., diffondono quindi attraverso la fase polimerica, e desorbono dalla superficie opposta della membrana. Lo stadio controllante la velocità del processo è in genere la diffusione nella membrana. La permeabilità è data dal prodotto del coefficiente di solubilità per quello di diffusione. Un'elevata permeabilità permette di minimizzare l'area della m. necessaria a una certa separazione, e quindi il volume dell'impianto di permeazione e i costi d'investimento.
La selettività di una m. per un componente A rispetto a un componente B è solitamente espressa da un fattore ideale di separazione αA−B che è definito come il rapporto della permeabilità per le specie pure, cioè:
αA-B=PA/PB
Uno dei polimeri disponibili di maggior interesse per la preparazione di m. per separazione di gas è la gomma al silicone. Questo è il materiale che permette di minimizzare le superfici di m. necessarie a processi industriali. Per quanto riguarda in particolare l'ossigeno, questa gomma presenta una permeabilità nettamente superiore a quella di quasi tutti gli altri polimeri fino a oggi studiati, di circa quattro volte maggiore di quella del polibutadiene, il materiale più interessante fra le gomme non siliconiche. Altri polimeri di un certo interesse per la separazione di gas sono i poliuretani, il policarbonato, i polisulfoni, ecc. Nel 1987 è stato scoperto un polimero poliacetilenico vetroso caratterizzato da una permeabilità di quasi un ordine di grandezza superiore a quella delle gomme siliconiche e da una selettività O2/N2 di circa due.
Un netto passo in avanti nello sviluppo di processi di separazione di gas si è avuto con la realizzazione di m. composite asimmetriche in configurazione capillare. La comparsa sul mercato di questi sistemi ha portato alla contemporanea realizzazione di impianti di dimensioni industriali. Le m. composite in questo caso vengono ottenute da polimeri altamente selettivi, in genere allo stato vetroso, con i quali si formano strutture asimmetriche per inversione di fase; nella fase densa della struttura sono inevitabilmente presenti dei micropori anche se in numero limitato. Il secondo polimero di natura elastometrica viene utilizzato per formare un sottile strato superficiale che, penetrando in parte nei micropori, li occlude. Le proprietà di trasporto di queste m. composite sono correlate alla resistenza ai gas di tre elementi: il materiale poroso che forma il supporto vero e proprio, i pori del supporto e il materiale di cui è costituito lo strato superficiale. In un tale sistema la selettività complessiva è quella del polimero vetroso che forma la matrice del supporto poroso. La permeabilità è quella di uno strato ultrasottile di polimero vetroso che non si allontana di molto da quello del polimero gommoso che forma lo strato superficiale e che riempie i pori. Nello schema di fig. 6 è riportata la struttura tipica di una m. composita polimerica. L'applicazione di gran lunga più diffusa riguarda il recupero d'idrogeno da correnti di spurgo o di riciclo di reattori in cui avvengono trattamenti idrogenanti (hydrocracking, hydroreforming, idrodesolforazione di vari tagli idrocarburici, cracking catalitico, ecc.). L'altissima permeabilità dell'idrogeno attraverso le diverse m. polimeriche disponibili consente di operare in tutti questi casi con superfici di m. non eccessivamente elevate e recuperi soddisfacenti.
In fig. 7 è riportato lo schema del processo di recupero e riciclo dell'idrogeno dalle correnti di spurgo nella sintesi dell'ammoniaca. È questa una delle prime applicazioni industriali su larga scala. Gli impianti realizzati impiegano moduli con m. capillari e consentono recuperi fino all'85% dell'idrogeno di spurgo, con purezza di oltre il 90%. La disposizione in serie consente di recuperare parte dell'idrogeno come permeato a pressione relativamente alta, e di riciclarlo quindi direttamente al 2° stadio di compressione del processo di sintesi, con risparmio energetico. La seconda serie di separatori consente un ulteriore recupero d'idrogeno, mantenendo bassa la pressione. È prevista una preventiva rimozione dell'ammoniaca, con processo in fase liquida, allo scopo di evitare lo sporcamento della membrana.
Nel settore della produzione degli idrocarburi i processi a m. tendono a soppiantare metodi più tradizionali nella purificazione preliminare delle correnti idrocarburiche estratte dal giacimento, specie da vapor d'acqua e anidride carbonica. Anche nella separazione dei componenti dell'aria i processi a m. entrano in competizione con processi criogenici e risultano vincenti in tutti quei casi in cui non siano richieste purezze estreme. Le prime applicazioni riguardavano la produzione di ossigeno, o meglio l'arricchimento dell'aria in ossigeno per processi quali: ossidazioni ad alta o bassa temperatura, fermentazioni, combustioni. A causa dei bassi fattori di separazione O2/N2 riscontrati nelle m. disponibili commercialmente, il processo è vantaggioso per arricchimenti in ossigeno non superiori al 40÷45% e portate non elevatissime.
Tra le prime applicazioni industriali è da citare l'arricchimento dell'aria in ossigeno per uso terapeutico. Questo sistema si è rivelato in grado di sostituire la somministrazione di ossigeno puro ai pazienti, fornendo aria al 40÷42% di O2, ed è estremamente affidabile e duraturo, avendo come unica parte in moto una pompa a vuoto. In fig. 8 è schematizzato il ciclo di recupero dell'idrogeno da correnti di spurgo di un processo di hydrocracking. In questo caso l'impianto di separazione a m. adempie anche la funzione di separare gli inerti dalla corrente di riciclo, aumentando quindi la pressione parziale d'idrogeno nel reattore a parità di pressione totale. Il vantaggio economico non sta quindi nel solo recupero dell'idrogeno, ma anche nel miglioramento delle prestazioni del reattore. Perciò è possibile tollerare l'aggravio di spese dovuto alla ricompressione della corrente di riciclo che effluisce come permeato, e quindi a bassa pressione, dal separatore a membrana.
Parallelamente all'arricchimento in ossigeno dell'aria si è realizzata la produzione di azoto puro. Molti problemi d'inertizzazione di reattori chimici, serbatoi, silos per derrate varie richiedono l'impiego di correnti di gas inerti in portate non così elevate da giustificare un processo criogenico in loco, né così basse da consentire l'uso di azoto commerciale compresso. Risulta perciò ideale l'uso di aria arricchita convenientemente in azoto, ottenuta da processi a membrana.
Separazione di liquidi. - Le operazioni con m. utilizzate nel trattamento di correnti liquide si differenziano per il tipo di m. e per la forza motrice applicata.
Microfiltrazione in flusso tangenziale, ultrafiltrazione, osmosi inversa. Tali processi, tra i più sviluppati e diffusi a livello industriale in numerose applicazioni, utilizzano come forza motrice una differenza di pressione idrostatica applicata tra le due facce della m., per separare specie chimiche diverse presenti in una soluzione, sfruttando la diversa permeabilità delle stesse nella fase membrana. Perché si possa avere un flusso netto di materia attraverso la m., la differenza di pressione applicata dev'essere superiore alla differenza di pressione osmotica dovuta alla differenza di concentrazione tra le due facce della membrana.
Esistono diversi modelli teorici che descrivono il trasporto di liquidi nelle m. semipermeabili. Alcuni di questi modelli si basano sull'ipotesi di m. porose, nelle quali quindi il trasporto di materia avviene attraverso pori di diametro caratteristico che rappresentano una certa aliquota della superficie della membrana. La velocità di permeazione e la selettività sono in questo caso controllate dal grado di porosità, dalle dimensioni e distribuzione dei pori e dalle interazioni specifiche nell'interno dei pori stessi. Un secondo tipo di modello si basa invece sulla ipotesi che le m. siano barriere diffusive non porose. Le specie molecolari, dopo solubilizzazione in fase m. secondo le leggi dell'equilibrio di fase, diffondono attraverso la m. con lo stesso meccanismo che governa la diffusione attraverso i liquidi e i solidi (v. anche trasporto, Fenomeni di, in questa Appendice). Questo modello è molto utile nella descrizione dei processi di osmosi inversa, mentre è meno valido nella descrizione dei processi di ultrafiltrazione, per i quali un modello basato sull'esistenza dei pori in fase m. è più significativo.
Nel modello solubilità-diffusione ciascun componente della soluzione pressurizzata si solubilizza nella fase m. fino a raggiungere una situazione di equilibrio, per poi diffondere nella m. sotto un gradiente di pressione e di concentrazione. L'equazione che si ottiene per il flusso del solvente, J1, sarà in prima approssimazione
dove ΔP e Δπ sono le differenze nella pressione idrostatica e nella pressione osmotica tra le due facce della m. caratterizzata da uno spessore Δx, c1 è la concentrazione nella m., v1 è il volume parziale molare. Questa equazione è stata ottenuta assumendo che il coefficiente di diffusione non sia funzione della concentrazione e che le proprietà della m. siano indipendenti dalla pressione.
Per il flusso del soluto, J2, assumendo m. con elevata reiezione, l'equazione sarà del tipo:
dove c2m è la concentrazione del soluto nella m., c2s è la concentrazione del soluto in soluzione, K è il coefficiente di distribuzione del soluto definito dal rapporto c2m/c2s.
se le proprietà della m. sono indipendenti dalla pressione e dalla concentrazione; le due costanti A e B caratterizzano la membrana. Il coefficiente di reiezione Ro è definito come
dove c′2s e c″2s sono rispettivamente la concentrazione salina a monte e a valle della membrana. La concentrazione di soluto nel permeato, c″2s, può essere espressa in termini di flusso di soluto e di flusso di solvente:
Si ha così che il coefficiente Ro può essere scritto nella forma:
È da notare che mentre la reiezione per il soluto non dipende dallo spessore della m., i flussi di soluto e di solvente sono inversamente proporzionali allo stesso.
Le m. polimeriche artificiali usate nei processi di ultrafiltrazione sono caratterizzate da una struttura finemente porosa, e, in prima approssimazione, le separazioni che si hanno durante il processo possono essere attribuite o alle dimensioni del soluto, maggiori dei diametri dei pori della m., o a interazioni che si hanno nell'interno dei pori stessi. In una struttura altamente idealizzata di queste m., i pori possono essere considerati come veri e propri cilindri di diametro costante passanti attraverso la m. da una faccia all'altra perpendicolarmente alla superficie. Il flusso di solvente attraverso una m. di questo tipo potrebbe essere dato dalla legge di Poiseulle. Anche introducendo fattori correttivi che tengono conto della tortuosità dei pori, dell'esistenza di pori non passanti e con diametri diversi, l'equazione non è in grado di descrivere correttamente molti risultati sperimentali. Le m. impiegate nell'ultrafiltrazione, in realtà, non operano attraverso un semplice meccanismo di setaccio molecolare. Un modello basato sul concetto di semplice flusso viscoso porterebbe, per es., a prevedere che la reiezione verso i soluti non dovrebbe dipendere dalla pressione applicata o dal flusso, eccetto nei casi in cui le dimensioni del soluto siano nettamente diverse dalle dimensioni del poro. Questo risultato è contrario alle osservazioni sperimentali.
In realtà i soluti sono ''reiettati'' in parte da quelle forze chimiche che determinano la solubilità (le forze di Van der Waals nel caso delle specie non cariche e la repulsione elettrostatica nel caso di elettroliti e m. con cariche fisse); inoltre il trasporto nei pori è di tipo sia diffusivo che viscoso. Le forze che respingono i soluti in generale influenzano anche le loro velocità di trasporto. Pertanto le dimensioni dei soluti sono solo uno dei fattori che determinano le caratteristiche del processo di ultrafiltrazione. Nella tab. 4 sono schematizzate alcune delle differenze sostanziali tra osmosi inversa e ultrafiltrazione.
Per quanto riguarda l'ultrafiltrazione è ancora da considerare che sia la reiezione delle m. che la velocità del processo possono essere controllate in modo significativo dalla formazione di sottili strati di specie a elevato peso molecolare sulla faccia pressurizzata della membrana. Questi film, che in alcuni casi sono dei veri e propri gel, rivestono un ruolo molto importante nel processo.
Il trasporto di materia attraverso le m. è controllato, oltre che dalle loro proprietà intrinseche, anche dai fenomeni che hanno luogo all'interfaccia m.-soluzione e nel corpo delle soluzioni che bagnano le membrane. Quando una soluzione viene filtrata sotto un gradiente di pressione attraverso una m. semipermeabile, i soluti tendono ad accumularsi sulla faccia pressurizzata della membrana. Questo fenomeno, che porta alla formazione di profili di concentrazione nella soluzione, viene generalmente indicato come polarizzazione per concentrazione. Un aumento di concentrazione sulla faccia pressurizzata della m. nella grande maggioranza dei casi diminuisce il rendimento globale del processo. Esso porta infatti: a) a un aumento della pressione osmotica della soluzione e a una conseguente diminuzione della differenza di pressione utile; b) a un abbassamento del coefficiente di reiezione della m., in particolare se si opera con m. cariche; c) a un aumento della concentrazione salina nel permeato; può portare inoltre alla precipitazione di specie poco solubili sulla membrana.
Le dimensioni del fenomeno, che dipendono principalmente dal bilanciarsi del flusso convettivo del soluto verso la m. e del controflusso diffusivo dalla m. verso il corpo della soluzione, sono legate alle caratteristiche della m. quali permeabilità e coefficienti di reiezione, e alla fluodinamica del sistema. Sebbene la polarizzazione per concentrazione non possa essere completamente eliminata, vi sono due approcci per limitare il fenomeno, e cioè: a) operare con bassi flussi d'acqua che attraversano la m., così da ridurre il gradiente di concentrazione che si sviluppa nel sistema per un fissato recupero di solvente; b) operare in condizioni di turbolenza spinta, così da avere un continuo ed efficace rimescolamento della soluzione.
L'equazione che dà il trasporto di materia in condizioni di stazionarietà, nello strato limite può essere scritta nella forma:
dove J2 è il flusso netto del soluto attraverso la m.; UxL è la velocità della soluzione nello strato limite; C2L è la concentrazione del soluto nello strato limite; x è una lunghezza misurata nello strato limite a partire dalla superficie di contatto strato limite-soluzione; i due termini del membro a destra della [4] rappresentano rispettivamente il flusso convettivo verso la m. e il controflusso diffusivo dalla m. verso la soluzione. Nei processi di osmosi inversa il termine convettivo è sempre maggiore del controflusso diffusivo.
Nei processi di ultrafiltrazione, a causa della bassa diffusività delle specie che si accumulano sulla faccia pressurizzata della m., il fenomeno di polarizzazione può essere particolarmente vistoso (fig. 9). Il modello analitico in genere accettato per interpretare i risultati sperimentali ottenuti nell'ultrafiltrazione di soluzioni macromolecolari è il cosiddetto modello del gel.
Secondo tale modello, in un primo tempo s'instaura nel corpo della soluzione un profilo di concentrazione (conseguenza della polarizzazione per concentrazione), il cui andamento varia nel tempo fino a raggiungere una condizione di regime. Infatti, la concentrazione della soluzione all'interfaccia soluzione/m. va aumentando fino a che il flusso convettivo del soluto verso la m. non uguaglia la risultante del controflusso e del flusso attraverso la membrana. Se in queste condizioni si aumenta il flusso convettivo (per es. aumentando la pressione applicata), la concentrazione all'interfaccia aumenta fino a che, a causa del conseguente controflusso diffusivo, non viene raggiunta una nuova condizione di regime. Tuttavia, allorché la concentrazione raggiunge un valore limite, Cg, di gelificazione, il macrosoluto si deposita sotto forma di uno strato di gel all'interfaccia soluzione/membrana. In questo caso, ogni eventuale aumento del flusso convettivo provoca solo un aumento dello spessore dello strato di gel, restando sempre costante la concentrazione Cg all'interfaccia; anche la velocità di ultrafiltrazione si riporta al precedente valore.
Lo strato gelificato va considerato come una resistenza additiva che si oppone al trasporto di materia; in termini di flusso, J, si può scrivere, in prima approssimazione:
dove ΔP è la differenza di pressione idrostatica applicata, Rm e Rg sono le resistenze offerte rispettivamente dalla m. e dallo strato di gel. La relazione [5] spiega, pertanto, l'abbassamento della velocità di ultrafiltrazione conseguente alla formazione dello strato gelificato. Supponendo che la resistenza limitante il flusso sia dovuta proprio alla formazione dinamica dello strato gelificato, è possibile determinare il valore del flusso di permeato attraverso la m. e dedurre alcune indicazioni sulla dipendenza del flusso dai parametri caratteristici del sistema; ciò è reso possibile dal presupposto che la concentrazione Cg sia costante e che lo strato di gel sia libero di variare in spessore e porosità (proprietà che influiscono sulla permeabilità e la resistenza del flusso). Infatti, il valore del flusso, J, nell'ipotesi che la m. abbia una reiezione del 100% verso il macrosoluto, può essere calcolato attraverso il bilancio di materia fra flusso convettivo e controflusso diffusivo. In condizioni di regime si ha:
dove J è il flusso di solvente attraverso la m., C la concentrazione della soluzione e Ds il coefficiente di diffusione del soluto. Il modello del gel facilita l'integrazione dell'equazione [6], poiché le condizioni ai limiti sono specificate; la concentrazione del gel è costante al valore Cg mentre la concentrazione nel corpo della soluzione Cs è anch'essa nota. Si ottiene così:
dove K è il coefficiente di trasporto di materia, dato dal rapporto fra Ds e lo spessore d dello strato gelificato.
Tra le m. polimeriche più utilizzate nei processi industriali di osmosi inversa sono quelle di acetato di cellulosa preparate per inversione di fase. Si tratta di m. asimmetriche caratterizzate da uno spessore dello strato denso superficiale di circa 0,2 μm. Il resto della m. è una struttura porosa (v. fig. 3) la cui funzione è di supporto allo strato denso il cui contenuto in acqua è di circa 60%. Le m. di acetato di cellulosa devono essere mantenute sempre umide; nel seccarsi infatti la struttura della m. subisce trasformazioni irreversibili che ne distruggono le proprietà di selettività e la permeabilità. Una caratteristica importante di queste m. sta nel fatto che si può variare la loro selettività e permeabilità mediante semplice ricottura in acqua. All'aumentare della temperatura si ha una diminuzione della permeabilità, accompagnata però da un innalzamento della reiezione e da un miglioramento delle proprietà meccaniche. Tra le caratteristiche negative di queste m. è da ricordare la loro limitata resistenza al pH, e la tendenza a un certo compattamento. La vita media delle m. di acetato di cellulosa è variabile in dipendenza delle condizioni di esercizio dell'impianto. Risultati sperimentali hanno indicato che tale vita può superare i tre anni, se le condizioni operative sono controllate con cura (pH=4,5÷5; T=25°C, preabbattimento di colloidi, ecc.). Allorché queste m. devono essere conservate per lunghi tempi, è necessario mantenerle in un mezzo in cui non si sviluppino microrganismi capaci di attaccarle. In pratica soluzioni diluite di solfato di rame o di altri battericidi bastano a evitare la degradazione batterica.
Per quanto riguarda la selettività di queste m. verso i vari sali, i modelli descritti prevedono in genere che l'ordine di separazione dei soluti sia quello della serie liotropica degli elementi particolarmente quando si adoperino m. di acetato di cellulosa trattate a temperature superiori agli 80 °C, e soluzioni elettrolitiche di elevata concentrazione. Quale che fosse il modello proposto, il comportamento delle m. di acetato di cellulosa è stato considerato in letteratura come tipico per m. non cariche.
Diverse m. asimmetriche e composite sono disponibili commercialmente sia in moduli a spirale che in configurazioni di fibre cave. In pratica sono disponibili m. con reiezioni superiori al 98÷99% verso gli elettroliti. Selettività più basse, e minore resistenza chimica si hanno invece nel trattamento di solventi organici. La resistenza alla temperatura in genere non supera i 30÷40 °C, tranne che nel caso di m. dinamiche. In tab. 5 sono confrontati diversi parametri caratteristici di m. per osmosi inversa tra cui anche quelle in polipiperazinamide prodotte in Italia, caratterizzate da un'elevata resistenza al Cl2.
La permeabilità delle m. in configurazione di fibre cave è in genere molto minore rispetto a quella delle m. piane o tubolari. Tuttavia la densità d'impacchettamento è talmente elevata da compensare la minore permeabilità. Le fibre cave hanno dimensioni caratteristiche dell'ordine dei 45 μm in diametro esterno e dei 24 μm per il diametro interno (spessore di 0,01 mm e diametro di 0,045 mm). Il rapporto diametro esterno-spessore della parete è sufficientemente piccolo da far sì che le fibre possano sopportare alte pressioni esterne.
Sono state preparate fibre cave sia da poliammidi aromatiche (DuPont) che da acetato di cellulosa (Monsanto, Dow). Le reiezioni sono in genere minori di quelle osservate con m. piane preparate a partire dagli stessi polimeri. I problemi di avvelenamento che s'incontrano con le fibre cave sono dello stesso tipo di quelli che si possono riscontrare in altri sistemi. Tuttavia i lavaggi delle m. sono spesso più complessi e ciò rende necessario un notevole controllo nel pretrattamento delle acque.
Le m. utilizzate nei processi di ultrafiltrazione sono microporose, con diametro nominale dei pori nell'intervallo 0,001÷0,1 μm. Queste m. sono permeabili ai solventi e alle specie a basso peso molecolare (elettroliti, zuccheri, ecc.), mentre specie chimiche di peso molecolare maggiore (per es. proteine, polisaccaridi, ecc.) vengono reiettate. Anche le m. per ultrafiltrazione sono caratterizzate in genere da una struttura asimmetrica formata da uno strato denso molto sottile (0,1÷5 mm) supportato da uno strato poroso relativamente più spesso. Queste m., che hanno caratteristiche di elevata resistenza alla pressione e all'attrito, possono essere preparate a partire da diversi polimeri (per es. polisolfoni, poliammidi aromatiche, PVDF) con una resistenza alla temperatura e al pH in genere maggiore di quella delle m. di acetato di cellulosa; possono essere conservate secche e resistono all'attacco di molti solventi organici. Tra le sostanze che possono essere separate efficacemente con processi di ultrafiltrazione sono colloidi, polimeri solubili e dispersioni con pesi molecolari tra circa 500 e 300.000.
Per la microfiltrazione in flusso tangenziale valgono le stesse considerazioni dell'ultrafiltrazione. Il diametro nominale dei pori delle m. impiegate nella microfiltrazione varia tra 0,1 e 0,5 μm, e oltre.
È possibile trattare con queste m. anche sospensioni diluite separando nettamente sulla faccia pressurizzata della m. i solidi sospesi dalle specie in soluzione. Sia in ultrafiltraggio che in microfiltrazione le pressioni applicate sono nettamente più basse di quelle utilizzate in osmosi inversa data l'assenza di controflussi osmotici. Le applicazioni possibili di queste operazioni a m. sono numerosissime; la flessibilità di questi processi ne permette l'impiego nella dissalazione delle acque sia saline sia salmastre, nell'industria farmaceutica, agroalimentare, tessile, conciaria, elettromeccanica, ecc. In pratica in ogni settore industriale conosciuto.
In tab. 6 sono presentate alcune delle applicazioni più tradizionali. La concentrazione dei sieri nell'industria lattiero-casearia, la produzione di acqua ultrapura nell'industria elettronica, il trattamento dei bagni di lavaggio delle linee di verniciatura elettroforetica, la preconcentrazione dei succhi di frutta e dei pomodori, il trattamento di diversi effluenti industriali al fine della loro depurazione sono esempi di impieghi tradizionali e standardizzati. Le potenzialità dell'osmosi inversa, dell'ultrafiltrazione e della microfiltrazione nella separazione, purificazione e concentrazione di specie biologicamente attive e in generale nelle biotecnologie sono di particolare importanza.
Elettrodialisi. È un processo di m. dove la separazione viene ottenuta grazie al trasporto selettivo degli ioni attraverso m. cariche sotto l'influenza di un campo elettrico applicato tra le due facce della membrana. Questo processo può essere impiegato per separare specie elettrolitiche da specie non elettrolitiche, nella concentrazione o nell'allontanamento di elettroliti dalle soluzioni, e nello scambio di ioni tra soluzioni diverse. Con il termine elettrodializzatore s'intende in genere l'insieme di più compartimenti separati da m. anioniche e cationiche, racchiusi tra due elettrodi, come rappresentato schematicamente in fig. 10.
Il cuore del processo sono le m. scambiatrici di ioni (m. cariche), preparate da scambiatori di ioni organici o inorganici. M. preparate da scambiatori di tipo cationico (m. cationiche) sono permeabili agli ioni carichi positivamente e impermeabili a ioni carichi negativamente. Le m. anioniche sono invece preparate da scambiatori di tipo anionico e sono impermeabili ai cationi. In pratica le m. scambiatrici sono permeabili agli ioni con carica di segno contrario a quella degli ioni fissi sulla catena polimerica. Questo fenomeno di esclusione, di origine elettrostatica, è detto esclusione Donnan.
Perché una m. sia utile in questi processi, è necessario che, oltre a una buona selettività, abbia anche una bassa resistenza al passaggio degli ioni. Per diminuire la resistenza, bisogna diminuire il grado di reticolazione della matrice polimerica. Ciò a sua volta può diminuire la selettività. Per tale ragione occorre combinare in modo opportuno selettività e resistenza. Le m. esistenti hanno questa caratteristica, oltre a buone proprietà meccaniche e resistenza chimica.
L'elettrodialisi ha trovato applicazione industriale nella dissalazione di acque salmastre e di acque di mare, nel trattamento di bagni al nichel e dei bagni di lavaggio acidi nell'industria galvanica, nella rimozione di elettroliti da soluzioni zuccherine o da soluzioni di altre specie non cariche, nella demineralizzazione dei sieri, nella rimozione del tartrato di potassio dai vini, nel frazionamento di amminoacidi, ecc. Sono stati realizzati in Medio Oriente impianti che producono circa 24.000 m3/giorno d'acqua potabile con meno di 100 ppm in solidi totali disciolti.
M. scambiatrici di ioni vengono anche impiegate in processi elettrochimici industriali. Il caso di maggiore interesse è il processo cloro-soda, in cui ioni sodio in una soluzione salina concentrata migrano attraverso una m. cationica per formare soda caustica, e ioni cloro reagiscono all'anodo per formare cloro gassoso. Questo processo è stato reso possibile ed economico dalla realizzazione di m. in acido poliperfluoro-solfonico particolarmente resistenti agli agenti chimici presenti nel processo.
Dialisi Donnan. Si tratta di un processo di m. simile all'osmosi inversa e all'elettrodialisi. La forza motrice che viene sfruttata nella dialisi Donnan è la risultante delle differenze di concentrazione tra le due facce della membrana.
Le soluzioni contenenti ioni metallici (per es. nichel) vengono fatte scorrere nell'interno di m. capillari preparate a partire da materiali polimerici scambiatori di cationi. Una soluzione rigenerante (per es. acido solforico diluito) capace di solubilizzare gli ioni metallici si fa scorrere esternamente ai capillari controcorrente al flusso della soluzione da trattare. Gli ioni metallici migrano attraverso la m. cationica e si concentrano nella soluzione acida. Le esperienze hanno mostrato che è possibile concentrare gli ioni metallici nella soluzione rigenerante fino a valori tali da consentire il riciclo diretto nei bagni galvanici.
Il vantaggio della dialisi Donnan rispetto all'osmosi inversa e all'elettrodialisi sta nei bassi consumi energetici. Uno dei maggiori problemi del processo sta nel fatto che la soluzione rigenerante tende ad acidificare leggermente la soluzione trattata. La comparsa sul mercato di nuovi materiali polimerici, che permettono di preparare m. cationiche di eccezionale resistenza chimica e con ottime proprietà meccaniche, ha permesso applicazioni industriali di questo processo.
Separazioni speciali. - Membrane liquide. Le m. liquide sono formate da un sottile film liquido che generalmente separa due liquidi miscibili o gas, e controlla il trasferimento di massa tra le due fasi.
Possono essere distinti due tipi di m. liquide: m. liquide emulsionate e m. liquide immobilizzate (o supportate). Le m. liquide in emulsione sono generalmente formate preparando un'emulsione di due fasi immiscibili. La fase continua dell'emulsione forma la m. liquida e le particelle disperse nell'emulsione formano la cosiddetta fase interna. La fase m. liquida normalmente contiene tensioattivi e additivi che vengono usati per controllare la stabilità, la permeabilità e la selettività delle membrane. L'emulsione è poi dispersa in una terza fase (la fase continua esterna) la quale è normalmente miscibile con la fase interna. Alla fine della separazione l'emulsione viene trasferita in un sedimentatore nel quale la fase m. liquida e la fase continua si separano per differenza di densità. L'emulsione separata viene poi rotta nell'unità di coalescenza e la fase interna viene, a seconda dei casi, recuperata o allontanata. La fase m. viene riciclata all'emulsificatore chiudendo il ciclo. Le m. liquide in emulsione sono state studiate nella separazione di sostanze organiche, inorganiche e ioni metallici da soluzioni. Le m. liquide supportate vengono ottenute per impregnazione di un supporto microporoso polimerico con un liquido contenente un complessante. Questo tipo di m. è stato sperimentato soprattutto nella separazione di ioni metallici (rame, uranio, cromo, zinco, cadmio, ecc.) da soluzioni (tab. 7) e nella purificazione di miscele gassose, per es. separazione di CO2, H2S, NOx, idrocarburi insaturi, ecc.
Il meccanismo di trasporto che è alla base del funzionamento dei processi di separazione e recupero che utilizzano m. liquide, è noto in letteratura come trasporto con carrier. Il complessante, generalmente un composto organico immiscibile in acqua, separa una specie dalle altre reagendo con essa e trasportandola in un ambiente che si trova in condizioni chimiche diverse nel quale se ne libera.
Si possono distinguere quattro tipi fondamentali di trasporto con complessante: trasporto semplice con carrier, trasporto semplice con carrier e reazione chimica in fase ricevente, controtrasporto accoppiato, cotrasporto accoppiato. Di essi esponiamo qui di seguito le rispettive caratteristiche.
Nel trasporto semplice con carrier (fig. 11, I) il complessante C reagisce all'interfaccia m.-soluzione acquosa, lato soluzione donante con la specie A secondo la reazione chimica A+C→AC, e, dopo averla trasportata sotto forma di complesso AC attraverso la m., la rilascia all'interfaccia m.-soluzione ricevente secondo la reazione inversa. Riacquistata in tal modo la sua forma originaria, il carrier diffonde nuovamente verso la m., rinnovando il ciclo di trasporto.
Nel trasporto semplice con carrier e reazione chimica in fase ricevente (fig. 11, II) si ha rispetto al primo caso un aumento di flusso dovuto alla scomparsa di A per effetto della reazione chimica con il composto D in fase ricevente.
Nel controtrasporto accoppiato (fig. 11, III) il complessante C dà luogo su ciascuna interfaccia m.-soluzione acquosa a una reazione di scambio schematizzabile secondo l'equazione chimica A+BC→B+AC. Come risultato di ciò le specie A e B diffondono sotto forma di complessi AC e BC attraverso la m. con flussi accoppiati, ma diretti in versi opposti.
Nel cotrasporto accoppiato (fig. 11, IV) la reazione che avviene all'interfaccia è A+B+C→ABC. Si ha ancora un accoppiamento dei flussi delle specie permeanti A e B le quali tuttavia, in questo caso, vengono trasportate attraverso la m. nella medesima direzione.
Due osservazioni possono essere fatte a proposito di questi due tipi di trasporto accoppiato: l'effetto della reazione chimica interfacciale è tale da mantenere a un valore elevato il gradiente di concentrazione delle specie co- e controtrasportate; il movimento delle specie chimiche esistenti in m. secondo il proprio gradiente di concentrazione permette il trasporto delle specie A e B anche contro gradiente. Un modello matematico capace di descrivere lo svolgersi dei fenomeni che si possono verificare in una m. liquida supportata utilizza risultati sperimentali quali le correlazioni tra il flusso delle specie permeanti la m. a diverse composizioni della fase organica, a diverse composizioni delle soluzioni acquose di alimentazione e di stripping e parametri diffusionali delle specie permeanti accoppiati con le proprietà idrodinamiche dell'apparecchiatura utilizzata. I processi che utilizzano m. liquide offrono una interessante alternativa alle tradizionali tecnologie di separazione con solvente, essendo caratterizzati da limitati consumi energetici ed elevate potenzialità.
Pervaporazione. È un processo di m. ove una miscela liquida è a contatto diretto con una faccia della m. e il permeato prodotto è rimosso come vapore sull'altra faccia. Il trasporto di materia attraverso la m. è ottenuto abbassando l'attività dei componenti che permeano a valle della m. creando un certo grado di vuoto (fig. 12, A) o utilizzando un gas, aria, vapor d'acqua, che funge da carrier (fig. 12, B). Nella pervaporazione, pertanto, a differenza degli altri processi a m., si ha un cambiamento di fase nella specie permeato. Il permeato successivamente viene condensato e raccolto come liquido.
Il meccanismo del trasporto nella pervaporazione può essere così sintetizzato: dapprima si ha l'assorbimento selettivo dei componenti della miscela liquida nella m.; si ha poi la diffusione selettiva attraverso la m.; infine si realizza il desorbimento in fase vapore sull'altra faccia. Pertanto il trasporto può essere descritto secondo un meccanismo di tipo solubilizzazione-diffusione dove la selettività nella miscela liquida è quindi determinata dalla solubilizzazione e dalla diffusione selettiva dei singoli componenti la miscela nella fase polimerica.
Le principali applicazioni della pervaporazione sono destinate alla separazione di miscele di sostanze organiche: in particolare è possibile realizzare la rimozione di acqua o di alcole da loro miscele, la rimozione di contaminanti organici aromatici dall'acqua inquinata, nonché la separazione di isomeri e di miscele azeotropiche. M. composite in alcole polivinilico supportate su polisolfone o poliacrilonitrile presentano fattori di separazione H2O/alcole molto elevati, e buona stabilità meccanica e chimica. Queste m. sono utilizzate in impianti industriali per la produzione di alcole puro al 99,7%.
Distillazione a membrana. Il trasporto selettivo di materia può essere ottenuto applicando gradienti termici attraverso adatte m. microporose. Si supponga d'interporre tra due semicelle a differente temperatura una m. idrofoba porosa. Una semicella contiene una soluzione acquosa di un qualche soluto, l'altra semicella contiene, almeno inizialmente, acqua liquida pura a temperatura inferiore sì da creare un gradiente termico, per es. pari a 5÷10°C. In tali condizioni, alimentando in continuo la soluzione nella cella più calda e mantenendo costante la temperatura nella cella più fredda mediante un sistema di refrigerazione, si osserva un trasporto di materia che separa nella cella più fredda soltanto il solvente (acqua) della soluzione, praticamente esente da soluto. Nella fig. 13 è schematizzato il processo in oggetto.
Un modello in grado di descrivere il trasporto selettivo di materia in questo sistema può essere elaborato ipotizzando un processo di evaporazione sulla superficie calda della m. idrofoba impiegata, seguito da trasporto del vapore nella m. porosa e condensazione dello stesso sulla superficie fredda e in parte nei pori della membrana. La m., oltre a impedire il flusso massivo della soluzione, favorisce la cinetica dell'evaporazione ed elimina la presenza di incondensabili nella fase vapore. Tra l'interfaccia più fredda e quella più calda della m. esiste un gradiente di pressione dovuto alla differenza tra le tensioni di vapore alle temperature interfacciali. Il vapore può quindi, a differenza della fase liquida, fluire attraverso i pori (l'idrofobicità del polimero nei pori assume scarsa rilevanza nei confronti della fase vapore).
La forza motrice del trasporto è quindi la differenza fra le tensioni di vapore alle due interfacce. L'idrofobicità del materiale polimerico che costituisce la m. ha invece funzione selettiva; impedisce il passaggio massivo della soluzione verso la cella fredda e impedisce al solvente condensato di ritornare verso la cella calda. Tale funzione continuerebbe a essere operante anche se la m. fosse sottoposta a gradiente di pressione idrostatica, contenuto entro un certo limite. Tale pressione limite è quella che, applicata tra le due facce della m., anche in assenza di gradiente termico, provocherebbe il trasporto massivo di liquido attraverso il sistema, anche se a selettività nulla. Il valore della pressione limite P può essere calcolato in base alla legge di Kelvin:
in cui γ è la tensione superficiale, l'angolo di contatto, r il raggio del poro. Tale pressione, in genere dell'ordine di poche atmosfere, rappresenta la pressione idrostatica minima da fornire a un liquido per attraversare la membrana.
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