MELOZZO da Forlì
Pittore, nato nel 1438 da Giuliano degli Ambrogi in Forlì, morto ivi nel 1494. Seguì probabilmente nel 1459 a Roma Piero della Francesca, quando questi fu chiamato da Pio II. Allora per Alessandro Sforza, capitano pontificio, M. e Antonio Aquilio, detto Antoniazzo Romano, condiscepoli, eseguirono copie delle Madonne attribuite a San Luca, quegli per Santa Maria del Popolo, questi per Santa Maria Maggiore. Dal 1460 al 1475 M. rimase probabilmente a Roma, salvo brevi assenze per affari a Forlì, dove si trovava il 2 dicembre 1461 e il 14 dicembre 1464. Si suppone che col suo maestro si recasse poi a Urbino, dove Giovanni Santi lo ricordò come pittore che "in prospettiva ha steso tanto il passo", e dove esercitò influsso sul giovane Donato Bramante e su Giusto di Gand. Si attribuiscono alla sua primitiva attività in Roma il Redentore, già nella raccolta Gualino, il S. Marco Papa e il S. Marco Evangelista nella chiesa di S. Marco, l'affresco dell'Annunciazione nel Pantheon, il Cristo giudice tra due angioli nel monumento Coca a Santa Maria sopra Minerva, il San Fabiano pontefice (ora a Cambridge, in America), la Madonna, già Benson, e il San Sebastiano tra due divoti, già in Santa Maria della Pace, gli affreschi (1475) dell'oratorio di San Giovanni a Tivoli. Nel 1477 M. dipinse in Vaticano l'Inaugurazione della Biblioteca rinnovata e restaurata da Sisto IV. Lavorò in Vaticano anche negli anni seguenti, sino al gennaio 1481, avendo Antoniazzo a cooperatore, e Giovanni del Sega forlivese a garzone; fuori del Vaticano, eseguì l'Ascensione di Cristo nella tribuna della chiesa dei Ss. Apostoli, e, come pittore papale, fu tra i fondatori dell'università dei pittori, detta di S. Luca, costituita il 17 dicembre 1478. Lasciò Roma nei primi mesi del 1481; soggiornò in Urbino, dove dipinse il ritratto di Guidobaldo da Montefeltro ancora fanciullo, oggi nella galleria Colonna, e tornò nel 1484 in patria "a visitare" secondo il Cobelli, "la sua brigata, dipintore illustre del conte Girolamo (Riario), il quale lo volse per iscodiero e gentiluomo, e davagli una magna provisione". Dipinse in quel tempo una cupola nella chiesa forlivese dei Cappuccini, distrutta a mezzo il Seicento. Nel maggio del 1489, M. riapparve a Roma, nel 1491 di nuovo a Forlì, dove eseguì il Pestapepe. Al principio del 1493 è ricordato dipintore del palazzo degli Anziani ad Ancona, e probabilmente allora aveva già ideato la fastosa decorazione della cappella del Tesoro a Loreto. Lasciò Ancona il 29 maggio di quell'anno per tornare a Forlì, dove il giorno 8 novembre successivo morì; e il Cobelli lo esaltò come maestro "de l'arte de la prospectiva e pictura el più solenne de l'Italia".
L'arte equilibrata di Piero acquistò nel romagnolo una vitalità nuova, un'energia eroica; l'imponenza della costruzione di Piero si accese di un ardore d'esaltazione umana. Sotto l'influsso del maestro si rivela il Cristo benedicente del museo d'Urbino, ancora di schema appare il S. Marco Papa della chiesa di S. Marco a Roma, mentre il S. Marco Evangelista, che gli fa riscontro, nell'interno d'una stanza penetrata da un raggio di luce, è più vivo e alquanto sciolto dai ceppi teoretici. Nell'Annunciazione del Pantheon, trasformazione del prototipo del maestro in S. Francesco d'Arezzo c'è una plasticità, una passionalità nuova; e sempre più assume ampiezza e profondità lo sfondo prospettico nell'altra Annunciazione del Museo Gardner di Boston. Così nella Madonna col Bambino, già in casa Benson a Londra, M. abbandona lo schema architettonico di Piero, sostituendo all'appiombo delle forme l'indolenza della curva; al rigore, larghezza e rotondità di volume. La luce non è bionda e cristallina, come in Piero; s'addolcisce, s'imbionda con morbidezze di velluto e di raso, e il colore si fa intenso e squillante, Come nelle ali di rubino e smeraldo dei cherubi adoranti quella Madonna. Plastico, grandioso, con rapidità e larghezza di frescante, con modellatura sommaria e morbida, continua M. a dipingere la tavola a tempera, ora in America, di San Fabiano Papa, parte di polittico già nella chiesa di Santa Maria della Pace, da cui pure proviene il San Sebastiano tra due divoti nel Museo di palazzo Venezia, incisivo nel segno, esatto nel rilievo ottenuto per gradi di luce e d'ombra, profondo per la penetrazione della forma caratteristica, trasparente di colore sul fondo ampio di paese. Pittore ufficiale di Sisto IV, per lui compose l'Inaugurazione della Biblioteca Vaticana, col Platina che indica a Sisto IV l'iscrizione magnificante le gesta del pontefice, e, in particolare, l'ordinamento decoroso della biblioteca. All'atto solenne assistono Girolamo Riario, signore di Forlì, il cardinale Giuliano della Rovere con suo fratello Giovanni, prefetto di Roma, e Raffaello Sansoni, protonotario apostolico. Tutto è in uno scenario di turchese, d'oro, di marmi prezîosi, in piena luce, in giusto rapporto coi personaggi dal piglio minaccioso, risoluto e audace. Sono segnati come con una punta di ferro, con una forza caratterizzatrice, penetrante nella sua schietta rudezza. Ai Ss. Apostoli, permettendo lo spazio i voli alla fantasia del pittore, figurò Cristo trionfatore innalzarsi, tra il brulicar degli angioli in festa, inneggianti, in un'accensione di sole, alla gloria di Dio, mentre gli Apostoli paiono sollevati sulla terra dall'impeto del desiderio, dall'estasi profonda.
Dopo tanto fulgore, il grande forlivese si presenta appena di sfuggita nel ritrattino di Guidobaldo d'Urbino fanciullo, nello sforzo erculeo del Pestapepe, nell'ideazione della fastosa decorazione della cappella del Tesoro a Loreto eseguita per il cardinale Girolamo Basso della Rovere, come in quella della cappella Feo in San Biagio a Forlì: opere in cui lascia la traccia dell'impeto iniziale del suo genio. (V. tavv. CXLIX-CLII e tav. a colori).
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