MELOLOGO (dal gr. μέλος "melodia" e λόγος "parola")
Con questo termine si designa in Italia un genere di composizione (cui altrove corrisponde, nelle varie forme linguistiche, l'impropria voce Melodramma), nel quale una semplice recitazione, più o meno libera, d'un testo letterario (poetico più spesso che prosastico) è accompagnata da una sincronica parafrasi strumentale. Genere, dunque, misto; nel quale più volte si tentò, dal mezzo Settecento in poi, di appagare il sempre risorgente desiderio di un'arte multipla, o "integrale", risultante dal concorso di due o più arti. Il melologo rientra quindi nella cerchia che accoglie il balletto, la pantomima, l'opéra-comique (alternante pagine musicali a pagine di recitazione, come la Musical Comedy, il Singspiel, il Vaudeville e l'operetta) e la stessa opera lirica. Ma, mentre in altri generi, come appunto nell'opera, il mancato raggiungimento d'una reale "integralità" è compensato largamente dalla finale unità espressiva dell'opera d'arte, per qualunque via la si sia raggiunta, nel melologo tale unità è impedita proprio dal sussistere del carattere di totalità espressiva in ambedue i discorsi paralleli: il musicale e il poetico; sì che entrambe, sussistendo come opere d'arte, giungono contemporaneamente a due espressioni totali e assolute, l'una escludente l'altra.
Prodotto d'un pensiero estetico ingenuo, che intendeva addizionare la suggestione di un'arte con quella d'un'altra, il melologo nasceva, a tempo e tra artisti contaminati di malcompreso razionalismo, verso la metà del sec. XVIII: nel 1750 ne dava il primo esempio J. E. Eberlin, maestro di cappella dell'arcivescovo di Salisburgo, autore di Schuldramen e di oratorî; e nel 1775 (dopo un Pygmalion, rappresentato nel 1763 a Parigi sotto il nome di J.-J. Rousseau, ma composto, tranne due pezzi del Rousseau, da H. Coignet) seguivano i due più importanti saggi che siano apparsi di melologo teatrale: Ariadne e Medea del "Mannheimer" (v. mannheim) Georg Benda (v.). In questi due melologhi e in quelli che il Benda diede in seguito (Pygmalion, Philon und Theone) si mostra anzitutto, vicino ai pregi di condotta sinfonica bene spiegabili nel Mannheimer, l'inevitabile identità interiore dello stile con quello dell'opera contemporanea. Si trattava insomma, di opere nelle quali il canto era passato dalle voci all'orchestra, non già di forme nuove, nate e necessariamente volute da uno spirito nuovo. Nonostante il valore del risultato musicale e anche di una certa aderenza al processo drammatico, il melologo di G. Benda non giustificava i suoi criterî, ma anzi li lasciava in vista, allo stato d'intenzioni.
Ma il vivace senso strumentale dei Boemi (quali erano quasi tutti i Mannheimer), che già aveva reso possibile la riuscita musicale dei melologhi del Benda, continuò da allora in poi a invogliare i musicisti di quel popolo a siffatte composizioni, mentre in Italia il genere restò sempre fondamentalmente estraneo alla musicalità nazionale, e in Germania si preferì servirsi delle sue proprietà soltanto per episodî singoli di opere musicali, o di drammi, o per composizioni non teatrali: Ballate per declamazione, con accompagnamento pianistico, o d'orchestra. Neanche W. A. Mozart che pure scriveva, in una lettera del 12 novembre 1778, "avere sempre desiderato di comporre musica per un Duodrama" (cioè per un melologo), concretò mai questo desiderio, certamente perché il suo felice talento di drammaturgo musicale non poteva non riassumere immediatamente e totalmente in musica qualunque poema o vicenda scenica trattenesse la sua attenzione.
Episodî trattati a melologo si trovano nel Fidelio di L. v. Beethoven e nel Freischütz di C. M. v. Weber e, come è ovvio, nelle musiche cosiddette di scena per drammi o poemi drammatici: i migliori esempî si trovano in Beethoven (Egmont), F. Mendelssohn (Sogno d'una notte d'estate), R. Schumann (Manfred); ma a questo tipo possiamo ravvicinare le citate Ballate per declamazione con accompagnamento strumentale, che talvolta si dànno nei lirici tedeschi (Abschied von der Erde di F. Schubert, Schön Hedwig, Vom Heidenknaben e Fugitives di R. Schumann, Vom Pagen und der Königstöchter di J. A. Hiller, seguiti da Lenore e Träuriger Mönch di F. Liszt e da Enoch Arden di R. Strauss) e nelle cosiddette Recitation Music degl'inglesi Stanley Hawley e A. C. Mackenzie. Nei paesi occidentali, alla posizione italiana avversa al melologo, si sono tenuti anche francesi, belgi, ecc., eccetto per il melologo in musiche di scena, quale l'Arlésienne di G. Bizet.
La composizione a melologo d'un intero dramma è dunque rimasta nell'ambito dei musicisti boemi, tra i quali il lontano modello di G. Benda è ancora e spesso imitato: dopo i melologhi di Z. Fibich (La veglia di Natale, L'eternità, Il folletto delle acque, la trilogia Hippodamia [1888]), che nonostante l'iniziale vittoria sono stati presto messi da parte, la Boemia ha avuto più notevoli melologhi presso R. Procházka (Il Cristo), K. Kovařovic (L'orfana del burattinaio), O. Ostrčil, E. M. Rutte (Il giglio), e saggi d'uno stile prossimo a quello del melologo, nei quali la voce si spinge a una posizione intermedia tra la recitazione e il canto, presso J. Křička (Jaro Pacholátko). Impropria è l'inclusione tra i melologhi, da alcuni tentata, di opere quali Jenufa (Jeij pastorkyïa) di L. Janáček, nelle quali la parte vocale è bensì ispirata alle inflessioni comuni del parlato (nel caso della Jenufa, tale notazione è d'una prodigiosa sensibilità), ma, come il "recitar cantando" di E. del Cavaliere e dei Fiorentini, da queste inflessioni stesse è sospinto verso un valore, per toni e per ritmi, nettamente musicale. E non diversamente, per quanto di melologo parli lo stesso autore, può dirsi della Sprach-Melodie concretata da A. Schonberg (v.) nel suo Pierrot lunaire, nella quale la voce deve eseguire con precisione una parte interamente musicata, soltanto abbandonando subito ogni nota toccata, in una sorta di commossa vibrazione, o oscillazione, del suono, tale da creare un'impressione ambigua tra canto e parlato:
Un vero e proprio melologo, quantunque variamente concretato da pagina a pagina, è invece la Storia del soldato di I. Stravinskij, di cui alcune scene hanno un recitativo ritmicamente non autonomo, ma governato dal ritmo musicale così rigorosamente da esigere una notazione:
In altre pagine, invece, il recitato è completamente libero. La riuscita di questo lavoro è dovuta alla perfetta sufficienza della composizione musicale, di fronte alla quale il testo letterario del Ramuz non conserva funzione lirica, riducendosi a quella d'una semplice didascalia. E del lavoro, infatti, non vive ormai più la forma mista, a melologo, ma solo quella sinfonica, eseguita in sede di concerto.
Bibl.: Anonimo, Der Erfinder des Melodrams (G. Benda), in Neue Musikzeitung, 1895, p. 21; E. Istel, Die Entstehung des deutschen Melodrams, Berlino 1906; M. Steinitzer, Zur Entwicklungsgeschichte des Melodrams und Mimodrams, Lipsia 1918.