MELISSA (Μέλισσα)
Il generico termine greco designante l'ape appare più volte nella mitologia greca come nome proprio di numerose ninfe e figure femminlli, e diviene inoltre appellativo stabile delle sacerdotesse in diversi culti (sacerdotesse di Rhea, Demetra, Persefone, Artemide, Apollo Delfico). Ma la ragione d'essere di tali nomi va ricercata sempre, in ogni singolo caso, in una originaria connessione della figura con l'ape (animale ricco in ogni tempo di attribuzioni simboliche), connessione che può essere di varia natura, semplicemente di ordine mitologico, o più stretta, legata a concezioni religiose assai antiche, spesso notevolmente complesse e delle quali non sempre si può dire di essere riusciti a comprendere l'intimo valore primitivo e a ricostruire con sicurezza lo svolgimento nel tempo e nello spazio.
L'ape si presenta perciò al centro di tutta una problematica, che investe in particolare il piano della religione, e più genericamente del pensiero greco, e alla quale sarà qui fatto soltanto cenno, limitatamente a quegli aspetti che interessino manifestazioni figurative.
Ad Efeso, negli ex voto arcaici dei primi Artemisia sono state rinvenute delle singole api d'oro, usate come pendaglio, con le ali stampate in lamine riportate e il corpo ravvivato da fine granulazione; le api compaiono frequentemente in gioielli in forma di stella o in capocchie di spilloni, della medesima provenienza, usate in disegni decorativi. Al carattere di queste ultime si riallacciano le due rappresentazioni dell'insetto su un gioiello aureo del Louvre (che si dice proveniente da Milo), a forma di rosetta, decorata appunto con due api, assai naturalistiche, oltre che da due protomi taurine applicate a due busti femminili egittizzanti. Le api d'oro possono essere invece confrontate con analoghi oggetti di provenienza cretese, nei quali però il tipo dell'ape appare più schematizzato e meno naturalistico di quello di Efeso: un pendaglio dell'VIII sec. a. C. da Arkades, e un altro al British Museum, databile al VII sec. a. C. (di cui si ignorano le circostanze e l'esatto luogo del ritrovamento). Questo è costituito da due lamine auree: da quella superiore a rilievo è ricavato il corpo dell'animale, ravvivato da granulazione e filigrana, che contorna le ali rappresentate aperte. Separatamente va poi considerato un altro gioiello del British Museum, di provenienza ugualmente cretese, ma appartenente al IV sec. a. C., e un orecchino a disco, completato da numerosi pendaglietti, fra i quali si nota un minuscolo busto di divinità ape. Si tratta di un elemento che continua in questa epoca tarda, un motivo che ci è ben noto nel VII sec.: in tale periodo infatti il tipo della figura metà donna e metà insetto si presenta con significativa caratterizzazione a Rodi e a Thera. Dalla necropoli di Kamiros provengono (e sono certamente di produzione rodia) due placchette in lamina aurea, a metopa, stilisticamente inquadrabili, secondo la datazione del Jenkins, fra il 655 e il 620 a. C.: la decorazione a sbalzo è costituita da una figura a busto e testa (con acconciatura ad Etagenperrücke) femminile, dalle spalle partono dietro alle braccia, rappresentate aperte, due grandi ali falcate; dalla vita in giù il corpo è quello appuntito dell'ape. Le tre laminette auree provenienti da una tomba di Thera presentano una formulazione oltremodo stilizzata e deformata quasi fino all'incomprensione, del tipo della donna ape.
Tali placchette sono state giudicate una importazione rodia in base al confronto con un esemplare simile al Museo Nazionale di Copenaghen, proveniente appunto da Rodi. La posizione cronologica risulta abbastanza chiaramente definibile (inizio del VII sec. a. C.) attraverso il concomitante materiale ceramico.
Il problema del significato di tutta questa serie di documenti figurativi si presenta oltremodo complesso: concordemente accettato è soltanto il carattere votivo di tutte le api di Efeso. Esse si inquadrano perfettamente nell'insieme di quegli elementi che sono considerati attributi della dea, e che hanno comunque una qualche connessione con il suo culto. E la connessione dell'ape con l'Artemide Efesia è ben conosciuta: quale evidente simbolo di fecondità, le api sono raffigurate nella complessa decorazione del simulacro polymastòs della divinità; e non senza significato è l'insistenza con cui l'immagine dell'ape ricorre nella monetazione della città, dal VI sec. all'epoca ellenistica. Le sacerdotesse del tempio portano il nome di Melissai e sembra che vivessero in reclusione sacra ad Efeso; i sacerdoti, ai quali era affidato il compito di celebrare speciali cerimonie di sacrifici animali, erano detti, con termine greco ἐσσῆνες, cioè fuchi. Tale organizzazione del culto, ancora in tempi classici così evidentemente assimilata a quella di un alveare, postula l'esigenza di una "ape regina", che è naturale identificare con la divinità stessa. La primitiva esistenza di un culto animale, o comunque della concezione dell'ape come epifania teriomorfa della divinità (ad Efeso, a Creta e in tutto il mondo ionico orientale) può trovare una testimonianza nelle citate rappresentazioni della divinità ape sui gioielli di Rodi e di Thera. La figura, benché con corpo ed ali di insetto, si pone troppo chiaramente nel quadro tipologico delle varie pòtniai asiatiche, perché possa esserne separata.
Secondo la teoria che appare attualmente la più accreditata, questo aspetto del culto si spiegherebbe attraverso un influsso di elementi religiosi asiatici e precisamente hittiti. A testimoniare l'importanza dell'ape nelle concezioni religiose hittite e il valore di simbolo di fertilità che assume in esse, prima è ricordato il mito del dio della vegetazione, Telupini, il quale, adiratosi, si nascose, causando l'inaridimento della natura, fino a che non fu ritrovato dall'ape inviata dalla grande dea.
L'altra teoria, sostenuta in particolare dal Cook, vede in Creta, nelle cui tradizioni l'ape ricorre più volte, l'originario punto di partenza di questo culto diffusosi poi altrove. Prima delle sacerdotesse di Rhea, che anche più tardi portavano il nome di M., è considerata la mitica figura della cretese M., la quale altro non rappresenta che la personificazione dell'ape: M. nutre col miele il piccolo Zeus, nella grotta del monte Ida, mentre la sorella Amaltea lo nutre con il latte. Alle api che, secondo un'altra versione del mito, avrebbero esse stesse deposto il miele sulle labbra del fanciullo divino, fu affidato il compito di custodire l'ingresso della sacra caverna; Laios, Keleos, Kerberos e Aigolos osarono penetrarvi e furono trasformati in uccelli: su un'anfora attica a figure nere da Vulci aI British Museum (VI sec.) sono rappresentati, in una vivacissima ed espressiva composizione, i quattro personaggi assaliti e tormentati da un foltissimo sciame di api. In connessione con questo ciclo di leggende si spiega la frequente presenza dell'ape nella monetazione cretese di Elyros, Aptera, Praesus e Hyrtakina. In questa ultima città gli esemplari di una serie argentea del IV sec. oppongono ad una figura di ape sul rovescio, una protome di capra selvaggia sul dritto, come simboli di quel miele e quel latte che nutrirono Zeus, o delle loro personificazioni. A testimoniare l'interesse di cui l'ape è oggetto nell'ambiente cretese dell'VII-VII sec. a. C. sta anche la predilezione ad essa accordata come elemento decorativo nella ceramica, dove compare talvolta in forme schematizzate che derivano dalla trasformazione non casuale di motivi diversi, per esempio di alcuni motivi geometrizzanti ciprioti.
È difficile stabilire con sicurezza se, ed entro quali limiti, tutto questo complesso di elementi religiosi e mitologici possa essere riferito ad una primigenia concezione unitaria o se il ciclo, per esempio cretese, debba essere considerato, almeno parzialmente, autonomo. In ambedue le teorie ricostruttive sopraesposte risulta tuttavia confermato il carattere ctonio dell'ape, per il suo collegamento con divinità preelleniche, hittite, greche che siano, tutte essenzialmente legate alla terra. Ulteriore prova di tale carattere ctonio è fornita dal fatto, che l'ape ci appare poi fino all'età romana come creatura intimamente connessa con l'anima e simbolo di immortalità. Il Cook, dimostrando, sulla base delle fonti, come il concetto dell'assimilazione dell'anima dell'ape fosse piuttosto diffuso nella mentalità greca, avanza l'ipotesi che questo valore simbolico potessero avere le api d'oro cretesi, come lo avranno, in epoca molto più tarda, le api raffigurate insieme con altri elementi decorativi, su alcune placchette provenienti da una tomba della Crimea, e alcuni esemplari tardo-etruschi.
Basandosi sulla provenienza funebre, il Poulsen ritiene di poter attribuire identico valore alle esaminate laminette di Thera e di Rodi con la figura della donna ape, sostenendo che esse rispondono ad una concezione che deve essere tenuta distinta sia dal ciclo delle leggende cretesi, sia dalle credenze radicate in ambiente ionico.
Bibl.: W. Drexler, in Roscher, II, 2, 1894-97, c. 2637 ss., s. v.; A. B. Cook, The Bee in Greek Mithology, in Journ. Hell. St., XV, 1895, p. i ss.; E. Pfuhl, Der archaische Friedhof am Stadtberge von Thera, in Ath. Mitt., XXVIII, 1903, pp. 225-6, 228-9, tav. V, 1-3; D. G. Hogart, Excavations at Ephesus, Londra 1908, p. 102, tav. III, 5; IV, n. 32, p. 337; F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery in the British Museum, Londra 1911, p. XXV, n. 1118-9, tav. XII, n. 1259, tav. XIV, e n. 1655; F. Poulsen, Der Orient und die fruehgriechische Kunst, Lipsia-Berlino 1912, p. 141; Van Der Kolf, in Pauly-Wissowa, XV, 1931, c. 525 ss., s. v., n. 3; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1925, passim, in particolare II, 2, p. 928-9, tav. 42, II, p. 407; H. Payne, Early Greek Vases from Knossos, in Brit. Sch. Athens, 1927, p. 291 ss.; W. H. Ramsay, Asianic Elements in Greek Civilisation, Londra 1927, p. 82 ss.; R. J. H. Jenkins, Dedalika, Cambridge 1936, passim e in particolare p. 89 ss.; M. Marconi, Melissa, dea cretese, in Athenaeum, XVIII, 1940, p. 164 ss.; C. Picard, L'Ephésia, les Amazones et les abeilles, in Revue des Ét. Anc., XLII, 1940 (Mélanges Radet), p. 270 ss.; R. D. Barnett, Early Greek and Oriental Ivories, in Journ. Hell. St., LXVIII, 1948, pp. 20-21; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, pp. 43, 45, 49, 54; R. D. Barnett, Oriental Influences in Archaic Greek Art, in The Aegean and the Near East (Studies Presented to H. Goldman), New York 1956.
(S. De Marinis)