CICALA, Meliaduce
Nacque a Genova nel 1430 dal mercante Antonio ed ebbe fratelli Pietro, Galeotto e Lanzarotto. Egli seguì le orme paterne, tanto da diventare uno dei più potenti mercanti e banchieri del suo tempo. Non tralasciò neppure la guerra di corsa: nel gennaio 1460 a Chio tre "patroni" di navi, Maurizio Cattaneo, Melchiorre Gentile e il C., si mettevano sotto il comando di Edoardo Grillo per navigare verso Alessandria; il Grillo si impegnava a fornire 500 uomini da dividere tra le tre navi che, al ritorno, dovevano incrociare nel Mar Egeo. Il contratto era stipulato per una durata limitata e prevedeva anche una esatta ripartizione di prezzi, noli e guadagni. Questa vera e propria associazione tra corsari doveva avere come obiettivo le navi cataane: nell'agosto, tuttavia, durante una loro azione, i tre avevano assaltato navi veneziane per cercarvi merci catalane, ma la nave del Cattaneo fa in seguito catturata e la Repubblica di Genova dovette intervenire presso il doge Pasquale Malipiero per ottenerne il rilascio. A Genova il C. fece parte del Consiglio degli anziani dal 1463 al 1468, anno in cui rivestila carica di vicegovernatore ducale.
Dopo il 1460 cominciò a stringere fruttuosi rapporti con l'ambiente romano; le relazioni con la Curia pontificia carattenzzeranno tutti i suoi successivi affari. Presso la Curia romana si recò nel 1464, iniziando la sua attività di rappresentante degli interessi della Repubblica genovese e del Banco di S. Giorgio presso la S. Sede. Nel maggio, infatti, divenuto anziano della Repubblica, fa inviato come "commissarius" presso Pio II per spiegare le ragioni che impedivano al governo genovese di inviare i suoi aiuti alla flotta che il papa stava allestendo per la crociata antiturca. Caduta la città sotto il dominio sforzesco e cacciato il doge Paolo Fregoso, il quale sembrava intenzionato, sia pure non ritenendola né utile né opportuna, ad agevolare l'iniziativa del papa (proprio nel mese di gennaio Paolo ed il Consiglio degli anziani, di cui faceva parte il C., avevano deciso di rimuovere tutti gli ostacoli che potessero frenare l'organizzazione della crociata), si faceva ora presente al pontefice la necessità di disporre di tutta la flotta per combattere il Fregoso datosi alla guerra di corsa. Si invitava, inoltre, il C. a mettersi in contatto con Ottone Del Carretto, oratore milanese presso la Curia romana, per concertare un'azione comune di convincimento.
La sua influenza presso la corte pontificia e la sua conoscenza dell'ambiente romano dovevano essere già in questi anni di un certo rilievo, se nel 1466 a lui si rivolgeva una società genovese, chiedendogli di negoziare con il papa l'appalto delle miniere d'allume di Tolfa, conteso da varie compagnie. Il C. riuscì ad ottenere la concessione del trasporto del minerale 0 Tolfa a Civitavecchia e l'esclusiva della vendita a Genova e a Londra, dove si trasferì temporaneamente nel 1469, Nel 1467, inoltre, il governo genovese gli chiese di intervenire presso Paolo II per ottenere che non fossero presi provvedimenti contro i cittadini che intrattenevano rapporti commerciali con gli infedeli. Nel frattempo, divenuta sempre più precaria la situazione di Caffa e delle altre colonie genovesi per la pressione turca, il Banco di S. Giorgio otteneva dalla S. Sede la concessione di indulgenze per favorire finanziariamente la difesa di tali colonie. Attraverso il C. il papa richiedeva, tuttavia, al banco una diminuzione del dazio sull'allume, ottenendo un rifiuto per motivi che si, diceva non dovevano essere ignoti allo stesso Cicala. Resasi vacante. poi, la cattedra di vescovo greco di Caffa, il banco gli chiedeva di appoggiare la nomina di Pacomio, arcivescovo di Aniasia, raccomandato al banco dal cardinal Bessarione, che veniva invitato dal C. a sollecitarne la nomina, dato che si temeva che la colonia greca di Caffa eleggesse di sua iniziativa il vescovo. Avvenuta la nomina, si invitava Pacomio, tramite il C., a recarsi immediatamente a Genova e a partire per quel viaggio che doveva risultare fatale al vescovo.
Nel frattempo, dimostratesi di difficile applicazione e di scarsissimo incasso di elemosine le bolle a favore di Caffa, il banco inviava a Roma un suo rappresentante col compito di chiederne una riforma ed un ampliamento; contemporaneamente si informava della cosa il C. e il suo socio Clemente Vivaldi, invitandoli a farsi portavoce delle esigenze genovesi presso il papa e presso i cardinali Bessarione, Calandrini e Della Rovere, esortandoli inoltre a spendere il meno possibile per ottenere tali bolle. I due, tuttavia, non dovettero prendersi molto a cuore tale incombenza, tanto che il banco manifestava la sua sorpresa per la poca sollecitudine del C. e del Vivaldi, che non avevano provveduto a spedire a Genova rapidamente la bolla papale con la concessione delle indulgenze nella misura richiesta dal banco, nonostante che ci fosse estremo bisogno di un gettito adeguato alle necessità della difesa di Caffa.
La vicenda non era, tuttavia, ancora finita. Quando si trattò di applicare le indulgenze, nacquero gravi difficoltà di interpretazione: i Protettori del banco provvedevano subito ad inviare lettere al vescovo Deodato Boccone per risolvere tali dubbi, invitando nello stesso tempo il C. ed il Vivaldi a sostituirsi nell'incarico al vescovo, in caso di suo impedimento. Nel novembre dello stesso anno, il governo genovese invitava i due ad intervenire presso il papa, affinché scrivesse a Ferdinando re di Sicilia: si lamentavano, infatti, le azioni "piratesche" di alcune caravelle portoghesi che avevano depredato navi genovesi, ottenendo appoggio nel porto di Piombino. Attraverso il papa si sperava di ottenere da Ferdinando un suo intervento presso Iacopo III Appiani, che si diceva "commendatus" al re di Sicilia. In quello stesso anno la commissione genovese eletta "super facto monialium" invitava il C. e il socio a caldeggiare una iniziativa pontificia per ridurre alla clausura le monache cittadine e in particolare le cisterciensi.
Nel 1471, diventato papa il savonese cardinale Francesco Della Rovere col nome di Sisto IV, la città di Genova salutava con gioia l'elezione al papato di un ligure e raccomandava al papa il C. ed il Vivaldi, che continuavano la loro opera diplomatica presso-la Curia romana. Due anni dopo, poiché nessun genovese era membro del Sacro Collegio cardinalizio. si inviavano ai due lettere sull'argomento da consegnare personalmente al papa ed ai cardinali. La richiesta era accolta il 7 maggio con l'elezione di Giovanni Battista Cibo a cardinale; il C. ne dava l'annuncio all'autorità, che lo ringraziava per la sua diligenza. Sempre nello stesso anno, egli era invitato ad intervenire presso il papa per ottenere tratte di grano, data la grave carestia che stava colpendo la città. Nel frattempo, tralasciato il commercio dell'allume e dedicatosi all'attività bancaria, il C. ottenne la Depositeria delle annate nel 1470. Grazie al favore concessogli da Sisto IV, egli poté rivestire presso la Curia romanacariche di sempre maggior rilievo: nel 1471 ebbe la Tesoreria della Camera Urbis e due anni dopo, la Depositeria della gabella dello studio e del vino. Agli inizi del 1474 divenne depositario della Camera Urbis e nel giugno 1476 vicedepositario della Camera Apostolica, insieme con Bartolomeo Mareschi.
Nel 1473 il C. risulta "pecuniarum depositariorum. locumtenens" avendo, successivamente, la Depositeria generale. Avendo deciso il papa di sottoporre a più attenta vigilanza l'estrazione dell'allume di Tolfa, fu chiamato a far parte del Collegio dei revisori deputato "ad examinandum et revidendum computa aluminum, sancte Cruciate", presieduto dal cardinale camerlengo. In questo periodo, il C. venne a conflitto col Filelfo, che Sisto IV aveva provveduto a chiamare all'insegnamento della retorica presso l'università romana.
Il 7 agosto del 1480 al suo posto alla Camera apostolica venne nominato Giovanni Francesco Franciotti, un ricco mercante lucchese, che aveva sposato pochi mesi prima la sorella del cardinale Giuliano Della Rovere. Nel febbraio 1481 egli compare col titolo di "depositarius, pecuniarum Studii urbis"; ancora nel luglio veniva interpellato dall'ambasciatore genovese Luca Grimaldi circa lo stipendio dell'armata navale che si trovava ad Ostia in attesa di salpare contro il Turco.
Il C. morì a Roma ai primi d'agosto dell'anno 148 1.
Il suo ricco testamento (fra l'altro, nel 1479, egli aveva acquistato i feudi di Catino e di Poggio Catino) suscitò l'interesse della stessa Repubblica genovese, che nel settembre scriveva al papa per raccomandare Gerolamo Pallavicino, consanguineo del C. e ridotto in povertà, che si diceva fosse stato ricordato in punto di morte dal C., anche se non era espressamente elencato tra i beneficiari. Inoltre, il testamento fu occasione di un conflitto giurisdizionale: la Repubblica dovette intervenire a favore di Ottobono Lomellino, dal quale gli esecutori testamentari del C. pretendevano una forte somma; il Lomellino fu citato a Roma sotto minaccia di scomunica, ma il governo lo difese, ricordando i privilegi concessi dalla S. Sede, che impedivano di gonvocare un cittadino genovese fuori della sua diocesi. Il Lomellino fu, tuttavia, scomunicato e la sua pratica si trascinò ancora a lungo. Il C. è sepolto nella chiesa di S. Giovanni deiGenovesi in Trastevere. Con disposizione testamentaria fondò presso la Ripa Grande del Tevere un ospedale con annua dote, destinandolo all'assistenza dei marinai poveri. Con la bolla Inter alia (21 gennaio 1482) Sisto IV spostò l'ubicazione dell'ospedale in un luogo più salubre, presso la via Anicia, dove sorgevano la chiesa e l'ospedale dei ss. Quaranta Martiri. Benché il C. non facesse riferimento nel testamento alle nazionalità dei marinai, l'assistenza venne limitata ai marinai liguri da Innocenzo VIII. Al C. Adamo di Montaldo dedicò il suo libro De Constantinopolitano excidio.
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