MELEAGRO (Μελέαγρος, Meleāger o Meleāgros)
La più antica fonte letteraria della leggenda di M. è costituita dalla narrazione di Fenice nel IX dell'Iliade (52 segg.). Quivi il vecchio Fenice, per indurre Achille a desistere dall'ira contro Agamennone, gli racconta appunto la storia di M. Avendo Eneo, signore di Calidone, nel fare ecatombe agli dei lasciato in disparte o per inavvertenza o per disprezzo Artemide, questa mandò contro le terre di lui un cinghiale che recò loro gravissimi danni. Il cinghiale venne alla fine ucciso dal figlio di Eneo, M. Ma non essendo ancora spento lo sdegno della dea, essa destò un'aspra contesa fra gli Etoli e i Cureti per la pelle della belva. Finché agli Etoli non venne meno l'aiuto di M., i Cureti ebbero sempre la peggio; ma quando l'eroe si ritirò nelle proprie case presso la bella sposa Cleopatra, sdegnato per le imprecazioni della madre, la quale, avendole egli ucciso in battaglia un fratello, aveva pregato l'Ade e Persefone di farlo morire, le cose cangiarono del tutto e i nemici ebbero il sopravvento. Né valsero a piegar l'animo del guerriero offerte di doni, né le preghiere prima dei seniori, poi del vecchio padre, e infine delle sorelle e della stessa pentita madre. Solo quando i nemici furono entrati in Calidone e la moglie piangente ebbe rappresentato a M. gli orrori di una città messa a sacco, M. riprese le armi, volò in soccorso dei suoi e vinse. Ma non vide le manifestazioni di riconoscenza del suo popolo; evidentemente perché in battaglia trovò la morte, quasi certo per opera di Apollo (come secondo la testimonianza di Pausania il Periegeta narravano le Eoie e la Miniade).
Dopo la poesia epica trattarono della leggenda di M. la lirica e la tragedia. Per quel che riguarda la lirica erano, sino a una quarantina d'anni fa, fonti precipue frammenti di Stesicoro, di Simonide e di Pindaro: ora, dopo la scoperta di Bacchilide, si ha il magnifico mito dell'ode bacchilidea quinta, dove ricorre per la prima volta ampiamente svolto il motivo del tizzone che Altea, uditi i discorsi delle moire, rapisce al focolare al momento della nascita dell'eroe e custodisce gelosamente nell'arca dalla quale lo toglie scaraventandolo tra le fiamme nell'ira che la pervade alla notizia dell'uccisione - per quanto involontaria - dei fratelli di lei da parte di M. Non sembra tuttavia che il motivo del tizzo sia stato invenzione di Bacchilide, ma pare che già esistesse presso Stesicoro. Nel teatro si occuparono di M. Frinico nelle Pleuronie, Eschilo occasionalmente, Sofocle ed Euripide in un Meleagro. A Euripide sembra dovuta l'introduzione della figura di Atalanta fra i cacciatori del cinghiale e l'invenzione del motivo dell'amore di M. per la bella cacciatrice: la leggenda prende così quell'intonazione erotico-sentimentale che sarà cara a buona parte della tarda tragedia e alle fonti alessandrine in generale. Le quali ultime tuttavia conosceranno anche trattazioni (come quella di Nicandro) che si svolgeranno indipendentemente dal motivo amoroso e che ne accentueranno un altro, introdotto, sembra, per la prima volta da Sofocle: quello per cui si mutano in uccelli (Meleagridi) le donne (sorelle di M. o altre) che piangono la morte dell'eroe.
M. prende anche parte, secondo sfumature meno note della leggenda, ai ludi in onore del morto Pelia e alla spedizione degli Argonauti. I casi di M. furono largamente illustrati dalla pittura vascolare (anche, per es., nelle pitture del vaso François).
Bibl.: C. Robert, Die griechische Heldensage, I, Berlino 1920, p. 88 segg.; Van der Kolf, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 446 segg.