MISSIRINI, Melchiorre. –
Nacque a Forlì il 15 genn. 1773 da Domenico, piccolo imprenditore della seta, e da Maria Francesca Ravajoli.
Nelle sue note autobiografiche (Forlì, Biblioteca comunale A. Saffi, Raccolte Piancastelli, Romagna, 294.1) il M. ricorda un’infanzia funestata dalla severità del padre e dei cattivi insegnanti, da cui si riscattò grazie alla robusta memoria e all’applicazione negli studi. Avviato adolescente alla carriera ecclesiastica («unica carriera in che nel nostro paese poteva un uomo uscire dall’oscurità»), si laureò in teologia nel 1795. L’anno dopo celebrò la prima messa nella cattedrale di Forlì. Da allora tenne per quasi vent’anni la cattedra di eloquenza nel ginnasio cittadino.
All’arrivo dei Francesi accolse con entusiasmo le idee rivoluzionarie, come attestano alcuni scritti giovanili: il poemetto La concordia repubblicana (Forlì 1798) e I comandamenti recitati nel circolo repubblicano di Forlì (Faenza 1798). Fu uno dei due prescelti per ricevere V. Monti e L. Oliva, venuti in città a trattare la riforma politica della Romagna in vista dell’unione della Repubblica Cispadana con la Cisalpina. Dopo la Restaurazione del 1799, riconobbe pubblicamente in una lettera al vescovo i propri «traviamenti», il che non gli impedì, di lì a poco, di riporre, al pari di altri letterati romagnoli, le proprie speranze in Napoleone; in tale clima il M. pubblicò la cantica L’apertura del congresso di Lione (Italia 1802) e, nel 1809, un’ode alcaica all’imperatore. In questo periodo fu nominato delegato distrettuale del Culto (Mambelli, p. 120 n.) e si applicò allo studio dei classici.
Nel 1813, non pago del ristretto ambiente provinciale, si trasferì a Roma, munito di una patente del vescovo di Forlì, A. Bratti, come lui filofrancese; in tal modo si sottrasse ai procedimenti disciplinari che al ritorno degli Austriaci colpirono i chierici che avevano appoggiato il regime napoleonico. A Roma conobbe lo scultore A. Canova, divenendone in breve sodale e uomo di fiducia. L’anno successivo, dopo il rientro di Pio VII, lasciò Roma per Firenze: motivo dichiarato dal M. fu il timore di profittare dell’ospitalità dell’artista, ma non è da escludere che fosse sconveniente per Canova mantenere nelle sue stanze l’abate, a causa delle di lui «dichiarate simpatie giacobine e napoleoniche» (Leone, 2007, p. 206). Durante il soggiorno toscano, protrattosi fino al gennaio 1816, il M. concepì l’idea di cantare in versi le opere di Canova: per farlo, chiese i consigli del letterato toscano G.B. Niccolini, da allora suo amico e corrispondente.
Rientrato a Roma, dove Canova reclamava la sua presenza (lettera al M., Roma, 9 genn. 1816), il M. pubblicò Su i marmi di A. Canova (Venezia 1817), opera che lo mise in luce nell’ambiente colto capitolino e gli valse la lode dei maggiori letterati del tempo, come L. Cicognara e P. Giordani. Il M. partecipava a pieno titolo a quella corrente di pensiero definita «filosofia dell’italianismo» che nel clima della Restaurazione si tinse di coloriture politiche; va detto però che egli non oltrepassò mai il confine tra rivendicazione del primato dell’ingegno nazionale e impegno politico, limitandosi dunque a una sorta di patriottismo letterario (i suoi scritti più politici, risalenti al biennio 1848-49, diretti contro il clero corrotto dal potere temporale, rimasero allo stato di appunti).
Nel 1818 celebrò ancora Canova con l’opera poetica Monumenti di scultura e architettura. È stato giustamente messo in risalto l’atteggiamento «tutt’altro che passivo e tanto meno servile» (Cipriani, p. 111) del M. verso il genio dell’arte neoclassica: se da una parte svolse per Canova mansioni di segretario, dall’altra seppe intessere con lui un rapporto di scambio, ragionando d’arte e letteratura. La sua cultura e la sincerità della sua amicizia hanno portato a rivalutarne la testimonianza, considerata non mera agiografia ma elemento utile a una migliore comprensione dei moventi ideali dello scultore che egli stesso contribuì a formare.
G.G. Belli lo cooptò nell’Accademia Tiberina sin dal 1814; divenuto poi arcade con il nome di Tirinzio Cariteo, il M., frequentatore di salotti famosi come quello di Marianna Candidi Dionigi, fu eletto nel 1819 prosegretario dell’Accademia di S. Luca, di cui in seguito scrisse la storia (Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca, Roma 1823).
Morto Canova, toccò al M. leggerne l’orazione funebre nella chiesa romana dei Ss. Apostoli (31 genn. 1823). Il discorso fu unanimemente giudicato fiacco e poco adatto a celebrare lo scomparso; il commento lapidario proferito da G. Leopardi a casa di A. Mai, senza ch’egli sapesse della presenza del M., divenne un caso che suscitò clamore negli ambienti mondani di Roma; ciò non impedì al M. di instaurare in seguito con il poeta un rapporto di reciproca stima, testimoniato fra l’altro dall’epistolario leopardiano (per esempio dalla lettera del 15 genn. 1825, a lui indirizzata, in cui Leopardi loda la tragedia del M., il Teano). Egli, che nel 1824 fu tra i pochi destinatari romani di una copia omaggio delle Canzoni di Leopardi, ne riconobbe la statura poetica, dedicandogli il sermone Le rime recenti (in Sermoni, Livorno 1829).
Ma sarà la fortunata biografia di Canova (Della vita di Antonio Canova libri quattro, Prato 1824) a consacrare il M. nel mondo delle lettere: scritta in un’ottima prosa resa più calda dal coinvolgimento dell’autore, ebbe varie ristampe e confermò la fama del M. – che fece tesoro dei consigli di Cicognara – come conoscitore d’arte. Non a caso ottenne di fare da segretario a B. Thorwaldsen e a V. Camuccini, che gli fece un ritratto.
La biografia di Canova - che il M. poté scrivere anche per il rifiuto di Giordani - fu apprezzata dai contemporanei, risultando ben documentata e fondata su solide conoscenze nel campo dell’estetica; egli individuava nella costante ispirazione al vero, prima ancora che negli esempi classici, la strada maestra seguita da Canova e la ragione autentica della sua grandezza.
Il severo clima politico instauratosi nello Stato pontificio dopo l’elezione di Leone XII fu all’origine della censura in cui il M. incappò nel 1827: reo di aver redatto il testo di un’edizione veneziana delle opere canoviane giudicata per le incisioni contraria al decoro, fu costretto a internarsi nel convento di S. Gregorio al Celio. Uscito per intercessione di un prelato, decise di abbandonare Roma per Firenze: vi riuscì nel 1828 con l’aiuto di Niccolini e sollecitò un incarico per non dare l’impressione di una fuga.
Mentre rinunciava alla carica di prosegretario dell’Accademia di S. Luca, pubblicava Delle pitture a fresco del cav. P. Benvenuti nel regio palazzo Pitti (Pisa 1829), che inaugurò una fortunata serie di commenti a opere d’arte. Il M. si inserì agevolmente nel mondo culturale del Granducato, divenendo amico di artisti quali P. Benvenuti, L. Pampaloni, L. Bartolini, e collaborando a varie riviste, fra cui l’Antologia di G.P. Vieusseux. Testimonia il suo prestigio il fatto che si ricorse a lui per la scelta dei toscani illustri da rappresentare nelle nicchie esterne del palazzo degli Uffizi.
A suo agio nella tollerante Toscana di Leopoldo II e del primo ministro V. Fossombroni, il M. volse la sua attività di poligrafo verso un maggiore impegno civile: lo dimostrano gli studi su Dante, il culto di V. Alfieri, le celebrazioni di italiani illustri e alcuni scritti riguardanti i cimiteri (l’opera Pericolo di seppellire gli uomini vivi creduti morti, Milano 1837, gli valse la nomina a membro della Società delle scienze fisiche e chimiche di Parigi). Proclamato socio della R. Accademia di belle arti di Firenze, ottenne nel 1841 la cittadinanza toscana.
All’interno dell’ortodossia cattolica il M. assunse posizioni riformiste moderate, inserendosi in quel movimento d’idee che fece capo al purismo e guardò a Dante come simbolo d’italianità. In campo letterario, vivendo in pieno l’auge della stagione neoclassica, restò sempre avverso al romanticismo, pur dimostrando con gli anni una tendenza a depurare il proprio stile dall’eccessivo ricorso alla citazione erudita e ai riferimenti all’antichità talora farraginosi. Nocque probabilmente alla sua fama l’aver preteso di scrivere opere sui temi più disparati, finendo sovente, nonostante l’indiscutibile erudizione e competenza in fatto di arte, per privilegiare la prolificità a scapito della profondità: esemplare è il caso del suo Canzoniere di ispirazione petrarchesca (Prato 1823), considerato dalla critica poco più che un’esercitazione stilistica.
La sua confidenza con numerosi artisti lo aiutò a formare una collezione di volumi, dipinti, medaglie e statue – ceduta nel 1840 alla sua città natale, in cambio di un vitalizio a favore dei nipoti – comprendente fra l’altro un taccuino di disegni di Canova (quelli certamente di mano dello scultore sono 36), dono dell’autore, e un altro del pittore Luigi Sabatelli.
Nella sua vastissima bibliografia sono ancora da ricordare, fra i lavori di argomento artistico, le descrizioni di piazza della Signoria (La piazza del granduca di Firenze, Firenze 1830) e della chiesa progettata da Canova nel paese natale (Del tempio eretto in Possagno, Venezia 1833); poi Della cappella dei sepolcri Medicei in S. Lorenzo di Firenze e della grande cupola ivi dipinta dal commendator P. Benvenuti, Firenze 1836; Del colore nella pittura e specialmente del colorire della scuola veneziana (ibid. 1838); alcune opere su Raffaello, Masaccio, Michelangelo e, tra i contemporanei, su Thorwaldsen (Intera collezione di tutte le opere inventate e scolpite dal cav. A. Thorwaldsen, Roma 1831-32), Benvenuti, Pampaloni, Camuccini. Fra le opere in versi il citato Teano. Tragedia tratta da Igino (Prato 1822). Fra le traduzioni, quella delle satire latine di L. Sergardi (Satire di Quinto Settano, I-II, Pisa 1820); quella del De legibus ciceroniano (Trattato delle leggi recato nella lingua italiana da M. M., Milano 1847) e, dall’inglese, L’Italia. Canto di lord Byron accomodato all’indole del verso italiano, ibid. 1848. Tra i temi prediletti Dante, cui dedicò una biografia (Vita di Dante Alighieri, Firenze 1840) che, lui vivo, ebbe quattro edizioni. Oltre ad altri scritti minori compose numerose operette morali e di argomento religioso, nonché saggi esaltanti il genio italico nelle lettere, nelle scienze e nelle arti. Uscì postumo Dello spirito patrio e del coraggio politico di s. Caterina da Siena (ibid. 1853), in cui il M. giunse a mettere in discussione il potere temporale dei papi.
Morì a Firenze il 18 dic. 1849 e fu sepolto a Trespiano, fuori delle mura cittadine.
Fonti e Bibl.: Forlì, Arch. parrocchiale di S. Mercuriale, Libro battezzati N, 1773, c. 279v; Ibid., Biblioteca comunale A. Saffi, Raccolte Piancastelli, Romagna, bb. 294-297 (cenni autobiografici nei mss. 294.1 e 294.61); Antico fondo Biblioteca comunale, Fondo Missirini, arm. V, 26-64 (di cui fa parte il Taccuino III contenente 36 disegni di A. Canova); arm. I, mss. nn. 52-55; G. Calletti, Storia della città di Forlì, I, pp. 841-845, III, pp. 423 s., 552-555, 623 s., IV, pp. 518-532 (breve biografia); Roma, Arch. storico dell’Accademia di S. Luca, documenti sull’attività di prosegretario (in partic. il vol. 61, Reg. delle minute di segreteria dell’insigne Accademia di S. Luca, 1820-23, vergato di suo pugno; v. anche i voll. 60, 70, 88, 95, 105, 169); Ibid., Biblioteca nazionale, Fondo V. Emanuele, n. 255 (lettere di L. Cicognara al M., 1816-29), nn. 433 e 450-453 (il n. 452 contiene poesie e minute di lettere del M.: tra i destinatari Canova, V. Camuccini, Cicognara, G.B. Niccolini, G. Perticari); Autografi (mss. vari tra cui circa 1000 lettere, quasi tutte di altri al M., 1792-1836); Firenze, Biblioteca nazionale, Carteggi Cambray Digny, Tommaseo, Vieusseux, Vari; sul conferimento della cittadinanza del Granducato di Toscana, Ibid., Arch. storico del Comune, Comunità di Firenze, Affari comunitativi, CA 512, n. reg. 1842, 273 e CA 234, aff. 65 or., c. 829 m e 835 m; Deliberaz. magistrali e consiliari, CA 49, p. 131 or.; I. Cantù, L’Italia scientifica contemporanea. Nota sugli italiani ascritti ai cinque primi congressi …, Milano 1844, pp. 308 s.; G. Manuzzi, Elogio di M. M., Ravenna 1856; G. Rosetti, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì 1858, pp. 535-550; A. Vannucci, Ricordi sulla vita e sulle opere di G.B. Niccolini, Firenze 1866, p. 424; Lettere dieci di gentildonne italiane all’insigne prosatore e poeta ab. M. M., Firenze 1887; P. Prunas, L’Antologia di G.P. Vieusseux, Roma 1906, p. 168; A. De Rubertis, G.B. Niccolini e la censura toscana, in Giornale stor. della letteratura italiana, suppl. 18, 1921, pp. 1 ss.; A. Sacchetti Sassetti, Autobiografia e lettere inedite di M. M., in La Romagna, XVII (1928), pp. 321-328; G. Leopardi, Epistolario. Nuova ed. ampliata con lettere dei corrispondenti …, a cura di F. Moroncini - G. Ferretti, III, Firenze 1941, pp. 117-119; A. Mambelli, L’abate M. M. e i suoi tempi, Forlì 1938; U. Valente, Lettere d’illustri italiani a M. M., in Rassegna storica del Risorgimento, XXV (1938), 10, pp. 1421-1426; G. Fallani, M. M., il segretario di Canova, Roma 1949; G. Mazzoni, L’Ottocento, I, Milano 1973, pp. 385 s.; A. Cipriani, M. M., il segretario di Canova, in Studi canoviani, I, Le fonti, Roma 1973, pp. 109-118; G. Leopardi, Tutte le opere, a cura di W. Binni, Firenze 1976, I-II, ad ind.; C. Michelli Giaccone, A proposito di M. biografo di Canova, in Atti e memorie dell’Arcadia, s. 3, VIII (1986-87), pp. 269-282; D.C. Missiaggia, Dall’epistolario di M. M.: la vita, il pensiero, il rapporto con Canova, tesi di laurea Univ. degli studi di Padova, a.a. 1995-96; M. Tatti, Il pranzo da Angelo Mai, in Leopardi a Roma (catal., Roma), a cura di N. Bellucci - L. Trenti, Milano 1998, pp. 117-120; A. Imolesi Pozzi, Il fondo Missirini della Biblioteca comunale di Forlì: i disegni di Antonio Canova, Milano 2003 (estr. da Grafica d’arte, XIV [2003], pp. 28-31); F. Leone, M. M. (1773-1849) storico e critico dell’arte. Il dibattito artistico tra Roma e Firenze nella prima metà del XIX secolo, I-II, diss., Univ. degli studi di Milano, a.a. 2003-04; Id., Canova «Itala Gloria». L’ermeneutica canoviana tra Pietro Giordani e Leopoldo Cicognara: la «Vita» di M. M., in Melchiorre Missirini, Della vita di Antonio Canova libri quattro, Prato 1824, ed. anast. a cura e con introduzione critica di F. Leone, Bassano del Grappa 2004, pp. 5-76; M. Cardelli, Una lezione su Masaccio di M. M., in Fronesis, I (2005), 2, pp. 97-125; F. Leone, Disegni inediti della raccolta d’arte di M. M., in Artista - critica dell’arte in Toscana, Firenze 2006, pp. 80-99; P. Palmieri, Restauri leopardiani. Studi e documenti sull’epistolario, Ravenna 2006, pp. 126-135; F. Leone, M. M. segretario e agiografo di Canova, in La gloria di Canova, Bassano del Grappa 2007, pp. 203-228; Id., M. M., segretario e biografo di Canova, in Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura (catal., Forlì), a cura di S. Androsov et al., Milano 2009, pp. 119-133; Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, S. Lodovici, Storici, teorici e critici delle arti figurative (1800-1940), p. 243; Enciclopedia Italiana, XXIII, p. 446 (E. Bellorini).