GIOIA (Gioja), Melchiorre
Nacque a Piacenza il 19 genn. 1767 da Gaspare e Marianna Coppellotti. Rimasto orfano a cinque anni del padre e a tredici della madre, andò a vivere con lo zio materno Giovanni, giurista e avvocato piacentino, che lo avviò alla carriera ecclesiastica. A tal fine entrò nel novembre 1784 nel collegio Alberoni, da cui uscì solo nell'agosto 1793, dopo aver ricevuto tutti gli ordini religiosi, compreso il sacerdozio. I nove anni trascorsi nel collegio, noto centro di irradiazione dell'illuminismo cattolico, permisero al G. di familiarizzarsi con le correnti filosofiche sperimentali, ma dovettero pure infondergli un acuto senso di insofferenza verso le costrizioni che frenavano la sua inesauribile sete di conoscenza. Sono ascrivibili all'ultimo scorcio della sua permanenza al collegio le prime, consapevoli testimonianze della sua adesione entusiastica agli ideali politici giacobini e antirealisti provenienti d'Oltralpe, tra le quali la composizione di due tragedie, il Caligola e il Tiberio, esemplate sul modello antitirannico alfieriano e per il momento rimaste manoscritte.
Uscito dal collegio con l'abito talare, il G. andò a vivere con il fratello Lodovico e, privo di un incarico ecclesiastico, dovette adattarsi a fare il precettore in casa dei marchesi piacentini Paveri Fontana. La nuova occupazione e la possibilità di tenersi al corrente delle novità ne rafforzarono le convinzioni politiche, portandolo, subito dopo l'entrata dei Francesi a Milano, a schierarsi con i sostenitori in Italia della causa democratica. Nel luglio 1796 il G. iniziava a collaborare con il milanese Giornale degli amici della libertà e dell'uguaglianza, pubblicandovi tra l'altro un notevole articolo in cui esortava il Direttorio francese ad adempiere alla promessa di liberazione dell'Italia; meno di un anno dopo - il 26 giugno 1797 - risultava essere l'autore della memoria, sottoscritta con il motto Omnia ad unum, che la Società di pubblica istruzione dichiarò vincitrice del concorso bandito il 27 sett. 1796 dall'amministrazione generale della Lombardia sul tema Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia?
La dissertazione, pubblicata in forma privata dallo stesso G. a Milano nel gennaio 1798, dopo che erano rimasti infruttuosi i tentativi del governo di dar corpo a un'edizione ufficiale emendata e corretta, valse a consacrare la fama del G. agli occhi dei contemporanei e dei posteri, essendo a lungo considerata una delle più precoci testimonianze d'ispirazione democratica del Risorgimento italiano. Divisa in tre parti, dedicate rispettivamente a dimostrare che cosa bisognasse intendere per governo libero, quale forma di Stato convenisse all'Italia e in che modo portarla ad attuazione, la Dissertazione s'impose all'attenzione soprattutto per la seconda parte, laddove il G. perorava l'unificazione politica dell'Italia quale unica soluzione praticabile per estinguere i privilegi e dar vita a uno Stato democratico.
Quando lo proclamarono vincitore il G. era però detenuto dal 14 marzo 1797 nelle carceri di Piacenza, imputato di aver celebrato messe a scopo di lucro, ma in realtà perseguito per le sue dichiarate simpatie patriottiche. Restò in carcere otto mesi, finché le autorità cisalpine, e forse Napoleone Bonaparte in persona, intervennero a liberarlo. Riparato immediatamente a Milano, il G. si liberò dell'abito talare e accettò in un primo tempo la nomina e il connesso stipendio di redattore del Gran Consiglio della Repubblica. Ma dieci giorni dopo, il 7 dic. 1797, si dimetteva, consapevole che nella magmatica e turbolenta realtà cisalpina una tale carica pubblica gli avrebbe consentito di agire unicamente da spettatore e non da interprete.
Da quel momento il G. andò progressivamente scoprendo la sua vocazione più specifica e più originale, quella di diffusore e promotore di opinione, annodando con il pubblico un ideale rapporto di tipo contrattuale destinato a rinsaldarsi con gli anni. Il 20 genn. 1798 fondava con U. Foscolo e G. Breganze il Monitore italiano, impegnandosi con i suoi numerosi articoli a stigmatizzare la miope politica dei legislatori della Cisalpina e soprattutto il progressivo asservimento della Repubblica al volere del Direttorio francese. Già in questi primi interventi il G. iniziava a far sfoggio dell'ironia, ora giocosa ora salace, che doveva contrassegnare la sua lunga carriera di pubblicista, convinto, come scriveva egli stesso nel n. 6 del Monitore, che il giornalista democratico "non meriterà di esser confuso colla vil turba de' schiavi, se fiancheggiando la troppo debole ragione, screditerà le abitudini monarchiche colla finezza del dileggio, col sarcasmo la malignità orgogliosa, colle satire amare la tirannia, che si veste delle forme repubblicane" (Dubbj sull'articolo Politica, inserito nel n. 4 del Monitore italiano, in Opere minori, I, Lugano 1834, p. 209). Mentre contribuiva a fare del periodico una delle voci più alte dell'opposizione costituzionale alla Francia, il G. iniziava anche a ricredersi sulle potenzialità palingenetiche delle istituzioni democratiche che aveva esaltato nella Dissertazione, a indagare sugli "inveterati pregiudizi popolari", a misurare lo scarto tra il sentire del volgo e le idee dei filosofi e a suggerire la sperimentazione di nuove politiche di costruzione del consenso, capaci di incidere sull'immaginazione e sui sensi, piuttosto che sulla ragione.
In ideale proseguimento di un articolo pubblicato sul Monitore dell'11 marzo 1798 e rimasto interrotto per l'intervento del generale in capo dell'Armata d'Italia A. Berthier, il G. dava alle stampe dieci giorni dopo, a Lecco, l'opuscolo Riflessioni sul trattato d'alleanza tra le Repubbliche Cisalpina e Francese, con il quale, definendo le richieste avanzate dalla Francia "il tratto del lupo coll'agnello" (ibid., p. 118), si faceva il portavoce più rigoroso della protesta di libertà contro l'asservimento che minacciava il paese. D'altro canto, si distanziava anche dalle posizioni dei patrioti più estremisti, consapevole che il diritto alla critica sarebbe risultato vano senza il sussidio di efficaci garanzie giuridiche e che solo la libertà di espressione, e non una politica repressiva, avrebbe condotto con il tempo all'affermazione di una coscienza repubblicana; quando il Monitore veniva soppresso proprio per la sua tenace rivendicazione d'indipendenza (13 apr. 1798), il G. dette alle stampe una serrata requisitoria contro la legge votata dieci giorni prima dal Gran Consiglio con la quale la patria veniva dichiarata in pericolo e si perseguivano penalmente i trasgressori (Analisi della legge contro gli allarmisti emanata dal Corpo legislativo cisalpino nel 10 ventoso anno 6° repubblicano, Milano 1798); allo stesso tempo, in nome del diritto incoercibile alla felicità individuale e alla libertà d'associazione si ergeva a protettore delle comunità monastiche minacciate di scioglimento da un progetto legislativo (I frati e le monache. Lettera al Consiglio dei seniori, Milano, 5 maggio 1798).
Ma è negli avvenimenti convulsi che sconvolsero la Cisalpina nel secondo semestre del 1798, con i ripetuti rimaneggiamenti governativi e costituzionali attuati dagli inviati francesi, che il G. legò compiutamente il tema dell'indipendenza nazionale con quello di una necessaria riforma morale. Con una serie di opuscoli pubblicati a poca distanza di tempo tra il maggio e il luglio - Quadro politico di Milano; Apologia al Quadro politico di Milano; Cos'è il patriotismo? Appendice di M. Gioia al quadro politico di Milano - il G. offriva un ritratto impietoso della classe politica cisalpina, connotata da improvvisazione, pressappochismo e corruzione, quasi a voler innescare un'ultima riscossa morale a fronte delle violazioni della legalità che si profilavano all'orizzonte e ad affermare l'insopprimibile diritto alla libertà di stampa: e va ricordato che la sua iniziativa ebbe effetto, perché la pubblicazione del Quadro politico aprì un animato dibattito nella Cisalpina, che portò a schierarsi al fianco del G. anche il ministro della Giustizia, al quale il Direttorio si era rivolto per punire l'autore. Nello stesso torno di tempo il G. presentava, largamente fuori dei termini fissati dal bando, una memoria al concorso bandito dal ministero degli Interni sull'organizzazione dei teatri nazionali, in cui, approfondendo alcuni spunti già ventilati nella Dissertazione e nell'attività giornalistica di quei mesi, indicava nel teatro lo strumento più appropriato per l'acculturazione democratica delle classi popolari, purché fosse un teatro che al modello "sublime" sostituisse argomenti cari alla sensibilità del popolo.
Il 22 agosto, vale a dire a ridosso dell'ormai ineludibile riforma di segno conservatore progettata dall'ambasciatore francese a Milano, Ch.-J. Trouvé, il G. iniziava la pubblicazione di un nuovo giornale, Il Censore, dove, pur continuando a indicare le malefatte dei governanti cisalpini, si soffermava sul pregiudizio dei Francesi verso i patrioti italiani e soprattutto sulla rivendicazione morale del valore dell'indipendenza. Una volta emanata la nuova costituzione (1° sett. 1798), il Censore, dopo solo quattro numeri, fu ovviamente uno dei primi giornali a fare le spese della censura preventiva introdotta nel testo. Colpito da proscrizione in base all'abolizione della precedente norma costituzionale che concedeva la cittadinanza ai "benemeriti della Repubblica", il G. riuscì a salvarsi con i successivi rimpasti governativi operati dal generale G. Brune e dall'ambasciatore F. Rivaud, ottenendo l'agognata concessione del titolo di cittadino.
Nel corso dei primi giorni del 1799 è avvertibile nel G. un progressivo allineamento alle posizioni governative, giustificabile in parte con l'agitata situazione politica internazionale: nell'opuscolo I partiti chiamati all'ordine, pubblicato il 3 gennaio, si ergeva a paladino del nuovo testo costituzionale, riuscendo a farne diffondere dal governo 6000 esemplari; il 24 gennaio, "annojato piuttosto che stanco delle proscrizioni", iniziava la pubblicazione di un nuovo giornale sottoscritto per mille copie dallo stesso governo, la Gazzetta nazionale della Cisalpina (n. 1, 5 piovoso anno VII [24 genn. 1799]; ora in Opere minori, XIII, p. 174). Tuttavia, il sussidio governativo non era sufficiente a tarpare l'indomabile indipendenza di giudizio dello scrittore: il 18 febbraio, con il pretesto di un giudizio caustico sulla politica estera francese inserito nel n. 4 del giornale, ma in realtà su richiesta del ministro della Guerra M. de Vignolle, stanco delle frequenti censure espresse dal G. sul suo operato, la Gazzetta veniva soppressa. Lo stesso giorno il G. lanciava un altro foglio, il Giornale filosofico politico, rivendicando l'impegno preso con i sottoscrittori privati. Ciò non gli impediva comunque di ergersi ad avvocato dei commissari del Tesoro, a suo dire indebitamente accusati di peculato dal Corpo legislativo e illegittimamente destituiti (Risposta degli ex-commissari del Tesoro nazionale all'opuscolo intitolato "Il rappresentante Pozzi al Governo e alla Nazione", Milano, 25 marzo 1799). Anche la nuova iniziativa giornalistica, in cui il G. si dedicò in particolare a riferire i lavori delle assemblee legislative, ebbe vita breve: il 17 aprile il Direttorio esecutivo ordinava l'arresto del G., dando soddisfazione alle proteste dell'ambasciatore di Parma presso la Cisalpina, indignato per una richiesta di indennizzo della carcerazione presentata dal G. al duca Ferdinando. Il ritorno degli Austro-Russi, di poco successivo, comportò perciò per il G. unicamente il trasferimento in quel carcere del S. Uffizio di Piacenza dal quale era stato catapultato nel 1797 a Milano.
Questa volta il G. rimase in carcere quattordici mesi. Tornato di nuovo a Milano dopo la vittoria di Marengo, malandato in salute e a corto di denaro, inizialmente cercò invano di promuovere presso il governo cisalpino un provvedimento di risarcimento dei danni subiti dai repubblicani durante l'occupazione austro-russa (Problema politico e civile, se sia dovuto ai democratici perseguitati sotto l'interregno tedesco un'indennizzazione, Milano anno IX [1800]). In quegli stessi mesi le angherie patite durante la Restaurazione dovevano dettargli una condanna senza appello della società d'antico regime, identificata tout court nella barbarie, come testimoniano sia l'opuscolo dedicato al Bonaparte, Idee sulle opinioni religiose e sul clero cattolico (Milano, 9 sett. 1800), sia il dramma La Giulia, ossia L'interregno della Cisalpina (ibid., 1801). Per converso gli ideali politici repubblicani del triennio venivano precisandosi ai suoi occhi in un insieme di valori collettivi orientati alla civilizzazione e all'individualismo, dal G. ricondotti alla matrice evangelica (La causa di Dio e degli uomini difesa dagli insulti degli empi e dalle pretensioni dei fanatici, ibid. 1800). Privo comunque di risorse, si risolse a chiedere una forma di sussidio al governo e per interessamento del ministro F. Pancaldi venne nominato il 5 apr. 1801 "istoriografo della Repubblica". All'uopo, e per tutta la durata della seconda Cisalpina, lavorò indefessamente a raccogliere materiali per una storia del triennio rivoluzionario, le cui linee interpretative vennero pubblicate a Milano solo nel 1805 con il titolo I Francesi, i Tedeschi, i Russi in Lombardia. Saggio popolare. Nel frattempo, prendendo spunto dal rincaro del pane registratosi in quegli anni, sfociato in alcuni tumulti in Emilia e in Valtellina, dava alle stampe, sempre a Milano, tra l'ottobre del 1801 e il febbraio successivo il saggio Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto. Opera storico-teorico-popolare.
Ispirandosi alle opere antivincolistiche di P. Verri, il G. vi delineava il primo abbozzo della sua teoria economica, già chiaramente influenzata dagli scritti di C.-A. Helvétius e J. Bentham: l'affermazione della libertà del commercio interno era sorretta da una visione tutta utilitaristica dell'agire sociale, in cui l'incontro tra compratori e venditori era assicurato dal tornaconto individuale; quello stesso tornaconto individuale, riconosciuto al cuore del progresso collettivo, provava l'inefficacia della tradizionale legislazione proibitiva, alla quale il G. fin d'allora suggeriva di sostituire più adeguate misure promozionali: il tutto argomentato attraverso la concreta, minuziosa e ironica volgarizzazione dei materiali storici, anticipando caratteristiche proprie dei posteriori lavori statistici e di quelli più propriamente filosofici.
A soli due mesi di distanza, il G. pubblicava anche Il nuovo galateo (ibid. 1802), opera senza la quale, a parere di G. Sacchi, "il nome dell'autore sarebbe rimasto fra le labbra di pochi savj".
Ristampato e rimaneggiato più volte dall'autore (nel 1820, nel 1822, nel 1827); edito in versioni più o meno corrette o compendiate fin dentro al Novecento; bersaglio degli strali polemici del giovane A. Rosmini Serbati, che a ragione v'individuava il manifesto dell'etica laica nella Milano della Restaurazione, il Nuovo galateo rappresentava il naturale pendant prescrittivo di quella società tutta protesa alla ricerca del proprio egoistico vantaggio delineata qualche mese prima. Per quanto sia necessario ricordare che il grande successo dello scritto iniziò a far data dalla seconda e accresciuta edizione, l'ispirazione dell'opera s'inseriva a pieno titolo nel tentativo, proprio al G. di quegli anni, di dar vita a una nuova civiltà repubblicana, una forma di convivenza civile, tale da scostarsi "tanto dalla servilità monarchica quanto dalla democratica rozzezza". Al cuore delle buone maniere consone al consolidarsi della società postrivoluzionaria si stagliavano una serie di valori, definiti a partire dal 1820 "ragione sociale", equamente distanti dagli odiosi privilegi del passato e dagli egoistici comodi dell'oggi, e retti dall'autoregolazione razionale dei diritti e della stima fra individui uguali.
E tuttavia quanto fosse profondo lo scarto tra questi valori, tutti intonati al merito individuale, e l'angolazione moderata assunta dalla neocostituita Repubblica Italiana proclamata a gennaio a Lione, il G. dovette sperimentarlo l'anno seguente quando tentò di inserirsi nei dibattiti preparatori del codice civile in gestazione in Francia, intervenendo a favore del divorzio. La sua Teoria civile e penale del divorzio (ibid. 1803), esemplata sulle concezioni utilitaristiche del diritto di Bentham e oggetto di accuse pubbliche da parte delle gerarchie ecclesiastiche, valse al G. il 9 ag. 1803 la destituzione dall'incarico di storiografo, destituzione che i vertici governativi non esitarono a mercanteggiare nel concordato in corso con la S. Sede.
Rimasto senza stipendio, il G. mise le proprie competenze a disposizione dei poteri locali. Sull'onda della diffusione e rilevanza assunta nella Francia consolare dalle statistiche descrittive dipartimentali e probabilmente dietro sollecitazione delle stesse amministrazioni interessate, tra il novembre 1803 e il giugno 1804 pubblicava le due Discussioni economiche sui dipartimenti dell'Olona e del Lario, offrendo al pubblico una prima, ragionata metodologia di analisi della società civile a uso della pubblica amministrazione. In quello stesso torno di tempo, il G. acquistava una compartecipazione nella tipografia milanese Pirotta e Maspero, con cui aveva edito la maggior parte di quanto scritto sino allora, ponendo le basi materiali di quell'immagine di libero intellettuale imprenditore di se stesso che doveva renderlo celebre durante la Restaurazione. Non per questo rinunciava a sollecitare dal governo finanziamenti e un qualche impiego. Dopo aver invano tentato di essere reintegrato nella carica di storiografo al momento del passaggio dalla Repubblica al Regno d'Italia, nel maggio 1805, riuscì a strappare al governo la nomina, non certo prestigiosa, a impiegato di polizia presso la prefettura di Milano. Per quanto facesse immediatamente presente al viceré Eugenio Beauharnais come quell'impiego fosse inadatto alla sua preparazione, fu solo dopo aver dato prova di incondizionata fedeltà politica, testimoniata dalla pubblicazione di una serie di libelli di propaganda filogovernativa (oltre al già ricordato I Francesi, i Tedeschi, i Russi in Lombardia,Cenni morali e politici sull'Inghilterra estratti dagli scrittori inglesi, ibid. 1806, e Manifesto di s.m. prussiana contro la Francia del 9 ott. 1806, corredato di note, ibid. 15 nov. 1806), che il G. ottenne quanto da lui agognato: il 24 febbr. 1807 era infatti nominato direttore dell'istituendo ufficio di Statistica presso il ministero dell'Interno.
Qui in un primo tempo lavorò a raccogliere materiali per una statistica della Dalmazia, commissionatagli dallo stesso viceré, e a mettere ordine nelle risposte al questionario progettato nel luglio dal ministro dell'Interno L. Arborio Gattinara di Breme che i Comuni facevano mano a mano pervenire al centro: ma insoddisfatto dei risultati di questa prima inchiesta, nel marzo 1808 dava alle stampe, affinché servissero da scheletro per le successive statistiche ufficiali, le Tavole statistiche, ossia Norme per descrivere, calcolare, classificare tutti gli oggetti di amministrazione privata e pubblica, autentico manifesto dell'ideologia utilitaristica da lui definitivamente acquisita. La puntuale successione delle sette materie d'indagine - topografia, popolazione, agricoltura, arti e mestieri, commercio, amministrazione pubblica, carattere del popolo - rifletteva una visione della società civile ormai univocamente risolta nella dimensione economica e, per converso, un'immagine del pubblico potere circoscritto a perseguire apertamente il benessere collettivo: le Tavole apparivano in tal modo come le formule algebriche per una ottimale soluzione del contemperamento della felicità di tutti e di ciascuno. Seguiva nel settembre, come coerente corollario epistemologico, la Logica statistica, anch'essa destinata a essere notevolmente accresciuta e ristampata più volte durante la Restaurazione con il titolo Elementi di filosofia: qui i principî cognitivi sensisti, propri alla maggior parte del pensiero del Settecento, venivano divulgati, alla luce dello scacco subito dall'esperienza giacobina e degli apporti dell'idéologie francese, attraverso un'inedita applicazione dell'aritmetica dei piaceri e dei dolori, al fine di innescare la razionalità tramite la persuasione.
Ma anche questa volta la visione del G. risultò non collimare del tutto con quella ufficiale. Sottoposte all'esame di un'apposita commissione, le Tavole vennero criticate per quanto di eversivo contenevano rispetto a un rapporto Stato-società intonato a una logica notabilare del potere. Il parere della commissione ricevette subito soddisfazione da parte del ministero, il cui segretario generale, G. Tamassia, nell'intento di distanziare le posizioni ufficiali in materia da quelle del G., si affrettò a pubblicare con i torchi ufficiali un opuscolo sul Fine delle statistiche. Poco tempo dopo, il 31 dic. 1808, il G. veniva licenziato con il pretesto di uno scontro apertosi con un suo diretto sottoposto. Come era suo costume, il G. ritenne di chiamare il pubblico a giudice della vertenza, dando alle stampe le risposte a tutte le critiche ricevute (Indole, estensione, vantaggi delle statistica. Confutazione dell'opuscolo che ha per titolo: "Del fine delle statistiche". Risposta alle obbiezioni fatte alle "Tavole statistiche", Milano, marzo 1809). Non pago, e forse indispettito per un'ulteriore risposta pubblica del Tamassia, nel maggio pubblicava il romanzo satirico La scienza del povero diavolo, in cui sotto mentite spoglie orientali raffigurava l'incompetenza e i favoritismi degli apparati pubblici del Regno. All'immediato sequestro del libro seguì in luglio il decreto d'esilio, a cui invano il G. contrappose i titoli della propria cittadinanza (Documenti comprovanti la cittadinanza italiana di M. G., ibid. 1809). Riparato a Castel San Giovanni, vi rimase fino al novembre 1810, quando il nuovo ministro dell'Interno, L. Vaccari, lo autorizzò a ritornare a Milano: il mese seguente ottenne l'approvazione vicereale a continuare la redazione della statistica del Regno in qualità di "privato scrittore". All'opera si mise però solo nell'aprile 1812, dopo un'estenuante trattativa con il ministero dell'Interno, definita dallo stesso G. "un saggio d'ignoranza, piccolezza, tirannia burocratica" (Alla Reggenza provvisoria del Regno d'Italia. Ricorso, ibid. 1814, p. 4). In base al nuovo contratto stipulato con l'amministrazione, il G. completò entro il maggio 1814 sei descrizioni statistiche dipartimentali, e si accingeva a redigerne altre quando la Reggenza provvisoria austriaca, succeduta ai Francesi a Milano, lo diffidò dal continuare il lavoro, dichiarandosi proprietaria di quanto aveva sino allora consegnato. Oltre a irridere pubblicamente l'avversario, il G intentò causa al Fisco rivendicando i propri diritti di proprietà. La vertenza, che alla fine ebbe esito favorevole per il G., si prolungò però fino al 1832 e non consentì quindi al G. di decidere la sorte dei manoscritti. Venduti dal fratello ed erede Baldassarre all'editore milanese G. Crespi, solo due riuscirono a vedere la luce, opportunamente rivisti dalla censura austriaca: la statistica del Mincio nel 1838 e una parte di quella dell'Agogna nel 1840.
Il primo impatto con l'amministrazione austriaca non dissuase però il G. dal sollecitare commesse e sovvenzioni, anche per tentare di coinvolgerla nello sfruttamento della miniera di carbon fossile comprata nel 1814 a Leffe, in Val Gandino, acquisto dimostratosi poi fallimentare (Dimostrazione de' vantaggi provenienti dalla sostituzione della lignite di Valgandino alla legna ed al carbone comune nelle manifatture e negli usi bisognosi di continuato calore, ibid., luglio 1815). Ma presto il G. dovette anche prendere atto della diffidenza dei nuovi governanti nei confronti degli intellettuali. Privo di quel canale privilegiato di diffusione delle cognizioni, il G. si trasformò allora in un abile e oculato amministratore della propria produzione scientifica, districandosi magistralmente tra censori, librai, contraffattori. Sono, questi, anche gli anni in cui il G., amplificando le linee direttrici tracciate nell'età napoleonica, diede alla luce i suoi maggiori trattati. Tra il 1815 e il 1817 uscivano i sei volumi del Nuovo prospetto delle scienze economiche, seguiti a breve distanza da Del merito e delle ricompense. Trattato storico e filosofico (Milano-Filadelfia, 1818-19). Entrambe le opere traevano origine da un progetto in gestazione fin dal 1807 e rappresentavano le due facce complementari, privata e pubblica, del "mondo nuovo" apertosi con il secolo.
La prima, presentata come un compendio sistematico delle dottrine economiche enunciate sino ad allora, costituiva la vera e propria summa della filosofia sociale del Gioia. Ponendo a scopo fondamentale dell'economia i tre assiomi - "Ridurre gli sforzi al grado minimo; Portare l'utilità al grado massimo; Produrre con forze addizionali ciò che sarebbe impossibile all'uomo privo di esse" (Nuovo prospetto, I, p. 64) - il G. la caricava di moderne istanze produttivistiche, socialmente tradotte nella preferenza accordata alla manifattura sull'agricoltura, all'imprenditore sul proprietario, alla grande coltura sulla piccola, alle capitali sui borghi, all'associazione delle forze sulla divisione dei lavori, all'ingegno umano che si fa tecnica sulla routine agraria. Ma si trattava anche di un produttivismo che, discostandosi dal pensiero economico prevalente, faceva costantemente appello all'incentivazione governativa e non sacrificava nella sua forza espansiva l'insopprimibile ricerca della felicità da parte dell'individuo: significativa in tal senso sia la sua teoria del valore, dove l'utilità dell'oggetto si sommava alla fatica necessaria per produrlo, sia la sua esaltazione dei consumi, perché la ricchezza non era altro che l'insieme dei piaceri cui partecipava la popolazione. Il Nuovo prospetto si presentava in tal modo come il manifesto di una società indefinitamente indirizzata verso il progresso, contro le rendite di posizione o la tutela di interessi consolidati. A questa vocazione eudemonistica faceva eco il secondo trattato, quasi che la nuova società vagheggiata dal G. si contrapponesse all'antica assumendo come proprio principio regolatore il merito e le ricompense anziché i delitti e le pene. Rivisitando e ampliando le proposte di Bentham, il G. approntava una minuta casistica dei meriti civili e dei modi per ricompensarli. I meriti presi in considerazione nel trattato - e calcolati in base alla "difficoltà vinta, utilità prodotta, fine disinteressato, convenienza sociale" (Del merito e delle ricompense, I, p. 1) - erano naturalmente solidali all'individualismo soggiacente alla sua società ideale, e tra tutti primeggiavano i meriti intellettuali.
A queste opere si accompagnavano, oltre alle nuove edizioni del Galateo e della Logica, alcuni interventi di natura economica direttamente legati al dibattito in corso: con il primo, oggetto di due edizioni nel giro di pochi mesi, il G. interveniva sul rapporto tra pauperismo e industrializzazione e riaffermava la sua fede nelle estensive potenzialità redistributive delle manifatture (Problema: quali sono i mezzi, più spediti, più efficaci, più economici per alleviare l'attuale miseria del popolo in Europa, ibid. 1817); con il secondo, si schierava a favore della politica protezionistica adottata dal governo austriaco, in nome della necessità di tutelare le industrie nascenti (Sulle manifatture nazionali e tariffe daziarie. Discorso popolare, Milano 1819). Dal 1817, poi, aveva iniziato a collaborare alla Biblioteca italiana, che usò fino alla morte come trampolino di lancio delle proprie dottrine economiche e come tribuna delle battaglie a difesa delle proprie convinzioni. Per quanto sollecitato e fatto oggetto di stima da parte della rivista, il G. invece non aderì all'impresa del Conciliatore.
Quest'ultima circostanza non gli impedì di essere inquisito nei processi del 1820-21 e di subire l'ultima detenzione della sua travagliata esistenza: arrestato il 19 dic. 1820, il G. fu rinchiuso nel carcere milanese di S. Margherita e vi rimase fino al 10 luglio 1821. Come aveva già fatto in gioventù, ma questa volta con ben altro spessore filosofico, appena liberato pubblicò due volumi Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili, ibid. 1821, dove rivendicava, quantificandolo, il torto subito. L'opera era inoltre dedicata a Bianca Milesi, che lo aveva assistito durante la prigionia; ma la dedica, poiché lo scritto conteneva una pungente critica di B. Mojon, futuro marito della bella "giardiniera", provocò una violenta rottura tra i due, che fece clamore nella Milano intellettuale.
Negli ultimi anni il G. ritornò sui temi gnoseologici della propria riflessione, quasi a volerne accentuare gli aspetti pedagogici: tra il 1822 e il 1823 usciva l'Ideologia, seguita l'anno dopo dall'Eserciziologico sugli errori d'ideologia e zoologia, ossia Arte di trar profitti dai cattivi libri, dove si ergeva a difensore di un sensismo tanto lontano da un materialismo male inteso, quanto dall'eclettismo che si stava imponendo in Francia; quindi nel 1826, con la Filosofia della statistica, il G. tornava a indicare minutamente, contro i nuovi detrattori d'Oltralpe della disciplina, le fonti e i principî con cui giudicare "lo stato delle nazioni". Nella Milano della Restaurazione la sua supremazia su alcuni temi era talmente incontrastata che quando F. Lampato ideò nel 1824 la pubblicazione degli Annali universali di statistica - a cui il G. cominciò a collaborare dal 1825 - tutti ritennero che dietro l'estensore ufficiale della rivista ci fosse appunto lui.
Consunto da un tumore che s'era manifestato nel 1823, il G. morì a Milano il 2 genn. 1829, in tempo per non assistere all'eclissi della propria fama nella temperie più moderata degli anni Trenta; una settimana prima di morire aveva consegnato a G. Gherardini le proprie carte affinché venissero depositate presso la Biblioteca dell'Accademia di belle arti di Brera.
Fonti e Bibl.: Le opere del G., con qualche errata attribuzione, furono raccolte e pubblicate in due serie dall'editore Ruggia: Opere minori, I-XVII, Lugano 1832-37, e Opere principali, I-XVI, ibid. 1838-40. La maggior parte dei suoi manoscritti è conservata a Milano, Biblioteca nazionale Braidense (AF XIII I-XI; AF XIV I-VII) e Archivio di Stato di Milano (Autografi, b. 175). Parte delle statistiche redatte in epoca napoleonica è invece alla Bibl. apostolica Vaticana, Mss. Ferrajoli, 445-449. Un accurato inventario delle altre carte disseminate in biblioteche e archivi italiani, come anche dei saggi consegnati sulle riviste e delle numerose edizioni delle singole opere del G. succedutesi nel tempo, è in M. Perugi Morelli, Saggio di bibliografia di M. G., in M. G., 1767-1829. Politica, società, economia tra riforme e Restaurazione, Atti del Convegno di studi, Piacenza… 1990, in Boll. stor. piacentino, XXV (1990), pp. 393-439.
Molti i lavori dedicati al G. già dai suoi contemporanei, a partire da G. Sacchi, M. G., in Annali universali di statistica, XXVIII (1829), pp. III-XXVIII, e da G.D. Romagnosi, M. G., in Biografia degli italiani illustri…, a cura di E. De Tipaldo, I, Venezia 1834, pp. 165-178; per un'analitica bibliografia aggiornata al 1990 cfr. comunque M. Perugi Morelli, Saggio di bibliografia, cit., pp. 439-455. Si vedano poi, oltre ai contributi al citato convegno piacentino del 1990, G. Giarrizzo, Saverio Scrofani e M. G., in Arch. stor. per la Sicilia orientale, LXXXV (1989), pp. 245-251; C. Zaghi, Il Direttorio francese e la Repubblica Cisalpina. Con un'appendice di documenti inediti, I-II, Roma 1992, passim; V. Anelli, Una supplica di M. G. a Maria Amelia duchessa di Parma e Piacenza, in Boll. stor. piacentino, LXXXVIII (1993), pp. 249-253; P. Themelly, Introduzione a M. Gioia, Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici (1798), Roma 1997, pp. V-XLVI; S. Mastellone, Introduzione a M. Gioia, Quale dei governi liberi meglio convenga alla libertà d'Italia, Firenze 1997, pp. III-XXVIII; F. Sofia, Manoscritti coperti e riscoperti: le statistiche dipartimentali di M. G., in Nei cantieri della ricerca. Incontri con Lucio Gambi, a cura di F. Cazzola, Bologna 1997, pp. 163-177; L. Rossi, M. G. "censore" della Cisalpina: errori di governo e intolleranza popolare, in Giacobini e pubblica opinione nel Ducato di Piacenza. Convegno di studio, Palazzo Farnese… 1996, a cura di C. Capra, Piacenza 1998, pp. 141-156; M. Paganello, Alle origini dell'Unità d'Italia: il progetto politico costituzionale di M. G., Milano 1999; I. Bottieri, Galateo e galatei. La creanza e l'instituzione della società civile nella trattatistica italiana tra antico regime e Stato liberale, Roma 1999, pp. 171-224.