D'ENRICO, Melchiorre (Melchiorre il Vecchio)
Figlio di Giovanni il Vecchio del "Riale di Alagna" in Valsesia (cfr. in questo Dizionario la voce D'Enrico, famiglia) e penultimo della prima generazione dei fratelli D'Enrico, nacque probabilmente intorno al 1570-1575, se già nel 1597 datava e firmava il grande affresco con il Giudizio finale sulla facciata della parrocchiale di Riva Valdobbia (Vercelli): "Melchior de Henricis de Alanea pinxit anno MDXCVII" (per i docc., se non diversamente indicato, cfr. Galloni, 1914).
L'11 febbr. 1600, il D. e il fratello Antonio (noto come Tanzio da Varallo) lasciarono la Valsesia per un viaggio di lavoro e di devozione a Roma, come si ricava da un lasciapassare del propretore della Valsesia Fulvio Visconti, che li definisce "iuvenes bonae vocis, conditionis et famae" (Tioli, 1939). Il rientro da Roma del D. cade prima del 14 sett. 1607, quando il vescovo di Novara, Carlo Bascapè, invitò per lettera i fabbricieri del Sacro Monte di Varallo "a far pruova del pittore fratello dello statuario", cioè del fratello, pittore, di Giovanni D'Enrico (Stefani Perrone, 1984, p. 133). Il 1ºdic. 1610 gli fu concesso di abitare in una casa al Sacro Monte di Varallo, per agevolargli il lavoro alle statue "collocatas et collocandas" nella cappella dell'EcceHomo (XXXIII), e l'effettiva partecipazione del D. ai lavori di questa cappella (affrescata dal Morazzone negli anni 1609-1611) è confermata dalla firma su due statue e dalla singolare scritta apparsa durante i recenti restauri sul manto rosso del Cristo presentato al popolo: "Melcher hats [hants?] gevolt [gemalt?] und Ulrich hants hat die bilder gemacht 1611". La spiegazione più semplice della scritta sarebbe quella di intenderla come firma del D., che dipinse le statue eseguite da "Ulrich hants", a fil di logica Enrico (Ulrico) di Giovanni, vale a dire il più anziano dei figli di Giovanni il Vecchio (cfr. D'Enrico, famiglia, in questo Dizionario). Sembra tuttavia da preferire, per quanto un po' forzatamente, una diversa lettura che intenda "Ulrich hants", come allusione al fratello Giovanni (cfr. voce) che, da un punto di vista stilistico, è sempre stato giudicato l'autore delle statue nella cappella dell'EcceHomo, a partire dal 1671 (G. B. Fassola, La nuova Gerusalemme ... Santo Sepolcro di Varallo, Milano 1671; per i dispareri sulla scritta vedi Romano, 1982, p. 266; Bossi, 1986, p. 15). Ulteriori complicazioni affiorano dal saldo che il D., dopo la stima del Morazzone, ricevette in data 7 dic. 1612 per i lavori alla cappella dei Tre discepoli dormienti (XXII).
Per tali lavori, infatti, si ha notizia di un contratto del 6 luglio 1608 che impegnò Melchiorre di Enrico (quindi Melchiorre il Giovane, non lo zio - il D. - di cui stiamo trattando) e sembrerebbe improbabile un errore del notaio Bartolomeo Peterro dal momento che tra i testimoni del 1608 è ricordato anche il fratello Pietro (ma il documento è sospetto per il fatto che indica come già defunto Enrico di Giovanni che sembrerebbe ancora vivo il 14 luglio 1609). Non è comunque da escludere che l'organizzazione della bottega dei D'Enrico non fosse rigorosamente divisa per famiglie e per generazioni e che il contratto, eventualmente firmato da un rappresentante del clan, potesse poi essere soddisfatto da un altro membro dello stesso gruppo familiare allargato. Purtroppo la perdita degli affreschi nella cappella dei Tre discepoli dormienti non consente un giudizio stilistico risolutivo.
Fino al rientro da Roma del fratello Antonio, il D. godette della piena fiducia dei fabbricieri del Sacro Monte che, in data 6 luglio 1614, minacciavano Ortensio Crespi di far eseguire al D. gli affreschi della cappella dell'Incoronazione di spine (XXXI) se il Crespi non ne avesse accelerato la conclusione. In assenza di documentazione contrastante è consentito sospettare che anche la cappella della Prima presentazione di Cristo a Pilato (XXVII) fosse stata affidata inizialmente al D. (di cui resta una coppia di figure in alto, sulla balaustra del palazzo di Pilato: Rosci, 1959, p. 185, n. 11), e che solo in seguito essa sia stata portata a termine, per la parte bassa delle pareti, dal Tanzio: gli affreschi e le statue apparivano in via di conclusione al cardinale F. Taverna in visita pastorale il 14 sett. 1617. Nel corso della stessa visita il presule constatò che erano già presenti nella cappella della Cattura di Cristo (XXIII) tutte le statue, ma gli affreschi del D. non saranno ultimati che nel 1619 (la data è segnata in modo crittografico sull'arco di accesso alla cappella).
Al di là del 1619 la figura del D. scompare alle spalle dei due fratelli artisticamente più dotati: Giovanni, prevalentemente statuario, e Antonio, prevalentemente pittore. È probabilmente il D. il Melchiorre a cui fu pagato il saldo per la doratura dell'ancona eseguita da Bartolomeo Ravelli per il santuario della Madonna del Sasso a Boccioleto, ma il documento relativo non è esplicito e potrebbe anche trattarsi del nipote (Debiaggi, 1968, p. 50; Testori-Stefani Perrone, 1985, p. 301); anche per gli affreschi del 1621 in S. Maria a Crevola (Varallo), ora perduti, permane la stessa ambiguità (Debiaggi, 1968, p. 50). Ritroviamo il D. in stretta collaborazione con il fratello Giovanni, a partire dal 1630, per i lavori del Sacro Monte di Orta (pagamenti del 1630, 1634, 1638: Melzi d'Eril, 1977, pp. 180 ss.) e contemporaneamente, almeno per l'anno 1633, sappiamo che portò a termine la decorazione ad affresco della cappella Gibellini nella collegiata di Borgosesia, interrotta per la morte del fratello Antonio (Debiaggi, 1976-1977, pp. 91 s.). All'autorizzazione vescovile per i lavori di Borgosesia è allegato un promemoria dello stesso D. che ne delinea l'itinerario di pittore e di scultore, compresa una presenza, finora ignota, al Sacro Monte di Arona (nulla rimane ormai in loco); tale promemoria precisa in tre cappelle l'intervento al Sacro Monte di Varallo, e si tratterebbe quindi dell'Ecce Homo (XXXIII), dei Tre discepoli dormienti (XXII) e della Cattura di Cristo (XXIII). Gli ultimi documenti che riguardano il D. lo segnalano a Varallo il 2 luglio 1639 e il 4 luglio 1640.
Su questa traccia documentaria andrà ricostruito il profilo stilistico del D., che può contare su una serie di punti sicuri per la carriera pittorica, mentre è incertamente legato al profilo ancora in assestamento del fratello Giovanni per quanto riguarda la scultura. La distanza stilistica tra l'affresco di Riva Valdobbia (1597) e la decorazione della cappella della Cattura (XXIII), al Sacro Monte di Varallo (1619), non è così radicale come ci si aspetterebbe, data l'interferenza del viaggio romano; il D. restò fedele al repertorio del manierismo internazionale, conosciuto tramite incisioni di varia provenienza e attraverso l'ambiente del Sacro Monte allo scadere del secolo, e solo si aggiornò lo stretto necessario sulle novità romane del fratello Antonio; era del resto un professionista già formato e con quasi trent'anni di età al momento della partenza per Roma, nel 1600. Il termine ultimo di tale viaggio, ante 1607, rende probabile l'appartenenza al D. del S. Pantaleone ora nella parrocchiale di Riva Valdobbia, commissionato da Antonio Clarino, appunto nel 1607, per l'oratorio montano di S. Rocco.
Più elusivo risulta l'intervento del D. a Borgosesia, perché programmaticamente mimetico rispetto al fratello Antonio, e di particolare qualità. Si potrebbe di conseguenza sospettare che spetti a questa fase tarda del D. una serie di opere che, di solito attribuite al Tanzio, non dimostrano la veemente concentrazione stilistica delle sue opere autografe. Il caso più significativo sembra da riconoscersi nel rapporto che intercorre tra l'Adorazione del Bambino con s. Carlo, già Poletti e ora al Museo civico di Torino (Testori, 1959), e la redazione ampliata, con s. Francesco, esposta presso la Galleria Manzoni a Milano, nel 1967, e oggi nel Los Angeles County Muscum of Art (Testori, 1967, scheda n. 4). Ambedue i dipinti si collegano all'affresco di-analogo soggetto in S.Maria della Pace a Milano, ma la redazione torinese è assolutamente autografa, mentre quella esposta a Milano mostra qualche segno di irrigidimento nei contorni e soprattutto nel non felice inserimento di s. Francesco.
Problemi analoghi, a livelli qualitativi sempre piuttosto alti, presentano la S. Agata, esposta anch'essa a Milano nel 1967 (ibid., scheda n. 3) e il S. Giovanni Battista passato alla Finarte di Milano il 27 ott. 1984 (Bona Castellotti, 1985, che lo identifica erroneamente col dipinto già in casa D'Adda e poi in collezione Frizzoni). A livello inferiore si collocano il modesto S. Giovanni Battista dell'orfanotrofio di S. Lucia a Novara (Rosci, 1962, p. 253, fig. 1), un S. Carlo di collezione ossolana (Bianchetti, 1985) e altre opere, meno fedeli al Tanzio, ancora conservate in Valsesia, che qui brevemente si elencano. Varallo, Pinacoteca: Annunciazione (Rosci, 1960, p. 41 tav. 1);Borgoseria, coll. privata: Martirio dei santi francescani (Ferro, 1983);Alagna, S. Giovanni Battista alla Rusa: Madonna col Bambino e santi (Testori-Stefani Perrone, 1985, p. 290, fig. 295);Cellio (Vercelli), S. Lorenzo: S. Carlo tra i ss. Lorenzo e Giuseppe, retro della pala del Tanzio con la Processione del sacro chiodo (S. Carlo..., 1984, p. 44, fig. 43);Varallo, frazione Cervarolo, S. Michele: quadro dell'Intercessione (ibid., p. 83, fig. 80);Fobello (Vercelli), frazione Boco inferiore, S. Carlo: Madonna col Bambino e santi (ibid., p. 85, fig. 86, la data segnata sulla cornice, 1675, non riguarda il dipinto che è assai più antico). Potrebbero appartenere al D., con ritocchi del fratello Antonio, i cartoni nn. 313 e 318 dell'Accademia Albertina di Torino (Gaudenzio ... [catal.], 1982, pp. 268 ss.).
Fonti e Bibl.: P. Galloni, Sacro Monte di Varallo..., Varallo 1914, pp. 279, 282, 285 s., 292 s., 297, 311, 377, 378, 413s. (per i documenti valsesiani); L. Tioli, Antonio D'Enrico (Tanzio), in Boll. d. Sez. di Novara d. R. Deput. subalp. di storia patria, XXXIII (1939), pp. 351 s.; G. Testori, Tanzio da Varallo (catal. della mostra), Torino 1959, pp. 36 s.; M. Rosci, Two altarpieces by Tanzio da Varallo, in The Burlington Magaz., CI (1959), p. 185n. 11; Id., Pinacoteca di Varallo Sesia, Varallo 1960, p. 43, scheda 1; Id., Postille al Tanzio da Varallo, in Emporium, LXVIII (1962), p. 253;G. Testori, Trentatré opere del Seicento (catal., Gall. d'arte Manzoni), Milano 1967, schede nn. 3 s.; L. Mallè, Le arti figurative in Piemonte. Dal sec. XVII al sec. XIX, Torino s. d. [ma 1974], ad Indicem;C. Debiaggi, Precisazioni sulla data dell'ultimo ciclo pittorico e sull'anno di morte del Tanzio da Varallo, in Boll. della Soc. piemontese di archeol. e belle arti, XXX-XXXI (1976-1977), pp. 91 s.; G. Melzi D'Eril, Sacro Monte d'Orta, in Isola San Giulio e Sacro Monte d'Orta, Torino 1977, pp. 180ss.; G. Romano, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell'Accademia Albertina ... (catal. della mostra), Torino 1982, pp. 266-270;F. M. Ferro, Un modelletto tanziesco, in Boll. storico per la prov. di Novara, LXXIV (1983), 2, pp. 399 s.; S. Carlo e la Valsesia. Iconografia del culto di s. Carlo, Borgosesia 1984, pp. 44, 55, 83, 85; S. Stefani Perrone, Giovanni D'Enrico urbanista e architetto al Sacro Monte di Varallo in Valsesia, in Fra Rinascimento, manierismo e realtà. Scritti di storia dell'arte in memoria di A. M. Brizio, Firenze 1984, p. 133;G. F. Bianchetti, Ancora un S. Carlo del Tanzio?, in Oscellana, XV (1985), pp. 201-207;M. Bona Castellotti, Un S. Giovanni del Tanzio ritrovato, in Arte all'incanto. Mercato e prezzi... alle aste di Finarte 1984-85, Milano 1985, pp. 29 s.; G. Testori-S. Stefani Perrone, Artisti del legno. La scultura in Valsesia dal XV al XVIII secolo, Borgosesia 1985, pp. 290, 310; A. Bossi, Cappellan. 33: Ecce Homo. Nuovi apporti sulla scuola di Giovanni D'Enrico, in Sacro Monte di Varallo. Quaderno di studio n. 3, Varallo 1986, p. 15; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon..., XXIV, p. 356 (sub voce Melchiorre di Enrico); C. Debiaggi, Dizionario degli artisti valsesiani dal sec. XIV al XX, Varallo 1968, pp. 50s. (con estesa bibl. precedente).