CESAROTTI, Melchiorre
Scrittore nato a Padova il 15 maggio 1730, morto nella sua villetta di Selvazzano il 4 novembre 1808. Studiò e poi insegnò nel famoso seminario padovano, acquistandovi una solida e svariatissima cultura letteraria. D'altra parte lo spirito vivace fino all'irrequietudine, come lo distolse dal proseguire nell'iniziata carriera ecclesiastica (restò pago del titolo di abate) così lo fece ben presto passare a Venezia in nobili case con l'ufficio di precettore. Tra le amicizie e protezioni che là egli coltivò, merita d'essere rammentata quella dell'inglese conte Carlo Sackville, da cui ebbe la prima notizia dei falsi poemetti ossianeschi e per ciò l'idea di tradurli. Ottenuta nell'università padovana la cattedra di lettere ebraiche e greche (1768), restrinse a queste ultime tutta la sua attività; e, divenuto segretario dell'Accademia (1779), poté sfoggiare nei solenni rapporti annuali il suo spirito d'enciclopedista. Il C. infatti, sebbene per molte parti si mantenesse indipendente dalla voga francesizzante, può in complesso essere considerato come un cospicuo partecipe, in Italia, del gran moto francese, umanitario, filosofeggiante, volterriano, desideroso di opporre agli antichi i moderni. Tale derivazione spiega perché egli fosse un fautore della Rivoluzione e perché, quando i Francesi passarono tra noi, scrivesse libretti di propaganda con temperato sentimento democratico. Poi divenne un fervido ammiratore di Napoleone, che per le qualità amabili di quel vecchio, e per amore a Ossian, gli fu assai benevolo. La gratitudine del C. ebbe il torto d'effondersi nella strana Pronea, che è come il racconto in endecasillabi sciolti d'un enorme scenario coreografico.
Tra le molte opere sue primeggia la versione dei supposti canti di Ossian (1763), vale a dire il rifacimento, in sciolti e in polimetri, della prosa inglese dove il Macpherson (1758) aveva finto di tradurre le reliquie di Ossian (v.). A questa impostura letteraria il C. da prima credette e ne sostenne la causa, mentre assaliva gl'idolatri di Omero, traducendo l'Iliade in prosa con sue osservazioni, e rifacendolo a suo modo nel poema La morte di Ettore (1786-1794). Così acquistava una più forte autorità nella sua diserzione; ché nessuno poté rimproverargli di non sapere abbastanza la lingua e la letteratura dei classici. Di questi s'era mostrato e si mostrava buon conoscitore anche con altre traduzioni; le quali in parte si collegavano al suo disegno, non privo di valore nell'esecuzione, di accostare le opere antiche ai lettori moderni. Quanto all'arte, l'Ossian del C., che fu ispiratore all'Alfieri, al Monti, a tanti altri, ha una valentia di versificazione non punto da disdegnare e inoltre una franca trasposizione d'immagini, dalla prosa del Macpherson a una più sincera poesia. Il filosofismo del cattedratico che nello stesso campo dell'antichità classica portava il neo-razionalismo enciclopedico e modernizzante, si esplicò nei due trattati il Saggio sulla filosofia del gusto e il Saggio sulla filosofia delle lingue; dei quali il secondo, che è del 1785, ha una importanza molto maggiore del primo. Seguendo precursori francesi, ma, come egli era solito, dicendo non poco di suo, il C. intese a "mettere la lingua sotto il governo legittimo della ragione e del gusto": intenzione che equivaleva (e in ciò era la parte buona delle sue osservazioni) alla liberazione dello scrittore dai pregiudizî della autorità puristica e della licenza, e al riconoscimento del diritto dell'artista di foggiarsi un suo vocabolario secondo la potenzialità della lingua e in connessione con lo stile suo proprio. Dal Saggio si può dire che derivino, da un lato, la reazione del Cesari, dall'altra, la guerra del Monti contro l'Accademia della Crusca. Un'altra benemerenza ebbe il C. verso la critica; e fu nelle sagaci pagine che diede alla questione omerica, anche combattendo in parte le dottrine di Federico Augusto Wolf, di cui conobbe i Prolegomena ad Homerum, usciti nel 1795, e cui additò le pagine di Giovan Battista Vico. Alcune versioni minori e alcuni sonetti non bastano, per felici che siano, a crescergli il nome di poeta, di là dall'Ossian meritamente famoso; né valgono a farlo prosatore d'arte alcuni apologhi ingegnosi e alcuni tratti eloquenti o arguti dei suoi rapporti accademici. Seppe farsi leggere anche col suo scrivere facile e attraente, che preparò bene la prosa non classicheggiante né puristica dell'Ottocento. Agì su molti. Ugo Foscolo, tra costoro, gli si professava discepolo e figlio. La cortese, affabile bontà, e l'onestà della vita gli cattivarono sempre, negli ammiratori, amici devoti.
Opere: Le opere del C. sono state raccolte in 40 voll. (Pisa 1800-1813); altro, specie lettere, è stato edito poi sparsamente. Cfr. poi le Prose edite e inedite di M. C., a cura di G. Mazzoni, Bologna 1882. Le Poesie di Ossian sono state ripubblicate da G. Balsamo-Crivelli, Torino 1924.
Bibl.: G. Barbieri, Memorie intorno alla vita e agli studi di M. C., in Prose accademiche, Firenze 1829; V. Alemanni, Un filosofo delle lettere, Torino 1894 (il solo vol. I); G. Mazzoni, Testimonianze polit. di un letterato e La quest. della lingua ital. nel sec. XVIII, nel vol. Tra libri e carte, Roma 1887; id., Abati, soldati, autori, attori del Settecento, Bologna 1925.