Cesarotti, Melchiorre
, Letterato, dotto ebraista, studioso di problemi linguistici, traduttore dei poemi ossianici, il padovano M.C. (1730-1808) possedette vivo il senso della libertà e originalità individuali del poeta e teorizzò con convinzione il principio della mutevolezza della lingua, almeno nel suo aspetto retorico-stilistico, collegandosi, come è noto, a una sensibilità a buon titolo considerata preromantica. Tuttavia egli non si distinse gran che dai suoi contemporanei nel giudicare Dante. Ne avvertì talvolta, è vero, l'impeto e la forza dell'espressione poetica, pur con significative limitazioni: " Il primo [D.] dotato d'una fantasia inventiva e robusta, si fa creatore della sua lingua, la doma e l'atteggia in varie guise, affronta con essa le idee più astratte e intrattabili e le si assoggetta: concepisce un piano vasto, che abbraccia tutto il' reale e l'immaginario, ed innalza un immenso edifizio d'architettura alquanto grottesca, ma che sorprende per l'arditezza e la forza dell'esecuzione anche gli amanti d'un'esatta regolarità " (Saggio sulla filosofia del gusto, 1785).
Ma a un libero intendimento dell'opera dantesca gli fece velo quel criterio del buon gusto e della chiarezza, quell'esigenza di ordine e razionalità che ebbe in comune con gli spiriti più colti del secolo: " Su questo poeta io la penso meno favorabilmente che sul Petrarca, tuttoché lo riconosca per un Genio straordinario rapporto ai tempi. Parlando col linguaggio degli Epicurei, direi che il suo Poema parmi il primo schizzo un po' regolare del mondo formato dall'accozzamento degli atomi ancora lottanti nelle tenebre del Caos. Se l'interprete ha la pazienza di continuar sino alla fine la Divina Commedia ella potrebbe guadagnarci in più di un luogo specialmente dal canto della chiarezza " (Lettera a Giuseppe Walker, probabilmente dell'estate 1793).
Giunse una volta a rammaricarsi che la Commedia non fosse composta con lo stile del frugoniano Angelo Mazza: " Se il Padre Dante avesse scritto il suo Poema da capo a fondo con questo stile, oh allor sì che avrebbe meritato l'adorazione non solo de' suoi pedanti idolatri, ma di tutti gli uomini di gusto " (Lettera al Mazza del 12 dicembre 1777).
Non sorprende quindi che in definitiva egli venga a trovarsi d'accordo col Bettinelli, così riassumendo il suo pensiero sul problema critico dantesco in una lettera inviata al letterato mantovano, dopo che questi ebbe pubblicato la Dissertazione accademica sopra Dante (1800): " Ho letto la sua dissertazione sopra Dante. Io la trovo ben generoso d'essersi compiaciuto di discendere a giustificarsi contro quegli oscuri e fanatici ammiratori di quel garbuglio grottesco che può dirsi con verità una non divina Commedia. Dante era un uomo di genio, per usare la frase dei nostri tempi, ma il gusto non nacque in Italia che col Petrarca. Alcuni squarci ed alquanti versi fanno tutto il bello poetico delle sue cantiche. Io però la ringrazio d'avermi fatto concepire una qualche idea più distinta di quel suo paese trimondiale ch'io non feci che scorrere senza mai osare d'internarmi in esso. Petrarca e Tasso sono e saranno sempre le due colonne del Parnaso italiano, rispettabili a tutte le nazioni e a tutte l'età ".
Bibl. - M. C., Opere, Firenze 1811: i brani citati appartengono ai voll. I, XXXV e XXXVII; Epistolario scelto di M.C., a c. di B. Gamba, Venezia 1826; Dal Muratori al C., IV, a c. di E. Bigi, Milano-Napoli 1960. La lettera al Bettinelli è stata edita da A. Luzio, in " Preludio " VIII (1884) 13-14, 126. Vedi inoltre E. Bigi, Le idee estetiche del C., in " Giorn. stor. " CXXXVI (1959) 341-366.