LERCARI, Megollo
, È certo che un Megollo (corruzione genovese - attraverso la forma intermedia Menegollo - del nome Domenico) Lercari viveva effettivamente a Genova nei primi decenni del Trecento, esercitando la mercatura (e insieme la pirateria) a Pera, a Trebisonda e nel Mar Nero, tutti elementi che rendono credibile la sua vicenda. Su di lui le notizie sono scarsissime, tanto che, per lungo tempo, la vicenda all'origine della sua perdurante fama è stata erroneamente collocata nel 1380, venendo più volte messa seriamente in dubbio dagli storici.
Essa è nota grazie al racconto fatto quasi due secoli dopo da Bartolomeo Senarega, cancelliere e annalista ufficiale del Comune di Genova, in una lettera inviata all'umanista napoletano Giovanni Pontano. La sua narrazione, certamente fondata su una tradizione ben nota ai Genovesi dell'epoca, non fornisce alcuna indicazione sull'anno in cui si svolse l'impresa del L., né in base ai pochi dati disponibili è possibile identificare con sicurezza il L. all'interno dell'ampio consortile dei Lercari, grande famiglia guelfa, legata alla Francia e agli Angiò. Tutta una serie di indizi, tuttavia, induce a ritenere che i fatti di cui si rese protagonista il L. si siano svolti fra il 1314 e il 1316. Per quanto riguarda l'origine familiare (come suggerito da Desimoni, p. 499), appare probabile che egli fosse figlio di un Gioffredo, vissuto nella seconda metà del Duecento.
Ancora adolescente, secondo un costume assai diffuso nelle principali famiglie dell'aristocrazia cittadina, egli fu inviato dal padre a Pera, l'importante emporio genovese sul Bosforo, per impratichirsi della mercatura. Qui si trattenne alcuni anni, per trasferirsi successivamente a Trebisonda.
La città, già capoluogo dell'antica provincia bizantina della Caldea, dal XII secolo era divenuta sede di un principato feudale autonomo che nel 1204, contemporaneamente alla caduta di Costantinopoli a seguito della IV crociata, venne conquistato da Alessio e Davide Comneni, nipoti di Andronico I, l'imperatore ucciso nel 1185; impadronitisi di Trebisonda, i due assunsero, insieme con il titolo imperiale, quello di "gran Comneni", dando vita a uno Stato indipendente. Importante emporio commerciale, punto di partenza di una delle principali vie carovaniere verso la Transcaucasia, la Persia e la Cina, Trebisonda era stata per lungo tempo uno dei porti bizantini più frequentati dai mercanti musulmani; essa traeva notevoli guadagni, oltre che dal commercio di transito, dalle merci locali di esportazione (fra le quali le nocciole rappresentarono a lungo la principale voce del commercio verso l'Italia). La presenza commerciale italiana a Trebisonda si fece consistente sul finire del Duecento, dopo che la distruzione di Bagdad (1259) e la caduta di San Giovanni d'Acri (1291) spostarono le vie commerciali tra Occidente e Oriente dalla costa siriana al Mar Nero. Genovesi e Veneziani si impegnarono attivamente, nei decenni successivi, a fondare colonie e insediamenti lungo tutte le coste pontiche.
A Trebisonda una colonia genovese è attestata nel 1291; essa ottenne dai "gran Comneni", prima del finire del secolo, l'assegnazione di un quartiere e privilegi fiscali e giurisdizionali analoghi a quelli goduti da altri simili insediamenti. I rapporti tra Genova e l'Impero trapezuntino si deteriorano nel 1304, per una controversia tra i mercanti liguri e l'imperatore Alessio II in tema di dazi doganali. In città scoppiarono disordini e il quartiere genovese subì gravi danni, ma poco dopo fu raggiunto un accordo e i Genovesi ottennero la concessione del sito fortificato di Leoncastron, presso Trebisonda, dove si stabilirono. Fu una tregua di breve durata perché nel 1313, a seguito di attacchi a navi trapezuntine da parte di corsari genovesi, Alessio II strinse alleanza con il signore di Sinope, Ghazi Çelebi, organizzando una flotta comune per attaccare Caffa e i possedimenti genovesi di Crimea. Il quartiere di Leoncastron fu devastato, ma la resistenza opposta dai Genovesi a Caffa e i colpi inferti dalle loro navi al commercio trapezuntino convinsero alla fine Alessio II a scendere a patti; così il 26 ott. 1314 vennero stipulate nuove convenzioni con Genova che confermarono tutte le precedenti concessioni e riconobbero ai Genovesi, in luogo di Leoncastron, un quartiere all'interno di Trebisonda, presso la darsena.
È in questa occasione che deve essere collocato l'episodio legato al L., nonostante storici recenti (Karpov, p. 149) ne abbiano messo seriamente in dubbio la veridicità. Secondo il racconto fatto da Senarega, il L., dopo essersi stabilito a Trebisonda, divenne in breve persona di fiducia di Alessio II: fatto non impossibile visto che nel 1292 l'amministrazione della Zecca era gestita dal genovese Nicolò Doria.
Attiratosi le gelosie dei cortigiani greci, il L. fu pesantemente insultato, nel corso di una partita a scacchi, da un certo Andronico, un giovane e avvenente favorito; non avendo ottenuto soddisfazione dall'imperatore per l'offesa subita, si allontanò furibondo da Trebisonda, giurando vendetta. Rientrato a Genova, con l'aiuto del suo numeroso clan familiare e con il permesso del Comune armò due galee e si diresse nuovamente nel Mar Nero, deciso a vendicarsi dell'imperatore e delle offese fatte al nome genovese. Con estrema ferocia egli si lanciò all'attacco di città e villaggi costieri trapezuntini, sbaragliando in più riprese le navi che l'imperatore gli inviava contro. Ai numerosi prigionieri riservava un terribile castigo, facendo tagliare loro, secondo un'usanza tipicamente bizantina, il naso e le orecchie che poi conservava, in salamoia, entro vasi appositi. La vista di questi trofei, inviati a Trebisonda tramite un vecchio prigioniero e i suoi due figli, ai quali aveva risparmiato la mutilazione, convinse l'imperatore a venire a patti con il L. e a consegnargli il cortigiano Andronico, causa della sua indignazione. Al greco, inginocchiatosi in lacrime davanti a lui, egli risparmiò la vita, dopo avergli detto, con scherno, che "Genoesi mai incrudeliscono contra donne" (Giustiniani, c. CXLVIIIv), facendo un pesante riferimento ai suoi presunti legami intimi con l'imperatore.
Alessio II, per sdebitarsi del favore ricevuto, offrì al L. ricchi doni, ma egli rifiutò ogni cosa, soddisfatto di avere vendicato l'onore suo e dei Genovesi, solo chiedendo che l'imperatore concedesse ai suoi compatrioti un fondaco dotato di ampi privilegi, al cui ingresso un dipinto o un'iscrizione ricordasse ai posteri quanto era stato all'origine della sua fondazione: cosa che l'imperatore prontamente eseguì.
Al di là delle probabili invenzioni di Senarega (in particolare per ciò che concerne l'istituzione della colonia genovese a Trebisonda), la vicenda contiene tuttavia un suo fondamento storico. In effetti, come ricordato all'inizio, un Megollo Lercari era presente nel Mar Nero nei primi decenni del XIV secolo ed è nominato in un atto notarile del 9 apr. 1313, riguardante una sua galea in navigazione verso la Romania, nonché nell'ottobre 1314, quando è menzionato tra i mercanti genovesi operanti a Simisso. Questi fu certamente quello stesso che negli anni successivi si rese colpevole, con Accelino Grillo e altri genovesi di Soldaia, di atti di pirateria ai danni dell'Impero trapezuntino stimati, nel trattato del 24 marzo 1316, ben 500.000 aspri, che il Comune di Genova si impegnava in quell'occasione a indennizzare. Inoltre, che la famiglia Lercari fosse strettamente legata alle vicende della colonia trapezuntina è testimoniato dal fatto che ancora oggi, nella chiesa di S. Eleuterio, principale sito religioso del quartiere genovese di Trebisonda, si trova una lapide con le insegne della famiglia, sebbene si riferisca all'edificazione della sua sacrestia, nel 1361.
Dopo l'episodio che lo rese celebre, il L. si dedicò in particolare al traffico del mastice, principale produzione dell'isola di Chio, all'epoca dominio degli Zaccaria, altra nobile famiglia genovese. In tale veste è ricordato nel 1318 e, ancora, nel 1333 quando un carico di mastice gli fu sequestrato dalle galee dei Lusignano, sovrani di Cipro.
Non conosciamo la data della sua morte.
Per esili che siano le testimonianze sulla sua vicenda, grande fu comunque la fama che, a Genova, ne circondò la memoria. Il "gran Megollo" fu a lungo ricordato come uno dei più fulgidi campioni dell'indipendenza genovese e le sue gesta vennero immortalate da numerose opere d'arte: dal bellissimo bacile d'argento cesellato dal portoghese Antonio de Castro nel 1565, oggi presso la Fondazione Cini di Venezia; al ciclo di affreschi del genovese Luca Cambiaso (fine '500: v. ill. in Torriti, pp. 73 s.) nel palazzo Lercari Parodi di strada Nuova a Genova (oggi via Garibaldi), il cui frontone era decorato da due telamoni senza naso, opera dello scultore Taddeo Carlone; all'affresco (circa 1621-25) di Giovanni Carlone nella villa del doge Giovan Battista Lercari (poi degli Spinola di S. Pietro) a Sampierdarena.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. storico del Comune, N.30: G. Cibo-Recco, De viris illustribus, p. 91; N.439: G.B. Cicala, Memorie della città di Genova e di tutto il suo dominio…, ad annum1314; C. Desimoni, Intorno all'impresa di M. L. in Trebisonda. Lettera di Bartolomeo Senarega a Giovanni Pontano, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1879), pp. 495-536; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genoa 1537, c. CXLVIII; P. Interiano, Ristretto delle historie genovesi, Lucca 1551, pp. 126 s.; J. Fallmayer, Geschichte des Kaisertums von Trapezunt, München 1827, p. 202; P. Rebuffo, Sepolcro di M. Lercaro, in Nuovo Giornale ligustico di scienze, lettere ed arti, s. 2, II (1838), pp. 78 s.; W. Heyd, Histoire du commerce au Lévant au Moyen-Âge, II, Leipzig 1886, pp. 98 s.; B. Nannei, M. L., Genova 1930; V. Vitale, La leggenda di M. L., in Rivista del Comune di Genova, febbraio 1952, pp. 11-13; E. Janssen, Trébizonde en Colchide, Bruxelles 1969, pp. 95 s.; P. Torriti, I tesori di strada Nuova, Genova 1970, pp. 73-75; M. Balard, La Romanie génoise, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XVIII (1978), p. 745; P. Stringa, Genova e la Liguria nel Mediterraneo. Insediamenti e culture urbane, Genova 1982, pp. 390-392; S. Karpov, L'Impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma (1204-1461), Roma 1986, pp. 149-151.