Medioevo: la scienza siriaca. Le scienze del linguaggio
Le scienze del linguaggio
Gli inizi
Come per altre tradizioni linguistiche, l'origine, nella cultura siriaca, di quelle che oggi possono apparire embrionali 'scienze del linguaggio' è inestricabilmente legata alla conservazione del patrimonio letterario, particolarmente del corpus di testi sacri rappresentato dall'Antico e dal Nuovo Testamento, tradotti rispettivamente dall'ebraico e dal greco fra il I e il IV secolo. Obiettivo primario di questa più antica pratica filologico-linguistica ‒ comune alle tradizioni semitiche autoctone che impiegano una scrittura esclusivamente consonantica ‒ era la notazione scritta delle informazioni necessarie per la corretta recitazione delle Scritture nell'uso liturgico.
Questo complesso di indicazioni fonologiche, grammaticali ed esegetiche è designato dai semitisti occidentali col nome di masora ('tradizione'), mutuato dalla tradizione giudaica. Le notazioni ortoepiche applicate nelle scuole dei Siri comprendevano essenzialmente diverse convenzioni d'uso del 'punto diacritico' (per differenziare varie categorie di parole omografe ‒ in siriaco damyāyāṯā, 'simili' ‒ nella scrittura consonantica siriaca) e un numero gradualmente crescente di segni d'intonazione, convenzionalmente chiamati 'accenti', che ricordano, senza dipenderne, il sistema dei neúmata bizantini.
Su questo sapere metalinguistico indigeno si venne a sovrapporre nel corso del tempo la forte influenza delle scienze del linguaggio greche, conseguenza dell'alto grado di biculturalismo e di bilinguismo greco-siriaco che caratterizzava Edessa fin dall'inizio, ma soprattutto riflesso del processo di ellenizzazione su vasta scala dell'intera civiltà di lingua siriaca, il cui atteggiamento nei confronti della cultura greca fra il V e il IX sec. passò gradualmente "dall'antagonismo all'assimilazione" (v. cap. II). Per quanto si può evincere dall'esame obiettivo dei dati, suffragato in larga misura dalle asserzioni esplicite (ma non sempre del tutto attendibili) degli stessi autori siri, l'influenza del pensiero linguistico greco si esercitò secondo due percorsi diversi: (a) le nozioni sul linguaggio attinte alla logica aristotelica, (b) la presentazione schematica della metodica grammaticale offerta dalla Téchnē grammatikḗ di Dionisio Trace e da alcuni trattati bizantini.
Il corpus della logica aristotelica, insegnata nelle scuole siriache come strumento per l'esegesi dei testi biblici e patristici almeno dal IV sec. d.C., fu tradotto più volte in siriaco nel corso dei secoli (v. cap. II) e determinò la formazione di molte nozioni della tradizione grammaticale siriaca, dando un contributo significativo al conio di una parte della sua terminologia metalinguistica. Questo travaso di concetti logici greci non di rado si venne però a innestare sulla pratica metalinguistica indigena, dando luogo a contaminazioni teoriche: per esempio, la nozione tardo-peripatetica delle cinque categorie del discorso (interrogativo, vocativo, ottativo, imperativo e assertivo), attribuita erroneamente ad Aristotele da lettori poco avvertiti di un passo del commento siriaco al De interpretatione di Proba (Prôḇā) d'Antiochia (Hoffmann 1869, p. 66), fu messa in rapporto da un grammatico siro-occidentale del VII sec., nel suo Trattato siro-occidentale sugli accenti (Phillips 1869, p. 68), con i cinque 'accenti', registrazione scritta dei profili intonazionali del siriaco parlato, mǝša'lānā (equivalente di erōtēmatikós, interrogativo), qārôyā (klētikós, vocativo), mǝpîsānā (euktikós, ottativo), pāqôḏā (prostaktikós, imperativo) e pāsôqā (apophantikós, assertivo). In questo modo, un nuovo sistema di 'accenti' siriaci, a carattere melodico ed estraneo nei suoi principî alle dottrine linguistiche greche, era investito del prestigio di Aristotele per imporlo nell'uso delle scuole; tale processo di ellenizzazione 'secondaria' (vale a dire una contaminazione di nozioni linguistiche indigene preesistenti con concetti greci) di una tradizione filologica originariamente indipendente si ripeté più volte nel corso dei secoli, mediante l'elaborazione teorica di tassonomie di accenti sempre più complesse e remote dalla pratica corrente, ispirate, almeno nei nomi, a categorie logiche e retoriche greche.
Più cruciale nello sviluppo della scienza grammaticale siriaca fu però la seconda direttrice d'influenza greca, esercitata dagli scritti tecnici dei grammatici. L'esempio più vistoso del trasferimento ai Siri del modello teorico dei grammatici ellenistici (notoriamente radice anche della tradizione grammaticale occidentale) è la versione siriaca della Téchnē grammatikḗ trasmessa sotto il nome di Dionisio Trace (v. anche i precedenti capp. I e II). Questa compilazione in gran parte apocrifa, che tuttavia riflette lo stato della scienza grammaticale ellenistica approssimativamente tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C., divenne al più tardi nel V sec. a Costantinopoli il manuale standard per l'insegnamento della grammatica nelle scuole greche e fu presto tradotta in siriaco e in armeno (e successivamente in georgiano e forse anche in arabo). L'origine della sua traduzione siriaca riconduce all'ambiente scolastico, qualora si voglia dare credito alla tradizione siro-orientale che l'attribuisce a Giuseppe Huzaya, conosciuto come maqrǝyānā presso la Scuola di Nisibi nella prima metà del VI sec. e come autore di scritti linguistici minori.
I dati di cui disponiamo sono troppo frammentari ed eterogenei per poter ricostruire un quadro completo e attendibile dell'insegnamento di materie di interesse linguistico nelle scuole siriache, ma almeno gli statuti della Scuola di Nisibi ci offrono informazioni sul curriculum e sugli insegnanti che si possono presumere valide anche per gli altri centri di educazione superiore di lingua siriaca, in particolare a Edessa (prima del 489) e a Gundeshabur (Gundēšābūr). Il maqrǝyānā (letteralmente 'insegnante di lettura') doveva impartire nozioni filologiche, lessicali e soprattutto grammaticali; se l'attribuzione tradizionale è corretta, la versione siriaca della Téchnē grammatikḗ doveva essere il manuale di grammatica in uso anche a Nisibi. La funzione esatta di un altro insegnante, il mǝhaggǝyānā (derivato nominale della radice ⟨HGY> 'meditare', 'compitare, vocalizzare') è incerta, era forse un insegnante elementare, appunto di compitazione. Nell'organizzazione scolastica il maqrǝyānā, il mǝhaggǝyānā e il sap̄rā ('insegnante di scrittura') erano subordinati al mǝp̄aššǝqānā 'professore di esegesi biblica', la carica più importante nei collegi teologici, quali erano fondamentalmente le scuole siriache. Se pure il maqrǝyānā sembra esser stato l'unica figura 'professionale' di linguista nella tradizione siriaca, si deve sottolineare che caratteristica di questa cultura (come della bizantina) è che le ricerche linguistiche furono praticate dagli studiosi più insigni, da eminenti teologi e dai più alti dignitari delle chiese di lingua siriaca, certo a causa della forte valenza identitaria di questa lingua, particolarmente dopo che le conquiste islamiche ne ebbero gradualmente provocato la riduzione drastica dei contesti d'impiego e del numero dei praticanti.
La versione siriaca della Téchnē grammatikḗ attribuita a Dionisio Trace svolse un ruolo cruciale nel dotare la tradizione grammaticale siriaca di un ampio lessico tecnico, in massima parte forgiato mediante calchi sul greco. La tassonomia delle otto parti del discorso (nome, verbo, participio, articolo, pronome, preposizione, avverbio, congiunzione), imposta dalla Téchnē grammatikḗ come lo standard morfosintattico della grammatica greca e riprodotta fedelmente nella versione di Giuseppe Huzaya, dovette essere modificata dalla tradizione grammaticale siriaca posteriore in ragione delle differenze morfosintattiche tra il greco e il siriaco: l'articolo, categoria irrilevante in aramaico orientale tardo, fu omesso e la classe morfologica corrispondente al greco metochḗ ‒ tradotta come d-šawtāp̄ûṯā 'participio' nella versione siriaca della Téchnē grammatikḗ ‒ divenne la mellaṯ šmā 'nome verbale', comprensiva anche dell'infinito, dando luogo alla fissazione di un sistema di sette parti del discorso che rimase canonico nella grammatica siriaca fino alla tardiva introduzione, per imitazione del modello arabo, della tripartizione (di origine aristotelica) nome-verbo-particella. L'adattamento dei dati linguistici siri al modello grammaticale greco nella tradizione grammaticale siriaca successiva andò talvolta a scapito dell'evidenza empirica, in conformità con la fenomenologia di quello che la storiografia linguistica designa come 'approccio eteromodellico'. Per 'approccio eteromodellico' s'intende un paradigma mutuato da una teoria grammaticale concepita per lingue di diversa struttura. Ne esistono molti esempi nella storia dell'imposizione della tassonomia grammaticale greco-latina a lingue diverse: per esempio, il termine tecnico siriaco mappalṯā 'caso' (calco di ptṓsis) venne a designare le particelle inseparabili b-, d-, w-, l-, /, di cui la prima, la seconda e la quarta introducono sintagmi preposizionali che sono funzionalmente equivalenti ai casi ablativo, genitivo e dativo del greco.
Alle differenze strutturali tra il greco e il siriaco è anche da ascrivere l'omissione, nella versione siriaca della Téchnē grammatikḗ, dei parr. 2-10 e 14 dell'originale, dedicati, rispettivamente, alla grammatologia, alla fonologia e alla sillaba, e alla coniugazione. La presenza di queste sezioni nella versione armena, obbligata soltanto ad adattarle alla struttura di un'altra lingua indeuropea di tipo 'classico', fa di questa a tutti gli effetti la prima grammatica dell'armeno. Questo non vale per la Téchnē grammatikḗ siriaca, priva del trattamento della fonologia e dell'ortoepia come dei paradigmi morfologici, salvo qualche lacerto di traduzione di parte del paradigma di týptō 'colpire', verbo tipo dei Kanónes della grammatica bizantina.
Giacomo di Edessa
Un progresso decisivo nello sviluppo della sistematica grammaticale siriaca segna l'attività del grande studioso siro-occidentale Giacomo di Edessa (633-708), vescovo di quella città, senza dubbio il maggiore filologo siro di ogni tempo e mente linguistica di assoluta eminenza. Nell'intento generale di consolidare la cultura religiosa e intellettuale dei Siri per assicurarne la sopravvivenza nel mondo ormai dominato dall'Islam, Giacomo esercitò la sua opera di grammatico tanto al servizio della filologia biblica (cui offrì contributi ecdotici ed esegetici di rilievo), quanto nello sforzo di codificazione del siriaco scritto, che cominciava allora a risentire dell'affermazione dell'arabo: finalità di purista, ma molto attento all'uso vivo della lingua. La sua Grammatica siriaca, purtroppo conservata in stato molto frammentario, rappresenta il più antico tentativo documentato ‒ e insieme il più originale ‒ di descrizione della lingua siriaca, per mezzo di termini e nozioni tratti dalla grammatica greca. Fervido ammiratore della lingua e della cultura greche, che aveva coltivato prima nel monastero di Qenneshrin (v. cap. II) e successivamente ad Alessandria, Giacomo rielaborò tuttavia in modo indipendente i suoi modelli greci, il principale dei quali va identificato nei Kanónes del grammatico bizantino del IV sec. Teodosio d'Alessandria. Un esempio perspicuo del suo processo di adattamento delle idee greche si riscontra nella fonologia, un settore nel quale la linguistica siriaca prima di lui non era riuscita ad assimilare le nozioni elleniche.
Il principale titolo di merito del vescovo di Edessa come grammatico risiede, però, nell'aver rivolto la sua attenzione ‒ caso unico nella linguistica vicino-orientale ‒ alle forme parlate anziché scritte, nella sua esposizione di quelle che oggi chiameremmo le variazioni morfofonologiche all'interno dei paradigmi nominali. A questo approccio fonologico alla morfologia, rimasto senza seguito nella tradizione grammaticale siriaca successiva, era collegata l'esigenza di Giacomo di coniare un sistema di segni vocalici, che comportava preliminarmente la raccolta e l'analisi delle forme secondo la loro pronuncia. I simboli che egli introdusse, a puro scopo didattico, per indicare le vocali nei paradigmi della sua grammatica erano collocati sulla stessa riga di scrittura dei segni consonantici: risultati inaccettabili per il senso di reverenza verso il testo consonantico che caratterizza le tradizioni semitiche 'classiche' (a eccezione di quella etiopica), essi furono abbandonati e sostituiti nell'uso siro-occidentale da un più agile sistema di grafemi supra- o sublineari, le cosiddette 'vocali greche', funzionalmente equivalente (salvo alcune differenze fonologiche) a quello praticato dai Siri orientali.
L'età abbaside
Delle opere dei grammatici siri attivi tra l'VIII e il X sec. ci sono noti solamente una decina di trattati sugli 'accenti' e sulle altre notazioni ortoepiche della masora e alcuni opuscoli di pertinenza morfologica, in parte ancora tributari della Téchnē grammatikḗ. Sappiamo però che all'epoca della cosiddetta 'rinascenza abbaside' (IX-XI sec.) gli studiosi nestoriani che effettuarono la trasmissione dell'eredità filosofica e scientifica greca agli Arabi, per lo più con l'intermediazione di una versione siriaca, si interessarono anche di problemi linguistici. Al più illustre homo trilinguis dell'epoca, Ḥunayn ibn Isḥāq (808 ca.-877), la tradizione siriaca posteriore attribuisce un Libro dei punti che avrebbe trattato della sintassi della frase, trascurata dai suoi predecessori, probabilmente sotto l'influenza della logica aristotelica, di cui Ḥunayn era maestro.
Nei secoli seguenti l'élite intellettuale nestoriana rimase integralmente bilingue, in siriaco e in arabo, e biculturale, come risulta dalla vasta documentazione per ogni settore dello scibile. Nell'ambito delle scienze del linguaggio, la grammatica siriaca tradizionale che dipendeva dal modello greco entrò in competizione con un'altra delle grandi tradizioni indipendenti di sapere metalinguistico, la scienza linguistica araba. I due atteggiamenti metodologici concorrenti sono rappresentati nell'XI sec. da due personalità di spic-co di grammatici siri orientali, Elia di Tirhan (Ṭirhān, m. 1049), che per primo tentò ‒ in modo originale, ma piuttosto confuso ‒ di introdurre i metodi dei grammatici arabi nella descrizione del siriaco, ed Elia bar Shinaya (Šināyā, 975-1046), metropolita di Nisibi, fautore dell'approccio tradizionale. L'ideologia linguistica del secondo ci è testimoniata non soltanto dalla sua Grammatica siriaca, manuale scolastico di scarsa originalità ‒ ma di amplissima diffusione ‒ ispirato alla masora siro-orientale e alle idee di Giacomo di Edessa, ma soprattutto dalla sesta delle sue celebri Maǧālis (Conversazioni) in arabo con il visir musulmano Abū 'l-Qāsim al-Maġribī, apologia della fede cristiana in forma dialogica. La rielaborazione scritta del sesto colloquio, che ebbe luogo a Nisibi il 27 luglio 1027, argomenta, con abilità dialettica pari alla competenza in linguistica araba, la superiorità del siriaco sull'arabo per quanto riguarda gli aspetti morfosintattico, lessicale e persino grafico. Per esempio, nella sua critica logica all'i῾rāb (il sistema di declinazione dell'arabo classico), Elia si sforza di dimostrare che il siriaco ‒ il cui sistema di 'accenti' dà espressione grafica ai fenomeni intonazionali ‒ è più logico, più assoluto e più universale dell'arabo, meno ambiguo e più duttile nell'esprimere la distinzione del soggetto e dell'oggetto: è evidente qui la dipendenza dal trattato perduto di Ḥunayn. Il tono di questa discussione è sempre civile, persino amichevole, ben diverso da quello della polemica (di contenuto in parte affine) che aveva opposto circa un secolo prima il grammatico musulmano al-Sīrāfī (m. 979) e il logico nestoriano, di ispirazione aristotelica, Abū Bišr Mattā ibn Yūnus (m. 940).
Il XIII secolo
La rivalità tra i sostenitori del modello tradizionale della grammatica siriaca e gli ammiratori della linguistica araba continuò accanita nel XII e XIII secolo. Al primo partito apparteneva il grande studioso nestoriano dell'inizio del XIII sec. Giovanni bar Zo῾bi (Yôḥannān bar Zô῾bî), la cui ingente opera grammaticale, ancora quasi completamente inedita, rappresenta insieme il vertice qualitativo e il termine cronologico della tradizione linguistica siriaca orientale; nella sua grammatica maggiore Giovanni si sforzava di combinare l'approccio descrittivo dei suoi predecessori con elementi di logica e retorica greche, in parte desunti dai commenti ad Aristotele dello studioso giacobita del VII sec. Severo Sebokht.
Sintesi del pensiero grammaticale siriaco ‒ occidentale come orientale ‒ è il Kṯāḇā d-ṣemḥē (Libro dei raggi), l'ampia grammatica in prosa dell'eminente poligrafo giacobita Barebreo. La caratteristica più saliente della sua copiosa produzione linguistica è la combinazione di nozioni della grammatica greca e della logica aristotelica, di antiche categorie della masora siriaca e di idee e principî della tradizione linguistica araba (ricavati soprattutto dal Kitāb al-mufaṣṣal fī 'l-naḥw di Maḥmūd ibn ῾Umar al-Zamah̠šarī, influente trattato composto verso il 1120); questo tentativo di armonizzare tre tradizioni linguistiche diverse è eseguito con notevole abilità e con esiti ben superiori ai primi esperimenti dei grammatici 'arabofili' del siriaco, come Elia di Tirhan. Così, Barebreo adotta il metodo dei fonetisti arabi per analizzare i suoni del siriaco, ma prende a prestito soltanto la loro tecnica, non già la descrizione dei singoli suoni, che è indipendente e senz'altro apprezzabile per l'epoca. Anche la trattazione della morfologia combina felicemente gli apporti della tradizione greca e della grammatica araba, tra l'altro adottando la tripartizione delle parti del discorso in nome, verbo e particella, canonica nella tradizione araba.
Talvolta, tuttavia, il suo approccio 'eteromodellico' lo induce ad attribuire a una forma siriaca, sul modello dell'arabo, una proprietà che le è estranea.
Il limite più grave di Barebreo nell'adattare la metodologia linguistica araba alla morfologia siriaca va riconosciuto nell'aver ignorato le nozioni di schema morfologico e di radice consonantica, i due principî strutturali che si incrociano nella formazione delle parole nelle lingue semitiche (per es., la radice ⟨PSQ> 'tagliare' e lo schema di derivazione nominale 12ā3- si combinano per produrre il sostantivo siriaco psāqā 'dissezione'), entrambi concetti-chiave della teoria morfologica araba. A differenza di quanto fecero i linguisti ebrei dei secc. X-XI, Ḥayyūǧ e Ibn Ǧanāḥ, che a partire dall'analisi delle radici 'deboli' (composte cioè da consonanti soggette a trasformazione) introdussero nella tradizione grammaticale giudaica il principio dell'interazione tra radice e schema, Barebreo non seppe trasferire alla pratica grammaticale siriaca la più importante innovazione dei grammatici arabi in ambito morfologico; in qualche modo si potrebbe considerare questa omissione la più grave ipoteca che il debito culturale verso il pensiero grammaticale greco, evidentemente organizzato secondo tassonomie morfologiche improntate a una struttura linguistica sensibilmente diversa dalla semitica, lasciò alle scienze del linguaggio siriache.
Il cerchio del trasferimento di tecnologie grammaticali che caratterizza la storia della tradizione grammaticale siriaca venne a chiudersi solamente alcuni secoli dopo con la Grammatica Syriaca (Amira 1596) del maronita Giorgio Amira (Ǧirǧīs ῾Amīra), che per primo integrò le nozioni e i termini tecnici più importanti del sapere metalinguistico autoctono con il modello grammaticale latino dominante in Europa: nata dalla sovrapposizione del modello della grammatica greca sulle tradizioni ortoepiche indigene, in seguito arricchita da significativi apporti della linguistica araba, la grammatica siriaca finì per innestarsi sul telaio della grammatica latina (essa stessa esito del trasferimento della greca), che la linguistica rinascimentale, "impresa ramificata di sapere multilingue […] unica nella storia dell'umanità" (Auroux 1989, p. 29), imponeva ormai come modello universale di 'grammaticizzazione'.
Soltanto nelle linee generali è per ora possibile ricostruire l'evoluzione della lessicografia siriaca indigena, non ancora oggetto di una ricerca monografica globale comparabile a quella di A. Merx (1889) per la grammatica. Prime manifestazioni scritte di ricerca lessicologica, ma ai confini con la grammatica e con la filologia biblica, sono i trattati ‒ essenzialmente d'intenzione didattica ‒ sui termini omografi nella scrittura consonantica, i cui diversi valori (morfologici o lessicali) sono disambiguati mediante il 'punto diacritico'; sono stati pubblicati finora un Liber canonum de aequilitteris attribuito al monaco nestoriano del VII sec. Enanisho (Ĕnānîšô), ma interpolato nella tradizione manoscritta con un analogo trattato di Ḥunayn ibn Isḥāq, e un più ampio Trattato sugli omografi in versi di Barebreo, mentre una serie di opere affini, in parte anonime, è conservata in collezioni europee di codici siriaci. Non confinata agli omografi sembra essere stata un'altra opera di Ḥunayn, su Parole simili tra loro ma non nel significato, che doveva comprendere anche vocaboli di significato affine, ma non sinonimi.
Un diverso genere lessicologico è costituito dalle raccolte di glosse a parole di origine greca in siriaco; oltre a una breve spiegazione di vocaboli teologici da parte di Maruta di Maiferqat (Mârûṯâ di Mayp̄erqaṭ, inizio V sec.), conosciamo uno scritto inedito di Enanisho su una serie di termini patristici e ci è testimoniata la grande fortuna presso i lessicografi posteriori del trattato di Ḥunayn sull'interpretazione dei prestiti greci in siriaco. Questi scritti nascevano evidentemente dalla pratica di traduzione esercitata dai loro autori; la massima fioritura della lessicografia siriaca seguì da presso la grande impresa di travaso culturale dal greco in siriaco e da questo in arabo messa in cantiere nella Baghdad abbaside. Non è un caso che il principe dei traduttori nestoriani, Ḥunayn ibn Isḥāq, abbia dato un contributo segnalato a ognuno dei generi della lessicografia siriaca. Proprio a lui si deve il primo Lessico della lingua siriaca, che dovette inglobare il precedente trattato sulle voci di origine greca; anche quest'opera ci è nota soltanto per essere stata abbondantemente utilizzata nelle compilazioni posteriori.
I più importanti lessici siriaci indigeni che ci sono pervenuti, in una tradizione manoscritta ampia e variamente interpolata, si debbono al medico Isho bar ῾Ali (Κô῾ bar ῾Alī), continuatore di Ḥunayn, e ad Abū 'l-Ḥasan ibn Bahlūl (in siriaco: Bar Bahlūl), insegnante nelle scuole di Baghdad verso la metà del X secolo. Queste vaste compilazioni ‒ in qualche modo intermedie tra un lessico e un dizionario enciclopedico ‒ raccolgono in ordine alfabetico glosse, talvolta accompagnate da spiegazioni in arabo, a parole rare del siriaco letterario e occasionalmente, soprattutto nel caso di Bar Bahlūl, di varietà parlate, antecedenti dell'attuale neosiriaco.
Un unicum nella tradizione lessicografica dei Siri è costituito dal Kitāb al-Tarǧumān (Libro del traduttore) di Elia di Nisibi, vocabolario bilingue arabo-siriaco organizzato secondo un principio onomasiologico, in subordine al quale opera in pochi casi la disposizione alfabetica. La materia lessicale vi è ripartita in 30 lezioni, corrispondenti ad altrettanti 'campi semantici': Dio (lezione 1), l'uomo (lezioni 2-10), l'ambiente immediato dell'uomo (11-14), il mondo animale (15-18), i suoni prodotti dall'uomo e dagli animali (19), il mondo inanimato (20-24), il tempo e le sue suddivisioni (25), i calcoli (26), i colori (27), le questioni della Chiesa (30); le lezioni 28 e 29 comprendono rispettivamente i verbi (ordinati alfabeticamente) e le particelle. Modello di questo scritto era il genere dei trattati di impostazione onomasiologica rappresentato nella lessicografia araba da opere come al-Ġarīb al-muṣannaf (Repertorio sistematico di rarità lessicali) di Abū ῾Ubayd ibn Sallām (m. 838). Il metropolita di Nisibi, che abbiamo visto eloquente apologeta della grammatica siriaca nei confronti di quella araba, aveva tuttavia sufficiente spirito pragmatico per accogliere dalla tradizione linguistica araba una tecnica utile al suo scopo, nella fattispecie l'insegnamento del siriaco ai cristiani arabofoni di Mesopotamia.
Con le discipline più propriamente linguistiche dei Siri ha punti di contatto anche la retorica, sulla cui articolazione ed esemplificazione abbiamo sufficienti notizie dirette solamente nel IX sec., epoca presumibile dell'ampio trattato Sulla scienza retorica (unico nella letteratura siriaca, salvo i suoi epigoni del XIII sec.) del monaco giacobita Antonio di Tagrīt. Quest'opera, ancora in gran parte inedita, sembra in ogni caso dipendere da una tradizione siriaca ‒ o meglio greco-siriaca ‒ relativamente lunga di insegnamento della retorica e della poetica nelle scuole, in conformità con l'ideale dell'enkýklios paideía, centrale nell'educazione antica. Di più immediato interesse linguistico sembra risultare soprattutto la sezione lessicologica del I libro. Soltanto una ricognizione sistematica di questo scritto, così come dei trattati di lessicografia e dei brani pertinenti di opere filosofiche, patristiche e di esegesi biblica, potrà in futuro consentire di ricostruire l'origine e la tipologia della riflessione semantica ‒ implicita in considerazioni di ordine diverso od oggetto di ricerca autonoma ‒ nella cultura siriaca, come si è fatto di recente per le tradizioni linguistiche araba ed ebraica.
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