Medio Oriente/Grande Medio Oriente
Mèdio Oriènte/Grande Mèdio Oriènte. – Dallo scoppio della prima guerra arabo-israeliana nel maggio 1948 all’attacco missilistico di Ḥamās contro Israele nel novembre 2012, il conflitto tra israeliani e palestinesi ha dominato la scena mediorientale e internazionale. In assenza di realistiche prospettive di pace, lo scontro appare irriducibile e dalle forti valenze simboliche: il destino di un popolo senza terra e senza Stato, nonostante il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel novembre 2012, e quello di un popolo accerchiato da nemici mortali sono avviluppati insieme in un nodo inestricabile. Intorno a questi due popoli in guerra, però, molte cose sono cambiate. In primo luogo il palcoscenico della crisi si è allargato: gli analisti parlano sempre più spesso di un Grande Medio Oriente, un’area geografica che da ovest a est si estende dall’Africa mediterranea (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto) all’Asia centrale e meridionale (Pakistan, Afghanistan), includendo a nord la Turchia e, talvolta, il Sudan a sud. Questa regione così ampia e diversificata al suo interno ha conosciuto a partire dai primi anni del 21° sec., anche in conseguenza di avvenimenti più remoti, molte trasformazioni e i molteplici fronti di crisi che l'attraversano coinvolgono tutti i diversi attori regionali e le grandi potenze mondiali, Stati Uniti in primis. In questo contesto si è ritagliato uno spazio da protagonista l’Iran sciita, finanziatore del partito libanese sciita Hezbollah, ma anche dei sunniti palestinesi di Ḥamās. Questo grande Paese è il perno del problema mediorientale dell’inizio del 21° sec. perché intorno a esso si articola la strategia geopolitica regionale degli Stati Uniti. Tra il 2011 e il 2012 il regime delle sanzioni adottato dall’amministrazione Obama lasciava aperta la strada del negoziato tra Stati Uniti e Iran: accordi circoscritti e poco pubblicizzati erano stati stretti in precedenza tra i due paesi per far sì che l’Iran non esercitasse un’influenza destabilizzante in Iraq, dove gli Stati Uniti incontravano forti difficoltà a ripristinare l’ordine. Tuttavia l’atteggiamento egemonico e aggressivo dell’Iran, forte del suo programma nucleare in fase ormai avanzata e dell’effetto simbolico delle sue continue minacce a Israele, non permetteva di escludere una guerra preventiva degli Stati Uniti o dello stesso Israele. Accerchiare e minimizzare il pericolo iraniano, per impedire un risveglio delle popolazioni sciite in tutto il mondo arabo e soprattutto nelle sue province orientali ricche di petrolio, è obiettivo dichiarato anche del regno saudita, campione della tradizione sunnita e promotore dell’ordine nella temperie delle rivolte popolari della , responsabile di una destabilizzazione ancora in atto di secolari equilibri. L’Egitto, che con Mubārak rappresentava per Israele una garanzia di contenimento della presenza islamica a Gaza, è diventato invece un possibile sostenitore e sobillatore di quest’ultima, anche se sulla scena internazionale cerca di guadagnarsi il ruolo di interlocutore affidabile e moderato, mediatore imprescindibile del conflitto tra gli israeliani e Ḥamās. Alla fine del 2012 le prove di democrazia nei paesi arabi attraversano un momento difficile: in Egitto la domanda di pluralismo e buon governo che aveva portato milioni di persone nelle piazze si infrange contro la svolta autoritaria del presidente Morsy e i pericoli di un'islamizzazione della società. Lo spiraglio di dialogo lasciato aperto da Morsi e dai Fratelli musulmani all’Occidente e alle forze laiche della società egiziana, uscite peraltro sconfitte dalle urne, marcano la distanza con l’integralismo dei gruppi salafiti che dalla Libia alla Tunisia all’Egitto, con il sostegno dell’Arabia Saudita, spingono per un’applicazione integrale della sharī 'a. In Siria la guerra civile vive una lunga e drammatica fase di stallo che può solo rimandare la fine di Bashshār al-Asad: infatti, nonostante la capacità di resistenza mostrata dal regime, appare esaurito e dissolto l’impenetrabile potere di coercizione esercitato congiuntamente dal partito Ba‛th, dalle forze armate e dai servizi segreti a difesa della dittatura. La crisi siriana riporta al centro della scena le manovre dell’Arabia Saudita e del Qatar in funzione antiraniana, perché la potenza persiana è la principale alleata della Siria e si serve di quest’ultima per avere uno sbocco al mare, ma anche le scelte strategiche di Russia e Cina contro Europa e Stati Uniti, che fiancheggiano, peraltro assai fiaccamente, i ribelli. Arabia Saudita contro Iran è il tema principale dello scontro tra sunniti e sciiti, ma la contesa religiosa in gioco, il primato nel mondo islamico, si consuma sullo sfondo di una battaglia ad ampio raggio che vede israeliani e statunitensi spalleggiare il fronte arabo sunnita contro il nemico iraniano. Più a est non mancano nuovi e vecchi focolai di crisi: l’Afghanistan, allineato su posizioni filostatunitensi, subisce le infiltrazioni strategiche di Islamabad e Teheran, che vogliono esercitare la loro influenza su un Paese povero e tuttora in ricostruzione. Il Pakistan, già avamposto nella lotta ai talebani afghani, è ormai da tempo un pericoloso nascondiglio per i gruppi dell’islamismo qaedista, liberi di agire indisturbati. Altro motivo di preoccupazione è il possibile scontro tra India e Pakistan, che trae origine, oltre che dal conflitto per la sovranità del Kashmir e da un uso spregiudicato del terrorismo da parte del Pakistan, dalla volontà di entrambi i paesi di allargare la propria sfera di influenza. Tra le numerose dinamiche in atto nella regione vanno anche ricordate le trasformazioni sociali, politiche e culturali della Turchia, tra l’accresciuta presenza e visibilità dell’islam nel Paese, la questione curda e il processo di avvicinamento all’Unione Europea (v. Turchia), e il futuro dell’Iraq, evacuato dalle truppe statunitensi nel dicembre 2011 e ad alto rischio di sopraffazione, campo di battaglia degli interessi del potente vicino iraniano e dei paesi arabi. La questione energetica, infine, ossia la dipendenza di Stati Uniti e potenze occidentali dal petrolio mediorientale, è il collante delle scelte operate da questi paesi nella regione. La grandiosità degli interessi in campo in questa macroregione non può non far riflettere sulla marginalità della questione palestinese in questo coacervo di alleanze e contrapposizioni: la causa palestinese, incapace sostanzialmente d'infiammare le piazze arabe, è ormai ridotta sullo sfondo, non rappresentando una priorità né nella visione geopolitica degli Stati Uniti, né in quella dei paesi arabi.