Subacquea, medicina
La m. s. è un settore specifico nell'ambito della medicina e delle sue specialità, anche perché riguarda solo uno degli aspetti di una 'superspecialità', definita medicina subacquea e iperbarica; essa comunque costituisce oggetto di corsi di insegnamento ufficiale universitario nelle facoltà di Medicina, nonché di interi corsi di specializzazione medica.
L'immersione del corpo in acqua rappresenta per l'uomo un evento assolutamente naturale: basti pensare che lo sviluppo fetale avviene in ambiente liquido e che tale impronta permane nel neonato, il quale, immerso in acqua a temperatura confortevole, si trova a suo agio riuscendo autonomamente ad alternare periodi di nuoto sotto la superficie con atti respiratori ben coordinati coincidenti con l'emersione del capo. L'acqua rappresenta invece per l'adulto un ambiente profondamente diverso e talora 'ostile' rispetto a quello in cui normalmente vive, anche perché subentra una serie di modificazioni fisiologiche legate sia direttamente all'elemento acqua sia alla pressione. Fin dall'antichità l'uomo si è immerso trattenendo il respiro o utilizzando sott'acqua rudimentali sistemi di respirazione; tuttavia è solo in questi ultimi cento anni che la tecnologia gli ha permesso di andare sott'acqua non soltanto a profondità abissali con sistemi scafandrati (sommergibili o scafandri) all'interno dei quali sussiste un'aria a pressione atmosferica, ma anche in 'libera', cioè nuotando con o senza apparati che permettono la respirazione per tempi lunghi e a profondità notevoli: oggi alcune immersioni operative dell'uomo senza scafandro si effettuano intorno ai 500 metri di profondità, mentre altre, sperimentali e quindi in laboratorio, hanno superato la quota equivalente a 700 metri. È però sufficiente riflettere, anche in modo superficiale, su quest'attività umana estremamente diffusa ma posta tra le attività ludiche o sportive, per rendersi conto delle notevoli problematiche che l'immersione del corpo umano comporta, problematiche spesso totalmente nuove in tutti gli aspetti: fisiologici, fisiopatologici, tecnologici ecc.
Caratteristiche ambientali
Le principali caratteristiche di questo 'ambiente straordinario' sono le seguenti: densità, pressione, temperatura e conducibilità termica, fenomeni ottici, densità del gas inspirato, conducibilità termica del gas inspirato.
Densità. - La densità dell'acqua (1g/ml per l'acqua pura; maggiore per l'acqua di mare) è notevolmente superiore a quella dell'aria. Questa caratteristica è responsabile della forte spinta verso l'alto che il nostro corpo immerso riceve. L'elevata densità dell'acqua di mare fa sì che il corpo umano, di densità media inferiore anche per la presenza di cavità naturali a contenuto aero-gassoso (polmoni, stomaco e visceri cavi), tenda a galleggiare spontaneamente.
Pressione. - Proprio per la densità maggiore, la pressione sott'acqua aumenta linearmente in ragione di 1 atmosfera ogni 10 metri di profondità (ATA: valore equivalente a 1 ATM e indipendente dal valore della pressione atmosferica esterna). Un soggetto che si trovi a livello del mare è sottoposto a una pressione assoluta di 1 atmosfera; se effettua una immersione a 10 metri di profondità vedrà raddoppiare la pressione che grava sul suo corpo (1 ATM di pressione atmosferica +1 ATA di pressione idrostatica); se si immergerà a 20 o 40 metri, la pressione sarà quindi di 3 o 5 atmosfere.
Temperatura e conducibilità termica. - La temperatura ovviamente è un fattore assai variabile; comunque le acque, marine o dolci (laghi o fiumi), sono sempre al di sotto della neutralità termica; oltre a ciò la capacità di condurre calore (conducibilità termica), cioè di trasferire energia termica da un corpo più caldo a uno meno caldo, nell'acqua è preminente. Nell'aria infatti la dispersione termica del corpo umano è legata eminentemente a fattori di irraggiamento e convezione, per cui temperature di 18÷24 °C in aria risultano confortevoli, mentre in acqua, dopo breve tempo, risultano mal sopportabili proprio per la conducibilità termica. Di qui la necessità di opportune protezioni (le mute) che riducano la dispersione.
Fenomeni ottici. - L'occhio ha caratteristiche di rifrazione adatte alla visione in aria, mentre in acqua si determina l'impossibilità di formare immagini a fuoco sulla retina per l'indice di rifrazione assai simile tra cornea e ambiente esterno (acqua); si rende pertanto necessaria la creazione di una interfaccia aerea, mediante maschera o particolari occhiali, creando però in tal modo due nuove interfacce con potere rifrattivo diverso (acqua/vetro e vetro/aria). Questo comporta una distorta percezione degli oggetti immersi che appaiono del 30% circa più grandi e più vicini.
Densità del gas inspirato. - Durante l'immersione con apparati di respirazione subacquea, l'aria (o gli altri gas o miscele respiratorie) viene erogata alla pressione equivalente a quella della profondità raggiunta. La legge di Boyle comporta però che, a parità di volume, la quantità di gas ventilato sia maggiore: in altre parole, la densità del gas aumenta con la profondità. Per profondità superiori a 50÷60 metri la densità dei gas inspirati comporta un lavoro respiratorio notevole e perciò, per immersioni a scopo lavorativo, si utilizzano miscele composte da O₂+He (Heliox) oppure da O₂+He+N₂ (Trimix) in proporzioni variabili. Il vantaggio consiste nel fatto che l'elio ha un peso molecolare minore dell'azoto e quindi consente di mantenere livelli accettabili di lavoro respiratorio. Un ulteriore e non indifferente vantaggio risiede nella riduzione della pressione parziale dell'azoto, fattore che risulta fondamentale nel ridurre i fenomeni di narcosi da azoto.
Conducibilità termica del gas inspirato. - Questa caratteristica è importante quando si usino miscele respiratorie. A causa della sua elevata conducibilità termica, la dispersione di calore con la respirazione di miscele Heliox o Trimix è tale che occorre preriscaldare la miscela.
Già la più diffusa modalità di incontro dell'uomo con l'acqua, l'immersione parziale del corpo umano, risulta produrre notevoli modificazioni fisiologiche nell'organismo. Ovviamente gli altri modi di andare sott'acqua, le immersioni 'vere' e non solo quelle più o meno parziali, risultano indurre modificazioni di gran lunga maggiori e non ancora del tutto definite. In rapporto all'entità dell'immersione (parziale o totale) e all'impiego o meno di mezzi ausiliari di respirazione, distinguiamo: a) immersioni parziali del corpo umano, in ventilazione o in pausa respiratoria: immersione del viso, degli arti inferiori, del corpo con testa emersa, di tutto il corpo ecc.; b) immersioni con sospensione volontaria dell'attività respiratoria, comunemente ma impropriamente definita 'apnea': inspiratoria, espiratoria, a vario volume; c) immersioni con mezzi ausiliari di respirazione o in ambiente iperbarico, suddivise in rapporto alla miscela gassosa usata (ossigeno, aria, elio-ossigeno, elio-ossigeno-azoto, ossigeno-idrogeno ecc.) e anche al mezzo tecnico adottato: erogatore, narghilè, libera ventilazione in campana o in camera iperbarica, con o senza cordone ombelicale, in saturazione ecc. Queste diverse modalità di immersione possono inoltre indurre differenti effetti fisiologici o fisiopatologici se, anziché a livello del mare (mare, laghi o fiumi), sono effettuate in altitudine, con o senza pregresse modificazioni indotte dall'acclimatazione e/o per le diverse caratteristiche della riemersione o decompressione. Diverse sono le problematiche di queste modalità di immersione, diverse le modificazioni indotte nell'organismo umano e diversa è l'evoluzione storica delle stesse.
Immersioni parziali del corpo
L'immersione in acqua determina una sostanziale modificazione della dinamica del ritorno venoso verso i vasi intratoracici e il cuore destro. Infatti, durante l'immersione del solo corpo con testa emersa il gradiente pressorio transdiaframmatico, principale determinante del ritorno venoso, passa da un valore prossimo allo zero a 10,64 mmHg circa. Un ulteriore impulso all'aumento dell'afflusso ematico nei distretti intratoracici è determinato dalla riduzione del fisiologico pooling di sangue nei vasi venosi periferici, indotto da un lato dall'effetto dell'elevata densità del mezzo da cui l'organismo è circondato (e che permette di assimilare l'immersione in acqua a uno stato di assenza di gravità), dall'altro dalla venocostrizione attiva indotta dalla temperatura minore e dalla conducibilità termica maggiore rispetto alle condizioni a secco. L'effetto complessivo di questi fenomeni risulta essere un notevole incremento del volume di sangue intratoracico: per l'immersione in condizioni di 'testa emersa' tale incremento è stato stimato in circa 500 ml. A sua volta, lo spostamento di sangue (blood-shift) conseguente all'immersione è responsabile della dilatazione delle cavità cardiache destre e delle modificazioni neuroendocrine dimostrate dopo immersione (sia in apnea sia con autorespiratori ad aria). In particolare, l'attivazione di recettori di stiramento situati nella parete atriale favorisce l'increzione di peptide natriuretico atriale (ANP, Atrial Natriuretic Peptide) che determina la spiccata natriuresi e la diuresi da immersione.
L'immersione di tutto il corpo (ma anche del solo volto) a temperatura inferiore a quella 'neutra' determina l'evocazione del riflesso da immersione (diving reflex), risposta cardio-respiratoria complessa consistente in apnea, bradicardia, vasocostrizione, aumento della pressione arteriosa media con riduzione della portata cardiaca. Il diving reflex si presenta quindi come un riflesso la cui branca afferente sensitiva è fornita principalmente dalle terminazioni trigeminali, mentre l'efferente vegetativa mostra una evidente componente colinergica vagale, responsabile della bradicardia, e una componente α-adrenergica cui sono dovuti la vasocostrizione periferica e i conseguenti mutamenti emodinamici a carico della pressione arteriosa e della portata cardiaca. È interessante notare come le due componenti vegetative del diving reflex (colinergica e α-adrenergica) non siano indissolubilmente legate: la temperatura dell'acqua influenza in maniera evidente il livello di bradicardia, che risulta più spiccato per bassi livelli di temperatura e con evidenza di una relazione lineare inversa al di sotto di 15 °C, mentre tale stretta relazione non sembra essere presente per il livello di vasocostrizione periferica.
L'immersione in apnea
L'immersione con sospensione volontaria della respirazione, che per brevità definiremo come tutti 'in apnea', è, tra le vere immersioni, quella più diffusa, e risulta essere la più interessante da un punto di vista fisiologico per le imponenti modificazioni che induce nel nostro organismo. Nell'immersione in apnea due sono i fattori che incidono sulle modificazioni fisiologiche dell'organismo umano: il tempo di sospensione dell'attività respiratoria e la profondità raggiunta. Per quanto riguarda questo secondo fattore, negli ultimi quarant'anni vi è stato un impressionante aumento delle profondità raggiunte, sino a raggiungere e superare la profondità di 130 metri in assetto variabile, vale a dire trascinati verso il fondo da un peso e facilitati nella risalita da un pallone. Queste immersioni avvengono a profondità ben maggiori di quelle massime prevedibili in base al concetto, derivato dalla legge di Boyle-Mariotte, dello schiacciamento del torace (thoracic squeeze). Secondo questo concetto si ipotizzava, fino a qualche anno fa, che la massima profondità raggiungibile in apnea dopo una inspirazione forzata fosse determinata dal rapporto tra la capacità polmonare totale del soggetto e il suo volume residuo (quantità di gas che rimane nel polmone dopo un'espirazione massima forzata): al di sotto della profondità prevista si sarebbe dovuta verificare l'implosione del torace a opera della pressione idrostatica. Basandosi su tale concetto i subacquei non avrebbero potuto scendere oltre i 30÷35 metri, mentre già nel 1903 un pescatore di spugne greco, Georgios Stattis, si era immerso a 71 metri in apnea per recuperare l'ancora della corazzata italiana Regina Margherita. La possibilità di raggiungere profondità sempre maggiori è dovuta a un meccanismo fisiologico compensatorio e integrativo delle leggi fisiche: il sangue proveniente dalla circolazione periferica è richiamato nel torace ed essendo un liquido, incompressibile, contrasta la riduzione del volume polmonare al di sotto del volume residuo, riduzione prevedibile a causa della compressione dei gas alveolari. In questo modo può essere superato il fattore limitante l'immersione profonda in apnea costituito dalla rigida applicazione delle leggi fisiche. Le conferme sull'aumento del volume ematico intratoracico furono trovate utilizzando vari metodi (pletismografici, impedenzometrici, scintigrafici), e oggi si ipotizzano aumenti del volume ematico intratoracico di oltre 2 litri. Rilievi radiografici, effettuati fino alla profondità di 25 metri, mostrano come tutta la volumetria degli organi endocavitari risulti profondamente modificata (fig. 1). La ridistribuzione ematica polmonare è poi stata meglio evidenziata mediante scintigrafie polmonari effettuate su apneisti fino alla profondità di 30 metri. Dagli scintigrammi (fig. 2) è evidente la diversa distribuzione su tutto l'ambito polmonare con iper-perfusione degli apici durante l'immersione.
Le variazioni della pressione arteriosa polmonare sono state misurate mediante cateteri a permanenza nell'uomo durante immersioni in apnea fino alla profondità di 23 metri: l'incremento pressorio raggiunge valori elevatissimi (da 16 mmHg in superficie a 62 mmHg a 22 metri, in un soggetto), ma mediamente dimostra valori di pressione arteriosa polmonare media intorno a 40 mmHg. Durante la fase di risalita, e per diversi minuti dopo l'immersione in rapporto al tempo e alla profondità raggiunta, la pressione arteriosa polmonare si mantiene su valori elevati, così come la pressione venosa centrale. L'impiego dell'ecocardiografia ha ulteriormente dimostrato spostamenti di notevoli quantità di sangue, anche se con risultati discordanti dovuti alle diverse situazioni sperimentali: immersioni simulate in apnea in camera iperbarica, in condizioni asciutte o bagnate oppure in acque libere. Tuttavia risulta evidente che l'aumento della gettata cardiaca viene prodotto dall'aumentato volume intracardiaco secondario al blood-shift, che determina nel cuore una maggiore forza di contrazione. Tuttavia il fenomeno più evidente durante l'immersione in apnea è la bradicardia, dovuta al classico diving reflex. La bradicardia da immersione in apnea compare in molte specie sia di mammiferi sia di uccelli, anche se variabile in termini di tempo e intensità. L'apnea a riposo, in aria, produce nell'uomo modificazioni non significative della frequenza cardiaca; così come l'immersione di per sé non produce bradicardia nell'uomo che nuota e respira attraverso un tubo aeratore (snorkel). Il nuoto in apnea invece, anche in superficie, induce una pronunciata bradicardia (48±4 battiti/min) per immersioni protratte oltre i 50 s, mentre la riduzione in percentuale della frequenza cardiaca risulta essere lineare (0,4 battiti/s) dal ventesimo secondo in poi per le immersioni effettuate fra 3 e 20 metri. L'induzione della bradicardia è molto più rapida invece durante le immersioni oltre 20 metri. Per queste ultime, la riduzione della frequenza cardiaca sembra dipendere o dalla velocità di discesa (e quindi dalla variazione della pressione idrostatica) o dalla relazione pressione/tempo o anche dalla pressione di per sé oltre le 3 atmosfere (fig. 3).
Restano ancora da chiarire i meccanismi che scatenano la bradicardia durante l'immersione in apnea. Il fenomeno è provocato dall'azione dei recettori facciali mediati dal vago (effetto cronotropo negativo sul cuore), dalla vasocostrizione periferica (indotta dal simpatico), da fattori fisici locali (temperatura), dall'ipossia o anche dall'azione dei recettori polmonari e dei grandi vasi. L'instaurarsi della bradicardia durante l'immersione in apnea crea però una serie di problemi di carattere fisiologico non indifferenti: poiché i due ventricoli, destro e sinistro, sono pompe che funzionano in modo sincrono per due circuiti paralleli, la quantità di sangue che circola in un sistema (polmonare) deve essere più o meno identica a quella che circola nell'altro sistema (grande circolazione); ma, perché possano avvenire immersioni profonde, è necessario che avvenga un blood-shift intratoracico, comunque indotto (o per 'suzione' o per vasocostrizione periferica). Questo significa uno sbilanciamento delle camere espulsive cardiache non giustificato dalla presenza di sporadiche gettate sistoliche sinistre (o destre) in assenza di quelle destre (o sinistre).
L'immersione con mezzi ausiliari di respirazione
L'immersione con mezzi ausiliari di respirazione (bombole o 'cordoni ombelicali' che trasportano i gas) induce alcune rilevanti modificazioni nei soggetti e possibili evenienze patologiche. Modificazioni importanti sono quelle riguardanti la meccanica respiratoria. La semplice immersione del corpo in acqua determina, per l'aumento del ritorno venoso, una significativa riduzione della capacità vitale, del volume residuo polmonare e della capacità funzionale residua. L'aumento del contenuto ematico polmonare induce inoltre una riduzione della distensibilità polmonare. L'effetto di tali mutamenti si traduce in un netto cambiamento della prestazione ventilatoria, consistente in una riduzione della frequenza respiratoria e in un incremento del volume corrente, mantenendosi costante il volume/minuto ventilato. Inoltre la pressione di invio dell'aria da parte dell'erogatore risente delle variazioni di posizione che si hanno durante l'immersione. In particolare, quando l'erogatore si trova in posizione più elevata rispetto ai polmoni, esso sarà sottoposto a pressione idrostatica inferiore e invierà conseguentemente aria a pressione inferiore, aumentando il lavoro inspiratorio. L'erogatore (come lo snorkel per il nuoto in superficie) determina un incremento dello spazio morto respiratorio, ma riduce nel contempo quello fisiologico-aereo abolendone alcune caratteristiche: il riscaldamento e l'umidificazione dell'aria inspirata. Tale fenomenologia, se risulta essere di modesto interesse a bassa frequenza ventilatoria, incide notevolmente quando i volumi di gas inspirato aumentano sia per motivi correlati a lavoro muscolare sia per altri fattori (stress, affanno ecc.).
Un'ultima possibile fonte di perturbazione dell'attività respiratoria, squisitamente psicologica, risiede nella singolarità dell'esperienza di respirare sott'acqua. Tale situazione è in grado di aumentare il livello di controllo volontario dell'attività respiratoria che, in condizioni normali, risulta essere pressoché totalmente affidata al controllo vegetativo.
Nell'immersione risulta altresì modificato lo scambio dei gas respiratori, pur rimanendo questi determinati dai rispettivi gradienti alveolo-capillari. Nel caso di respirazione di aria, questo ha conseguenze sugli scambi respiratori dell'ossigeno, dell'azoto e dell'anidride carbonica. La pressione parziale alveolare e arteriosa di ossigeno aumenta con la profondità: ciò induce un notevole incremento della quota di O₂ fisicamente disciolta nel plasma, quota che interferisce con l'eliminazione dell'anidride carbonica (CO₂). L'effetto netto è una tendenza alla ritenzione di CO₂, tanto che subacquei esperti divengono meno sensibili a elevati valori di pressioni parziali di CO₂.
L'azoto non partecipa ad alcun processo metabolico, ed è pertanto definito gas inerte; i livelli di azoto presenti nell'organismo, quindi, sono determinati unicamente dalla pressione atmosferica. Durante la normale respirazione in aria al livello del mare l'organismo è dunque 'saturo' di azoto. In corso di immersione con respirazione subacquea di aria, l'azoto segue il proprio gradiente di pressione alveolo-capillare e passa dagli alveoli ai capillari polmonari, e da qui ai tessuti periferici. Il passaggio in senso inverso avviene durante la risalita e dopo il termine dell'immersione. La latenza con cui i passaggi di azoto avvengono tra i vari compartimenti dell'organismo comporta, alla fine dell'immersione, la permanenza di azoto nell'organismo in eccesso rispetto ai livelli di saturazione preimmersione. Questo fenomeno di 'sovrasaturazione' è il meccanismo patogenetico fondamentale per la malattia da decompressione (v. oltre). Infatti, la velocità con la quale avviene la riduzione della pressione (la velocità di risalita) è un fattore critico per la determinazione delle modalità con cui l'azoto disciolto durante l'immersione nei vari tessuti viene a essere riemesso: se la risalita è troppo veloce in rapporto alle quantità di azoto assorbito, si avrà la liberazione di azoto in fase gassosa con la possibile formazione di bolle nel sangue circolante e nei tessuti. Nella m. s. è estremamente frequente l'osservazione che la malattia da decompressione colpisce solo uno dei subacquei che hanno svolto lo stesso tipo di immersione e che hanno quindi avuto la stessa esposizione alla condizione di sovrasaturazione di azoto, e ciò perché un altro fattore risulta essenziale allo sviluppo di bolle di azoto: la presenza di 'micronuclei' (verosimilmente costituiti da minuscoli agglomerati di molecole gassose) per catalizzare l'accrescimento delle bolle di azoto. Ma anche altri fattori sono da tenere in considerazione: il differente comportamento negli ambienti a pressione dell'oxygen window, cioè la 'finestra' dovuta al consumo di ossigeno (corrispondente a circa 54 mmHg nel sangue venoso e intorno agli 80 mmHg nelle cellule) e che in superficie non viene 'compensata' da altri gas, e la sovrasaturazione critica. I modelli compartimentali che descrivono la cinetica dell'azoto all'interno dell'organismo prevedono un numero variabile di 'tessuti' (il primo dei quali è il sangue, che accoglie l'azoto dall'aria alveolare), ciascuno caratterizzato da un assorbimento di azoto di tipo esponenziale, con diverse costanti di tempo (e pertanto con diversi emiperiodi). L'organismo viene così semplificato in una serie di compartimenti che assorbono l'azoto con velocità diverse, permettendo l'espressione della cinetica dell'azoto mediante un'equazione matematica.
Le tabelle di decompressione
Una tabella di decompressione esprime la velocità di risalita e la necessità di eventuali soste a quote stabilite (dette tappe di decompressione) in base al tipo di immersione effettuata. Esistono numerosissime tabelle di decompressione, ma tutte hanno una struttura comune: calcolo della 'dose' di azoto assorbito (data dalla profondità e dalla durata dell'immersione) e determinazione dei criteri di risalita. Allo stato attuale delle conoscenze risulta tuttavia che il rischio di malattia da decompressione non può, in nessun caso, essere annullato.
Patologie da immersione
I principali tipi di patologie da immersione sono: a) annegamento, per inalazione di acqua nei polmoni e conseguente asfissia; b) sincope, o perdita di coscienza, di solito conseguente a ipossiemia sistemica o distrettuale (caduta di portata cerebrale) durante immersioni in apnea; talora è dovuta (o associata) a ipercapnia; c)otiti barotraumatiche: durante la fase di discesa dell'immersione, l'aumentata pressione ambientale sollecita la membrana timpanica, e solo l'aria proveniente dalla tuba di Eustachio mediante compensazione per lo più volontaria (manovre di deglutizione, di Valsalva, di Frenzel ecc.) può ristabilire l'equilibrio pressorio. Variazioni bariche rapide durante la fase di risalita possono analogamente indurre otiti medie barotraumatiche o vertigini alternobariche.
Patologie da decompressione
Sono definite patologie da decompressione quegli eventi patologici che derivano da una riduzione della pressione ambiente, determinati dallo sviluppo o dalla penetrazione di bolle gassose all'interno del sangue e dei tessuti.
In ambito subacqueo esistono due fondamentali patologie da decompressione, caratterizzate da patogenesi profondamente diversa: la malattia da decompressione propriamente detta (MDD, con bolle costituite da azoto) e l'embolia gassosa da aria (EGA, con bolle costituite da aria). Le bolle nella MDD, una volta formatesi, in generale per errata decompressione, possono determinare danni tessutali con meccanismi diversi: ostruzione diretta del flusso ematico; rottura o compressione dei tessuti per effetto meccanico diretto; danni endoteliali (fenomeni di brushing) con conseguente compromissione della regolazione del microcircolo endotelio-mediata; attivazione piastrinica con attivazione di reazioni infiammatorie e del sistema del complemento e della coagulazione.
Non va però identificato lo sviluppo di bolle di gas inerte con lo sviluppo di MDD: è stato da tempo dimostrato infatti come subacquei asintomatici abbiano bolle circolanti facilmente rilevabili con mezzi ultrasonografici senza avere alcun segno macroscopico di MDD (queste bolle sono state pertanto chiamate 'silenti').
L'EGA, derivante dalla penetrazione di aria nel torrente ematico, è evento possibile anche al di fuori dell'ambiente subacqueo. La causa più frequente di EGA nelle attività subacquee è rappresentata dalla brusca riduzione di profondità, senza consentire la fuoriuscita dell'aria dall'apparato respiratorio. In tal caso può determinarsi una condizione di sovrapressione e, quindi, di sovradistensione alveolare fino alla lacerazione del parenchima polmonare e alla penetrazione di aria all'interno dei vasi e delle altre strutture toraciche. L'EGA è spesso conseguente a risalite in situazioni di stress/panico o a incidenti avvenuti durante l'immersione; l'ostruzione delle vie respiratorie per crisi asmatica o per spasmo laringeo (da inalazione di acqua di mare) rappresenta un fenomeno patogenetico alternativo. Le differenze di pressione necessarie per determinare una lesione parenchimale polmonare non sono assolutamente elevate: è stato dimostrato che una risalita di 70÷80 cm a glottide chiusa può, in taluni casi, essere sufficiente a causare la lacerazione delle pareti alveolari. I presidi terapeutici sono simili per le due patologie.
Narcosi da gas inerte. - La narcosi da gas inerte (l'azoto, nel caso della respirazione di aria) è una patologia che insorge a seguito di un considerevole aumento della pressione parziale di questo gas, e consiste nella percezione del proprio stato di alterazione neuro-sensoriale. I sintomi riferiti sono generalmente: stato di ebbrezza con percezioni distorte, allucinazioni, difficoltà alla concentrazione e all'esecuzione di manovre elementari, ottundimento sensoriale, perdita di coscienza. Esiste un'ampia suscettibilità interindividuale agli effetti dell'azoto iperbarico: alcuni subacquei hanno sintomi già a profondità di 25÷30 metri, mentre altri tollerano bene profondità di 45÷50 metri; casi eccezionali, oltre i 120 metri. La riduzione della pressione parziale di azoto (in pratica la riduzione della profondità) determina la rapida recessione dei sintomi.
Sindrome nervosa degli alti fondali. - La sindrome nervosa degli alti fondali (HPNS, High Pressure Nervous Syndrome) è un insieme di sintomi motori e sensoriali che compaiono durante immersioni a elevata profondità. I soggetti che sono colpiti da HPNS lamentano malessere generale, tremore intenzionale e posturale, astenia, sonnolenza (o al contrario insonnia), incubi, fascicolazioni muscolari, contrazioni miocloniche e, nei casi più eclatanti, crisi cloniche generalizzate e perdita di coscienza. Si evidenziano inoltre anomalie elettroencefalografiche che comprendono un aumento generalizzato dell'attività lenta e una riduzione dei ritmi a frequenza maggiore. In immersioni effettuate con miscele Heliox i segni di HPNS iniziano a profondità maggiori di 200 metri. Era fino a qualche anno fa una patologia che riguardava solo i subacquei professionisti operanti in alto fondale, ma oggi, con il diffondersi a livello ludico-sportivo dell'uso delle miscele, riguarda un numero ben maggiore di soggetti. Tale patologia sembra essere prodotta dall'effetto cellulare diretto dell'elevata pressione ambiente, la quale determina, attraverso modificazioni nella permeabilità della membrana cellulare, l'insorgenza di disturbi nella funzione neuronale e l'alterazione della trasmissione sinaptica.
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