SPAZIALE, MEDICINA
Da quando è stato possibile realizzare nello spazio prossimo circostante il nostro pianeta condizioni sperimentali di microgravità (g = 10-n,6, il cosiddetto ''quarto ambiente'' dell'uomo) di lunga durata e immettervi cellule, microrganismi e organismi complessi, compreso l'uomo, si è venuto sviluppando un nuovo settore della ricerca, quello delle scienze della vita nello spazio. Tale area include tematiche disparate quali l'esobiologia (v. App. IV, i, p. 724), la biologia cellulare, la biologia evolutiva, la biofisica delle radiazioni, la fisiologia animale e umana, lo sviluppo di sistemi di supporto per la vita, nonché la produzione e separazione di molecole immunoreattive, di ormoni, enzimi e vaccini (bioprocessing).
Questa voce tratterà in maniera sintetica alcuni essenziali aspetti tecnici inerenti l'ambiente del veicolo spaziale e la microgravità, e riporterà i dati più significativi relativi agli studi di fisiologia e medicina (cioè della cosiddetta ''medicina spaziale'') effettuati nel corso delle missioni spaziali, con riferimento esclusivo all'uomo.
Ambiente del veicolo spaziale. − Le caratteristiche di abitabilità e di atmosfera del veicolo spaziale sono: la chiusura ermetica; il volume, dai 6 m3 (per 3 persone) del veicolo Apollo ai 65 m3 dei locali di comando e soggiorno dello Shuttle integrati dai 36 m3 dello Spacelab (per 8 persone) fino agli oltre 300 m3 dell'ultima versione della stazione spaziale russa Mir; mentre l'atmosfera è costituita da una miscela gassosa di composizione (circa 21% di O2 in N2), pressione (760 Torr), temperatura (20-24 °C) e umidità relativa (50-60%) costanti, analoghe a quelle ideali dell'atmosfera terrestre a livello del mare. In un primo tempo negli USA si era fatto ricorso (missioni Apollo e Skylab) a veicoli con atmosfera arricchita in O2 (∼ 60%) a una pressione totale di circa 300 Torr, che, per motivi di sicurezza, sono stati modificati. Ulteriore caratteristica è la protezione da radiazioni infrarosse (termiche), ultraviolette e dalle radiazioni ionizzanti solare e cosmica.
Elementi di fisica gravitazionale e di fisiologia spaziale. − La gravità è una condizione ambientale costante e ineludibile alla quale ogni essere vivente sulla Terra si trova necessariamente esposto, a esclusione degli organismi acquatici nei quali la forza di gravità viene in gran parte controbilanciata dalla spinta verso l'alto esercitata dal liquido spostato (principio di Archimede). Lo stato di microgravità o, meno propriamente, di zero-G o zero-gravità, si realizza allorché altre forze controbilanciano quella gravitazionale, per es. quando il veicolo spaziale, avendo raggiunto un'energia sufficiente per sfuggire al campo gravitazionale terrestre (velocità >11km·s−1), ''cade'' nello spazio con moto inerziale, ovvero quando, essendo stata impressa al veicolo una spinta tangenziale per immetterlo in un'orbita circumterrestre, la componente centrifuga radiale di tale forza controbilancia la gravità (v. anche microgravità, in questa Appendice). L'effetto della gravità ha indotto negli esseri viventi adattamenti strutturali e funzionali importanti a livello sia cellulare sia dell'organismo nel suo complesso. Nel caso degli animali terrestri e dell'uomo in particolare, le strutture che hanno subito i principali adattamenti sono il sistema scheletrico e il sistema muscolare (che si sono notevolmente modificati e rafforzati), l'apparato respiratorio e, particolarmente, per effetto della postura eretta, il sistema cardiocircolatorio. Inoltre, nel corso dell'evoluzione, nei vari organismi si sono sviluppate strutture specificamente sensibili allo stimolo gravitazionale e alle sue variazioni. L'abolizione della gravità, sia a breve che a medio e a lungo termine, è suscettibile di modificare il complesso di adattamenti funzionali e strutturali messi in atto nel corso dell'evoluzione, con notevoli conseguenze che, per quanto riguarda l'uomo, costituiscono il principale oggetto di studio della fisiologia e della m. spaziale.
Nello studio delle reazioni dell'organismo umano all'ambiente spaziale si possono identificare tre fasi, che corrispondono ad altrettanti cicli di sviluppo tecnologico dei due principali artefici della ricerca spaziale, gli Stati Uniti e l'ex Unione Sovietica. Il primo volo umano in orbita (1 orbita) fu quello, celebre, del sovietico Y. Gagarin (Vostok 1) del 12 aprile 1961, cui fece seguito quello di 17 orbite di G. Titov (Vostok 2) del 6 agosto 1961 e, con qualche mese di ritardo (20 febbraio 1962), quello dello statunitense J. Glenn (Mercury-Friendship 7, 3 orbite). Questa serie di voli, della durata massima di due settimane, inaugurò altresì una prima fase di ricerche, quelle degli anni Sessanta, che avevano come obiettivi a) l'acquisizione di alcune fondamentali variabili fisiologiche quali la frequenza cardiaca (f.c.), il tracciato dell'elettrocardiogramma (ECG) e la frequenza respiratoria (f.r.); b) lo studio delle variazioni della massa sanguigna; c) il rilievo dei sintomi di chinetosi spaziale (space adaptation syndrome) dovuta all'abolizione dell'apporto sensoriale degli apparati vestibolare e propriocettivi in seguito all'eliminazione del campo gravitazionale; d) l'acquisizione di dati fisiologici nel corso di talune attività veicolari ed extraveicolari dell'astronauta, comportanti un carico metabolico più elevato di quello di riposo e condizioni operazionali difficoltose, per es. per la necessità d'impiego di combinazioni o tute pressurizzate.
Una seconda fase, degli anni Settanta, fu quella dei programmi statunitensi Skylab e sovietici Salyut caratterizzati da esposizioni di media-lunga durata (fino a 84 giorni per Skylab e a 185 giorni per Salyut), che hanno reso possibili esperienze programmate dalle quali si sono ricavate interessanti osservazioni sull'andamento temporale di variabili connesse all'apparato cardiocircolatorio e muscolo-scheletrico in condizioni controllate e riproducibili.
La terza fase ha avuto inizio negli anni Ottanta, con i voli dello Spacelab (laboratorio europeo multidisciplinare portato in orbita dal traghetto spaziale statunitense Space Shuttle), con ricerche che hanno fruito di tecniche sofisticate. La missione Spacelab 1, con 6 uomini a bordo, 4 dei quali adibiti esclusivamente alla ricerca, ha avuto luogo dal 28 novembre all'8 dicembre 1983 e ha fornito utili dati su numerosi adattamenti fisiologici dei membri dell'equipaggio. Al 31 dicembre 1992 erano state compiute altre 6 missioni Spacelab aventi prevalentemente lo scopo di studiare problemi di fisiologia vegetale e animale. Tra queste, la missione D-1 è stata organizzata in collaborazione tra la statunitense NASA (National Aeronautics and Space Administration) e l'Ente Spaziale della Germania. Altre missioni Spacelab sono state realizzate o sono attualmente previste, tutte, come le precedenti dello stesso programma, di durata piuttosto breve e volte particolarmente (SLS-1, SLS-2 e D-2 Anthrorack) alla messa a punto e al collaudo di attrezzature per la misura di variabili fisiologiche complesse sull'uomo. Alcuni dei programmi sono stati o saranno organizzati direttamente dalla NASA o sono frutto di collaborazione tra la NASA e l'Ente Spaziale Europeo (ESA), di iniziative multinazionali (IML-1, IML-2) o bilaterali (SL-J tra NASA ed Ente Spaziale Giapponese; CNES-NASA tra Ente Spaziale Francese e NASA, D-2 tra NASA ed Ente Spaziale della Germania). L'ESA si propone anche sperimentazioni autonome nonché progetti bilaterali con l'ex URSS (esperimenti previsti nei programmi Biokosmos 8, 9, 10 ed Euromir). Altri progetti, più ambiziosi, dipendono dallo sviluppo di stazioni orbitanti spaziali permanenti (per l'ESA, l'Eureca e la Columbus) che permetteranno anche la ripresa degli studi degli effetti sull'uomo di esposizioni protratte alla microgravità. Finora, la più lunga esposizione (439 giorni) di esseri umani è stata quella di V. Poliakov, un membro dell'equipaggio della stazione spaziale sovietica Mir.
Conseguenze della microgravità sulla funzione vestibolare e sull'equilibrio posturale. − Se si fa eccezione per il notevole aumento della frequenza cardiaca (tachicardia) e della frequenza respiratoria (tachipnea) registrate al momento del lancio, la maggior parte dei dati fisiologici e fisiopatologici raccolti sugli astronauti nelle prime esperienze spaziali di breve durata riguarda la suscettibilità dell'organismo a una particolare sindrome, la cosiddetta ''chinetosi spaziale'', caratterizzata da pallore, sudorazione, scialorrea, nausea, eventualmente vomito, causata, com'è noto, da stimolazioni vestibolari anomale e manifestantesi particolarmente nella transizione dal campo gravitazionale terrestre alla condizione di microgravità. Oltre alla classica sintomatologia della chinetosi, segnalata per primo dall'astronauta sovietico Titov e successivamente da 4 astronauti sovietici su 24, vari membri di equipaggi spaziali, sia sovietici sia statunitensi descrissero, in coincidenza con l'inizio della fase orbitale del volo, il manifestarsi di illusioni posturali, capogiri e senso di disorientamento, particolarmente in seguito alla rotazione del capo o del capo e del tronco, perdita della rappresentazione normale del proprio corpo. I classici sintomi della chinetosi spaziale non furono invece più segnalati dagli equipaggi sovietici delle Soyuz (13 soggetti) mentre, al contrario, cominciarono a essere di frequente riscontro negli equipaggi statunitensi dei moduli di comando dell'Apollo (9 casi di chinetosi segnalati su 25 soggetti). A proposito degli astronauti statunitensi, va segnalato che gli equipaggi delle missioni Mercury e Gemini, precedenti all'Apollo, avevano segnalato sintomi di chinetosi solo al momento del rientro (ammaraggio, in gergo, splash-down) e che i 12 astronauti esposti a condizioni di gravità ''lunare'' (gLuna = 1/6gTerra) non ne hanno sofferto (Graybiel e coll. 1977).
Fenomeni di origine vestibolare diretti (risposte motorie riflesse immediate quali illusioni posturali, sensazione di rotazione, nistagmo, vertigine) e indiretti (fenomeni ritardati tipici delle chinetosi, quali pallore, sudorazione, vomito) sono stati riscontrati anche nella maggior parte degli astronauti partecipanti al programma Skylab, fatta eccezione per l'equipaggio dello Skylab 2. Va rilevato a questo proposito che la frequenza della suddetta sintomatologia vestibolare può essere stata considerevolmente modificata dalla somministrazione sistematica di agenti farmacologici quali le combinazioni scopolamina (0,35 mg)-dexedrine (5 mg) e/o prometazina (25 mg)-efedrina (50 mg).
Nel campo gravitazionale terrestre le sorgenti di informazioni sensoriali necessarie per mantenere l'equilibrio posturale sono la visione, le afferenze vestibolari, il senso di posizione delle membra e le afferenze tattili. Tra questi input la visione è certamente il più importante, potendo infatti supplire in gran parte all'assenza degli altri stimoli. È noto d'altronde che lesioni cerebellari e labirintiche monolaterali provocano perdita dell'equilibrio con caduta del paziente verso il lato della lesione, mentre lesioni bilaterali provocano disturbi della postura particolarmente evidenti quando il soggetto chiude gli occhi. Già nel corso del programma Apollo, ricercatori statunitensi avevano messo in evidenza un persistente deficit dell'equilibrio posturale anche parecchi giorni dopo il rientro degli equipaggi. Ricercatori sovietici, d'altro canto, avevano rilevato che gli astronauti della Soyuz 9, nel corso della loro missione durata 18 giorni, avevano presentato difficoltà nel mantenere in volo una postura verticale stabile, specie a occhi chiusi, difficoltà riscontrata anche nei 10 giorni successivi al rientro. Gli esperimenti effettuati subito dopo il rientro degli equipaggi degli Skylab confermano che l'esposizione protratta all'assenza di gravità modifica la stabilità posturale dei soggetti. Tale alterazione è certamente dovuta al fatto che l'input dell'apparato vestibolare (i segnali a partenza dai recettori) e le sensazioni cenestesiche e tattili sono modificati dall'assenza di gravità, il che impone una ''riorganizzazione'' neurale a livello del sistema nervoso centrale non rapidamente reversibile con il rientro nel campo gravitazionale terrestre (Homick e coll. 1977). Ciò spiega la lentezza osservata nel recupero delle condizioni funzionali precedenti il volo da parte di numerosi membri degli equipaggi dei veicoli spaziali.
Ricerche più approfondite sull'orientamento spaziale e sulla funzione dei canali semicircolari, nonché sulla modificazione dei riflessi vestibolo-spinali, sono state effettuate nel corso della missione Spacelab 1. In condizioni di microgravità, le afferenze vestibolari, in particolare quelle a partenza dai recettori dell'otriculo e del sacculo, sono interpretate a livello del sistema nervoso centrale in modo differente che in condizioni di gravità normale (dove segnalano l'orientamento del capo in relazione alla verticale). Esse sembrano fornire informazioni relative ad accelerazioni lineari del capo anziché a deviazioni del capo dalla verticale. È possibile che questo adattamento funzionale sia responsabile dell'attenuazione dei sintomi della chinetosi osservata dopo i primi giorni trascorsi in orbita. In effetti, 3 dei 4 membri dell'equipaggio del modulo laboratorio hanno presentato nei primi due giorni della missione gravi sintomi di chinetosi fino al vomito. In seguito, tali sintomi hanno subito una remissione presentando peraltro occasionali accentuazioni a seguito di vigorosi movimenti volontari del capo. La sintomatologia del ''mal di spazio'' a bordo dello Spacelab 1 non presenta, in linea di massima, differenze rispetto a quella del ''mal di mare''. Nel corso dell'acclimatazione alla microgravità sono stati messi in evidenza anche episodi di vomito improvviso non preceduti da nausea, pallore e sudorazione: tale fenomeno è stato attribuito dagli autori della ricerca (Young e coll. 1984) alla ridistribuzione della massa sanguigna e dei liquidi interstiziali e al tipo di microclima della navetta (freddo-secco). Il tentativo d'identificare la suscettibilità individuale alla chinetosi spaziale mediante test pre-volo non ha fornito alcuna utile indicazione.
R. von Baumgarten e coll. (1984) hanno eseguito una serie di esperimenti sulla Spacelab 1 atti a chiarire alcuni aspetti delle interazioni visivo-vestibolari. Un'osservazione particolarmente interessante è stata la dimostrazione che il nistagmo (movimenti laterali rapidi involontari dell'occhio) provocato dall'irrigazione del canale auricolare con acqua calda o fredda non è dovuto alla circolazione di liquido nel labirinto membranoso per effetto di correnti termiche, come tradizionalmente si era ritenuto. Infatti, il nistagmo è presente anche in condizioni di microgravità, in assenza di tali correnti: ne consegue che la termoconvezione non ne può essere il meccanismo responsabile esclusivo. Sono tuttora in corso ricerche per identificare le cause del fenomeno anche in condizioni di gravità normale. M.F. Reschke e coll. (1984) hanno riscontrato in microgravità anche un'alterazione dei riflessi vestibolo-spinali. Tale anomalia si manifesta con la riduzione dell'ampiezza di un riflesso monosinaptico spinale (il riflesso di Hoffmann) nel corso dell'adattamento alla microgravità e con un potenziamento del riflesso al rientro nel campo gravitazionale terrestre.
I meccanismi proposti per spiegare l'origine dei fenomeni fisiopatologici descritti nel presente paragrafo sono molteplici ma non sono sostenuti da sufficienti dati sperimentali. Si sono ipotizzate, tra le possibili cause, variazioni della pressione idrostatica intravestibolare, la rapida parziale decalcificazione degli otoliti, l'amplificazione, in microgravità, di fenomeni dipendenti dalla lieve differenza bilaterale della massa degli otoliti, l'insorgenza di un conflitto visivo-vestibolare. I rapporti fra suscettibilità alle chinetosi e livelli ematici di vari ormoni (ACTH, cortisolo, β−endorfine, noradrenalina, tiroxina, ecc.) e di altre variabili biochimiche sono stati recentemente analizzati nel corso di ripetute missioni spaziali da M.R. Reschke e coll. (1994).
Conseguenze della microgravità sulla traslocazione di liquido interstiziale e sull'eritrocinetica.- Un interessante fenomeno riscontrato negli equipaggi delle capsule Gemini e Apollo e dell'astronave sovietica Soyuz è la riduzione della massa circolante di eritrociti. Tali osservazioni sono state approfondite nel corso del programma spaziale sovietico Salyut (5 missioni della durata da 96 a 185 giorni) in cui si è potuto osservare che al momento dell'entrata in orbita, un volume cospicuo di sangue e di liquidi interstiziali si trasferisce dalla parte distale del corpo verso le regioni cefaliche con tendenza a distendere i vasi e gli organi intratoracici, incluso il cuore. Ciò è causa di fenomeni riflessi compensatori, quali un aumento della diuresi che conduce a una riduzione della massa sanguigna. Oltre alla traslocazione di liquido dalle zone distali del corpo verso il torace e la regione cefalica, le esperienze condotte nei veicoli che hanno preceduto il progetto Spacelab, da parte sia statunitense che sovietica, avevano messo in evidenza anche una riduzione della massa eritrocitaria circolante, che era stata attribuita a una ridotta produzione di eritropoietina.
In occasione della missione Spacelab 1, C.S. Leach e P.C. Johnson (1984) hanno sottoposto quattro membri dell'equipaggio a una serie di esami ematologici, dapprima in situazione di microgravità e, successivamente, al rientro dalla missione. Da essi sono state tratte le seguenti conclusioni:
a) al 7° giorno di volo: aumento significativo (8,4%) della concentrazione dell'emoglobina; drastica riduzione (−54%) dei reticolociti (forme giovanili degli eritrociti); riduzione, peraltro scarsamente significativa, del tasso plasmatico di eritropoietina (−73%);
b) al rientro dalla missione (12° giorno): riduzione significativa del numero di globuli rossi (−12,9%) e della concentrazione dell'emoglobina (−8,8%); ritorno dei reticolociti a livelli normali pre-volo; permanenza di un tasso plasmatico ridotto di eritropoietina (−73%).
La scarsa correlazione riscontrata tra riduzione del tasso ematico di eritropoietina e riduzione della massa eritrocitaria sembrerebbe indicare, secondo gli autori, che sul determinismo della riduzione di quest'ultima in microgravità, incida molto qualche altra variabile tuttora non identificata.
Come già indicato, il regime di microgravità induce lo spostamento di un'aliquota considerevole dei liquidi corporei dalle parti distali alle zone cefaliche dell'organismo: a questa traslocazione fa seguito inizialmente un aumento della pressione venosa centrale che si ripercuote sulla pressione venosa periferica misurata, per es., al braccio. Tale aumento di pressione venosa induce per via riflessa un bilancio idrico negativo, come fu proposto nei primi anni Sessanta da O.H. Gauer e J.P. Henry (1963). Nell'ambito delle esperienze condotte nello Spacelab 1, K.A. Kirsch e coll. (1984) hanno effettuato una serie di misure prima, durante e dopo il volo, delle seguenti variabili: pressione venosa centrale e periferica; peso corporeo; ematocrito (percentuale di globuli rossi nel sangue). I risultati delle suddette esperienze hanno dimostrato che, al lancio, la pressione venosa, sia centrale sia periferica, risulta particolarmente elevata, mentre l'ematocrito tende ad abbassarsi dal 46 al 43%; dopo il lancio e nel corso dell'esposizione alle condizioni di microgravità, la pressione venosa centrale e periferica subiscono una drastica riduzione, mentre l'ematocrito aumenta di circa 4 punti percentuali e il peso corporeo subisce una riduzione di circa 3-4 kg, verosimilmente a causa di una disidratazione. Al rientro nel campo gravitazionale terrestre, i suddetti autori hanno riscontrato un aumento della pressione venosa, un parziale ricupero del peso corporeo e una permanente riduzione dell'ematocrito che va messa in relazione con il riassorbimento di liquido interstiziale precedentemente traslocato, ma verosimilmente anche con una riduzione dello stimolo eritropoietico.
La funzione polmonare nel corso e a seguito del volo spaziale. − Nel corso della missione dello Skylab 4 sono state effettuate ripetute misure di capacità vitale (CV; Sawin e coll. 1977). Si può rilevare che, in assenza di gravità, la capacità vitale subisce una riduzione di circa il 10% rispetto ai valori prima del volo, riduzione rapidamente corretta con il rientro nel campo gravitazionale terrestre. La riduzione della capacità vitale in assenza di gravità può essere attribuita: a uno spostamento caudo-craniale del diaframma; alla ridistribuzione di liquidi provenienti dalla parte inferiore del corpo nella cavità toracica; alla ridotta pressione barometrica esistente, nelle esperienze iniziali, nella cabina spaziale (PB = 288 mmHg). È stato sperimentalmente accertato che la riduzione della pressione barometrica, di per sé, può causare una parte dell'osservata riduzione di capacità vitale. Nel corso della missione Spacelab SLS-1 sono stati rilevati i volumi polmonari statici e dinamici di 4 astronauti prima, durante e dopo esposizione alla microgravità per 9 giorni. Mentre si è rilevata una riduzione del volume corrente del 15%, la CV a 72 ore dall'inizio della missione è risultata invariata rispetto ai controlli. La capacità polmonare totale ha subito una riduzione dell'8%, attribuita a uno spostamento craniale del diaframma e a un aumento del volume sanguigno intratoracico (Elliott e coll. 1994). Nel corso della stessa missione, G. Kim Prisk e coll. (1994) e H.J.B. Guy e coll. (1994) hanno rilevato una più uniforme distribuzione del rapporto ventilazione/perfusione del polmone. Tali autori hanno tuttavia dimostrato che anche in condizioni di microgravità permane una parziale non omogeneità della distribuzione di tale rapporto.
Fenomeni cardiovascolari nel corso del volo spaziale. − Il principale fenomeno riscontrato dai ricercatori sovietici nell'ambito delle missioni protratte Salyut è stato quello della traslocazione di una notevole aliquota di sangue e di liquidi interstiziali (circa 2 litri) dalle zone distali alla parte craniale del corpo. Il fenomeno si manifesta prevalentemente nelle prime ore di esposizione a g≅0 e provoca sensazioni soggettive spiacevoli, quali vampe di calore al viso, congestione della mucosa nasale, cefalea, ingorgo delle vene del collo con edema facciale. Sulla base di misure reografiche, gli autori sovietici hanno altresì messo in evidenza nel corso della prima settimana di volo un aumento della gettata pulsatoria e un modesto incremento della gettata cardiaca in rapporto ai dati di controllo precedenti il volo. Anche l'ampiezza del polso a livello dei vasi cerebrali è stata riscontrata in aumento per quasi tutta la durata della missione, con ritorno alla norma soltanto dopo parecchie settimane di esposizione alla microgravità. La pressione venosa degli astronauti è diminuita negli arti inferiori, mentre ha subito un aumento negli arti superiori raggiungendo a entrambi i livelli valori pressoché identici. Anche la pressione registrata nella vena giugulare ha subito un aumento. Un recente studio di Ph. Arbeille e coll. (1994), effettuato a bordo della stazione Mir, ha permesso di rilevare l'efficacia di contromisure meccaniche (contropressione nella parte alta delle cosce) a fini di prevenzione delle modificazioni emodinamiche sopradescritte.
Mentre una prolungata esposizione alle condizioni di microgravità è compatibile con una sostanziale normalità dei reperti elettrocardiografici, si è potuto mettere in evidenza in taluni degli astronauti una riduzione della capacità di prestazione fisica, dovuta verosimilmente a mancanza di allenamento. Per quanto concerne le dimensioni del cuore, l'ecocardiografia ha permesso di verificare l'esistenza di modificazioni strutturali a carico del ventricolo sinistro nell'equipaggio dello Skylab 4 rimasto in condizioni di microgravità per 84 giorni. I dati relativi al volume ventricolare di fine-diastole, alla massa ventricolare e alla gettata pulsatoria (media di 3 soggetti) sono riportati nella fig. 1. In complesso, si riscontra che una lunga permanenza nello spazio conduce: a una modesta riduzione della massa miocardica ventricolare sinistra che può essere in parte ricondotta a una riduzione dell'esercizio fisico praticato dagli astronauti; a una riduzione della gettata pulsatoria, probabilmente riferibile a una diminuzione del volume ventricolare di fine-diastole piuttosto che a un deterioramento della funzione ventricolare (Henry e coll. 1977). La meccanica della contrazione cardiaca può essere studiata, com'è noto, anche mediante la balistocardiografia (BCG), la tecnica che consiste nel registrare le accelerazioni subite dal corpo adagiato su uno speciale lettino, per effetto della propulsione del sangue dai ventricoli che si verifica a ogni sistole. Alcuni inconvenienti metodologici, dovuti all'influenza delle caratteristiche del piano su cui giace il soggetto quando si effettui l'esame in condizioni di gravità normale, possono essere eliminati nella condizione di microgravità. Ciò ha indotto un gruppo di ricercatori italiani diretti da A. Scano a proporre una registrazione di BCG tridimensionale diretta dal corpo del soggetto levitante nella capsula spaziale. Il progetto è stato oggetto di sperimentazione nello Spacelab-1. I risultati hanno dimostrato interessanti e significative modificazioni quantitative e qualitative delle onde sistoliche del BCG non soltanto per effetto del rapido cambiamento del campo gravitazionale, ma anche nel corso della missione, della durata di 9 giorni (Scano 1984).
Effetti della microgravità sulla capacità di lavoro fisico dell'astronauta.- Si era da tempo ipotizzato che l'esposizione a g prossima a zero potesse indurre gravi alterazioni della capacità lavorativa del soggetto. Le missioni Apollo, per le quali era stato predisposto un laboratorio a bordo delle unità navali destinate al ricupero degli astronauti, avevano permesso di mettere in evidenza un decremento significativo della capacità di prestazione su 20 dei 27 membri degli equipaggi, a 2-8 ore dal rientro nel campo gravitazionale terrestre. La ridotta tolleranza per l'esercizio, peraltro, era reversibile entro 24-36 ore. Nel corso del programma Skylab l'evoluzione della capacità lavorativa dei membri dell'equipaggio ha potuto essere studiata durante il volo, grazie alla disponibilità, a bordo del veicolo, di un cicloergometro adattato alle esigenze dell'assenza di gravità e di sistemi di misura del ricambio gassoso (combinazione spirometro-spettrometro di massa).
Le misure e/o registrazioni effettuate a bordo dei veicoli spaziali sono state le seguenti (Michel e coll. 1977): consumo di ossigeno (VO2) a riposo e durante esercizi d'intensità crescente, pari al 25, 50, 75% della massima potenza aerobica (VO2max) del soggetto (limitatamente alla missione di Skylab 4 si è proceduto anche a determinazioni di VO2max); produzione di CO2 (VCO2); ventilazione polmonare (VE); frequenza cardiaca (f.c.); elettrocardiogramma e vettocardiogramma; pressione arteriosa sistolica e diastolica. Altre misure effettuate prima della partenza e dopo il rientro della capsula comprendono altresì rilievi di gettata cardiaca (Q) e di resistenza periferica totale (RPT) del sistema vascolare.
Nella fig. 2 sono indicati (da Michel e altri 1977) i valori di VE e di frequenza cardiaca riscontrati nel pilota di Skylab 4 prima, durante e dopo la missione, a riposo e nel corso di esercizi che richiedevano il 25, 50, 75%, rispettivamente, della VO2max. Si può rilevare una sostanziale costanza dei parametri in esame con l'eccezione della fase immediatamente precedente il volo e della prima parte della fase seguente il rientro nel campo gravitazionale terrestre in cui si è verificato un modesto incremento della frequenza cardiaca sia a riposo sia nel corso del lavoro. I valori di consumo di O2 (VO2) di 9 soggetti per un carico lavorativo di 150 watt nelle condizioni pre-volo, volo e al rientro rivelano che il rendimento energetico della prestazione non è modificato in maniera significativa. I dati di VE, per un carico lavorativo costante pari a un consumo di O2 di 2 l·min−1, non presentano variazioni significative durante il volo, rispetto ai controlli. La pressione diastolica, sia a riposo sia durante esercizio a 75% VO2max, denota una leggera diminuzione durante il lavoro spaziale. La gettata cardiaca (Q) misurata durante esercizio submassimale non subisce variazioni significative al rientro nel campo gravitazionale rispetto alle condizioni precedenti il volo. Quanto alla massima potenza aerobica (VO2max), l'equipaggio di Skylab 4 dimostra di non aver subito alcun deterioramento nel corso del volo. La massima frequenza cardiaca da sforzo (f.c. max) raggiunta durante la lunga permanenza in orbita presenta valori identici a quelli rilevati nei controlli precedenti il volo (∼185 battiti·min−1). Nel corso della missione Skylab e di missioni più recenti sono state effettuate numerose misure di forza muscolare prima, durante e dopo la permanenza in microgravità. In generale, si è rilevata una caduta della massima forza di contrazione isometrica solo dopo missioni di lunga durata (140-170 giorni). La riduzione di forza rilevata al rientro dalle missioni si è mantenuta per alcune settimane. La caduta della forza è stata correlata alla riduzione della superficie di sezione dei muscoli (Mazher Jawaeed 1994).
Il metabolismo del calcio nelle condizioni di microgravità. - Nelle missioni spaziali di lunga durata si è riscontrata una perdita continua di calcio dalle ossa degli arti inferiori. Il tasso di eliminazione di ioni calcio (Ca + + ) determinato sull'uomo è di entità tale che è possibile prevedere in 18 mesi il tempo limite a g = zero perché s'instauri una condizione critica di demineralizzazione e di fragilità ossea. È stato rilevato che l'escrezione di calcio con le urine aumenta durante il primo mese di esposizione alla microgravità per successivamente livellarsi. Al contrario, la perdita di calcio con le feci, dopo un'iniziale riduzione nei primi giorni della missione, aumenta progressivamente (Nicogassian e coll. 1994). Un altro aspetto del bilancio negativo del calcio che fa prevedere complicazioni per l'uomo esposto lungamente a condizioni di microgravità è la facilitata formazione di calcoli renali. La perdita di calcio associata alla condizione di microgravità è stata messa in relazione alla forzata riduzione dell'attività fisica. L'elemento nuovo, tuttavia, che emerge dal progetto Skylab, è che anche un programma d'intenso esercizio nel corso del volo orbitale non ritarda la perdita del calcio e quindi i danni allo scheletro. Tentativi d'intervento mediante arricchimento della dieta in calcio e fosforo non hanno finora consentito di limitare il fenomeno. Si è ipotizzato che la perdita di sali minerali dalle ossa sia legata a una riduzione di un'attività nervosa, cosiddetta ''trofica'', che, come l'attività motoria, verrebbe meno durante lunghi periodi d'immobilità e/o di microgravità. Anche gli astronauti sovietici hanno subito una grave perdita di calcio del sistema scheletrico, valutata a livello del calcagno dopo 175 giorni di microgravità nel 3,2-8,3% (Kozerenko e coll. 1981). Tali autori hanno avanzato l'ipotesi che la perdita di Ca + + dipenda da un disturbo funzionale delle paratiroidi e da una ridotta secrezione di calcitonina, che spiegherebbe la persistenza del bilancio calcico negativo nel corso delle missioni spaziali di lunga durata anche a seguito di un adeguato programma di esercizio fisico.
Conclusioni e prospettive future.- Come si può rilevare dalla precedente esposizione, l'uomo sembra tollerare abbastanza agevolmente la microgravità, con l'eccezione della decalcificazione delle ossa degli arti inferiori (di sostegno) che si manifesta pure in assenza di significative alterazioni degli ormoni (calcitonina, paratormone e 1,25 diidrossicalciferolo) che controllano il metabolismo osseo. Non è stato tuttavia possibile accertare, dato lo scarso numero di soggetti studiati, se un'esposizione protratta al di là di alcuni mesi conduca a un progressivo deterioramento dell'organismo. Lo sviluppo dei futuri programmi nell'ambito di stazioni permanenti permetterà di approfondire le conoscenze di fisiologia e di medicina spaziale. Attualmente, gli scienziati statunitensi della NASA, i russi e gli europei facenti capo all'ESA hanno allo studio numerosi programmi nell'ambito delle scienze della vita, tra cui ricerche sull'uomo (missioni Spacelab LMS ed Euromir).
I numerosi quesiti ai quali ancora non si è potuto offrire una risposta hanno condotto a programmare, tra gli altri, i seguenti studi: adattamento del miocardio e della sua funzione meccanica di pompa; comportamento della pressione sistemica, polmonare, cerebrale, renale e muscolare; modificazioni della meccanica respiratoria e degli scambi gassosi nel polmone; caratteristiche dell'assorbimento di nutrienti, di sali e di fluidi per le loro conseguenze, tra l'altro, sul metabolismo osseo (demineralizzazione) e muscolare (atrofia); regolazioni ormonali con particolare rilievo al turn-over ormonale (cinetica della secrezione, attività e vita media dell'ormone); regolazione delle numerose funzioni sensori-motorie con particolare riguardo allo studio del movimento, della postura e dell'equilibrio; ultrastruttura del muscolo e fenomeni di affaticamento neuromuscolare; interazione fra gli stimoli visivi e vestibolari; psicofisiologia della percezione (orientamento del corpo e localizzazione di oggetti nel veicolo spaziale, funzione propriocettiva); ritmo circadiano e sue alterazioni, con particolari implicazioni sul ritmo del sonno e della veglia.
Si tratta evidentemente di progetti assai ambiziosi, non soltanto fine a se stessi, ma estremamente utili per una miglior conoscenza di talune funzioni fisiologiche in condizioni di gravità normale.
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