Agostino, mediatore culturale e maestro di inquietudine
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Agostino di Ippona è la figura più importante ed influente della letteratura latina cristiana. Autore di una straordinaria mole di scritti teologici, filosofici ed esegetici, segna per la cultura occidentale una tappa fondamentale del dialogo tra mondo classico e cristiano. Il suo influsso nella storia letteraria riguarda però soprattutto gli aspetti più legati alla dimensione esistenziale ed umana, che trovano espressione nel capolavoro delle Confessioni.
La vita di Agostino appare segnata da una costante inquietudine e da una ricerca spirituale che solo con la conversione riuscirà a trovare riposo. Aurelio Agostino nasce nel 354 a Tagaste (nell’attuale Algeria), in una famiglia in cui è forte l’impronta della fede cristiana della madre Monica. Sarà lei ad indirizzare il figlio verso l’educazione a quella dottrina, dalla quale però Agostino si allontana presto, affascinato dalla cultura pagana e dalla retorica, disciplina nella quale si forma a Cartagine e di cui diventerà maestro.
Negli anni cartaginesi si lega a una donna dalla quale avrà un figlio, Adeodato. Aderisce alla dottrina manichea, non trovandovi però risposte adeguate ai suoi bisogni spirituali. Insoddisfatto, si reca in Italia, prima a Roma, poi a Milano: fondamentale qui l’incontro con la predicazione di Ambrogio, che apre ad Agostino le porte dell’interpretazione allegorica delle Scritture. Agostino intraprende allora la fase più intensa del cammino interiore che lo conduce alla conversione nel 386. Ritiratosi a Cassiciaco, in Lombardia, scrive le sue prime opere cristiane, caratterizzate da una forte impronta neoplatonica. Nel 387 riceve da Ambrogio il battesimo e decide di tornare in Africa; durante il viaggio di ritorno si colloca un episodio centrale per la vita spirituale di Agostino: la visione estatica a Ostia, insieme alla madre che morirà poco dopo. In Africa Agostino diviene vescovo di Ippona, la città dove trascorre il resto della sua vita e dove muore nel 430 durante l’assedio dei Vandali.
La produzione letteraria di Agostino è vastissima, ma anche una selezione di opere come quella che qui presentiamo può rendere ragione del perché egli sia considerato il più grande pensatore cristiano dell’antichità. Rispetto a molti altri autori del suo tempo, Agostino mostra aspetti di universalità e di profondità tali da poter essere percepito in consonanza con ogni epoca; umanisti come Petrarca e Boccaccio guardano a lui come a un anello di congiunzione, un mediatore tra spirito antico e spirito moderno. L’inquietudine che abbiamo visto caratterizzare la sua storia personale è viva anche nelle riflessioni teologiche: il pensiero di Agostino sulle questioni della grazia, del libero arbitrio e della predestinazione avrà un’incidenza profonda in un tempo dominato proprio dall’inquietudine spirituale come il Rinascimento, così come ispirerà la corrente del giansenismo, e non mancherà successivamente di interrogare filosofi e teologi di ogni tempo.
Il De doctrina christiana è un’opera che risente del dibattito sulla validità della cultura cristiana rispetto a quella pagana. I detrattori della nuova religione puntano molto sull’inferiorità culturale dei cristiani e sulla povertà di strumenti linguistici e retorici dei loro testi, che tendono a privilegiare i contenuti, svalutando gli aspetti formali; i più colti tra i cristiani stessi avvertono un senso di disagio dovuto alla mancanza di una lunga tradizione culturale alle loro spalle. Agostino risponde nel De doctrina christiana all’esigenza di adeguare alla verità delle Scritture gli strumenti tradizionalmente propri della cultura pagana.
L’opera è divisa in quattro libri, i primi tre dedicati all’invenire, ovvero alla ricerca del significato profondo della parola di Dio, il quarto al proferre, cioè all’esposizione del senso. Nei libri II e III sono particolarmente interessanti le riflessioni sul linguaggio che Agostino conduce con singolare modernità, precisando la natura convenzionale del segno linguistico, così come anche la distinzione tra segno iconico, che riproduce direttamente ciò che intende significare (come nelle arti figurative), e segno simbolico, che, come nel linguaggio, rappresenta ciò che vuole significare per convenzione. L’importanza del libro IV invece risiede nel proporre la retorica come strumento al servizio delle Scritture e della dottrina cristiana.
L’opera di Agostino che ha inciso più profondamente nella storia della letteratura sono certamente le Confessioni. Il titolo è pregnante, perché il termine confessio nel latino cristiano non ha un significato univoco: può essere inteso nell’accezione di confessione dei peccati, professione di fede e proclamazione e lode della grandezza di Dio: tutti questi aspetti, accomunati dall’idea di un parlare aperto e sincero (la parrhesìa dei Greci) che nasce dal profondo dell’anima, sono presenti nell’opera di Agostino.
Le Confessioni decretano la nascita di un genere nuovo, quello dell’autobiografia interiore: l’impianto non corrisponde a quello di un’opera biografica in senso stretto, poiché il fine non è quello di raccontare in modo esaustivo gli eventi della propria vita, ma piuttosto quello di ricostruire, attraverso la selezione di fatti significativi, la storia del proprio rapporto con Dio. Anche la struttura rispecchia questo andamento dettato dall’interiorità: i 13 libri delle Confessioni prevedono la narrazione dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza dell’autore fino alla conversione (libri I-IX), mentre nei libri successivi (X-XIII) la riflessione e la meditazione prevalgono sulla dimensione narrativa.
I due piani, tuttavia, si sovrappongono e si compenetrano in modo continuo e proprio in questa duplicità consiste la ricchezza dell’opera; anche episodi, apparentemente di poco rilievo, relativi all’infanzia e all’adolescenza, sono l’occasione per meditare sulla pochezza dell’uomo e la grandezza della misericordia divina, perché ogni evento della propria esistenza è letto da Agostino alla luce di un continuo dialogo interiore che in Dio trova l’interlocutore privilegiato. Nel ripercorrere il cammino della propria anima Agostino si fa indagatore della psicologia umana in senso più generale, andando a scandagliare – fatto inedito nella letteratura cristiana precedente – tormenti, inquietudini, miserie dell’esistenza.
Proprio perché l’opera costituisce la narrazione di un cammino interiore, amplissimo è lo spettro delle considerazioni e dei temi che in essa sono toccati; è possibile tuttavia individuare alcuni nodi cruciali: ad esempio le riflessioni cui abbiamo già accennato su grazia, predestinazione e libero arbitrio, ma anche sulla natura di Dio, sul male e sul perché l’uomo ne sia spesso fatalmente attratto. Costante la presenza delle Sacre Scritture, specialmente negli ultimi tre libri, nei quali la grandezza di Dio viene esaltata attraverso l’esegesi del primo capitolo del Genesi; sono inoltre trattati temi filosofici, già oggetto delle riflessioni di pensatori pagani: fondamentali la memoria (libro IX) e il tempo (libro X).
La dimensione di novità delle Confessioni investe anche lo stile e le forme espressive: Agostino mostra originalità ed efficacia nel rendere i moti interiori, non soltanto per l’autenticità del vissuto, ma anche grazie alla sua profonda conoscenza dell’arte retorica. Grazie alla capacità dell’autore di comunicare il proprio universo emotivo, le Confessioni rappresentano però soprattutto un modello e un riferimento costante nei secoli futuri per ogni autentico racconto dell’interiorità.
Se dal punto di vista letterario le Confessioni sono l’opera di Agostino destinata a lasciare il segno più profondo nei secoli successivi, lo scritto fondamentale del vescovo di Ippona dal punto di vista del pensiero, il risultato filosoficamente più alto della sua produzione è forse il De civitate Dei.
Sullo sfondo un evento storico epocale: nel 410 il sacco di Roma ad opera dei Visigoti di Alarico travolge al contempo la Roma pagana e quella cristiana; siamo ormai infatti nell’epoca del cristianesimo trionfante, ma anche nel periodo di una contemporanea rinascita pagana. Se Roma non è già più da tempo il centro del potere politico, essa resta comunque il luogo-simbolo del passato pagano. Di fronte alla gravità del momento pagani e cristiani indistintamente si interrogano sulle ragioni profonde di questo flagello.
In tale contesto Agostino mette mano ad un’opera monumentale che ambisce ad essere una risposta esaustiva del cristianesimo alle istanze del paganesimo. In 22 libri, il De civitate Dei si struttura in una prima parte di confutazione del paganesimo (libri I-X), alla quale segue una pars construens di esposizione dei princìpi della religione cristiana.
L’idea di fondo è la contrapposizione irriducibile tra “città dell’uomo” e “città di Dio”. Agostino spiega in questi termini la genesi delle due città: “Due specie di amore hanno creato le due città, cioè la città terrena dell’amore di sé, che giunge sino al disprezzo di Dio, ed una città celeste dell’amore di Dio, che giunge sino al disprezzo di se stessi” (XIV, 28). Le due realtà sono inconciliabili, ma destinate a coesistere, poiché la città di Dio vive necessariamente all’interno di quella terrena, anche se avrà pieno compimento alla fine dei tempi. Per quanto Roma e il suo mito incarnino l’immagine della città terrena, la chiave di lettura non è quella di una contrapposizione tra Impero e Chiesa, perché il concetto delle due città non è di natura politica, ma esistenziale: chi appartiene alla Chiesa reale non necessariamente è un cittadino della città di Dio, dato che l’appartenenza a quest’ultima si gioca sul piano dell’adesione interiore a Dio. L’opera che Agostino concepisce con il fine di demolire le fondamenta del paganesimo è anche quella in cui la cultura pagana è maggiormente recuperata e messa al servizio della verità cristiana; i classici che Agostino aveva conosciuto e amato negli anni della formazione ritornano, parte integrante dell’impianto enciclopedico del De civitate Dei.