mediastinus
In VE I XI 6 D. dichiara che, assieme ai dialetti più brutti d'Italia, come quelli di Friulani e Istriani, vanno ‛ gettate via ' tutte le parlate delle zone montagnose e delle campagne (montaninas omnes et rusticanas loquelas eicimus), ad es. quelle di Casentinesi e abitanti di Fratta, quae semper mediastinis civibus accentus enormitate dissonare videntur; in VE I XV 6, a conferma della sua tesi che i maggiori poeti bolognesi, dal Guinizzelli a Onesto, si sono ‛ staccati ' (divertere) dal pur rispettabile volgare municipale della loro città, egli ne cita alcuni versi, osservando che le parole ivi contenute prorsus a mediastinis Bononiae sunt diversa. In entrambi i casi il Marigo interpreta m. nel senso di " abitante nel centro della città ", sottintendendo un'opposizione da parte di D. tra la parlata più civile e colta del centro e quella più rozza della periferia, che sarebbe adombrata nella distinzione che più indietro D. aveva fatto, e proprio per Bologna, tra il dialetto di Strada Maggiore e quello di Borgo San Felice (VE I IX 4).
Tale significato di m. risale all'errata interpretazione data da Porfirione e soprattutto dallo pseudo-Acrone a un verso di Orazio Epist. I XIV 14 (" tu mediastinus tacita prece rura petebas "), dove il sostantivo vale probabilmente " servo a disposizione di tutti ", " addetto ai servizi più comuni e bassi " (v. il comm. del Sabbadini), e viene invece chiosato " in civitate et in media urbe vivens " complice il falso accostamento al greco ἄστυ (asty), " città ": etimologia e spiegazione che tornano in Uguccione da Pisa e Giovanni da Genova (e cfr. anche Eberardo di Béthune Graecismus, ediz. Wrobel, VIII 28: " Ut mediastinus probat, astin denotat urbem ", e la relativa glossa: " homo stans in medio urbis ").
Il Pézard invece traduce, rispettivamente, " lesquelles [parlate] par énorme accent jurent à tout coup avec celle d'une cité bien assise au mitan de sa province ", e " ...sont merveilleusement différentes de celles que disent les Bolonais, assis au mitan de plusieurs provinces ", osservando contro il Marigo che in realtà D. non ha mai detto che un dialetto del centro cittadino sia più bello di quello dei sobborghi, e che Uguccione e Giovanni da Genova attestano per mediastinus (o medistinus, mediestinus) il senso di " in medio stans, vel medium tenens ", connettendo etimologicamente con sto e teneo, accanto a quello di " in medio civitatis existens " (e si può aggiungere che già Prisciano (Inst. gramm. II 61) spiegava esclusivamente: " ‛ mediastinus '... a medio stando vel tenendo componi videtur ").
Non si tratterebbe di un'opposizione topografico-sociale tra abitanti di una stessa città, ma di un'opposizione più largamente etnico-geografica tra abitanti di una stessa regione: " d'une part les gens de la capitale ou d'une ville importante située au centre de la ‛ nation ', et d'autre part les indigènes des confins éloignés, montagnes sauvages ou basses vallées ", le prime immuni dai difetti e dagli eccessi linguistici connessi alla posizione periferica e appartata dei secondi; l'esempio appunto di Bologna, discusso da D. in VE I XV, illustrerebbe concretamente questa tesi dei vantaggi linguistici derivanti da una posizione geografica ‛ mediana '.
L'interpretazione del Pézard, che pure è assai interessante, presenta tuttavia qualche difficoltà. Per quanto riguarda VE I XI 6 bisognerebbe, perché essa fosse accettabile, ammettere insieme l'altro punto di vista del Pézard (v. FRATTA) secondo cui nello stesso passo i Fractenses esemplificano come i Casentinesi il linguaggio dei montanini, e rusticanas non individua un'altra categoria distinta di parlanti (quelli delle campagne), ma indica semplicemente una qualità necessariamente compresente nelle parlate dei ‛ montanari ', la ‛ rusticità '. In caso contrario l'interpretazione sarebbe compromessa dalla semplice constatazione che naturalmente esistono zone di campagna che sono geograficamente ‛ centrali ', e non periferiche, all'interno di una data regione.
Quanto a VE I XV 6 sembra che l'espressione a mediastinis Bononiae, calzante nel senso indicato dal Marigo, risulterebbe piuttosto curiosa e troppo compendiaria per indicare il concetto voluto dal Pézard (che infatti è costretto a una traduzione largamente glossatoria); d'altronde non si comprende bene come mai D., dopo aver esaurientemente spiegato nei paragrafi precedenti le concrete ragioni della relativa bellezza del bolognese, avrebbe sentito il bisogno di appellarsi poi a una categoria tanto più generica e astratta come quella della centralità politico-geografica. E per un'ulteriore ipotesi legata all'interpretazione del Marigo v. BOLOGNA: Lingua.
Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq. 94, 131; D.A., Oeuvres complètes, a c. di A. Pézard, Parigi 1965, 573-574, 584; ID., " La rotta gonna ". Gloses et corrections aux textes mineurs de D., II, Firenze 1969, 16-19.