MEDEA (Μήδεια, Medēa)
Il nome di questa eroina si riconnette, come quello di parecchie altre che hanno comune con lei la caratteristica della scienza magica (Agamede, Perimede, Mestra, ecc.), con la radice di μήδομαι, e indica appunto colei che sa provvedere tanto a sé quanto agli altri.
Padre di M. è sempre Eeta, figlio di Elio: come madre appare abitualmente Idia (nome che va ben d'accordo con quello di M.); qualche volta la Nereide Neera, e talora la dea Ecate, l'incantatrice per eccellenza. Patria di M. è sempre il paese di Aia, identificato con la Colchide (onde gli epiteti di M. Αἰαίη e Κολχίς): gli Alessandrini spesso da Κύταια sul Fasi diedero all'eroina l'epiteto di Κυταϊκή, Κυταΐς, Κυτηιάς e simili.
M. appare nella leggenda degli Argonauti come salvatrice di Giasone, alla cui vita attenta il padre di lei Eeta, acciocché Giasone non gli porti via il vello d'oro. A ottenere per Giasone l'aiuto di M. si adoperano alcune divinità, in particolar modo Era, Atena e Afrodite (questa nella Pitia IV di Pindaro; Era e Atena che sollecitano per mezzo di Afrodite l'aiuto di Eros in Apollonio Rodio, Argonautiche, libro III; all'incirca sulle tracce di Apollonio Rodio si muove Valerio Flacco). Meravigliosa in Apollonio Rodio la pittura dell'agitazione di M. colpita d'amore per Giasone: il pudore della fanciulla riuscirebbe tuttavia a vincerla senza l'intervento di Calciope, sorella di M. e già moglie di Frisso, la quale supplica M. di aiutare i proprî figlioli che hanno fatto causa comune con gli Argonauti. E allora avviene il tenero incontro di M. e di Giasone con la consegna, da parte di M., del farmaco prometéo che renderà Giasone invulnerabile per tutto il giorno, e il consiglio di lanciare un masso tra i giganti che spunteranno armati dalla terra: quelli allora si combatteranno e si finiranno a vicenda. Riesce così Giasone a domare i tori spiranti fiamme e ad avere ragione dei giganti: Eeta, colpito da profondo dolore, macchina altrimenti la rovina dell'eroe greco. Ma per la sollecitudine di M. non giunge in tempo. Aiutato dall'eroina che addormenta il tremendo drago custode del vello, Giasone s'impadronisce di questo, e i due si dànno alla fuga. Nell'antico carme epico di Naupatto le cose andavano diversamente. E cioè Eeta invitava, dopo l'impresa eroica di Giasone, gli Argonauti a banchetto, con l'intenzione di liberarsi di loro col tradimento; ma la vigile Afrodite accendeva d'improvviso in lui il desiderio degli amplessi della moglie, e in quell'intervallo di tempo gli Argonauti riuscivano ad allontanarsi.
Per favorire la fuga degli Argonauti M. non esita a sacrificare il fratello Absirto. La leggenda sulla morte di Absirto è ricca assai di varianti. La più antica fu probabilmente quella che rappresentò Absirto fanciullo, le cui membra sbranate furono da M. sparse per terra e per mare acciocché Eeta s'attardasse a raccoglierle e l'inseguimento subisse così un grave indugio. Apollonio Rodio fa che Absirto, gagliardo giovane che comanda una parte dei Colchi inseguitori, raggiunga i fuggitivi, e allora M. e Giasone tramano di disfarsene con l'inganno, e vi riescono appunto in quanto M. invita il fratello a un colloquio, durante il quale Giasone, che s'era nascosto, lo uccide a tradimento. La fuga quindi continua: la purificazione dei due sarà compiuta da Circe. Le nozze si celebreranno nella terra dei Feaci e d'Alcinoo. Momento notevole della navigazione sarà ancora il passaggio davanti a Creta, dove il bronzeo gigante Talo troverà la morte per il potere magico di M. La dimora degli Argonauti in Lenno avviene, secondo Apollonio Rodio, durante il viaggio d'andata; il contrario accade invece secondo la Pitia IV di Pindaro, dove pure si parla del trasporto della nave Argo per terra dal Mar Rosso al Mediterraneo, trasporto durato dodici giorni. Secondo alcune fonti sarebbe stata M., per gelosia d'Issipile, a infondere alle donne di Lenno quel cattivo odore che ne avrebbe allontanato i mariti.
In Iolco avvengono, secondo molte fonti, le nozze fra M. e Giasone, e in Iolco M. dà prova del proprio potere magico ringiovanendo le nutrici di Dioniso insieme coi loro mariti, e il vecchio Esone (una leggenda parla pure di Giasone stesso). E in Iolco per amore di Giasone fa uccidere Pelia, anzi fa che Pelia sia ucciso dalle sue proprie figliuole, in quanto essa promette a queste di farlo uscire dalla caldaia, dove sarà fatto cuocere a pezzi, bello e ringiovanito, ma quando le Peliadi, tratte in inganno dall'esperimento prima compiuto da M. davanti ai loro occhi con un vecchio ariete, hanno tagliato a pezzi e cotto il proprio padre, M. non applica a favore di lui i suoi incantesimi e Pelia naturalmente resta morto.
Acasto, figlio di Pelia, scaccia allora M. e Giasone e questi vanno, secondo una leggenda, a Corcira, ma secondo la tradizione più comune, a Corinto, dove Giasone s'innamora della figlia del re Creonte o Ippote (la figlia è Creusa o Glauce) e vorrebbe convincere M. come quel matrimonio sia in fin dei conti utile a tutti loro, esuli in terra straniera; ma M., furente per la sconoscenza di Giasone, si vendica in modo terribile facendo perire tra le fiamme, che divampano da un suo dono incantato, la sposa e poi uccidendo i due figlioletti proprî e di Giasone che saranno sotterrati nel tempio di Era Acraia, mentr'essa s'involerà sopra un cocchio tratto da draghi alati alla volta di Atene, dove l'attendono le buone accoglienze del re Egeo (riassunto della Medea d'Euripide).
Certo le relazioni di M. con Corinto vennero messe in luce, meglio che da qualsiasi altra fonte, dalla tragedia d'Euripide, ma di Euripide esse furono molto più antiche. Da uno scolio all'Olimpica XIII di Pindaro si ricava che, secondo l'antico Eumelo, Elio avrebbe lasciato al figlio suo Aloeo il territorio dell'Asopo e all'altro figlio Eeta invece Corinto. Ma Eeta lascia il suo retaggio a Buno sino al momento in cui egli torni, o venga un figlio o nipote suo, e se ne va in Colchide. A Buno succede Epopeo (di qui innanzi la fonte è Pausania il Periegeta che sembra rispecchi pure Eumelo), a Epopeo Corinto: alla morte di Corinto i cittadini si pigliano come signora M. che giunge da Iolco, e Giasone regna con lei. M. partorisce in Corinto figli a Giasone e man mano ch'essi nascono li nasconde nel tempio d'Era, sperando così di renderli immortali; ma Giasone la sorprende e irritato con lei la lascia e torna a Iolco. Anche M. lascia la signoria di Corinto a Sisifo e se ne parte.
Un'altra leggenda narrava che i Corinzi non volevano invece saperne di M. come signora; essi allora ne uccisero i figli (sette maschi e sette femmine) nel tempio di Era Acraia, dove s'erano rifugiati. Di qui provenne una terribile carestia che cessò quando i Corinzî ebbero istituito un culto a Era Acraia, prestato ogni anno da sette giovinetti e sette fanciulle delle migliori famiglie.
L'unione dunque di M. con Corinto fu più antica assai d'Euripide, ma fu Euripide certo a darle quella tragicità meravigliosa che fece immortale l'opera sua. Molto probabilmente M. fu in origine una divinità solare di Corinto e appunto attraverso al culto d'Elio avvenne l'unione della M. corinzia con la tessalo-colchica.
Delle vicende di M. molto si occupò l'arte greca. Gran numero di pitture vascolari si riferisce alla sua abilità di maga (il ringiovanimento dell'ariete, quello di Esone, quello di Giasone). Parecchi sarcofaghi romani e pitture campane si riferiscono ai casi di M. in Corinto. A questi si ricollegò una celebre pittura di Timomaco di Bisanzio, la quale rivive più o meno in tre pitture campane, ma soprattutto nell'affresco della Casa dei Dioscuri (i bimbi giocano inconsci agli astragali: sul fondo si staglia entro il vano d'una finestra la figura, densa di significato, del pedagogo: M. ritta, con indefinibile espressione di rattenuto furore e d'infinita pietà, tiene la mano sull'impugnatura della spada). Un famoso vaso di Canosa, ora a Monaco, riproduce lo scioglimento della tragedia euripidea.
Bibl.: K. Seeliger, in Roscher, Lexikon der griech. u. röm. Mythologie, II, ii, Lipsia 1894-1897, col. 2482 segg.; Lesky, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIX, col. 29 segg.; K. Robert, Griechische Heldensage, I, Berlino 1920, p. 185 segg.; II, Berlino 1921, p. 725 segg.; III, i, Berlino 1921, p. 758 segg.; U. von Wilamowitz-Moellendorff, Hellenistische Dichtung, II, Berlino 1924, p. 165 segg.; L. Mallinger, Médée, Parigi 1898; A.M. Verrall, The "Medea" of Euripides, Londra 1881; H. von Arnim, Euripides' Medea, 2ª ed., Berlino 1886; G. B. Camozzi, La Medea d'Euripide, 2ª ed., Città di Castello 1913.