ROSSO, Medardo
‒ Nacque a Torino il 20 giugno 1858, terzogenito di Domenico, funzionario delle Ferrovie piemontesi, e di Luigia Bono.
La famiglia si trasferì a Milano nel 1870, a seguito della promozione del padre. Rosso frequentò il collegio-convitto di San Carlo Canavese di Cirié fino al 1875, quando, terminati gli studi, raggiunse la famiglia a Milano. Dal 1879 al 1881 svolse il servizio militare come caporale a Pavia, dove ebbe modo di frequentare gli ambienti della locale scuola di pittura. Al termine della leva militare prese studio a Milano in via Solferino 12, ma, almeno fino alla partenza per Parigi, vendette le sue opere anche nel negozio di fotografia di Pasquale Vercesi in galleria Vittorio Emanuele II.
A Milano, nel 1881, partecipò con L’allucinato, in terra cruda, all’Indisposizione di belle arti, a conferma del precoce inserimento negli ambienti scapigliati e antiaccademici. Il rapporto con l’Accademia e le istituzioni fu da subito problematico, come dimostra il brevissimo periodo di permanenza a Brera: Rosso vi si iscrisse nel maggio 1882, ma ne fu espulso l’anno dopo, il 29 marzo (Borghi, 1950, p. 18; cfr. Hecker, 2000). Fu però all’interno di quell’ambiente che Rosso iniziò l’attività espositiva ufficiale: alla mostra dell’Accademia del 1882 espose due terrecotte bronzate, Il bersagliere ed El locch, e il bronzo Dopo una scappata (Birichino), presentate l’anno dopo all’Esposizione di belle arti di Roma insieme a Cantante a spasso, ottenendo i primi riconoscimenti pubblici (Fontana, 1883; De Horatiis, 1883).
L’attenzione per il dato reale arrivò a inserire oggetti veri nella scultura, come la pipa che pende dalle labbra del Locch o la lanterna degli Innamorati sotto il lampione, o gli zoccoli abbandonati sulla tomba di Angelo Curletti, innalzata nel cimitero del Gentilino nel 1883 e poco dopo rimossa, a causa delle reazioni scatenate (Hecker, 1996).
Durante gli anni Ottanta Rosso realizzò anche altre tombe per il cimitero Monumentale di Milano: nel 1886 il monumento per il fonditore Carlo Carabelli, nel 1888 il busto di Elisa Rognoni Faini, nel 1889 quelli per il critico musicale e amico Filippo Filippi e per il patriota mazziniano Vincenzo Brusco Onnis, caratterizzati da una trattazione sempre più mossa e dal rifiuto della monumentalità.
Il suo approccio ai monumenti pubblici emerge chiaramente dalle due partecipazioni giovanili ai concorsi per un monumento a Garibaldi a Pavia e a Milano (1882 e 1884), per cui propose «un gruppo di dimostranti [che] viene alle mani con le guardie di PS e dei carabinieri» (Borghi, 1950, p. 16; Lista, 2003, pp. 33, 44 s.; entrambi i bozzetti sono perduti).
Una fotografia inviata tra il maggio e il giugno del 1883 a Baldassarre Surdi, ambientata in una ricostruzione dello studio in bilico tra rebus e installazione effimera (Mola, 2010), riassume la produzione dello scultore dal novembre del 1881 alla primavera del 1883, fino alla realizzazione della Ruffiana.
Nata come pendant del Vecchio, la Ruffiana segnò il superamento del verismo sociale delle opere precedenti in direzione degli studi fisiognomici di Leonardo e della scultura dei Sacri Monti, introducendo nella sua opera il riferimento al tempo che passa e alla transitorietà.
A questo momento data la ricerca di una scultura che si liberi del tutto tondo, imponendo all’osservatore un unico punto di vista, e volta a fissare in forme fluide e permeabili alla luce non un’azione ma una percezione istantanea: nacquero così il Sagrestano, Carne altrui e infine la Portinaia, in cui Rosso stesso avrebbe riconosciuto l’inizio della nuova scultura (Rosso, 2003, p. 27), che trovò immediata, monumentale rappresentazione in Impressione d’omnibus, modellato tra il 1884 e il 1885.
Nel novembre del 1884 Rosso perse la madre, cui era molto legato, e nell’aprile successivo sposò Giuditta Pozzi, da cui ebbe l’unico figlio, Francesco Evviva Ribelle, nato il 7 novembre 1885; il matrimonio durò fino al 1889, quando i due divorziarono.
Dalla metà del nono decennio i rapporti con l’estero iniziarono a intensificarsi: al 1885 risale forse il primo viaggio a Vienna, e nello stesso anno e nel successivo Rosso partecipò al Salon des artistes français e al Salon des indépendants con i bronzi Bersagliere, Amor materno, (Birichino) (ribattezzato Gavroche), Ruffiana e Vecchio (intitolati Filemone e Bauci), richiamando l’attenzione della critica francese (cfr. Lista, 2003, pp. 68 s.); secondo Rosso le opere furono inviate a Parigi a sua insaputa dall’amico Gastone Pesce.
La Ruffiana e il Vecchio hanno anche i nomi di Faust e Margherita (gessi di Barzio, Museo Rosso, e Roma, Galleria nazionale d’arte moderna - GNAM): per tutta la carriera lo scultore espose infatti più volte la stessa opera con titoli diversi, e viceversa utilizzò lo stesso titolo per sculture differenti; qui si prendono come riferimenti i titoli con cui le opere furono esposte e i titoli standard assegnati nel Catalogo ragionato (Mola - Vittucci, 2009).
Nel 1886 soggiornò per la prima volta a Parigi, in condizioni di estrema indigenza, ma ricevendone un’impressione di brulicante modernità e notando che ancora v’era posto per le sue sperimentazioni (Borghi, 1950, pp. 22-24).
Rientrato a Milano, nel 1886 realizzò Aetas aurea, prendendo a modello la moglie e il figlio Francesco, in cui il motivo scapigliato della maternità, già indagato nell’Amor materno del 1883, è reso con un’unione materiale dei corpi.
L’anno dopo partecipò all’Esposizione nazionale artistica di Venezia con sette bronzi, tra cui la Ruffiana, collocata su un vero battente di portone, e il Sagrestano, montato su un’acquasantiera di marmo con l’iscrizione «indulgenza plenaria», posato su un tavolo rotondo coperto da una tovaglia e ribattezzato Se la fuss grappa: le opere furono accolte con diffidenza e accuse di eccentricità (Dietrich, 1888), ma Rosso vi aveva operato un ardito prelievo dalla realtà e giocato con la percezione e l’illusione dello spazio.
Durante il trasporto a Venezia, Impressione d’omnibus fu gravemente danneggiata e, secondo Rosso, distrutta; in realtà lo scultore recuperò tre figure, ma il gesso fu distrutto dalla moglie dopo la sua partenza per Parigi (P. Mola, in Mola - Vittucci, 2009, pp. 92-96). Nel 1888 partecipò con quattro opere all’Italian Exhibition di Londra organizzata dalla galleria di Alberto Grubicy, ma fu il 1889 a segnare un passaggio chiave della sua biografia.
All’Esposizione universale di Parigi, Rosso espose cinque bronzi – El locch, (Birichino)/Gavroche, Ruffiana, Carne altrui e Aetas aurea – ottenendo l’attenzione della critica. In giugno si trasferì definitivamente a Parigi, lasciando a Milano la moglie con il figlio e diversi suoi lavori.
I contatti con l’ambiente parigino furono inizialmente favoriti dal rapporto di amicizia con Felice Cameroni, critico letterario e divulgatore degli scrittori francesi in Italia, conosciuto nel 1883, con cui Rosso intrattenne un fitto epistolario (conservato alla Civica Biblioteca d’arte del Castello Sforzesco di Milano) fino al 1891 (cfr. P. Mola, in Mostra, 1979, pp. 29-46, 93-104): fu lui a metterlo in contatto con Émile Zola, Edmond de Goncourt, Henri Rouart e Paul Alexis, per il quale Rosso realizzò Enfant au sein.
Ammalatosi in ottobre, trascorse un mese all’hôpital Lariboisière, dove realizzò Malade à l’hôpital e Bambina che ride: la risata vi diventa elemento vitalistico, tema ulteriormente esplorato nella Rieuse, modellata nel 1890, e nella cosiddetta Grande rieuse, nata nel 1891 o forse l’anno dopo come un ritratto della cantante di caffè-concerto Bianca da Toledo.
Segnati inizialmente da difficoltà economiche, i primi anni parigini videro l’affermazione di Rosso non tanto nel circuito delle commissioni pubbliche e delle esposizioni ufficiali, ma in quello del collezionismo privato, come dimostra il rapporto con Rouart, ricco industriale, collezionista e amico degli impressionisti, conosciuto nel 1890, che lo presentò a Edgar Degas e acquistò prima un (Birichino), poi un Bambino ebreo e le copie della Frieleuse e del Niccolò da Uzzano, oltre che un monumentale ritratto, mettendogli anche a disposizione uno spazio nella sua fabbrica in boulevard Voltaire come studio.
Al 1893 risale la prima personale parigina, con l’esposizione di una selezione di otto opere al teatro sperimentale della Bodinière, dove Rosso fu apprezzato da Auguste Rodin, con il quale iniziò un rapporto di amicizia e ammirazione destinato a incrinarsi nel segno della rivalità professionale. I due si scambiarono all’epoca un’opera: il bronzo della Petite rieuse di Rosso (Parigi, Musée Rodin) in cambio del Torso di Rodin (disperso).
L’anno dopo modellò il Bookmaker e l’Uomo che legge, che traducono l’interesse per la rappresentazione della figura intera e la sostituzione della prospettiva rinascimentale con una visione simultanea che comprende contemporaneamente l’uomo e l’ambiente (cfr. Rosso, 2003, p. 13).
Il Bookmaker era un ritratto di Eugène Marin (1859-1899), genero di Rouart, ma i ritratti di Rosso a queste date hanno ormai perso qualsiasi somiglianza con il modello per diventare la traduzione di un’impressione, e quindi replicati, sottoposti a deformazioni e a traduzioni in diversi materiali, su cui si consuma l’allontanamento dal dato reale.
Così, alla fine del secolo, la Rieuse passò dal busto completo del Kröller-Müller Museum di Otterlo alla cera scura (Chicago-New York, Richard Gray Gallery), a una testa in cera gialla (collezione Panizzuti), e nel Novecento perse busto, collo e nuca e ne rimase solo il volto; Yvette Guilbert (la cantante e attrice) è il gesso scabro modellato nel 1895 (Venezia, Ca’ Pesaro) e la cera scura del 1914 (Roma, GNAM); il ritratto di madame Noblet, modellato nel 1896, è replicato in quattro varianti, un bronzo, una cera e due gessi (Roma, GNAM; Milano, Galleria d’arte moderna - GAM; Venezia, Ca’ Pesaro; Barzio, Museo Rosso; Piacenza, Galleria Ricci Oddi). L’approdo definitivo di questo percorso è Madame X, che, se mai nacque da un ritratto, mostra una completa astrazione dalla natura: datata nel secondo Novecento al 1913 e al 1911 (Borghi, 1950, p. 69; Lista, 2003, pp. 186-190, che la identifica con Dolores Prezzolini, conosciuta da Rosso nel 1910), è stata poi ricondotta al 1896, in anticipo sul primitivismo, su Amedeo Modigliani e su Constantin Brâncusi (P. Mola, in Rosso, 2007, pp. 18 s., 31 s.).
Nel 1895 Rosso acquistò uno studio in rue Caulaincourt (officina privata, a differenza dello studio per il pubblico sul boulevard des Batignolles), dove costruì i forni per sperimentare personalmente la fusione dei bronzi e la composizione delle leghe, e dove iniziò la produzione in cera, con cui è tradizionalmente identificata la sua opera (pp. 18 s., 31 s.).
Le prime cere furono chiare e diafane (la Ruffiana, l’Enfant malade di collezione privata), ma poi, a cavallo dei due secoli, Rosso iniziò a utilizzare una cera nera e cupa (Henri Rouart alla GAM di Milano, Enfant juif di collezione privata, Madame Noblet di Ca’ Pesaro a Venezia), a cui si aggiunse dagli anni Dieci, più raramente, una cera lucida e scura dai riflessi verdi (Bookmaker al Museo d’arte moderna e contemporanea - MART di Rovereto), mentre continuò fino agli ultimi anni l’utilizzo delle predilette cere chiare, bianche o gialle, fino a quella quasi rossa della Grande rieuse della GAM di Milano.
Risale a poco più tardi l’inizio della polemica con Rodin, e con la critica a lui più vicina, sulla primogenitura della scultura impressionista, identificata come unica via alla scultura moderna, polemica acuita nel 1898 dalla controversa inaugurazione del monumento a Honoré de Balzac di Rodin, che rinfocolò la teoria delle influenze di Rosso, sempre ricusate dallo scultore francese. La querelle sfociò nell’inchiesta di Edmond Claris L’Impressionisme en sculpture: Auguste Rodin et Medardo Rosso, pubblicata nel giugno 1901 sulla Nouvelle Revue, in cui si sottopose a diversi artisti un questionario sulla scultura moderna (Lista, 2003, pp. 127-170); tradotta in spagnolo e in tedesco, nel 1902 venne ripubblicata in edizione ampliata e con le fotografie di Rosso.
La polemica sembra aver contribuito a isolare Rosso dai circuiti ufficiali. All’Esposizione universale di Parigi del 1900 fu escluso dalla sezione francese perché italiano e da quella italiana perché ormai trasferitosi all’estero: riuscì alla fine a esporre nella sala di Giovanni Segantini due bronzi (Madame Noblet e Petite rieuse) e tre cere (Enfant malade, Enfant au soleil, Femme à la voilette). Non potendo esporre il grande gruppo in gesso Impression de boulevard-Paris la nuit, modellato nel 1897, Rosso chiese a Rodin di ospitarlo nel suo padiglione personale all’Alma, ottenendone un rifiuto; l’opera fu quindi sistemata nel giardino della casa di campagna dei Noblet a Jessains-sur-Aube, dove andò distrutta (P. Mola, in Mola - Vittucci, 2009, pp. 182-184).
Alla parziale emarginazione dall’ambiente parigino corrispose l’intensificarsi dei rapporti con la Germania, attraverso Georg Treu, Wilhelm Bode e Richard Graul, e i Paesi Bassi, attraverso la scrittrice, artista e critica Etha Fles, conosciuta nel 1900, con la quale Rosso instaurò una duratura relazione sentimentale e professionale. L’anno dopo, tra gennaio e giugno, Etha Fles lo coinvolse nella mostra itinerante con i dipinti degli impressionisti ad Amsterdam, Utrecht, L’Aia e Rotterdam, che terminò all’Albertinum di Dresda: il museo acquistò la cera dell’Enfant malade, tratto da un modello del 1895 circa.
Nel 1902 Rosso espose bronzi, cere e fotografie a Berlino e a Lipsia, realizzando diverse vendite in Germania; nel 1905 organizzò una personale al Kunstsalon di Artaria a Vienna con ventidue opere, mentre a Parigi nel 1904 partecipò con quindici opere al secondo Salon d’automne, di cui era membro fondatore. A questi anni risalgono anche le cosiddette copie dall’antico, considerate come ‘pezzi di paragone’ da accostare alla modernità della propria opera (L. Caramel, in Mostra, 1979, p. 148) e oggi riconosciuti come riflessione sulla ripetizione e sulle origini della scultura, influenzate dalla cultura tedesca (Mola, 2014).
Nel febbraio del 1906, a Londra, Rosso prese parte all’esposizione della International Society con nove opere e, a dicembre, organizzò una personale di ventidue tra bronzi, cere e copie dall’antico alla galleria di Eugene Cremetti. Ospite della famiglia Mond all’inizio dell’anno, realizzò Ecce puer, esposto lo stesso anno al Salon d’automne nella primitiva versione in cera (dispersa).
Nato come ritratto del piccolo Alfred Mond, ma in realtà estremo approdo del percorso di astrazione di Rosso, Ecce puer fu l’ultimo soggetto modellato dallo scultore. La critica ne ha a lungo desunto l’esaurirsi della creatività dell’autore, condannato a ripetersi per gli anni a venire, ma gli studi più recenti hanno dimostrato come in realtà Rosso si sia dedicato a proseguire sperimentazioni su un numero ristrettissimo di soggetti già elaborati, tramite modifiche, amputazioni e traduzioni in materiali diversi: bronzi, cere di diversi colori, gessi bianchi o verniciati, parte di un lavoro sulla serie che porta la sua opera negli sviluppi novecenteschi riguardanti l’astrazione, il rapporto tra scultura e oggetti e tra immagine e parola, la casualità, la riflessione sull’immaterialità, l’effimero e il tempo (P. Mola, in Rosso, 2007).
Lo stesso vale per la fotografia, attività fondamentale e sperimentale condotta lungo tutta la sua carriera da Rosso, il quale le conferì uno status di autonomia attraverso l’esposizione alle mostre, il controllo delle pubblicazioni e una continua sperimentazione tecnica: la fotografia di altre fotografie o ritagli di giornale, gli interventi di abrasione, taglio, collage, ingrandimento, viraggio, pittura e stampa, avrebbero influenzato le avanguardie e in particolare il futurismo (Mola, 2006). Il tutto fu accompagnato e sostenuto da un’attività teorica affidata a una produzione di testi sia privata sia pubblica sempre più prolifica e magmatica, anche nella forma (in parte riunita in Soffici, 1929; Medardo Rosso, 1994; Lista, 2003, pp. 363-429; Rosso, 2003).
Parallelamente intensificò l’attività espositiva e aumentarono i riconoscimenti. Grazie all’intermediazione di Jehan Rictus – che frequentò Rosso assiduamente dalla fine del secolo fino alla guerra, lasciandone preziosa testimonianza nel suo Journal quotidien –, nel 1907 il primo ministro francese Georges Clemenceau scelse personalmente il gesso di Ecce puer e la cera di Femme à la voilette per il Musée du Luxembourg, dedicato agli artisti viventi – Rosso aveva ottenuto nel 1902 la cittadinanza francese – (rispettivamente, Milano, GAM, e Lione, Musée des beaux-arts); lo stesso anno la città di Parigi acquistò per 2500 franchi una cera di Aetas aurea (Parigi, Musée du Petit Palais), che Rosso volle collocare nella sala di Eugène Carrière (Lista, 2003, p. 322). Sempre nel 1907 espose a Bruxelles, l’anno dopo a Mosca al Salon de la Toison d’or, e quindi nel 1909 partecipò con diciassette opere al Salon annuel du cercle d’art Les indépendants di Bruxelles.
A questo periodo di grandi presenze espositive internazionali seguì un graduale ma inarrestabile riavvicinamento all’Italia dopo anni di lontananza, motivato dal progressivo interesse della critica più accorta e degli artisti dell’avanguardia. Nel 1909 Ardengo Soffici iniziò a occuparsi pubblicamente dello scultore su La Voce e pubblicò Il caso Medardo Rosso, cui sarebbe seguita nel 1929 un’altra monografia; nel 1910 organizzò la prima importante esposizione di opere di Rosso in Italia dalla sua partenza, nella Mostra italiana dell’impressionismo e di Medardo Rosso al Lyceum Club di Firenze, con diciotto opere dello scultore insieme a dipinti di Edgar Degas, Paul Cézanne, Camille Pissarro, Claude Monet, Vincent van Gogh, Pierre-Auguste Renoir, Paul Gauguin.
A Ugo Ojetti, che leggeva Rosso come un epigono della scapigliatura, suscitandone le ire, rispose proprio Soffici, ribadendone la dimensione internazionale e il ruolo di precursore delle avanguardie (Ojetti, 1910; Soffici, 1910).
Nel Manifesto dei pittori futuristi (11 febbraio 1910) Rosso era infatti già stato considerato come l’emblema della scultura moderna, posizione ribadita l’anno dopo nel Manifesto tecnico della scultura futurista – inviatogli personalmente da Umberto Boccioni –, in cui la sua opera «rivoluzionaria, modernissima» fu posta a origine della scultura futurista, perché era il «solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze d’un ambiente e i legami atmosferici che lo avvingono al soggetto».
I sempre più frequenti rientri in patria corrisposero anche a un’intensa attività espositiva: nel 1911 Rosso inviò tre opere all’Esposizione retrospettiva italiana di Firenze e otto all’Esposizione internazionale di belle arti. Ma la consacrazione ufficiale avvenne con la presenza alla Biennale di Venezia del 1914, con venti opere. In quest’occasione Rosso strinse rapporti con il direttore di Ca’ Pesaro Nino Barbantini: il museo acquistò il bronzo di Ecce puer e Rosso donò le cere di Yvette Guilbert e Madame X, esposta a Venezia per la prima volta, a cui si aggiunsero altre tre cere formalmente donate da Etha Fles.
L’episodio si inserisce nel progetto di Rosso ed Etha Fles di documentare l’opera dello scultore nei musei italiani: tra il 1913 e il 1914 la GNAM di Roma acquistò da Rosso per 6000 franchi Femme à la voilette, ricevendo in dono da Etha Fles quattro cere, mentre alla Galleria d’arte moderna di Torino Etha donò quattro opere. Infine, nel 1920 – nell’anno in cui il Luxembourg ritirò in deposito Ecce puer ‒ Fles vendette alla Galleria d’arte moderna di Firenze la Portinaia, donando altre tre opere, personalmente allestite dallo scultore (Tarchiani, 1920).
Durante gli anni della guerra Rosso seguitò a spostarsi tra Parigi, l’Italia e la Svizzera, dove si era trasferita Etha Fles, continuando a mantenere i contatti con artisti e intellettuali italiani, tra cui Gustavo Botta, Umberto Giordano, Giuseppe Prezzolini, Soffici, Carlo Carrà e Margherita Sarfatti. I rapporti con quest’ultima furono fondamentali per l’apprezzamento e l’inserimento di Rosso nell’ambiente culturale italiano del primo dopoguerra: nel 1925 Sarfatti gli dedicò un lungo capitolo nel suo libro Segni, colori, luci; nel 1923, su suo suggerimento, Rosso era stato nominato alto consigliere nazionale per le arti plastiche, e nel 1926 sempre Sarfatti gli dedicò una sala personale di undici sculture nella I Mostra del Novecento italiano alla Permanente di Milano, presentazione ufficiale del movimento da lei patrocinato.
Il progetto di rientrare in Italia, accantonato a causa della guerra, si concretizzò nel 1922, quando Rosso si trasferì nuovamente a Milano, prendendo alloggio al Grand Hotel et de Milan, dove sperimentò nuove stampe fotografiche. A Milano nel 1923 tenne la sua ultima personale, una mostra di sculture, fotografie e disegni alla galleria Bottega di Poesia, recensita, tra gli altri, da Aldo Carpi e Margherita Sarfatti e visitata da Benito Mussolini.
Malato da tempo di diabete, Rosso morì il 31 marzo 1928 per le complicazioni delle ferite causate dalla caduta di una lastra fotografica; sulla sua tomba, nel riparto acattolici del cimitero Monumentale di Milano, è una fusione in bronzo postuma di Ecce puer, curata dal figlio Francesco (1885-1957).
Dopo la sua morte, Francesco, con cui aveva ripreso i contatti nel 1907 dopo diciassette anni di lontananza, ne fu erede materiale e spirituale: nel 1929 collaborò all’organizzazione della personale di ventisette opere al Salon d’automne e nel 1950 fece pubblicare la monografia curata da Mino Borghi. Completò il progetto museale del padre, donando ventitré opere alla GNAM di Roma nel 1931, in occasione della I Quadriennale, dove a Rosso era dedicata una sala monografica, e nel 1953 facendo acquistare il gesso di Ecce puer ritirato dal Luxembourg alla GAM di Milano, a cui donò nove opere. Entrambe le donazioni comprendevano cere eseguite sotto il suo controllo. Francesco fece realizzare infatti una serie di fusioni tratte dai modelli originali (P. Mola, in Mola - Vittucci, 2009, pp. 361-364), ritirati dagli studi del padre in boulevard des Batignolles a Parigi e in via Solferino a Milano e riuniti insieme all’archivio e al resto dei materiali nel Museo Rosso, fondato a Barzio (Lecco) nel 1934 e sistemato da Piero Portaluppi nella chiesa del paese.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Ardengo Soffici; Barzio, Archivio Museo Medardo Rosso; Milano, Civica Biblioteca d’arte del Castello Sforzesco, F360, Lettere di M. R. a Felice Cameroni; Parigi, Archivio Musée Rodin, Lettere ad Auguste Rodin; Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, NAF 16097-16249: Jehan Rictus, Journal quotidien e Lettere; Venezia, Archivio storico dell’arte contemporanea, Lettere varie (regesto della corrispondenza in Lista, 2003, pp. 353-361).
H. De Horatiis, Dopo una scappata, in Giornale illustrato dell’Esposizione di Belle Arti in Roma, 22 aprile 1883; F. Fontana, Pennelli e scalpelli. Esposizione Internazionale di Belle Arti. Roma 1883, Milano 1883; W. Dietrich, Una critica tedesca dell’Esposizione artistica veneziana, Firenze 1888; L. Vauxcelles, Notes d’art. Au Salon d’Automne. Le sculpteur M. R., in Gil Blas, 31 ottobre 1904; A. Soffici, Il caso M. R., Firenze 1909; U. Ojetti, M. R., in Corriere della sera, 31 maggio 1910; A. Soffici, Carte in tavola, in La Voce, 7 luglio 1910, pp. 354 s.; N. Tarchiani, M. R. alla Galleria d’Arte Moderna in Firenze, in Il Marzocco, 14 novembre 1920; E. Fles, M. R. Der Mensch und der Künstler, Freiburg 1922; A. Soffici, M. R. (1858-1928), Firenze 1929; G. Papini, M. R., Milano 1940 (con bibliografia); M. Borghi, M. R., Milano 1950 (con bibliografia); M.S. Barr, M. R., New York 1963; Mostra di M. R. (1858-1928) (catal.), a cura di L. Caramel, Milano 1979 (con bibliografia); M. R. Los dibujos. I disegni (catal., Madrid), a cura di L. Caramel, Milano 1990; M. R. Scritti e pensieri 1889-1927, a cura di E. Fezzi, Cremona 1994; S. Hecker, M. R.’s first commission, in The Burlington Magazine, 1996, vol. 138, n. 1125, pp. 817-822; Ead., Ambivalent bodies: M. R.’s Brera petition, ibid., 2000, vol. 142, n. 1173, pp. 773-777; G. Lista, M. R. Scultura e fotografia, Milano 2003 (con bibliografia); M. Rosso, Scritti sulla scultura, a cura di L. Giudici, Milano 2003; M. R. Le origini della scultura moderna (catal., Rovereto), a cura di L. Caramel, Milano 2004; P. Mola, R. Trasferimenti, Milano 2006; R. La forma instabile (catal., Venezia), a cura di P. Mola, Milano 2007; P. Mola - F. Vittucci, M. R. Catalogo ragionato della scultura, Milano 2009 (con bibliografia); P. Mola, R. L’atelier messo in scena. «Fine all’inizio», in Gli ateliers degli scultori. Atti del II Convegno internazionale..., Possagno... 2008, a cura di M. Guderzo, Crocetta del Montello 2010, pp. 239-247; Ead., Vergini, fauni e senatori. Sui modelli delle copie dall’antico del Museo Rosso di Barzio, in Abitare il museo. Le case degli scultori. Atti del III Convegno internazionale..., Possagno... 2012, a cura di M. Guderzo, Crocetta del Montello 2014, pp. 259-286; M. R. La luce e la materia (catal.), a cura di P. Zatti, Milano 2015.