MECCANICISMO e VITALISMO
. La concezione materialistica, monista dell'universo (v. materialismo; monismo) implica l'esclusione di ogni elemento metafisico nell'interpretazione dei fenomeni della natura, che si riducono tutti a processi puramente fisici, cioè meccanici, regolati dai principi che governano le relazioni fra i corpi materiali, e che sono oggetto di studio delle scienze fisiche. Ogni determinismo teleologico degli avvenimenti, così come ogni entità d'ordine spirituale rimangono esclusi da una simile concezione, la quale ammette soltanto il collegamento causale, deterministico nel senso democriteo, dei fenomeni. Il meccanicismo è quindi un corollario del materialismo; tuttavia l'applicazione di questo concetto ai fenomeni della vita, dove le difficoltà si fanno più gravi e più palesi che non per il mondo inorganico, e una certa autonomia che, conseguentemente, il meccanicismo venne acquistando rispetto a dottrine filosofiche più generali, ne autorizzano la trattazione come di teoria biologica a sé.
Meccanicismo e vitalismo sono i due termini antitetici che designano due opposte concezioni biologiche, e che, in fondo, racchiudono l'essenza di tutta la biologia e ne riassumono la storia. In opposizione al meccanicismo, il vitalismo, prima ancora di essere tale, è teleologia, finalità; poi chiama a soccorso, nell'interpretazione dei fenomeni della vita, entità immateriali - anime o spiriti vitali - trascendenti o immanenti, e perciò dichiara l'autonomia dei fenomeni vitali e la loro irriducibilità a fenomeni fisici o chimici.
Storia. - Meccanicisti possono dirsi gli antichi filosofi della scuola ionica, negatori a un tempo delle cause finali ed efficienti, nel loro "ilozoismo" o "ilopsichismo" ingenuo. La prima chiara e consapevole affermazione meccanicista, nella filosofia greca, si trova però in Democrito, che considera come principio di vita l'anima, da lui concepita come un ente corporeo, composto di atomi ignei, sottilissimi, rotondi e lisci, che permeano ogni parte del corpo e sono la causa dei suoi movimenti. Quest'anima corporea è mortale e si dissolve col corpo. Democrito aveva in mente soprattutto l'uomo, come rappresentante degli esseri vivi, e si occupò particolarmente delle capacità conoscitive, senza dare al suo meccanicismo la veste e l'estensione di teoria biologica generale.
Come primo e più tipico rappresentante del vitalismo di tutti i tempi dev'essere invece considerato Aristotele. Da lui il problema biologico, benché sia soltanto parte di un'assai più vasta concezione filosofica, è trattato con singolare profondità e con spirito scientifico, nel senso moderno della parola. ln un certp senso si può dire che costituisce il problema fondamentale della filosofia aristotelica. Del principio di finalità, che domina tutta la filosofia di Aristotele, e che dalla considerazione dei fenomeni della vita trae le più belle dimostrazioni, e di altri aspetti più generali del pensiero del filosof0 greco è detto alla voce aristotele; qui conviene limitarsi all'analisi della teoria aristotelica della vita.
La sua più completa espressione si trova forse nella teoria della generazione (cfr. De generatione animalium; De anima). Un nuovo essere si forma, per lo più, dalla mescolanza delle secrezioni del maschio e della femmina. Quest'ultima fornisce la materia (causa materiale) sulla quale opera il seme maschile, essenza superiore e più divina, portatore non soltanto del principio del movimento (causa efficiente), ma della entelecheia, cioè dell'essere perfetto, benché non ancora realizzato come cosa materiale. L'entelecheia, o "realtà perfetta" che è a un tempo la causa finale e la causa formale, è l'anima, la quale rappresenta dunque l'idea o la forma dell'essere nascituro, che potrà tradursi in atto sulla materia fornita dalla femmina, non diversamente dall'idea di una statua, nella mente dello scultore, che, perfetta in sé, diventa cosa tangibile quando sia espressa nella creta o nel marmo. L'anima è dunque il principio della vita, qualche cosa di ben diverso dalla materia, di non confondibile né miscibile con questa, alla quale conferisce facoltà vitali più o meno elevate, a seconda del proprio grado di perfezione. Aristotele riconosce tre diversi gradi di anima: l'anima vegetativa, propria delle piante, l'anima sensitiva, caratteristica degli animali, e l'anima raziocinante, il νοῦς, che l'uomo soltanto possiede, per dono divino. Sempre i gradi inferiori sono racchiusi e impliciti nei superiori, e li precedono, nello sviluppo embrionale.
La dottrina biologica di Aristotele che è a tutt'oggi l'espressione più pura e completa del vitalismo, domina incontrastata per molti secoli, e si deve scendere fino a epoche molto recenti per ritrovare un pensiero originale nella controversia fra vitalismo e meccanicismo. Nulla di sostanzialmente nuovo è stato aggiunto al pensiero di Aristotele, su questo punto, dai filosofi medievali. S. Tommaso precisa e chiarisce alcuni punti, specialmentc per quanto riguarda l'uomo, e definisce come vivente ciò cui "est natura movere seipsum" in contrapposto ai non viventi, che "ab esteriori tantum principio moveri possunt". Dante espone con mirabile precisione e chiarezza la teoria aristotelica della generazione, nel canto XXV del Purgatorio.
In seguito al rinascimento scientifico, in cui furono gettate le basi della meccanica moderna, e in cui, all'acquisizione delle conoscenze fondamentali delle leggi fisiche, fa riscontro un impeto di reazione contro l'aristotelismo, molti filosofi e biologi si orientano nuovamente verso la concezione meccanica della vita. Di questi la maggior parte non possono dirsi né materialisti né meccanicisti in senso generale, bensì meccanicisti per quanto riguarda il fenomeno della vita. Cosi R. Descartes, che, rifiutando il principio di finalità, si sforza di considerare di esseri viventi come macchine: soltanto l'utimo ha un'anima - e ne è prova la coscienza - che non interferisce con i fenomeni materiali della vita. La scoperta della circolazione del sangue diede al Descartes nuovi argomenti in favore della sua teoria meccanica. Il Leibniz pure, col tentativo di conciliare l'esistenza dell'anima con la spiegazione meccanica del mondo, deve considerarsi come un fautore del meccanicismo biologico. A questa tendenza, che trova riscontro, da parte dei biologi, in varî tentativi d'interpretazione meccanica di alcuni fenomeni vitali, come quelli di G. A. Borelli, di L. Perrault, di N. Stenone, il vitalismo non seppe opporre altro che la tradizione aristotelica, più o meno alterata, e spesso malamente. Non altro valore è da annettersi alle speculazioni mistico-scientifiche di Paracelso o di S. B. van Helmont, il quale introdusse il termine di "archeo" per esprimere un concetto non diverso, e se mai meno preciso, della "forma" aristotelica. Anche la teoria animistica di G. E. Stahl, che afferma esplicitamente consistere il principio della vita in attività e non in materie, attività che operano snpra la materia e dal di fuori, non porta concetti nuovi, sebbene ordinai e collega in una vasta costruzione logica le ormai sparse membra del vitalismo antico.
Nel Settecento, quando l'indagine biologica rinasceva con spirito e problemi proprî, la controversia fra vitalismo e meccanicismo si fece più acuta e, dalla pura speculazione, fu portata sul terreno delle osservazioni. E s'incarnò spprattutto nella controversia fra gli epigenisti e gli evoluzionisti, o preformisti (v. embriologia: Embriologia sperimentale). Aristotele, e dopo di lui W. Harvey, che, nel SeicLnto riprese in esame acutamente il problema embriologico, concepivano lo sviluppo embrionale e la formazione dei varî organi come una sequela di formazioni ex novo dalla materia informe, per opera sempre di un principio immateriale, che le viene plasmando. Molti altri autori invece, fra cui i grandi nomi di J. Swammerdam, M. Malpighi, L. Bonnet, A. Haller, I. Spallanzani, erano del parere che lo sviluppo embrionale non fosse altro che un'evoluzione, un dispiegamento di parti preesistenti nel germe. Nulla di nuovo viene creato durante l'embriogenesi, ma soltanto, da un organismo in miniatura preformato nel seme - materno o paterno, secondo le opinioni - si viene sviluppando, nel senso etimologico del termine, il nuovo individuo.
Gli epigenisti (G. Buffon, J. Needham, P.-L., Maupertuis, ecc.) sposano di conseguenza la teoria vitalista e designano con varî nomi quella vis organizzatrice, quella forza vegetativa, o nisus formativus, che può assumere l'aspetto di una vera "forma" (moule intérieur del Buffon) su cui si plasma l'organismo. Anche la generazione spontanea è per essi una prova dell'esistenza di forze vitali capaci di fare riunire molecole sparse e non viventi in organismi. Gli evoluzionisti invece si sforzano di negare l'intervento di "quelle forze che con greco e antico nome diconsi plastiche" (Spallanzani) e cercano di ridurre tutto il processo dello sviluppo a un fenomeno puramente meccanico. I più spinti, come il Bonnet, vedono incapsulati gli uni negli altri tutti gl'individui di una serie di filiazioni (teoria degli inviluppi). Tali teorie, che pur condussero a ricerche e a scoperte fondamentali, e furono propugnate da uomini di valore, non segnarono la vittoria, né la più elevata espressione del meccanicismo. E neppure le teorie meccaniciste più generali, in parte derivate dall'empirismo e dal sensismo dei filosofi inglesi, neppure l'homme machine del de La Mettrie, né l'atomismo di Holbach, né la psicologia materialistica del Cabanis, e neanche lo spregiudicato antidommatismo di Voltaire e degli Enciclopedisti, valsero a debellare le dottrine vitaliste. Ché anzi, il Settecento si chiude con una nuova espressione del vitalismo, per opera di C. F. Wolff e di J. F. Blumenbach.
Il Wolff, nella sua Theoria generationis (1759), nega che la teoria della preformazione possa spiegare lo sviluppo embrionale, il quale è invece, per sua stessa natura, epigenetico, cioè creatore di forma dall'informe, ed esaminando i fenomeni embriologici e fisiologici, cerca di stabilire il nesso che collega, nei corpi viventi, il meccanismo alla vita. Per primo pone chiaramente in questi termini il problema, e immagina una forza vitale, che chiama vis essentialis, la quale presiede ai fenomeni meccanici della vita. L'opera del Wolff fece giustizia delle semplici teorie preformiste del Settecento e iniziò una nuova era dell'embriologia. Il Blumenbach, d'altro canto, nelle sue Institutiones physiologicae (Gottinga 1787) e nel trattatello Über den Bildungstrieb (ivi 1791) espose con chiarezza e con consapevolezza un sistema vitalista. Questi due autori si liberano anche del concetto di anima o spirito sostanziale, per introdurre un concetto essenzialmente dinamico, che rimarrà nel nuovo vitalismo.
L'indirizzo biologico della "Naturphilosophie" dei primi dell'Ottocento rappresenta invece un ritorno a speculazioni spesso vaghe e confuse, pervase di misticismo, da cui rampollarono, peraltro, idee ch'ebbero la massima importanza nello sviluppo storico della biologia, quale quella dell'evoluzione.
Il sec. XIX vide il trionfo del meccanicismo. Varie cause vi contribuirono: lo sviluppo imponente delle conoscenze scientifiche in genere, e di quelle biologiche in particolare, e quindi da un lato la penetrazione nei più intimi fenomeni dei meccanismi e delle strutture vitali, e d'altro lato la creazione delle grandi teorie trasformiste; e poi la corrente di reazione contro l'idealismo e l'istituzione della filosofia positiva e materialista, che finì con l'imporsi, verso la fine del secolo, e che nei dati delle scienze fisiche trovava appunto la massima ragione di vita. Vennero allora, verso la metà del secolo, le critiche serrate alla dottrina vitalista, e la speranza di poter ridurre tutti i fenomeni vitali a fatti chimici e fisici si tramutò ben presto, nella calda fantasia di molti, in orgogliosa sicurezza. Il darwinismo, e più quello elaborato dai darwinisti che non la teoria genuina del Darwin, dava finalmente una spiegazione dell'infinita varietà delle forme, che il caso aveva plasmato, nel corso dei secoli, e sembrava aver fatto giustizia del principio di finalità, interpretando i fenomeni dell'adattamento come un risultato della selezione ed escludendo ogni tendenza teleologica degli organismi. La generazione spontanea, benché negata apertamente dai famosi esperimenti di L. Pasteur, rimaneva come possibilità, che troppo spesso si credette dimostrata, ed era invocata da tutti i materialisti a spiegare l'origine della vita sulla terra per opera di sole forze fisiche. Facile illazione da tutte queste considerazioni, mentre il fervore delle ricerche e l'entusiasmo per i risultati raggiunti ottenebravano il senso critico, era la negazione dell'autonomia dei processi vitali, la negazione di tutte quelle "entità" o "forze" o "tendenze", più o meno oscure, occulte e intricate, immaginate nei secoli dai vitalisti, e che si sottraggono all'indagine sperimentale, e l'istituzione di un materialismo grossolano, su basi scientifiche.
È doveroso distinguere però, in questo fervore materialista, quelli che furono i critici sereni e seri del vitalismo, come R. H. Lotze. Claude Bernard, E. Du Bois Reymond, e coloro che, quasi inebriati dal trionfo della scienza, giunsero alla creazione di un dogmatismo materialistico, quasi una religione da sostituire all'antica, e sorvolarono sulle più palesi difficoltà, spingendosi alle esagerazioni più ingiustificate: prototipo di questi ultimi fu E. Haeckel. Fra i molti biologi, oltre a questo, che propugnarono il meccanicismo, alcuni furono soprattutto teorici e volgarizzatori, come GIoleschott. F. Le Dantec. ecc.: altri, ricercatori e sperimentatori, che portarono direttamente la teoria a confronto con i fatti. Fra questi uno dei più ferventi, e anche dei più insigni, fu J. Loeb, creatore della teoria dei tropismi secondo la quale tutti i moti degli esseri viventi sono la risposta obbligata a determinati stimoli. Questi promuovono negli organismi una serie di reazioni chimiche, che determinano un complesso di movimenti di risposta, quasi allo stesso modo che un colpo dell'acciarino determina l'esplosione della polvere pirica. Il fatto che questi movimenti possono talvolta riuscire dannosi all'organismo (come il fototropismo delle farfalle notturne, che le conduce a perire sulla fiamma) è prova del loro automatismo, e ne esclude la finalità. La scoperta della partenogenesi sperimentale, cioè della possibilità di fare sviluppare le uova senza fecondazione, sotto l'azione di alcuni stimoli di natura fisica e chimica (fecondazione chimica) parve al Loeb altra prova evidente del meccanicismo dei fenomeni vitali.
Nella seconda metà del sec. XIX si ebbe dunque la più completa espressione del meccanicismo, come negatore dell'autonomia dei fenomeni della vita, negatore della teleologia, e che cercò anche di creare una psicologia "scientifica" negando l'anima e considerando tutte le attività psichiche degli animali e dell'uomo come uno dei prodotti dell'attività fisico-chimica delle cellule viventi ("il cervello segrega il pensiero"). È superfluo ricordare quale vasta mole di costruzioni scientifiche o pseudoscientifiche fu subito elevata su queste premesse. Non si deve però dimenticare l'imponente serie di ricerche speciali promosse da questo indirizzo, particolarmente favorevole allo sviluppo delle scienze d'osservazione e sperimentali. Buona parte delle nozioni fondamentali della biologia moderna fu acquisita in quel periodo di appassionato lavoro.
Sul finire del secolo scorso e all'inizio del presente, la fede nel materialismo scientifico fu scossa. I pochi critici, la cui voce aveva risuonato invano, furono ascoltati e seguiti, e il dubbio s'insinuò negli animi. Lungo sarebbe esaminare tutte le cause di questo movimento: ne ricorderemo alcune. Le teorie dell'evoluzione furono sottomesse a una seria critica molte gravi difficoltà si fecero innanzi, e molte delle costruzioni filogenetiche elaborate con altrettanto entusiasmo quanta ingenuità, apparvero fragili edifici, fondati su cedevoli basi, indizî più che prove. Si tentò ripetutamente di scoprire il meccanismo dell'evoluzione, sperimentando sugli animali viventi: ne nacque un importante nuovo ramo della biologia, la genetica, che però non riuscì a portare gran luce su quel punto, e dimostrò invece un'insospettata stabilità delle specie viventi e la scarsezza estrema di variazioni ereditarie, su cui la selezione possa avere presa. L'interpretazione darwinistica dei fenomeni di adattamento si dimostrò così irta di difficoltà, e il finalismo negli organismi tornò ad apparire la ragione più plausibile di molti mirabili fenomeni che l'ecologia, la fisiologia, l'embriologia venivano studiando. L'interpretazione fisico-chimica dei fenomeni vitali non tardò a rendere palese il suo fallimento. La psicologia si vide costretta a ripudiare il materialismo.
In conseguenza di questo attivo movimento di ricerca e di critica, si ebbe una rinascita del vitalismo. È soprattutto a Hans Driesch (v.) che si deve una nuova profonda disamina di alcuni dei più caratteristici fenomeni della vita, e la notevole costruzione teorica, cui diede il nome di neovitalismo. Il Driesch prese le mosse, ancora una volta, dall'embriologia: l'analisi del differenziamento di quelli che chiamò sistemi armonici equipotenziali e dei fenomeni della regolazione funzionale e morfogenetica, nonché l'analisi dei movimenti degli organismi, lo portarono alla conclusione che "nessun meccanismo è in grado di fornire una ragione adeguata dei fenomeni biologici" e che invece "negli organismi è operante un fattore naturale elementare diverso dai fattori che entrano in giuoco nei fenomeni della vita inorganica". In virtù di questo fattore autonomo, vitale, non materiale, né risultante di una combinazione di altri agenti naturali, gli organismi e i processi organici formano una classe di fenomeni autonomi accanto alle altre classi di oggetti e processi naturali. A questo fattore immanente, a cui si deve il carattere teleologico dei processi vitali, il Driesch ha voluto dare il nome di "entelechia" pur riconoscendo la differenza fra la concezione aristotelica e la moderna, animista e trascendente la prima, piuttosto dinamica e immanente la seconda. Uno dei contributi essenziali del Driesch all'antica controversia è infatti la distinzione fra teleologia statica, che può considerarsi come il risultato di una armonia prestabilita e teleologia dinamica, come processo attuale, che si svolge nei singoli organismi.
Oltre al Driesch molti altri autori espressero, in forma più o meno completa e precisa, teorie vitaliste, e ancora oggi si polemizza e si teorizza sull'autonomia dei processi vitali e sul loro carattere irriducibile; fra gli autori più moderni che si occupano da un punto di vista generale di tale questione, ricordiamo il v. Üxküll e il v. Bertalanffy, il quale espose una sua teoria dell'"organicismo", che dovrebbe risolvere la controversia, quasi un compromesso tra le due dottrine. Se è vero che il neovitalismo non fu accolto dall'approvazione generale, è certo d'altra parte che le moderne ricerche embriologiche, fisiologiche, genetiche, vennero dimostrando sempre più la complessità e la peculiarità dei fenomeni della vita e non si può certo affermare ch'esse abbiano in alcun modo giustificato le rosee speranze concepite dei materialisti del secolo XIX. Molti biologi sono tuttavia rimasti fedeli al meccanicismo: per essi la necessità di ricorrere a un'interpretazione vitalista è soltanto dovuta alla nostra ignoranza dei più intimi meccanismi del processo vitale, e il meccanicismo dovrà definitivamente trionfare in futuro. Al vitahsmo essi muovono inoltrc l'appunto, non del tutto ingiustificato, di condurre, per le vie della metafisica, alla pura speculazione, distogliendo dalla ricerca sperimentale. La quale prevale oggi nello studio dei fenomeni biologici, indipendentemente da ogni professione di fede, talché, se pure l'atteggiamento dei singoli studiosi possa essere vitalista, o meccanicista, o agnostico, la ricerca è indirizzata essenzialmente sulla via positiva, verso una più completa conoscenza di quei meccanismi tanto complessi e oscur,. che potrà dare forse nuovi argomenti per l'antica controversia.
Bibl.: Lange, Gesch. des Materialismus, 9ª ed., Lipsia 1914; E. Rádl, Gesch. der biol. Theorien, Lipsia 1907-13; H. Driesch, Il Vitalismo. St. e dottrina, Palermo [1911]; E. Nordenskiöld, Die Gesch. der Biol., Jena 1926; L. v. Bertalanffy, Theor. Biologie, Berlino 1932.