Solidi, meccanica dei
La m. dei s. è una disciplina completamente formalizzata dal punto di vista matematico e dotata di una struttura deduttiva rigorosa che ne consente la formulazione completa dei problemi caratteristici e la discussione esauriente delle proprietà qualitative e quantitative delle loro soluzioni. Una discussione siffatta, oltre a restituire la descrizione formale della fenomenologia osservata che ne ha stimolato la costruzione, costituisce l'indispensabile premessa all'ulteriore convalida che a questa, come a ogni altra, teoria viene dal dispiegarne il potere di scoperta: sia quanto a predire fenomeni non ancora osservati nel proprio ambito applicativo diretto, in modo che si possa convalidare la teoria quale essa è per 'falsificazione', secondo l'insegnamento di K.R. Popper; sia quanto a lasciare immaginare quale teoria (o teorie) essa diventerà quando, aggiornandosi e ampliandosi, dovrà trovare applicazione in ambiti del tutto nuovi.
Un esempio significativo della relazione tra cognizione intuitiva e nozione formale corrispondente è fornito dall'idea stessa di corpo solido. Per precisare questa idea, distinguendola opportunamente da quella di corpo fluido, occorre affrontare la questione correlata della rappresentazione matematica di un corpo materiale e delle sue porzioni, in specie dell'identificabilità puntuale persistente delle sue particole. Risolta tale questione in senso affermativo, si possono affrontare e risolvere molti problemi di interesse negli ambiti applicativi più disparati, uno fra tutti la meccanica delle strutture, disciplina che ha come oggetto travi, piastre, gusci ecc. - sulla scala umana, ma anche sulle scale microscopica e submicroscopica, dove oggi si pongono i problemi meccanici nella scienza dei materiali e nella fisica dello stato solido - , strutture materiali di resistenza eccezionale, come bucky balls (stereocomplessi costituiti da 60 atomi di carbonio) e nanotubi, a parete singola e multiparete, di carbonio o no.
Vi sono tuttavia altre nuove e non meno interessanti applicazioni della m. dei s. (per es., quelle che coinvolgono problemi di ottimizzazione di forma, sia di organismi viventi sia di strutture artificiali), che richiedono una differente nozione di corpo materiale e la sostituzione del principio di identificabilità persistente con un principio più debole, secondo il quale ci si accontenta di misurare, istante per istante, la 'probabilità di presenza' della materia nei punti di una regione spaziale. In questa maniera si perde la distinzione tradizionale tra solido e fluido - così evidente, così naturale - con un'ulteriore conseguenza: il passaggio da una concezione deterministica 'binaria' della reperibilità di materia in un punto dello spazio (reperibilità 0 se assente, 1 se presente) a una concezione probabilistica (reperibilità compresa tra 0 e 1, estremi inclusi) porta con sé la perdita della distinzione naturale tra interno, frontiera ed esterno di un corpo materiale. L'idea stessa di problema con dati iniziali e al contorno - il cui sviluppo ha richiesto sforzi analitici notevoli e riscosso successi altrettanto notevoli, né è per numerosi versi ancora completato - deve allora necessariamente essere aggiornata oltre che ampliata.
La ricerca in questa direzione si può dire appena cominciata e richiederà presumibilmente molte energie. È chiaro che portare avanti un tale aggiornamento e ampliamento di scopi non basta: sono molte le applicazioni, magari ancora potenziali, che spingono a considerare corpi nei quali la distinzione tra interno e frontiera è diversa da quella tradizionale. Per es., modelli matematici di corpi con frontiera frattale (o addirittura, di corpi frattali) potrebbero dar conto del comportamento dei catalizzatori.
Proviamo a dare un'idea della differenza tra corpi ordinari e corpi con frontiera frattale, e dell'interesse di questi ultimi per applicazioni del genere di quella che abbiamo appena menzionato. La frontiera di un ordinario corpo N-dimensionale è un insieme essenzialmente (N-1)-dimensionale; nel caso usuale di N=3, l'insieme dei punti di frontiera ha quasi ovunque le proprietà geometriche di una superficie regolare e orientabile.
Si pensi, per fissare le idee, a un corpo cubico; a ogni punto di un corpo siffatto si può associare un numero intero, che indica la dimensione topologica massima di suoi intorni aperti costituiti da punti della sua stessa natura: 3 ai punti interni al cubo, 2 ai punti interni alle facce, 1 ai punti interni agli spigoli; ai vertici si può associare 0. In un corpo con frontiera frattale, tra punti interni e punti di frontiera sussiste ancora di regola (ma non sempre) una simile distinzione dimensionale, ma ai punti di frontiera va, per definizione, associato un numero reale positivo, che non è generalmente intero, minore del numero intero associato ai punti interni ma maggiore della dimensione topologica dell'insieme di frontiera; intuitivamente, dunque, la frontiera è sostanzialmente più 'spessa' che nei casi ordinari, quindi, presumibilmente, capace di interazioni insolite con l'ambiente circostante.
Per cogliere il significato e la portata delle generalizzazioni e dei cambiamenti di formato e di assiomi che si rendono necessari per adire a queste e altre nuove applicazioni della m. dei s., è indispensabile avere chiara la struttura concettuale consolidata di questa disciplina. Ne esporremo i lineamenti nel seguito, insistendo soprattutto sul ruolo diverso e complementare dei tre tipi di relazioni che intervengono nella formulazione di un problema di m. dei s., le equazioni di compatibilità cinematica, di bilancio e costitutive. Premetteremo a questa esposizione alcune righe di inquadramento della m. dei s. nell'ambito della fisica dei mezzi continui, con inevitabili limitazioni e semplificazioni.
Meccanica dei solidi e fisica dei mezzi continui
La distinzione tradizionale dei corpi materiali in corpi solidi, che hanno forma propria, e corpi fluidi, che non hanno forma propria (e che vengono ulteriormente distinti in corpi fluidi liquidi e corpi fluidi gassosi, o aeriformi) non ha più oggi carattere scientifico, perché non è convenientemente formalizzata: se intesa stricto sensu, riduce la m. dei s. allo studio del moto dei corpi rigidi; in senso lato, induce a classificare i corpi secondo il loro stato, una nozione che a sua volta dev'essere resa precisa. Mentre non c'è dubbio che una bottiglia di vetro sia un corpo per molti versi differente dall'acqua che contiene, non si può non pensare che quella bottiglia è stata formata da una pasta vetrosa sensibilmente fluida, né che l'acqua potrebbe esser stata o tornare ghiaccio: la classificazione degli stati possibili per i corpi materiali non si può fare in modo esauriente soltanto sulla base della loro capacità di mantenere la propria forma, per un periodo di tempo ragionevolmente lungo se raffrontato alla durata media della vita umana, a patto che le condizioni ambientali di temperatura, pressione ecc. non si discostino troppo da quelle usuali e che le forze applicate siano moderate. Tanto meno si può fare uno studio esauriente dei cambiamenti di stato sulla base di descrizioni verbali sostanzialmente qualitative.
La costruzione di teorie matematiche precise dei cambiamenti di stato è uno dei compiti di pertinenza della fisica dei mezzi continui, disciplina che comprende la meccanica dei continui, della quale la m. dei s. è la branca che include, tra le altre, anche una parte dedicata alla meccanica dei corpi rigidi. Le radici storiche della moderna m. dei s. non sono tanto nella meccanica discreta di Newton, dalla quale non può tuttavia naturalmente prescindere, quanto nelle ricerche su fili, catene pesanti e verghe portate avanti da D. Bernoulli e L. Eulero, ossia nei primi esempi di modelli matematici di strutture riguardate come corpi continui sottili.
Il concetto centrale della fisica dei continui è quello di campo (di velocità, forza, sforzo, temperatura, elettromagnetico ecc.). Si intende per campo una funzione definita in ogni luogo e ogni istante istante nell'ambiente spaziotemporale che fa da sfondo alle nostre osservazioni.
Moto, deformazione
Nella meccanica dei continui, un corpo deformabile e le sue parti sono tipicamente identificati con regioni aperte, connesse e limitate di uno spazio euclideo E - per noi qui di dimensione 3 - che viene appunto usato come ambiente e sfondo di osservazione. Presumeremo che ogni parte P di un corpo C coincida con l'interno della propria chiusura topologica e abbia per bordo ∂P una superficie dotata quasi ovunque (cioè, eccettuati eventuali spigoli e vertici) di normale n, orientata verso l'esterno di P. Questa presunzione riduce la generalità della nostra trattazione (per es., perché esclude di poter considerare parti che contengano o sviluppino fratture), ma alleggerisce alquanto il bagaglio matematico necessario per la comprensione; adotteremo un identico criterio di comportamento ogni volta che sarà opportuno.
L'identificazione tra corpo e regioni dello spazio-ambiente è puntuale: si suppone che ogni punto materiale possa essere identificato ('etichettato') per mezzo della posizione che occupa in una regione di riferimento fissata; di conseguenza, quando le deformazioni ammissibili sono descritte da funzioni regolari globalmente invertibili, non ci può essere creazione o distruzione di punti materiali, né può perdersi la distinzione tra punti interni e punti del bordo.
L'ipotesi di identificabilità puntuale, data spesso per scontata, merita una breve discussione. Essa risulta naturale nel caso di corpi solidi (purché crescendo non si rimodellino, come capita ai corpi viventi, nel caso dei muscoli, ossa, unghie e così via), i quali ci appaiono evolvere nello spazio-tempo in un modo che, almeno in linea di principio, riusciamo a seguire puntualmente in ogni istante dell'intervallo di tempo dedicato all'osservazione. Non è così nel caso dei liquidi, tanto meno dei gas. Proprio come fece Leonardo con le foglie secche per visualizzare il moto vorticoso delle particole d'acqua di un rigagnolo, possiamo immaginare di iniettare dei marcatori in un corpo liquido a un certo istante. Trascorso anche soltanto un attimo, l'osservazione del moto dei marcatori non ci fornisce sul moto del liquido informazioni sufficienti per poter ricostruire le traiettorie delle singole particole, se non approssimativamente, tramite procedimenti di interpolazione sempre in qualche misura arbitrari. Del resto, la percezione della complessità su piccola scala di fenomeni meccanici semplici da descrivere su scala maggiore ci viene da esperienze quotidiane, come l'osservazione dei granuli di polvere sospesi nell'aria, quando una lama di luce li colpisce: anche la più accurata registrazione del moto browniano di questi marcatori non ci consentirebbe di ricostruire il moto del volume d'aria che li contiene. Insomma, l'ipotesi di identificabilità puntuale, plausibile per i solidi e accettabile per i liquidi, non lo è altrettanto per i gas: in tutti i casi, occorre precisare le circostanze applicative nelle quali le predizioni fornite dalla meccanica dei continui sono da ritenere attendibili.
Sia dunque x la posizione di riferimento di un punto materiale tipico del corpo continuo C, per il quale non è per il momento necessario specificare la natura costitutiva. Un moto di C è una funzione regolare:
x → y=f(x,t)
che assegna a x la posizione y all'istante t di un intervallo di tempo prescritto; a quell'istante, la deformazione di C è descritta dalla funzione ft(x)=f(x,t); in particolare, la regione corrente Ct=ft(C) è l'immagine puntuale all'istante t della regione di riferimento C. Lo spostamento associato alla deformazione ft è il campo vettoriale su C definito da:
u(x,t)=ft(x)−x.
Un moto di C è rigido se ha la forma
r(x,t)x+t(t)+[R(t)−I)(x−o(t)] [1]
cioè, se consiste a ogni istante t di una traslazione, specificata dal vettore t(t), e di uno spostamento rotatorio attorno a un punto o(t)∈E, specificata dal tensore di rotazione R(t). Ricordiamo che un tensore è una trasformazione lineare di vettori in vettori; che un tensore di rotazione non cambia le lunghezze dei vettori né gli angoli tra loro e ha determinante unitario (detR=1); e che nella [1] I denota la trasformazione identica, di ciascun vettore in sé. Un moto rigido è di semplice traslazione se R(t)=I a ogni istante, e quindi il campo di spostamento corrispondente è
r(x,t)−x=t(t)
e di semplice rotazione attorno a un punto se t(t)≡0, e quindi
r(x,t)=o(t)+R(t)(x−o(t))
I corpi rigidi sono quelli per i quali i moti rigidi sono gli unici possibili. Come vedremo più avanti, questa restrizione cinematica semplifica notevolmente la descrizione del comportamento di questa classe di corpi solidi.
Perché, dato un moto di C, in un punto x di C non intervenga alcuna deformazione all'istante t non basta - e neppure è necessario - che ft(x)=x, cioè, che la posizione di x non sia diversa in quell'istante dalla posizione di riferimento, ovvero, il che è lo stesso, che u(x,t)=0; occorre invece che la posizione relativa a x di tutti i punti circonvicini non sia diversa da quella di riferimento, il che è garantito se:
ft(x+αh)−ft(x)=(x+αh)−x=αh
per α abbastanza piccolo e in qualunque direzione h ci si allontani da x, ovvero se
u(x+αh,t)−u(x,t)=0
valendo le stesse precisazioni su α e su h. L'oggetto matematico che misura la deformazione che interviene in un punto e a un istante fissati è il gradiente di deformazione F, una trasformazione lineare di vettori che si definisce come segue:
✄
Elenchiamo alcune conseguenze importanti di questa definizione:
se all'istante t non c'è deformazione in un intorno di x, allora F(x,t)=I; se la deformazione è rigida, allora F(x,t)=R;
poiché ogni deformazione è invertibile, si ha che detF(x,t)>0; detF misura la variazione locale di volume, che è nulla se:
detF(x,t)=1 [2]
una contrazione se detF(x,t)⟨1, una dilatazione altrimenti;
una deformazione si dice localmente pura se F(x,t) è un tensore simmetrico e positivo (il tensore trasposto TT di un tensore T verifica la relazione a∙Tb=b∙TTa per ogni coppia di vettori a, b; T si dice simmetrico se T=TT, antisimmetrico se T=−TT; infine, T si dice positivo, se a∙Ta>0 per ogni vettore a, b≠0);
(solidità e fluidità) per corpi il cui stato locale istantaneo sia completamente descritto dal valore del gradiente di deformazione, una nozione di queste specificità costitutive, che può essere resa matematicamente precisa, è la seguente: l'elemento di un corpo siffatto è solido se è insensibile almeno ad alcune rotazioni (o magari a tutte, se è un solido isotropo), nel senso che risponde a ogni ulteriore deformazione come risponderebbe se tali rotazioni non fossero avvenute (quindi, quelle rotazioni non sono rivelabili con esperimenti meccanici); è fluido se, oltre che a tutte le rotazioni, è insensibile anche a tutte le deformazioni pure che lascino inalterato il volume (una deformazione di questo genere si può immaginare come un miscelamento, che è possibile ottenere tanto agitando quanto mescolando). Notiamo altresì che nella classe di corpi considerata se ne trovano taluni che non sono solidi né fluidi.
La velocità istantanea di un punto materiale nel corso di un moto è per definizione il campo che si ottiene eseguendo il limite:
✄
È facile vedere che la velocità misura la rapidità di spostamento:
✄
della quale il gradiente di velocità F misura la variazione spaziale. Il punto sovrapposto indica l'operazione di differenziazione rispetto alla variabile tempo; per es., in una traslazione il campo di velocità ha l'aspetto:
✄
Capita sovente - e in meccanica dei fluidi è la regola - che il campo di velocità sia considerato sulla regione corrente Ct, invece che su quella referenziale: poiché la deformazione ft è invertibile e, quindi, x=ft−1(y), basta porre:
✄
Per es., in una rotazione attorno al punto fisso o, al campo di velocità si può conferire l'aspetto:
✄ [3]
dove la velocità angolare istantanea w(t) è il vettore univocamente determinato, quando sia assegnato il moto rigido [1], dal tensore antisimmetrico:
✄
Forze e sforzo. - Sia un corpo con l'ambiente che lo circonda, sia le parti di corpo adiacenti tra loro si scambiano forze di contatto c e forze a distanza d, le quali inducono nel corpo un campo di sforzo S; le forze sono campi vettoriali, lo sforzo è un campo tensoriale.
Le forze di contatto sono un ingrediente caratteristico della meccanica dei continui: la meccanica discreta, che riguarda i sistemi materiali come costituiti da particelle, contempla soltanto forze a distanza; in una giustapposizione qualitativa tra i due tipi di teoria, alle forze di contatto si attribuisce il compito di dar conto delle forze a distanza tra particelle vicine. Anche il concetto di sforzo è caratteristico della meccanica dei continui: se per il punto x di un corpo materiale si immagina di far passare un piano di normale n, allora il vettore S(x,t)n si intende che misuri l'interazione di contatto locale (una forza a unità di superficie) tra le due parti di corpo adiacenti che il piano separa.
I campi ((c,d),S) si dicono bilanciati se la potenza delle forze eguaglia la potenza dello sforzo, cioè, se
✄ [4]
per qualunque parte P del corpo C e qualunque campo di velocità di prova _v si scelga in una prefissata collezione −V (∇ _v indica il gradiente del campo _v).
La formulazione completa di questa relazione tra forze e sforzo richiede due precisazioni cruciali: la collezione −V deve comprendere almeno tutti i campi di velocità di tipo rigido e tutti i campi di velocità realizzabili, cioè quelli associati, in un istante qualsiasi, a uno qualsiasi dei moti ritenuti possibili per la classe di corpi di interesse; il campo di sforzo S deve soddisfare due restrizioni costitutive, cioè, due requisiti che specificano, seppure in modo molto generale, la natura dei corpi cui la teoria si applica.
La prima di queste restrizioni è che la potenza dello sforzo deve essere nulla per ogni campo di velocità rigido, una condizione che si può ridurre alla richiesta che il campo tensoriale SFT abbia valori simmetrici in ogni moto possibile:
SFT=(SFT)T. [5]
Alla formulazione della seconda restrizione premettiamo l'osservazione che, se i campi ((c,d),S) sono bilanciati, lo sono anche i campi ✄, purché
✄
Dunque, la relazione [4] tra campi di −V forze e campo di sforzo ha un'intrinseca dose di ambiguità, che si può temperare richiedendo che lo sforzo sia costitutivamente precisato in termini delle deformazioni che accompagna soltanto a meno di un campo addizionale S(R), che prende il nome di sforzo reattivo, così caratterizzato: la potenza dello sforzo reattivo deve essere nulla per ogni campo di velocità realizzabile. Questa condizione si può ridurre alla richiesta che il campo tensoriale S(R) sia ortogonale al gradiente di velocità in ogni moto possibile:
✄ [6]
Si intende di conseguenza il campo di sforzo S che appare in [4] come la somma
S=S(A)+S(R) [7]
di uno sforzo attivo S(A), determinato dalle deformazioni che intervengono nel corso del moto a seguito dell'interazione del corpo con l'ambiente, e di uno sforzo reattivo S(R), che, nel modo energeticamente più economico (cioè, senza spesa di potenza), garantisce che il corpo risponda alle sollecitazioni solo con moti del tipo previsto, rispettando i vincoli cinematici che gli sono stati imposti. Si trova anche conveniente richiedere che
S(A).S(R)=0. [8]
Un esempio particolarmente interessante per le sue molte applicazioni è quello dei corpi incomprimibili, il volume di qualsiasi parte dei quali non può cambiare in alcuno dei moti possibili. Questo vincolo cinematico, espresso dalla condizione [2], impone, in forza della [6], che lo sforzo reattivo corrispondente sia determinato da un campo di pressione π:
S(R)FT=−πI, π(x,t)>0.
Il campo di pressione, i cui valori vanno calcolati in base alle circostanze del moto in esame, non può essere oggetto di prescrizioni costitutive, che invece sono necessarie per specificare lo sforzo attivo S(A) in un qualche modo compatibile con [8].
Un altro esempio è fornito dai corpi rigidi, per i quali segue dalle relazioni [5]-[8] che
S=S(R)= un tensore arbitrario
un risultato che denuncia l'irrilevanza della nozione di sforzo nello studio di questa classe di corpi solidi.
Problemi di evoluzione
La relazione di bilancio [4] ha importanza centrale in meccanica dei continui, perché costituisce il primo e più importante ingrediente della formulazione matematica dei problemi di evoluzione, che la teoria si propone di risolvere.
Questi problemi assumono forme alquanto differenti a seconda della cogenza della doppia quantificazione che appare nella relazione di bilancio, sulla collezione delle parti e su quella delle velocità ammissibili.
Nel caso di un singolo corpo rigido, la collezione delle parti significative consiste di un unico elemento, il corpo stesso, e la collezione dei campi di velocità di prova consiste di quelli di tipo rigido soltanto. Allora, se si sceglie un arbitrario campo di velocità di traslazione, si ottiene dalla [4] che il risultante delle forze agenti su C deve essere nullo:
✄ [9]
Se poi si sceglie un campo di velocità di rotazione come nella [3], si trova che
[10]
✄
ossia, che anche il momento risultante delle forze agenti su C deve essere nullo. Si osserverà che il campo di sforzo in C, che sappiamo essere soltanto reattivo e arbitrario, non interviene in queste relazioni e non ha, quindi, alcun ruolo per bilanciare le forze applicate.
Le condizioni di nullo per risultante e momento risultante esauriscono, per un singolo corpo rigido, il contenuto della relazione generale di bilancio [4]. Basta tuttavia prendere in esame sistemi materiali più ricchi di parti per accorgersi che quanto più quella relazione è cogentemente quantificata tanto maggiore è il suo contenuto informativo. Consideriamo, per es., un sistema composto da due corpi rigidi Cα (α=1,2), che abbiano a comune il punto, di modo che i loro moti rα siano tali che
✄ [11]
a ogni istante t. Questa condizione impone che la sottocollezione di −V costituita dai campi di velocità di prova realizzabili consista di un'arbitraria traslazione d'assieme dei due corpi e di arbitrarie rotazioni di questi attorno al punto comune. Di conseguenza, le condizioni di bilancio che seguono dalla [4] sono adesso tre: una corrisponde alla [9] e ha l'aspetto:
r(C1)+r(C2)=0 [12]
le altre due, che corrispondono alla [10], sono:
m(C1)=0, m(C2)=0. [13]
Ma tra le velocità di prova se ne possono anche annoverare di incompatibili con la condizione [11]: attribuendo ai due corpi velocità di traslazione arbitrarie distinte, si ottiene dalla [4] che
r(C1)+r12=0, r(C2)+r21=0
e se ne deduce, in vista di [12], che l'interazione tra i due corpi è reciproca, nel senso che la forza interna r12 esercitata da C1 su C2 dev'essere uguale e opposta a quella esercitata da C1 su C2:
r12=−r21.
Va da sé che analoghi risultati valgono quando le costrizioni cinematiche mutue tra i corpi sono diverse da quella considerata e quando si ha a che fare con sistemi di molti corpi rigidi.
Per finire, consideriamo il caso di un corpo deformabile, dotato quindi di infinite parti di forma arbitraria e di campi di velocità realizzabili non esclusivamente di tipo rigido. Allora, la giustapposizione della relazione generale di bilancio [4] con la ben nota identità differenziale
✄
ci permette di riguardare (cs=Sn, ds=−divS) come la coppia di campi di forza a distanza e di contatto associati al campo di sforzo S e di interpretare la condizione di bilancio come il requisito che cs eguagli puntualmente c e ds, d:
Sn=c in ∂B, −divS=d in B. [14]
Dunque, mentre il bilancio di uno o più corpi rigidi è espresso da un numero finito di relazioni che valgono per parti, il bilancio di corpi deformabili è espresso da relazioni puntuali, tra le quali compare un'equazione alle derivate parziali.
Le relazioni di bilancio acquisiscono natura evolutiva quando si distinguono le forze a distanza in forze inerziali e non:
d=d(in)+d(ni)
accogliendo per le prime la classica rappresentazione newtoniana in termini di densità di massa ρ e accelerazione ✄:
✄
(per semplicità consideriamo qui soltanto forze a distanza esterne, rinunciando a considerare fenomeni di autogravitazione e simili). Questa specificazione è sufficiente a ottenere le equazioni di evoluzione per uno o più corpi rigidi, le classiche equazioni di Eulero, un sistema non lineare di equazioni differenziali ordinarie del secondo ordine, che è ancor oggi oggetto di notevole attenzione per le sue innumerevoli applicazioni in meccanica terrestre e celeste, balistica e così via.
Combinando queste relazioni con la seconda relazione di bilancio [14] si ottiene:
✄
un'equazione alle derivate parziali che coinvolge i campi di spostamento e di sforzo. La scelta di una relazione tra questi campi specifica ulteriormente la natura di questa equazione differenziale: per es., nel caso classico dell'elasticità lineare, si sceglie
S(u) =2μ(∇u+∇uT)+λ(∇u∙I)I.
Allora, nelle ipotesi usuali sulle costanti costitutive λ e μ e ponendo d(ni)=0, si ottiene un ben noto sistema differenziale di tipo iperbolico, che determina il campo di spostamento u nei casi di vibrazione libera e trasmissione di onde in corpi solidi isotropi linearmente elastici:
✄