CELESTE, MECCANICA
1. Le osservazioni astronomiche e una lenta, ma incessante evoluzione delle dottrine filosofiche e meccaniche della natura condussero alla legge della gravitazione universale (v. gravitazione, XVII, p. 771), enunciata dal Newton nei suoi Philosophiae naturalis Principia mathematica (1687). Scrive H. Poincaré che lo scopo finale della meccanica celeste è di risolvere questa grande questione, di sapere se la legge di Newton spiega da sola tutti i fenomeni astronomici.
Si darà qui un rapido sguardo ai principali risultati conseguiti intorno al problema fondamentale del moto degli astri, quando si introducano convenienti semplificazioni per la loro trattazione matematica, suggerite dalla constatazione che le dimensioni dei corpi celesti sono piccole in confronto delle loro mutue distanze.
2. Distinguiamo nell'Universo il sistema planetario e le cosiddette stelle fisse, cioè quegli astri che si presentavano (almeno fino alla metà del sec. XVIII) come punti luminosi tra cui non si riscontrava da secoli alcun sensibile cambiamento di posizione relativa.
Le osservazioni mostrano che la distanza della stella più prossima al sole è (in cifra tonda) 300.000 volte la distanza Sole-Terra o 7000 volte la distanza Sole-Nettuno. Si può quindi ritenere in virtù di un ragionevole principio di approssimazione che l'insieme delle stelle non eserciti sensibile influenza sugli elementi del sistema planetario.
Dopo che per opera di Copernico, Kepler e Galileo fu dimostrata insostenibile l'ipotesi della concezione geocentrica dell'Universo, il Newton fu condotto alla fondazione della dinamica, assumendo come riferimento fondamentale le stelle fisse (moto assoluto). E le leggi meccaniche restano immutate se il fenomeno di moto si riferisce ad una terna di assi cartesiani animata da moto traslatorio uniforme rispetto alle stelle fisse, conformemente al principio galileiano di relatività. Sono questi assi galileiani che costituiscono di solito i riferimenti della meccanica celeste.
3. La prima approssimazione per lo studio matematico dei moti celesti consiste nel sostituire ad ogni astro un unico punto (il suo centro di gravità) in cui sia concentrata tutta la sua massa. Denoti P un pianeta. Se fosse isolato, in virtù del principio d'inerzia (Lex prima dei Principia di Newton), la sua accelerazione rispetto ad assi galileiani (accelerazione assoluta) sarebbe nulla. In realtà non è tale, perché P subisce l'azione degli altri astri e specialmente del Sole.
Le leggi di Kepler stabiliscono che il moto di P intorno ad S è ellittico e soddisfa alla legge delle aree (v. cinematica, X, p. 326).
Newton deduce che l'accelerazione di P relativa ad S (rispetto ad una terna di assi cartesiani di direzioni invariabili relativamente alle stelle fisse e con l'origine in S) è diretta secondo la congiungente P con S, rivolta verso S, e varia in ragione inversa del quadrato della distanza r dei due astri. Non solo, ma, considerate tutte le possibili coppie Sole pianeta, ciascuna isolata, in virtù della terza legge di Kepler, il fattore di proporzionalità è il medesimo per tutte le coppie.
È questo il punto di partenza di una serie di induzioni mirabili che hanno condotto il Newton all'enunciazione della sua legge. Questa era stata enunciata anche prima del Newton in analogia col fenomeno di emissione della luce. "Mais - scrive il Laplace nella sua celebre Mécanique céleste - l'honneur d'une découverte appartient à celui qui, le premnier, l'établit solidement par le calcul ou par des observations décisives; et c'est ce que Newton a fait incontestablement à l'égard de la pesanteur universelle".
4. Newton ha posto e risolto per primo il seguente problema. Siano S e P due corpi (punti materiali). Si supponga che S sia fisso (in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto alle stelle fisse) e che attragga P con una forza centrale d'intensità inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Determinare il moto di P.
Le condizioni espresse nell'enunciato sono sensibilmente realizzate nel caso in cui la massa di P sia trascurabile rispetto a quella di S, talché P non influisce in modo apprezzabile su S, che perciò si può riguardare come fisso. Questo problema si dice del centro .fisso o del Newton.
Supponiamo unitaria la massa di P. La natura del moto dipende dalle condizioni iniziali, cioè dalla posizione P0 e dalla velocità (vettoriale) v0 che ha P ad un istante determinato t0. Ma quali che siano queste condizioui, la traiettoria di P è rettilinea o una conica, di cui S è un fuoco.
Il moto è rettilineo se la velocità iniziale v0 è diretta secondo la congiungente SP0, nel qual caso il momento della quantità di moto iniziale (che qui è eguale a quello di v0 per essere unitaria la massa di P) rispetto a S è nullo. Se l'energia totale E di P (somma dell'energia cinetica e dell'energia potenziale) è negativa e se v0 è diretta verso S, P tende a collidere con S in un tempo finito (urto tra i corpi celesti S, P); se v0 è diretta nel verso opposto, P si allontana da S, poi retrocede e tende a collidere con S.
Se E non è negativa, il moto di P non presenta alcuna inversione e P tende a collidere con S o ad allontanarsi indefinitamente, secondo che v0 è diretta verso S o nel verso opposto.
Se la velocità iniziale v0 non è diretta secondo la congiungente, il moto di P è piano e la traiettoria (orbita di P) giace nel piano di S e del vettore v0.
Dalla natura centrale della legge di forza sollecitante P segue che è costante, durante il moto, il momento della quantità di moto (o della velocità della massa unitaria) di P rispetto alla generica normale al piano del movimento. Questa quantità si indica con c e si dice costante delle aree: il valore assoluto di c è la lunghezza del vettore momento di v0 rispetto ad S, cioè di (P − S) ≿ v0, ed è il doppio dell'area descritta dal raggio vettore SP nell'unità di tempo. Nel caso qui considerato è c ≠ 0 e, se si fissa nel piano del moto un sistema di coordinate polari col polo in S, l'equazione dell'orbita di P è della forma
dove θ0 è l'anomalia di P0, p ed e sono il parametro e l'eccentricità (v. coniche, XI, p. 151).
Se k denota l'intensità dell'attrazione che subisce l'unità di massa all'unità di distanza da S, si trova che
Dunque, l'orbita è ellittica, parabolica o iperbolica secondo che l'energia totale E è negativa, nulla o positiva. In ogni caso, la legge temporale, atta a determinare l'ubicazione di P, si deduce dalla legge delle aree r2θ??? = c, dove θ??? denota la derivata rispetto al tempo dell'anomalia di P (velocità angolare). Fissata per l'energia potenziale di P la determinazione nulla quando P è infinitamente lontano da S, in ogni caso l'energia totale, che è costante durante il moto in virtù del principio della conservazione dell'energia, si calcola con le condizioni iniziali. Se queste sono talì che risulti E negativa, si ha il caso astronomicamente più importante. Questa condizione comporta una limitazione per la velocità iniziale che risulta senz'altro dall'espressione di E in funzione di r0, distanza iniziale di P da S, e di v0, cioè E = ½v02 − k/r0. Dev'essere dunque v02 〈 2k/r0 affinché il moto sia ellittico, naturalmente insieme con la condizione c ≠ 0. In particolare, se la velocità iniziale v0 è diretta normalmente alla retta SP0 e se v02 = k/r0, si ha moto circolare ed uniforme (come segue dalla legge delle aree). se la velocità iniziale v0 è ancora diretta normalmente alla retta SP0, ma è v02 ≠ k/r0 (vo2 〈 2k/r0) l'orbita è ellittica e P0 è necessariamente alla minima o alla massima distanza dal centro dell'orbita. In ogni caso, sia ellittico o circolare, il moto è periodico e il periodo T è dato da
5. Ridotte le leggi di Kepler ad una causa unica, con considerazioni di approssimazioni e di induzioni successive e soprattutto appoggiandosi sulla geniale intuizione (memorabile applicazione del principio di continuità nei fenomeni della natura) che l'attrazione della Terra sulla Luna fosse della stessa natura della forza di gravità che si fa sentire alla superficie della Terra su ogni corpo comunque piccolo, il Newton formulò la sua legge nei termini seguenti.
Nell'Universo due punti materiali quali si vogliano si attraggono vicendevolmente con una forza, diretta secondo la loro congiungente, proporzionale direttamente alle loro masse m, m′, inversamente al quadrato della loro distanza r:
La costante f di attrazione (detta costante di Gauss) che è l'intensità della mutua attrazione di masse unitarie all'unità di distanza fu determinata la prima volta con esperienze di laboratorio dal Cavendish nel 1797. I differenti procedimenti fisici fin qui istituiti per la valutazione di f conducono ad attribuirle il valore f = 6,7 × 10-8 unità C. G. S. Nella trattazione matematica del problema del centro fisso, la costante k è data da k = fm0, se m0 è la massa del centro fisso S. Si mostra che la legge newtoniana lascia sussistere in prima approssimazione le leggi di Kepler, quando cioè si riguardino trascurabili la massa dei pianeti in confronto di quella del Sole e la massa dei satelliti in confronto di quella del rispettivo pianeta. Non solo, ma già lo stesso Newton sottopose al calcolo per primo il moto delle comete (cometa di Halley), mostrando l'accordo mirabile tra i risultati delle osservazioni e le conseguenze della legge della gravitazione universale. Questi fatti costituiscono le prove più importanti della legittimità della legge newtoniana. Si può dedurre ancora dal moto della Luna il valore dell'accelerazione g della gravità che risulta in buon accordo con quello determinato con esperienze terrestri.
In verità lo studio approfondito dei fenomeni celesti ha talvolta condotto a formulare dei dubbî sulla validità universale della legge newtoniana. A questo proposito non possiamo far di meglio che citare il Laplace. Egli scrive: "Les observations anciennes et modernes semblaient auparavant inexplicables par la loi de la pesanteur universelle; elles en sont maintenant une des preuves les plus frappantes. Tel a été le sort de cette brillante découverte, que chaque difficulté, qui s'est élevée, est devenue pour elle un nouveau sujet de triomphe; ce qui est le plus sûr caractère du vrai système de la nature".
6. Lo stesso Newton ha riconosciuto che la sua legge doveva condurre alla caratterizzazione dei moti dei corpi celesti ed anche spiegare la forma della superficie cui si atteggiano gli astri. Noi ci occupiamo qui solo del primo problema, segnalando le successive tappe segnate dai cultori della dottrina newtoniana fino ai nostri giorni. Il secondo problema è oggetto di un importante capitolo della meccanica celeste concernente le figure di equilibrio relativo di una massa fluida rotante. La teoria della figura della Terra è il problema fondamentale della geodesia.
7. Si tratta dunque di determinare il moto di un qualunque sistema di corpi che si attraggono mutuamente con la legge nevvtoniana. Questione estremamente complessa anche nella sua formulazione matematica più semplice, che costituisce il più celebre fra tutti i problemi della dinamica.
Alcune precisazioni sono necessarie per porre i fondamenti della teoria matematica del problema.
La possibilità di sostituire ad ogni corpo celeste un unico punto materiale consegue dal principio di reazione (Lex tertia dei Principia di Newton) che consente di eliminare le forze interne agenti in seno ad ogni astro; e dalla circostanza fondamentale, già dichiarata al n.1, secondo cui le dimensioni dei corpi celesti sono piccole in confronto delle mutue distanze: ciò si esprime matematicamente, ove si ammetta che, se non
il suo quadrato
sia trascurabile, essendo D ed R rispettivamente la massima dimensione lineare dei corpi e la minima distanza delle possibili coppie di punti di corpi differenti.
Sono queste le specificazioni che, sulla base della legge fondamentale della meccanica newtoniana (Lex secunda dei Principia di Newton) consentono di dare la sua classica schematizzazione al problema degli n corpi, tenendo conto ove sia necessario caso per caso delle azioni addizionali (forze perturbatrici) che riassumono l'influenza così dei termini trascurati di proposito come di eventualità non prima contemplate. Si sostituisce così al fenomeno reale un problema puramente matematico i cui sviluppi conducono a risultati che vanno sottoposti al controllo sperimentale, prima di essere accettati quali patrimonio sicuro della scienza astronomica.
Lo scopo dei paragrafi seguenti è dunque di porre in equazione il problema degli n corpi (n qualunque), soffermandoci in particolare sui casi di due o tre corpi.
Mentre il problema dei due corpi è integrabile e si riconouce a quello del centro fisso (n. 4), già il problema dei tre corpi offre difficoltà analitiche elevatissime.
Per le notizie storiche intorno a questo celebre problema, v. tre corpi, Problema dei (XXXIV, p. 248).
8. Equazioni differenziali del problema degli n corpi. - Determinare il moto di n punti materiali che si attraggono mutuamente con la legge newtoniana, essendo il sistema sottratto all'azione di forze esterne. - Si tratta cioè di calcolare in funzione del tempo le coordinate dei punti rispetto ad una terna di assi galileiani.
È importante osservare che il centro di gravità G del sistema è fisso (in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto al riferimento adottato). È ciò che consegue dal teorema del moto del centro di gravità (v. dinamica, X, p. 325). Le equazioni differenziali del moto assumuno differenti aspetti secondo che si contempli il moto (assoluto) dei corpi intorno al centro di gravità G del sistema o rispetto ad assi di direzioni invariabili, la cui origine sia uno dei corpi (moto relativo).
a) Le equazioni del moto assoluto. - Sia Oxyz una terna galileiana di riferimento rispetto alla quale il corpo Pi (i = 1, 2, ..., n) di massa mi abbia le coordinate xi, yi, zi. Sia rik la distanza di Pi da un altro corpo Pk del sistema e denoti gradi rik il vettore le cui componenti cartesiane sono le derivate di rik rispetto alle coordinate di Pi, cioè il vettore unitario della direzione PiPk nel verso da Pi a Pk.
L'attrazione newtoniana che l'unità di massa di Pk esercita sull'unità di massa di Pi è allora rappresentata (vettorialmente) da
così che se ai denota l'accelerazione (assoluta) di Pi, le equazioni differenziali del moto degli n corpi sono
la somma a secondo membro essendo estesa a tutti i valori di k da 1 ad n, escluso i.
Si tratta di un sistema differenziale (di ordine 6n) di 3n equazioni del 2° ordine sotto forma normale, le cui funzioni incognite sono le coordinate xi, yi, zi dei punti del sistema (v. equazioni, XIV, p. 136). È questa la classica forma newtoniana delle equazioni del problema che consegue senz'altro dalla Lex secunda dei Principia e dal principio del parallelogrammo delle forze.
A Lagrange si deve l'osservazione capitale che le componenti carteziane dei secondi membri delle equazioni (1) sono le derivate rispetto alle coordinate xi, yi, zi di Pi di un'unica funzione U (fonction desforces). la quale risulta determinata a meno di una costante additiva. Questa funzione U, che comunemente dicesi il potenziale delle mutue attrazioni o potenmale newtoniano, è espressa da
la somma essendo estesa a tutte le possibili combinazioni (semplici) degl'indici da 1 ad n due a due.
Se gradi U denota il vettore di componenti cartesiane
le equazioni (1) assumono la forma
b) I dieci integrali del problema. - Se x0, y0, z0 denotano le coordinate del centro di gravità G del sistema, talché, se m = Σmi è la massa del sistema, si ha
dalle equazioni (1) consegue (per il principio di reazione) ma0 = 0, se a0 denota l'accelerazione assoluta di G. Se allora úi, ÿi, żi sono le componenti cartesiane della velocità vi di Pi, si ha che
dove a1, a2, a3 denotano tre costanti arbitrarie.
Integrando si ha allora
essendo b1, b2, b3 altre tre costanti arbitrarie.
Le equazioni (3), (4) costituiscono i sei integrali del centro di gravità (v. dinamica, XII, p. 860 segg.; integrale primo, XIX, p. 371) ed esprimono che questo punto è in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto ad una qualunque terna galileiana Oxyz. Dalle (1) segue anche che
dove K è un vettore costante (eventualmente nullo) che rappresenta il momento (risultante) delle quantità di moto dei corpi rispetto all'origine O. Se c1, c2, c3 sono le sue componenti, sussistono le tre equazioni
che sono identicamente soddisfatte durante ogni moto dei corpi per convenienti valori delle costanti a secondo membro. Diconsi gli integrali delle aree ed esprimono che le somme dei prodotti delle masse per le velocità areolari delle proiezioni dei corpi sui piani coordinati Oyz, Ozx, Oxy sono costanti durante il moto (v. dinamica, X, p. 861). Infine sussiste l'integrale delle forze vive
secondo cui l'energia totale E del sistema (somma dell'energia cinetica e dell'energia potenziale − U) è costante durante il moto (v. dinamica, X, p. 862). La costante dell'energia E risulta determinata, come le costanti delle aree c1, c2, c3, dalle condizioni iniziali del moto, cioè dalle coordinate xi0, yi0, zi0 (i = 1, 2, ..., n) e dalle velocità úi0, ÿi0, żi0, (i = 1, 2, ..., n) dei punti Pi ad un istante determinato t = t0.
Si osserverà che se si assume quale terna di riferimento una terna Gxyz di assi di direzioni invariabili (rispetto alle stelle fisse) con l'origine nel centro di gravità, si tien conto implicitamente dei sei integrali del centro di gravità. Se poi il momento (vettoriale) baricentrale KG delle quantità di moto del sistema non è nullo, risulta individuato nello spazio un piano π per G, la cui direzione normale è quella di KG. Poiché KG è costante durante il moto, il piano π è invariabile ed anzi la sua giacitura resta immutata anche quando si valuti il momento delle quantità di moto assolute relativamente ad un qualunque altro punto fisso rispetto a Gxyz. L'esistenza del piano invariabile π è stata rilevata dal Laplace ed ha una notevole importanza nello studio del moto (v. dinamica, X, p. 861; piano: Piano invariabile del Laplace, XXVII, p. 106).
c) Le equazioni del moto relativo. - Si denotino i corpi con Pi (i =- 0, 1, 2, ..., n). Dicesi relativo a P0 (corpo centrale) il moto di ogni Pi (i = 1, 2, ..., n) rispetto ad una terna P0xyz di assi di direzioni invariabili con l'origine in P0. L'accelerazione αi di Pi relativa a P0 è αi = ai − a0. Segue dalle (1) che le equazioni (newtoniane) del moto relativo sono
nella prima somma a secondo membro va escluso per k il valore i. Se si nota che Fi0 + F0i = 0, le equazioni si possono anche scrivere nella forma
Queste si possono riguardare come le equazioni del moto assoluto di Pi (i = 1, 2, ..., n) qualora P0 fosse fisso ed emanasse da esso una forza che, per unità di massa di Pi, fosse espressa dal secondo membro.
Nel caso di due corpi (n = 1), si ha semplicemente l'equazione
e si può quindi affermare che il moto di P1 relativo a P0 è il moto assoluto di P1 qualora P0 fosse fisso ed in esso fosse concentrata la massa del sistema (essendo l'unica forza agente su P1 l'attrazione newtoniana di P0).
Valgono quindi i risultati conseguiti nel problema del centro fisso (n. 4); in particolare la traiettoria di P1 relativa ad un sistema di assi di direzioni invariabili con l'origine in P0 (o di P0 relativa a P1) o è rettilinea o è una conica di cui P0 è uno dei fuochi.
Per n > 1, il corpo Pi risente, per unità di massa, non solo l'azione del corpo centrale P0, che è rappresentato dal termine (m0 + mi) Fi0, ma anche mn'azione da parte di ogni altro corpo Pk, rappresentata da mk (Fik − F0k). Questa è la differenza delle attrazioni che il corpo perturbatore Pk esercita sull'unità di massa del corpo perturbato Pi e sull'unità di massa del corpo centrale. La somma delle azioni che ogni corpo Pk, diverso da P0, esercita su Pi dicesi forza perturbatrice.
È importante osservare che anche qui, come per le equazioni del moto assoluto, la somma a secondo membro di (7) è, per ogni valore dell'indice i, un gradiente (della cosiddetta funzione perturbatrice), ma si presenta la circostanza sfavorevole che questa varia da corpo a corpo.
9. Moto di due corpi intorno al loro centro di gravità. - Se la velocità iniziale di uno dei corpi (e quindi dell'altro) è diretta secondo la congiungente, il moto è rettilineo. Escluso questo caso, il moto avviene nel piano invariabile e la traiettoria di ciascun corpo è una conica, di cui il centro di gravità occupa uno dei fuochi. In particolare è possibile che la distanza dei due corpi resti inalterata: caso del moto circolare, nel quale i corpi ruotano intorno al baricentro con velocità angolare costante.
10. Considerazioni sul moto di tre corpi intorno al centro di gravità. - Se le velocità iniziali dei corpi sono complanari, il moto è piano ed avviene nel piano invariabile. In particolare, il moto è piano, se il momento baricentrale (costante) delle quantità di moto KG è nullo (poiché in tal caso le quantità di moto costituiscono un sistema equilibrato). K. F. Sundman ha dimostrato che, solo se KG = 0, si può verificare una collisione generale dei corpi, altrimenti possono avvenire soltanto urti binarî. Nel caso generale in cui le velocità iniziali non sono complanari (e quindi KG ≠ 0), il moto dei corpi non avviene nel piano invariabile π e c'è luogo a considerare in ogni istante la retta comune al piano dei tre corpi ed al piano π (esclusi gli istanti eventuali in cui i due piani coincidono), che si dice linea dei nodi e ha un'importanza particolare nello studio del moto.
Tutti i possibili moti dei tre corpi dipendono da diciotto costanti arbitrarie, poiché ogni soluzione delle equazioni (2) (per n = 3) resta individuata dall'assegnazione delle coordinate e delle velocità iniziali dei tre punti (diciotto parametri). Il problema della determinazione della soluzione generale delle (2) è così difficile che non è possibile sperare nella sua risoluzione, ma va anche osservato che bisogna ben specificare quale debba essere la natura delle funzioni che si richiedono per l'espressione delle coordinate dei tre corpi in termini del tempo (o di qualche variabile ausiliaria che sia funzione del tempo). Qui non è possibile far cenno di questa delicatissima questione. Ci limitiamo a segnalare le ricerche del Sundman che, in un certo senso, risolvono il celebre problema.
a) Le equazioni canoniche del problema. - La forma (2) delle equazioni del problema non è la più opportuna per la scoperta delle proprietà dei moti dei tre corpi.
W. R. Hamilton ha posto le equazioni del moto nella cosiddetta forma canonica
dove le q (coordinate lagrangiane del sistema) sono variabili di qualunque natura, purché atte ad individuare le configurazioni dei corpi (rispetto ad assi galileiani); le variabili coniugate p si desumono dall'energia cinetica del sistema per derivazione rispetto alle velocità lagrangiane ó; infine H è l'energia totale (somma delle energie cinetica e potenziale − U) in funzione delle variabili canoniche p, q.
C. G. J. Jacobi ha scoperto un metodo per l'integrazione delle equazioni canoniche. La meccanica analitica si propone come scopo precipuo lo studio di quei criterî o metodi che consentono di trasformare le equazioni canoniche, mediante l'introduzione di convenienti coordinate lagrangiane, in guisa da lasciare inalterata la forma canonica, la quale meglio si presta, allo stato attuale della scienza matematica, all'analisi o alla scoperta, seguendo Jacobi, Poincaré, T. Levi-Civita, di soluzioni o classi di soluzioni delle equazioni dinamiche.
b) La riduzione dell'ordine del problema. - Lagrange ha mostrato per primo che il problema dei tre corpi si può far dipendere da un sistema di equazioni differenziali del 6° ordine (riduzione di dodici unità dell'ordine). Siffatta riduzione è stata oggetto di importanti ricerche da parte di eminenti cultori di meccanica analitica, quali Jacobi, J. Bertrand, J. C. R. Radau, H. Bruns, H. Poincaré, E. Whittaker, T. Levi-Civita, ecc., intese a realizzare nel modo più semplice e conforme allo spirito dei metodi della meccanica analitica la scoperta lagrangiana.
Il metodo del Levi-Civita è fra tutti il più luminoso e perspicuo. Per coordinate lagrangiane si scelgono due angoli per individuare la giacitura del piano dei tre corpi rispetto al piano invariabile π e sei coordinate cartesiane per individuare i tre corpi nel loro piano.
Sfruttando gli integrali delle aree si ottiene un sistema a sei gradi di libertà, che si presta molto opportunamente per il confronto col caso piano. Le riduzioni ulteriori si conseguono mediante gli integrali del centro di gravità e delle forze vive, con conseguente eliminazione del tempo. Il metodo del Levi-Civita consente di porre sotto forma elegante il problema della determinazione dell'inclinazione e della longitudine del nodo del piano dei tre corpi rispetto al piano invariabile.
I teoremi di Bruns e Poincaré dimostrano che non esistono, in generale, altri integrali uniformi, oltre i dieci conosciuti; non è quindi possibile ridurre ulteriormente l'ordine del problema.
c) La regolarizzazione degli urti. - Il moto dei tre corpi generato da assegnate condizioni iniziali all'istante t0 può essere regolare in ogni intervallo di tempo comunque grande a cominciare da t0. In tal caso le coordinate si possono rappresentare mediante serie di polinomî in t, convergenti per tutti i valori del tempo (P. Painlevé). Ma se all'istante t1 > t0 non c'è regolarità, cioè non sussiste la possibilità di sviluppare le coordinate in serie convergenti che procedano secondo le potenze intere positive di t − t1, gli è perché necessariamente una sola delle mutue distanze o tutte tre tendono a zero per t → t1 (Painlevé). Sono queste del resto le sole eventualità intuitivamente prevedibili. Quando almeno una delle distanze tende a zero, il potenziale newtoniano diviene infinito e i secondi membri delle equazioni (2) presentano una singolarità.
L'analisi rigorosa del comportamento del moto nell'intorno di una singolarità è estremamente delicata: s'inizia col Painlevé e culmina con le celebri ricerche del Levi-Civita. Ma purtroppo la questione non è esaurita e per ciò che concerne il moto di più di tre corpi nulla si possiede in quest'indirizzo.
Escludiamo la collisione generale che, come sappiamo, può verificarsi solo se è KG = 0. La possibilità di un urto binario si esprime mediante una o due relazioni uniformi secondo che si tratti del problema ristretto (n. 13; Levi-Civita) o del problema generale (G. Bisconcini).
Il problcma di regolarizzare un urto binario, di trasformare cioè le equazioni del moto in guisa che all'istante dell'urto i loro secondi membri siano regolari, è stato trattato la prima volta dall'astronomo danese T. N. Thiele nel 1895. Quest'autore ha considerato solo il problema ristretto, unicamente dal punto di vista dell'integrazione numerica.
Nel 1904 il Levi-Civita ha regolarizzato l'urto binario nello stesso problema ristretto, impostando per primo la questione dal punto di vista della meccanica analitica, esigendo cioè che il sistema regolarizzato rientrasse nell'ambito delle equazioni canoniche. La trasformazione canonica del Levi-Civita si riattacca al moto ellittico nel problema dei due corpi. Nel 1912 il Sundman ha regolarizzato l'urto binario nel problema generale, mostrando la possibilità di rappresentare le coordinate dei tre corpi e il tempo t mediante serie di funzioni convergenti per tutti i valori reali di una variabile convenientemente scelta (n. 10). Alla continuazione del moto oltre l'istante dell'urto si può attribuire un'interpretazione fisica, ove si ammetta che i corpi siano assimilabili a sfere elastiche omogenee (G. Armellini). Ma la regolarizzazione del Sundman non consente alcuna previsione a lunga scadenza ed inoltre si appoggia su equazioni trasformate che non rientrano nella tipica forma della meccanica analitica. Spetta al Levi-Civita il merito di aver risolto quest'importante problema della regolarizzazione, mediante l'uso di una trasformazione canonica che generalizza quella usata nel problema ristretto nel caso del problema piano (1915) e che si desume invece dal moto parabolico (nel problema dei due corpi) per il problema spaziale (1918).
11. Soluzioni rigorose del problema dei tre corpi. - Lagrange ha scoperto che sono possibili certi moti dei tre corpi in cui i rapporti delle mutue distanze restano invariabili. Ciò è possibile se i corpi risultano sempre allineati (soluzioni rettilinee) o formano un triangolo equilatero (soluzioni triangolari). Le prime, che erano già state trovate da Eulero per altra via, si ottengono esprimendo la condizione affinché, essendo i corpi allineati ad un istante determinato t0, la risultante delle attrazioni che uno di essi risente dagli altri due sia proporzionale alla distanza del corpo potenziato dal centro di gravità G del sistema. Basta allora far ruotare intorno a G la retta dei tre corpi in un piano con una conveniente velocità angolare costante. Si trova che il rapporto delle distanze dei corpi estremi da quello intermedio deve soddisfare ad un'equazione di 5° grado scoperta dal Lagrange. Si supponga invece che ad un istante t0 i tre corpi gravitanti siano ai vertici di un triangolo equilatero di lato r. In queste condizioni si mostra che la risultante delle attrazioni newtoniane che ciascuno di essi risente dagli altri due passa per il centro di gravità G del sistema. Si ottengono allora, con Laplace, le soluzioni triangolari, osservando che basta far ruotare il triangolo equilatero nel suo piano intorno a G con una velocità angolare conveniente,
se m è la massa del sistema, in guisa che la forza centrifuga equilibri per ciascun corpo la risultante delle attrazioni che questo risente dagli altri due. Le soluzioni lagrangiane sono periodiche e costituiscono due classi di soluzioni rigorose dipendenti da due costanti arbitrarie: la velocità angolare di rotazione della retta o del triangolo equilatero intorno a G ed un angolo atto a fissare l'orientazione della retta o del triangolo nel piano del moto.
Esse sono le sole soluzioni stazionarie nel senso di Levi-Civita (necessariamente moti piani, G. Lampariello) del problema dei tre corpi, cioè soddisfano alla condizione di rendere stazionaria (eventualmente massima o minima) l'energia totale del sistema compatibilmente con gli integrali delle aree.
È anche possibile, come ha scoperto il Laplace, che i corpi formino sempre un triangolo equilatero, di lato variabile, in guisa che ciascuno di essi descriva una conica di cui il baricentro G occupi uno dei fuochi.
12. L'opera del Poincaré e l'indagine qualitativa. - Dopo Lagrange e Laplace, le ricerche del Poincaré segnano un'epoca nuova nella meccanica celeste. Poincaré dimostra che gli elementi canonici dei pianeti possono essere sviluppati in serie trigonometriche secondo i multipli di un certo numero di argomenti lineari del tempo. Nonostante che queste serie non siano convergenti, pure esse bastano per i bisogni dell'astronomia in intervalli di tempo estremamente lunghi.
Ma soprattutto il Poincaré ha creato la teoria qualitativa delle soluzioni del celebre problema, ricercando per primo sistematicamente le soluzioni periodiche in cui i corpi ad intervalli di tempo eguali ad un periodo riprendono configurazione e velocità relative iniziali. Sulla base della geniale e feconda nozione di invariante integrale, il Poincaré dimostra l'esistenza di soluzioni asintotiche e doppiamente asintotiche ad una soluzione periodica ed affronta altresì la delicatissima questione della stabilità che già era stata oggetto di acute meditazioni da parte del Laplace e del Poisson. Egli scopre che in un certo caso speciale il sistema dei tre corpi ritorna, in generale, infinitamente spesso vicino quanto si vuole alla sua configurazione relativa iniziale. Le soluzioni che non soddisfano a questa proprietà sono infinitamente poco probabili. Inoltre la classica nozione di equazioni alle variazioni costituisce la base del metodo per lo studio dei moti le cui condizioni iniziali sono infinitamente vicine a quelle che generano soluzioni periodiche. Le corrispondenti soluzioni sono sviluppabili secondo le potenze di un certo numero di piccole quantità (parametri) e risolvono certi problemi ai quali i metodi precedenti non sono applicabili. Lo sviluppo delle teorie del Poincaré è contenuto nella celebre opera Les méthodes nouvelles de la mécanique céleste (1892-99), nella quale egli ha apportato un contributo prezioso al problema fondamentale del moto degli astri "par la seule brèche par où nous puissions essayer de pénétrer dans une place jusqu'ici réputée inabordable".
13. Il problema ristretto dei tre corpi. - È un notevole caso particolare, le cui condizioni sono sensibilmente verificate dalle terne di corpi Sole, Terra, Luna; Sole, Giove, un pianetino. Fu considerato la prima volta da Jacobi in una breve comunicazione all'Accademia delle scienze di Parigi e poi studiato sistematicamente da G. Hill e Poincaré. Eccone l'enunciato: siano S, J due corpi uniformemente rotanti (nel loro piano invariabile π) intorno al loro centro di gravità G, sotto l'influenza della loro mutua attrazione. Si consideri ora un terzo corpo P la cui massa sia così piccola in confronto di quelle di S e J che esso non eserciti influenza apprezzabile su questi centri. Determinare il moto di P. È particolarmente notevole il caso in cui P si muove nel piano π: è questo il cosiddetto problenta ristretto. Jacobi ha scoperto l'unico integrale uniforme di questo problema (1836). Assunta la congiungente SJ (orientata da S verso J) quale asse x e per asse y la retta ortogonale per G, sussiste l'integrale di Jacobi ½(ú2 + ÿ2) = ½ ω2(x2 + y2) + U − C, dove C è la cosiddetta costante (arbitraria) di Jacobi. Quest'equazione è del resto l'integrale delle forze vive nel moto relativo del pianetino P rispetto agli assi uniformemente rotanti Gxy. Nello studio del problema godono un ufficio importante le curve di Hill o di velocità nulla ½ ω2 (x2 + y2) + U = C.
Nel piano Gxy esistono cinque punti, detti centri di librazione, ciascuno dei quali è una posizione di equilibrio relativo di P: tre appartengono alla retta SJ e sono separati da S ed J, gli altri due formano con questi centri due triangoli equilateri.
I metodi generali del Poincaré consentono di accertare l'esistenza di moti periodici del pianetino nell'intorno dei centri di librazione. La determinazione delle orbite periodiche è oggetto di importanti lavori di S. E. Strömgren e dei suoi collaboratori dell'osservatorio di Copenaghen; a questi si riattaccano notevoli ricerche di A. Wintner nell'indirizzo della meccanica analitica e in quello più recente della scuola di G. Birkhoff.
14. Cenni sulla teoria delle perturbazioni. - Il moto kepleriano di un pianeta P intorno al Sole S è caratterizzato da opportune condizioni iniziali: ad esso restano associati i cosiddetti elementi ellittici che sono sei parametri atti ad individuare l'orbita ellittica e la legge temporale con referenza ad una terna cartesiana Oxyz. Il piano Oxy che si assume di solito è il piano dell'eclittica (dell'orbita terrestre) al 1° gennaio 1850, essendo il Sole in O e gli assi Ox, Oy diretti verso l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate in quell'epoca. L'asse z è diretto verso il polo boreale dell'eclittica. Gli elementi ellittici sono il semiasse maggiore a e l'eccentricità e dell'orbita ellittica (che ne caratterizzano la forma); l'inclinazione i dell'orbita sul piano Oxy, la longitudine del nodo ascendente, cioè l'angolo θ che la linea dei nodi, intersezione del piano dell'orbita col piano Oxy, fa con l'asse Ox; la longitudine del perielio −ω̄ che è la somma di θ e dell'anomalia del perielio contata sul piano dell'orbita; l'anomalia media l o l'epoca t0 del passaggio del pianeta per il perielio. Gli elementi ellittici in un moto kepleriano ben determinato sono tutti costanti, tranne l che varia linearmente nel tempo; le coordinate e le componenti della velocità del pianeta si esprimono in funzione del tempo t e degli elementi ellittici. Ma il moto di ogni pianeta nonè rigorosamente kepleriano e gli elementi ellittici subiscono delle variazioni, dette perturbazioni, dovute all'influenza che il pianeta risente dagli altri pianeti. Il calcolo di siffatte perturbazioni, che si distinguono in secolari e periodiche, è uno degli scopi più importanti della meccanica celeste e si effettua col metodo della variazione delle costanti, dovuto a Lagrange, applicato alla forma canonica delle equazioni. Gli elementi ellittici vanno allora riguardati come funzioni del tempo da determinarsi opportunamente a partire dal moto perturbato del pianeta retto da equazioni del tipo (7). Secondo Laplace, il modo più semplice di studiare le perturbazioni planetarie consiste nell'immaginare un pianeta ideale che si muova di moto kepleriano su di un'ellisse, i cui elementi variano lentamente col tempo (perturbazioni secolari) e nel supporre quindi che il vero pianeta oscilli lievemente intorno al pianeta ideale (perturbazioni periodiche; cfr. Mécanique céleste, II,1, cap. V).
15. Sia fatto cenno di importanti ricerche moderne che mirano a cogliere l'influenza esercitata sul moto degli astri da variazioni delle masse dovute a caduta di meteoriti, o a radiazioni termiche, elettromagnetiche, luminose, ecc. A notevoli conclusioni sono stati condotti specialmente Levi-Civita e Armellini. Al primo si deve l'applicazione sistematica alla meccanica celeste della nozione feconda di invariante adiabatico, dovuta al fisico olandese P. Ehrenfest; al secondo un'importante lievissima modificazione della legge newtoniana. Vanno pure segnalati i recentissimi studî del Levi-Civita concernenti il problema dei due corpi in meccanica relativistica, il quale è molto più complesso che non nello schema newtoniano, perché viene a mancare la nozione così importante e preziosa di punto materiale che domina tutta la meccanica classica. scrive il LeviCivita che il punto materiale, questa pietra angolare della meccanica classica, non si lascia realizzare in meccanica einsteiniana se non per masse infinitamente piccole.
Bibl.: I. Newton, Philosophiae naturalis Principia mathematica, Cambridge 1687; L. Euler, Theoria motuum planetarum et cometarum, Berlino 1744; J. d'Alembert, Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l'axe de la Terre dans le système newtonien, Parigi 1749; A. C. Clairaut, Théorie de la Lune, ivi 1752; J. L. Lagrange, Mécanique analytique, ivi 1788, in Œuvres, VI; P. S. Laplace, Mécanique céleste, ivi 1799-1825; C. F. Gauss, Werke, V; G. G. J. Jacobi, Werke, IV; F. Tisserand, Mécanique céleste, Parigi 1889-96; H. Poincaré, Les méthodes nouvelles de la mécanique céleste, ivi 1892-99; id., Leçons de mécanique céleste, ivi 1905-10; C. L. Charlier, Die Mechanik des Himmels, Berlino 1927; E. T. Whittaker, A treatise on analytical dynamics, Cambridge 1937; F. R. Moulton, An introduction to celestial mechanics, New York 1914; H. Andoyer, Mécanique céleste, Parigi 1923; T. Levi-Civita, Questioni di meccanica classica e relativista, Bologna 1924.
Memorie: T. Levi-Civita, Sur la résolution qualitative du problème restreint des trois corps, in Acta Math., XXX (1906); id., Sulla riduzione del problema dei tre corpi, in Atti del R. Ist. veneto di scienze e lett., 1915; id., Sur la régularisation du problème des trois corps, in Acta Math., 1920; id., Applicazioni astronomiche degli invarianti adiabatici, in Atti del Congresso intern. dei matematici, 1928; id., The secular effects of tides on the motion of planetary systems, in The American Math. Monthly, XLI (1934); id., Le problème des deux corps en relativité générale, nel vol. offerto a M. M. Brillouin, Parigi 1935; id., The relativistic problem of several bodies, in American Journ. of Math., LIX (1937); id., Astronomical consequences of the relativistic two body problem, ibid., 1937; G. Armellini, Estensione della soluzione del Sundman dal caso di corpi ideali al caso di sferette elastiche omogenee, in Rend. Lincei, XXIV (1913); id., Il problema dei due corpi di masse variabili, in Memorie della Soc. dei XL, XIX (1915); id., Sulla forma della traiettoria nel problema dei due corpi di masse crescenti, in Rend. Lincei, XXIV (1915); id., Un teorema sul problema dei due corpi di masse crescenti, ibid., 1925; id., I problemi fondamentali della cosmografia e la legge di Newton, ibid., 1937; K. F. Sundman, Mémoire sur le problème des trois corps, in Acta Math., XXXVI (1912); S. E. Strömgren e collaboratori, Publikationer og mindre Meddelser fra Københavns Observatorium, dal 1911.