MAZZUOLI
– Famiglia toscana di scultori, pittori e scalpellini, vissuti tra il XVII e XIX secolo. Per la ricostruzione delle sue vicende restano ancora riferimenti primari i testi di Della Valle (1782-86) e di Romagnoli (1835).
Capostipite fu Dionisio di Francesco, architetto e scultore d’ispirazione berniniana, che nacque intorno alla prima metà del XVII secolo a Cortona, dove ricevette una prima formazione artistica sotto il magistero dell’architetto cortonese Bernardino Radi. Nel 1640 si trasferì a Siena per lavorare all’altare Cennini in S. Francesco; si spostò poi a Volterra, dove nacque il figlio Giuseppe, e fu di nuovo a Siena entro il 1650, chiamato dal governatore Mattias de’ Medici, in qualità di «direttore della fabbrica, e accrescimento del Real Palazzo di Siena» (Della Valle, p. 445; Romagnoli, XI, pp. 174, 268). Per tutto il corso della vita fu scultore e fattore dell’Opera del duomo di Siena (ibid., p. 174), città nella quale morì il 21 ag. 1669 (ibid., p. 177). Suoi figli furono: Giovanni Antonio, Francesco, Agostino, lo scultore Giuseppe e il pittore Annibale (per gli ultimi due vedi voci ad nomen). Pascoli menziona anche una sorella, Girolama (p. 486) che, secondo Romagnoli (XI, p. 174), fu cresimata nel 1659 ed ebbe come comare la moglie del pittore D. Burbarini.
Il primogenito di Dionisio, Giovanni Antonio, scalpellino, scultore e stuccatore, nacque a Siena nel 1640 (ibid.).
Al 1663 risulta già sposato con Lucia, morta nel 1669; seguirono l’anno successivo le nozze con Antonia Galli, con la quale ebbe molti figli. Tra di essi Bartolomeo e Giovanni Maria (ibid., pp. 179, 182-184).
L’Opera del duomo, a lui come al fratello minore Agostino, scalpellino anch’egli, dette quasi ininterrotto impiego nel rinnovamento barocco degli altari (Butzek, 1991, p. 76). Tra le numerose opere realizzate da Giovanni Antonio, di cui dà ampio conto Romagnoli (XI, pp. 175-206), possono essere citati il monumento funebre per Antonio Rospigliosi in S. Vigilio (1658); la statua di S. Tommaso di Villanova nella chiesa di S. Martino (1684); l’altare per la chiesa di S. Antonio alle Murella, nella contrada della Tartuca (1686); il Transito di s. Benedetto (1693), ora in S. Cristoforo, ma proveniente dalla omonima chiesa degli olivetani, distrutta; e ancora due Angeli per l’altare maggiore della chiesa di S. Agostino; un Angelo sopra la porta maggiore del duomo, oltre a una produzione fuori Siena, tra cui l’altare maggiore per il duomo di Grosseto (1708). Particolare menzione richiede la committenza della famiglia De Vecchi: per Fabio realizzò l’altare maggiore della chiesa dei Servi (1688), e per Camillo, in S. Martino, eseguì l’altare maggiore (1697), il suo monumento funebre e quello di Virgilio De Vecchi (1706). Morì a Siena il 23 marzo 1714 (ibid., p. 197).
Francesco (I), architetto e scultore, nacque a Siena o a Volterra nel 1643 (ibid., p. 178). Di lui si sa molto poco, se non che successe al padre Dionisio nelle cariche all’Opera del duomo. Insieme con il fratello Giovanni Antonio firmò il disegno per l’altare di S. Maria della Scala, eretto nel 1671, come riportato dalla Guida di Siena di Ferri (1832). A lui si deve l’intervento sui dipinti murali di D. Beccafumi (Triade e tre angeli, 1544), nella nicchia del coro del duomo, «malamente restaurati» nel 1812 (Brigidi, p. 84). Morì a Siena nel 1692 (Romagnoli, XI, p. 244).
La copiosa attività artistica della famiglia M. non si limitò al capostipite e ai suoi figli, in quanto continuò con i nipoti.
Bartolomeo, scultore e stuccatore, figlio di Giovanni Antonio e di Antonia Galli, nacque a Siena nel 1674 (ibid., p. 557). La sua prima formazione artistica avvenne sotto il magistero del padre, del quale poi sarebbe stato collaboratore (Butzek, 2007, p. 44). Nel 1714, a seguito della morte di Giovanni Antonio, divenne l’assistente dell’anziano zio Giuseppe, da cui ebbe l’incarico di abbozzare blocchi di marmo (ibid.).
Fu scultore di numerose opere di carattere profano e religioso, realizzate in diverse città toscane. In primis a Siena, dove realizzò il ritratto del conte Germanico Tolomei nella chiesa di S. Cristoforo (1716-21: Romagnoli, XI, p.560) e un Angelo sopra il portale del duomo (l’altro è opera del padre). Al contempo lavorò a Grosseto (Angeli per un altare del duomo) e per la certosa di Pontignano (un Putto portaleggio). Con lo zio, lavorò al monumento Perello in S. Giovanni alla Valletta nell’isola di Malta (1700 circa), e dopo la morte di questo (Butzek, 2007, p. 44) portò a conclusione opere lapidee, quali il monumento del cavaliere di Malta Marcantonio Zondadari nel duomo di Siena (1726: Romagnoli, XI, p. 562), il gruppo della Madonna col Bambino e s. Giovannino, nonché il rilievo con il Sogno di Giuseppe, entrambi in palazzo Sansedoni di Siena, dove si conserva, nell’anticappella, anche un suo rilievo con la Pietà (Pansecchi). Al 1745 risale il monumento funebre a Marcello Biringucci in S. Vigilio (Romagnoli, XI, p. 565). Sue sono anche alcune terracotte conservate nella collezione Chigi-Saracini di Siena, come il bassorilievo della Pietà, che si rifà alla Morte di s. Maria Maddalena, piccola terracotta che oggi si trova al Museum of fine arts di Boston, opera di Giuseppe completata da Bartolomeo. Questa terracotta permette di vedere da presso le modalità seguite dal giovane nipote nel portare a compimento i lavori dello zio: Bartolomeo integrò le due teste degli angioletti e un braccio destro, per poi indorare il tutto, come si deduce dai frammenti conservati (Schlegel, p. 7). A Bartolomeo, a dire di Pietro D’Achiardi, come riportato in Nannizzi (1922, p. 218), si deve la scoperta delle cave di marmo giallo di Siena nel 1720; in effetti gli si attribuiscono l’impiego e la diffusione di questo materiale lapideo, piuttosto che il suo ritrovamento in terra di Siena. Morì a Siena il 29 giugno 1749 (Della Valle, p. 449), mentre era al lavoro nell’Opera del duomo, ad abbozzare il busto di Bernardino Perfetti, da collocarsi nella cappella del voto del duomo stesso (Romagnoli, XI, p. 566).
Giuseppe Maria il Giovane, scultore e stuccatore, figlio di Giovanni Maria (fratello di Bartolomeo), nacque a Siena nel 1727 e venne cresimato nel 1735. I primi insegnamenti li ricevette dallo zio Bartolomeo, di cui poi divenne collaboratore, e successivamente fu a Roma, con il conseguimento del posto di studio Biringucci (l’equivalente di una moderna borsa di studio). A Roma si perfezionò nel «maneggio dello scalpello» (ibid., XII, p. 283) e frequentò, per dodici anni, lo studio di Filippo Della Valle (Butzek, 2007, p. 48). In questo periodo realizzò il bassorilievo della Madonna col Bambino e s. Giuseppe (Romagnoli, XII, p. 290), collocato nelle stanze dei confratelli della Madonna sotto le volte a Siena, dove aveva sede la Compagnia dello Spedale che conferiva la citata borsa di studio Biringucci. Ancora, nella sala capitolare, vi sono due bassorilievi di sua mano, spediti anch’essi come saggi di studio da Roma, saggi che gli studenti erano tenuti a inviare per dare prova dei progressi da loro conseguiti nella città scelta per il perfezionamento (Thau, p. 22). Morto Bartolomeo, Giuseppe Maria portò a compimento il busto marmoreo di Bernardino Perfetti, iniziato con lo zio, poi collocato nella cappella di Maria Vergine del Voto nel duomo senese (Romagnoli, XII, p. 284). Rientrò nel 1749 a Roma dove, nel 1754, ottenne il premio per la prima classe del concorso clementino dell’Accademia di S. Luca (Butzek, 2007, p. 48). Nel 1755 risulta essere a Siena, intento a realizzare il baldacchino di stucco con quattro angeli per l’altare maggiore della chiesa di S. Agostino (Romagnoli, XII, p.290). Per la stessa chiesa scolpì anche il Beato Antonio Patrizi e la Beata Rita (ibid., pp. 285 s., 290).
Collateralmente all’attività di scultore, svolse a Siena quella di restauratore: alle sue cure venne affidata (1759) la Carità di Iacopo Della Quercia per la fonte Gaia, statua che risultava danneggiata già dal 1743 (ibid., p. 286).
Nel 1766 sposò Faustina di Antonio Castelli con la quale ebbe numerosi figli, tra cui Francesco, pittore (ibid., p. 287).
Per la chiesa della Sapienza (1772) realizzò le statue del B. Andrea Gallerani, del B. Ambrogio Sansedoni, di S. Bernardino e di S. Caterina (laterali dell’altare maggiore), oltre al B. Pietro Pecci e al B. Bernardo Tolomei, e alcuni bassorilievi (S. Ansano, S. Giuseppe, con angioletti, per gli altari).
Insieme con il pittore Giuseppe Nasini, si adoperò perché a Siena venisse aperta una scuola pubblica d’arte, cosa che si concretizzò effettivamente nel 1775.
Fu nuovamente a Roma nel 1777 circa (Romagnoli), e vi morì nel 1781, senza allievi, se non il figlio Francesco, che però scelse di esercitarsi nell’arte della pittura.
Francesco (II) nacque a Siena nel 1763, da Giuseppe Maria il Giovane e da Faustina Castelli; sempre a Siena, fu cresimato nel 1774, con Vincenzo Fortini per compare (ibid., XII, p. 439). Grazie al sussidio economico del padre, avuto fino al 1781, la sua primissima formazione artistica avvenne a Roma, presso Nicola Lapiccola, dal quale apprese l’arte del disegno (Agnorelli). Nel 1783, vinto l’alunnato Biringucci, andò a studiare all’Accademia di belle arti di Firenze, sotto il magistero di Pietro Pedroni, dove rimase sino al 1790 (Sisi - Spalletti, p. 138). Al soggiorno di studi fiorentino seguì quello romano. Al suo rientro a Siena Francesco si divise tra l’attività di pittore, restauratore e quella di maestro di disegno.
La prima opera senese di Francesco fu un «Astolfo con S. Giovanni Evangelista nella Luna, e le Nozze Aldobrandini», dipinte nel palazzo Landucci in Pantaneto (Romagnoli, XII, p. 441; Sisi - Spalletti, p. 67). Le sue qualità di copista furono messe alla prova con le commissioni di lord Bristol (F.A. Hervey, quarto conte di Bristol) appositamente venuto da Firenze a Siena per acquistare quadri antichi. Non essendo riuscito nel suo intento, questi chiese a Francesco di realizzare la copia della Madonna di Guido da Siena, allora nella chiesa di S. Domenico (oggi al Museo civico di Siena), e una tavola, non identificabile, di Matteo di Giovanni (Romagnoli, XII, p. 442).
Al 1795 risale il primo lavoro di Francesco in qualità di restauratore (attività approfondita da Agnorelli al quale si rimanda per la conoscenza più completa dei restauri compiuti). L’intervento del 1795 riguardò le quattro tele dei Novissimi (realizzate nell’ultimo decennio del Seicento per palazzo Pitti) di Nasini, donate quello stesso anno da Ferdinando III, granduca di Toscana, al Comune di Siena (e oggi perdute); l’intervento consistette nel ritoccare i dipinti in vari punti e nel «riempire quei voti di sua invenzione, e in altre parti aggiungere alcuni squarci perduti per la poca cura con cui quei quadri furono tolti» da palazzo Pitti, o «malamente trasportati in Siena» (Romagnoli, XII, p. 443).
Il terremoto del 1798 procurò a Siena danni ingenti, tra cui numerosissime crepe nelle volte delle chiese. Francesco intervenne nel «colorire soltanto ciò che s’era dovuto nuovamente scialbare, e nulla toccando ciò che dell’autore restava intatto» (ibid.).
In questa campagna di restauri fu inserita anche la chiesa di S. Sebastiano in Vallepiatta, la cui cappella sinistra, decorata da Raffaello Vanni, venne rifatta di sana pianta da Francesco in data non citata dalle fonti. Del 1804 è invece il restauro della volta della chiesa di S. Pellegrino alla Sapienza, dipinta da Giuliano Traballesi, ma anche della S. Caterina di Sano di Pietro nel palazzo pubblico, che, con S. Bernardino, affianca l’Incoronazione della Madonna. Nel 1805 era al lavoro nella chiesa di S. Caterina della contrada dell’Oca per riparare i danni subiti da diverse opere, tra cui il dipinto murale di Ventura Salimbeni, S. Caterina minacciata dai rivoltosi fiorentini (1604-05). A dire di Romagnoli (XII, p. 445), furono restaurate da Francesco anche le opere del Sodoma (G.A. Bazzi) e di Francesco Vanni nella cappella di S. Caterina in S. Domenico (1806) e, sempre del Sodoma, la decorazione ad affresco nella cappella della villa Gori, detta la Fratta, dell’altare maggiore (Madonna con Bambino e santi) e dei due laterali (S. Francesco e S. Girolamo, che aveva sofferto «considerabilmente»).
Negli ultimissimi anni del Settecento venne nominato maestro di disegno al collegio Tolomei. A qualche anno più tardi (1802) risale la committenza Sergardi per la decorazione della omonima villa a Catignano, dove Francesco realizzò diversi dipinti murali, «figurandovi una campagna» (ibid., p. 444). Nuovamente per i Sergardi, questa volta nel palazzo di fronte alla chiesa di S. Niccolò al Carmine a Siena, dipinse un salotto a fianco di Pietro Maffei che realizzava una decorazione in finta architettura (ibid., p. 445).
Il biennio tra il 1810 e il 1812 lo vide più che altro impegnato come copista (tra l’altro, opere del Sodoma e di Rutilio Manetti); mentre come restauratore fu occupato a lavorare nel salotto del palazzo Bindi Sergardi, già dipinto da Beccafumi, dove Francesco fu all’opera nella primavera-estate del 1812 (ibid., p. 446). In settembre fu chiamato a intervenire sui dipinti di Beccafumi nell’abside del duomo, «rifacendovi di nuovo due angeli, e dato di bianco al Salvatore (figura assai mal dipinta dall’autore) per essere quasi che tutto scrostato fece nel luogo di quello fra varie nuvole la Sacrosanta Triade. Questo lavoro fu terminato, e scoperto nel 29 marzo 1813» (ibid., p.447). Nel novembre del 1813 sposò Francesca Pagliarini di Cetona (ibid.).
Tra ottobre e novembre 1814 affrescò la cappella della villa di S. Dalmazio di proprietà di Giovanni Baldassarrini: Assunzione della Vergine Maria e i Quattro Evangelisti (ibid., pp. 448 s.).
Il 27 sett. 1816 si ebbe l’inaugurazione dell’Istituto di belle arti, creato l’anno precedente, la direzione del quale fu affidata al pittore neoclassico Giuseppe Collignon. Francesco fu chiamato a tenere la cattedra di disegno, che gli fu affidata fino al 1837; nel nuovo istituto, per due anni, si trovò anche a sostituire Collignon nell’incarico di direttore (Coccoli). In occasione dell’inaugurazione, Francesco aveva presentato un «Cupido» copiato dal dipinto realizzato da Gaspare Landi per il principe Prospero Sciarra Colonna (Romagnoli, XII, p. 448). Morì a Siena nel 1839.
Fonti e Bibl.: L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, II, Roma 1736, p. 486; G. Della Valle, Lettere sanesi sopra le belle arti, III, Venezia 1786, pp. 445-449; M. Ferri, Guida della città di Siena, Siena 1832, p. 46; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi 1200-1800, Siena 1835, XI, pp. 167-207 (per Giovanni Antonio), 243-246 (per Francesco [I]), 339-341 (per Agostino), 557-572 (per Bartolomeo); XII, pp. 283-292 (per Giuseppe Maria), 439-452 (per Francesco [II]); G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana. Scritti vari, Siena 1873, pp. 41, 64; E.A. Brigidi, La nuova guida di Siena e i suoi dintorni, Siena 1910, p. 84; A. Nannizzi, Due lettere inedite del naturalista napoletano Ferrante Imperato al senese Ippolito Agostini, in Bull. senese di storia patria, XXIX (1922), p. 218; F. Pansecchi, Contributi a Giuseppe Mazzuoli, in Commentari, X (1959), 1, p. 42; U. Cagliaritano, Mamma Siena, III, Siena 1971, p. 577; U. Schlegel, Per Giuseppe e Bartolomeo M.: nuovi contributi, in Arte illustrata, V (1972), 47, pp. 6-8; D. Coccoli, L’istruzione artistica a Siena dal 1814 ad oggi, Siena 1984, p. 25; M. Butzek, Giuseppe Mazzuoli e le statue degli apostoli del duomo di Siena, in Prospettiva, 1991, n. 61, p. 76; C. Sisi - E. Spalletti, La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Siena 1994, pp. 67, 77, 138, 148, 167, 171, 173, 177, 243; D. Ceccherini, Gli oratori delle contrade di Siena, Siena 1995, p. 120; P. Torriti, Beccafumi, Milano 1998, p. 223; P. Agnorelli, Alcuni esempi di artisti-restauratori a Siena nella prima metà dell’Ottocento: Francesco M. e Domenico Monti, in Il corpo dello stile. Cultura e lettura del restauro nelle esperienze contemporanee…, a cura di C. Piva - I. Sgarbozza, Roma 2005, p. 283; M. Butzek, Scultura barocca. Studi in terracotta dalla bottega dei M., Cinisello Balsamo 2007, pp. 26, 44, 48; M.V. Thau, Forni e dintorni. Pittori senesi a Roma e la cultura scientifica di Ulisse Forni, Firenze 2007, pp. 17 s., 22; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 317.