MAZZUOLI, Giuseppe,
il Vecchio. – Figlio di Dionisio di Francesco, architetto e scultore, nacque a Volterra il 5 genn. 1644 (Della Valle, p. 445; Frascarelli, p.71) e «in fasce» fu portato a Siena dal padre, chiamato a un incarico per il principe Mattias de’ Medici (Romagnoli, XI, p. 268). Il primo insegnante del M. fu suo fratello maggiore, lo scultore Giovanni Antonio, che ebbe modo di notarne le doti. A seguito di ciò, il padre decise di mandarlo a studiare a Roma, dove fu introdotto da monsignor Fabio De Vecchi (ibid., p. 269) a Ercole Ferrata (Pascoli, p. 478; Angelini, p. 99 n. 17), e da questo a Melchiorre Caffà, che divenne il maestro del giovane scultore. La data di morte di Caffà (1667) costituisce un ante quem per l’arrivo del M. a Roma, che però Romagnoli (XI, p. 269) ipotizza risalire al 1655, anno in cui De Vecchi si recò a Roma, «ambasciatore dei Senesi» per omaggiare il neoeletto e concittadino Alessandro VII.
Concluso il suo apprendistato presso Caffà (al termine del quale il M. si trasferì in via Ripetta), il M. scolpì a Roma il Cristo Morto per la chiesa senese di S. Maria della Scala (antependio dell’altare maggiore, iniziato nel 1671), il cui bozzetto, datato al 1670 da Pansecchi (p. 35) è nella collezione Chigi Saracini di Siena. Il lavoro impressionò favorevolmente il cardinale Flavio Chigi che, da allora, lo protesse per tutta la vita. Sempre alla fase giovanile appartengono un altro Cristo Morto, realizzato per la chiesa romana di S. Caterina a Magnanapoli (terminata nel 1667), il S. Filippo per S. Giovanni in Laterano (1670) e, soprattutto, il suo contributo all’esecuzione del monumento sepolcrale di Alessandro VII Chigi di G.L. Bernini in S. Pietro in Vaticano (1671-78), con la statua della Carità.
La sua prima opera totalmente indipendente deve tuttavia considerarsi la Madonna col Bambino eseguita, oltre agli angeli e al ciborio dell’altare maggiore (Pascoli, p. 479), per un altare del transetto destro nella chiesa di S. Martino a Siena su commissione della famiglia De Vecchi, famiglia che il M. continuò a servire per tutta la vita, forse per riconoscenza verso coloro che lo avevano sostenuto a Roma (Angelini, p. 81). Alla commissione per S. Martino, i De Vecchi avevano chiamato anche i fratelli del M., Francesco, Giovanni Antonio e Agostino, ai quali spettò la realizzazione dell’altare su cui collocare la statua da lui scolpita, lavoro che, secondo i patti, doveva concludersi entro il 1678 (ibid., p. 82).
A questo stesso periodo appartengono anche il S. Giovanni Battista e il S. Giovanni Evangelista della chiesa di Gesù e Maria a Roma, per le nicchie dell’altare maggiore: opere che, a dire di Pascoli (p. 479), gli procurarono apprezzamento, fama e un alto numero di richieste, che, però, dovette respingere per la quantità di lavoro da sbrigare, fatta eccezione per due piccoli angeli per l’altare maggiore di S. Agostino a Siena. Ancora Pascoli (ibid.), che, insieme con Della Valle e con Romagnoli, rappresenta la fonte primaria per la conoscenza di tutti i componenti della famiglia Mazzuoli, riferisce come il M. (in particolare all’epoca della realizzazione dei dodici Apostoli e della statua di Pio II destinati al duomo senese) avesse deciso di lavorare nel periodo estivo a Siena e in quello invernale a Roma.
Membro della Società dei Virtuosi al Pantheon (1675) e accademico di S. Luca (1679), il M. ebbe una parte di primo piano nella contemporanea vicenda artistica di Siena, dove importò le tendenze più vive della scultura romana: attraverso le sue opere e quelle degli altri componenti la famiglia Mazzuoli, a Siena e nel Senese si possono seguire i problemi della scultura berniniana e postberniniana, anche se le soluzioni furono spesso quelle di un’arte tipicamente provinciale (Pansecchi, p. 34).
Verso la fine dell’ottavo decennio del secolo, i Chigi affidarono al M. la direzione dei lavori di scultura nella villa di Cetinale presso Siena, la cui storia è ricostruibile attraverso i documenti dell’archivio della famiglia omonima pubblicati da Golzio (1939).
Il 4 marzo 1677 il M. iniziava, con i suoi compagni, a lavorare le statue che ornano la villa; nel giugno era a Cetinale; nel luglio rientrava a Roma dopo aver eseguito diciotto busti; contemporaneamente, e sempre per Flavio Chigi, restaurava quattro statue antiche ridotte in frammenti. Il restauro, affidato dapprima ad Antonio Raggi, consistette nel consueto arbitrario completamento delle parti mancanti, proprio dei dettami dell’epoca. Ancora per i Chigi, in collaborazione con i suoi fratelli, il M. realizzò la statua colossale dell’Ercole che domina il grande viale d’accesso alla villa.
Sempre a questa fase giovanile (1677-80) è da ascriversi un piccolo bassorilievo in terracotta, Latona e i pastori della Licia, della collezione romana Incisa della Rocchetta. In questa piccola opera sono ravvisabili le caratteristiche proprie della sua arte: la grazia ricercata degli atteggiamenti e delle forme, che il M. perse nelle opere di grandi dimensioni, quali le contemporanee statue già ricordate per la chiesa romana di Gesù e Maria al Corso.
Sono questi gli anni in cui realizzò anche le quattordici statue per il duomo di Siena, da collocare in corrispondenza delle rispettive colonne della navata centrale. Si trattò del più vasto ciclo scultoreo del barocco senese, commissionato dall’Opera del duomo, per sostituire le statue trecentesche degli apostoli.
Le sculture del M., eseguite durante il soggiorno romano, vennero tolte nell’agosto 1890 per essere vendute nel 1894: il Salvatore e la Vergine sono andati dispersi; mentre i dodici Apostoli sono conservati nel Brompton Oratory di Londra (Butzek, 2007, p. 26). Gli Apostoli furono realizzati tra il 1679 e il 1689. Le prime sculture furono spedite a Siena nel 1683 e con l’occasione, nel luglio, il M. passò per Volterra. La prima statua, il S. Pietro, in marmo di Carrara, fu completata in un anno e venne pagata 300 scudi, come da contratto firmato dai suoi tre fratelli, che erano rimasti a Siena, a dimostrazione di come la famiglia fosse effettivamente un’unica ditta. I basamenti delle statue furono realizzati dai fratelli scalpellini. Le visite periodiche del M. a Siena servivano al continuo contatto con i committenti, a raccogliere i primi commenti sulle statue arrivate da Roma, come pure al controllo degli effetti decorativi che esse creavano nella loro collocazione programmata. In bottega il M. aveva a disposizione diversi aiutanti e fra questi ve n’era almeno uno a cui poter affidare gran parte dell’esecuzione, riservando al proprio scalpello solo i lavori più delicati. Non si sa se per ogni statua il M. avesse messo a punto un modello in grande come aveva fatto per il S. Pietro, o se si fosse limitato a bozzetti e modelli piccoli per fissare il disegno; ma l’ampio impiego di aiutanti fa sembrare piuttosto probabile che in ogni caso sia esistito un modello in grande sul quale essi potevano orientarsi. Per valutare meglio la genesi dei dodici Apostoli, vale la pena di sottolineare il fatto che l’ideazione del ciclo, attraverso disegni e bozzetti, non si svolse in un’unica fase all’inizio dell’impresa, ma che la formulazione delle idee procedette man mano, secondo le esigenze pratiche del lavoro, rispecchiando pienamente lo sviluppo stilistico dell’artista nei vari momenti.
Sempre agli anni Ottanta appartengono i busti scolpiti per la cappella De Vecchi in S. Vigilio a Siena (1684). Si tratta del busto di Pietro e di quello di sua moglie Giulia Verdelli. Secondo Romagnoli (XI, p. 281) queste due sculture rappresentano «il capo d’opera del Mazzuoli, perché senza panneggiamenti, senza stravaganze. La testa e le mani della prima statua è certamente la miglior cosa, che in questo secolo produsse la scultura senese».
Il cardinale Flavio Chigi aveva commissionato al M., nel 1680, la colossale statua del granduca Cosimo III; ma lo scultore vi lavorò solo dalla primavera del 1686, perché impegnato a realizzare la statua della Clemenza per la tomba di Clemente X in S. Pietro in Vaticano (1684 circa). Durante l’estate e l’autunno del 1686 il M. si trattenne a Siena, da dove, verso la fine di luglio, si era recato anche a Firenze per dirimere, con ogni probabilità, alcune questioni relative a un suo eventuale incarico presso l’accademia fondata a Roma da Cosimo III (1673).
Il 10 luglio era infatti morto Ercole Ferrata, lasciando vacante il posto di maestro per i giovani scultori toscani che studiavano presso quell’istituzione. F. Chigi avrebbe voluto avanzare la candidatura del M.; ma tutto si risolse con un nulla di fatto, vista la decisione del granduca di rinunciare completamente all’accademia stessa.
Nell’ottobre 1686 lo scultore era di nuovo a Roma. Il 1692 è l’anno d’inizio del cantiere della cappella dedicata al beato Ambrogio Sansedoni nel palazzo di famiglia a Siena. Gli artisti chiamati a lavorarvi furono i fiorentini Antonio Domenico Gabbiani, che dipinse la volta, e Massimiliano Soldati, per le opere in bronzo, con storie della vita di Ambrogio. Il fratello Giovanni Antonio e il M. realizzarono, entro il 1694, il primo due rilievi marmorei ai lati dell’altare e il secondo il rilievo frontale con la Visione del beato Ambrogio (Pansecchi, pp. 39 s.).
Del 1700 circa è la statua della Carità, realizzata per il monumento Perello in S. Giovanni a La Valletta, nell’isola di Malta (Schlegel, p. 7).
A U. Schlegel si deve il ritrovamento in una collezione privata di un bozzetto per l’Adone, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo, ritrovamento che ha dato fondamento a quanto affermato in merito da Pascoli (p. 480), secondo il quale la statua, firmata e datata 1709, era stata iniziata una trentina di anni prima dal M. per diletto personale: l’esame del bozzetto rileva infatti una modellatura morbida e scorrevole, incoerente rispetto alle opere dei primi anni del Settecento.
L’attività del M. in questo periodo fu molto prolifica. Pascoli (p. 480) riferisce che il M. dovette privilegiare gli incarichi che giungevano da Roma e dalle altre città, a scapito di quelli di provenienza senese.
Dalla famiglia Acquaviva gli arrivò la commissione di un bassorilievo con l’Annunciazione per la S. Casa di Loreto, opera che il M. provvide a collocare di persona, accompagnato, come afferma Pascoli (p. 481), dalla moglie; se della prima o della seconda non è dato sapere, dal momento che le fonti non rilevano le date dei rispettivi matrimoni.
La prima moglie fu Petronilla Petrelli, romana, di 13 anni più giovane di lui; dopo otto anni di vedovanza, il M. ebbe un secondo matrimonio con la coetanea romana Dorotea Bernabei. A sua volta, secondo Pascoli (p. 486), quest’ultima, dopo la morte del M., sposò Marcantonio Cruschelli, curiale di Siena.
Pascoli (p. 485) ricorda che il M. lasciò Roma (dove aveva stretto amicizia con prelati e cavalieri) per tornare a Siena, senza però restarvi troppo a lungo, perché richiamato nella città papale. A Roma rientrò per lavorare al busto di Maria Camilla Pallavicini Rospigliosi (1710: ancora oggi nel palazzo romano) e ai monumenti funebri di famiglia in S. Francesco a Ripa (1713-19 circa: ibid., p. 482; Negro, p. 158).
All’età di settantanove anni il M. realizzò la Morte di Cleopatra, gruppo marmoreo conservato nei giardini dell’ospedale Coloniale di Lisbona. Della Valle (p. 445) narra come lo scultore nel 1723 conservasse ormai finito il marmo, che non vendette e stabilì che restasse indiviso tra gli eredi. È evidente che successivamente si contravvenne a ciò, perché nel 1737 l’opera risulta essere a Lisbona (Pansecchi, p. 43).
Il M. morì a Roma il 7 marzo 1725 e venne sepolto nella chiesa di S. Francesco di Paola (Pascoli, p. 483).
Lasciò un capitale «d’otto in dieci mila scudi» ai quattordici nipoti «nati da quattro fratelli cardinali, che tutti presero moglie, ed ebber figli; ed egli benché due ne prendesse non ne ebbe mai» (ibid., p. 487).
Molte opere tarde del M. furono completate dal nipote Bartolomeo, figlio del fratello Giovanni Antonio, come la Madonna con il Bambino e s. Giovannino, nell’anticappella di palazzo Sansedoni di Siena; mentre la Visione del beato Ambrogio, nella cappella, è interamente di mano di Giuseppe (Pansecchi, p. 39). Ebbe pochi scolari, tra cui Gaetano Altobelli, che stette con lui fino alla morte, e Giuseppe Maria il Giovane, figlio di Giovanni Maria, fratello di Bartolomeo.
Fonti e Bibl.: L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, II, Roma 1736, pp. 478-483, 485-487; G. Della Valle, Lettere sanesi, III, Venezia 1786, pp. 445, 449; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi 1200-1800 (1835), Firenze 1976, XI, pp. 268 s., 281; XII, pp. 261-305; N. Mengozzi, Il Monte dei paschi. Lavori artistici, in Bull. senese di storia patria, XI (1904), pp. 528 s.; G. Pignotti, I pittori senesi della fondazione Biringucci (1724-1915), Siena 1916, pp. 1-23; V. Golzio, Documenti artistici del Seicento nell’Arch. Chigi, Roma 1939, pp. 209 s.; F. Pansecchi, Contributi a G. M., in Commentari, X (1959), 1, pp. 34-36, 38-40, 42 s.; M. Salmi, Il palazzo e la collezione Chigi-Saracini, s.l. [ma Siena] 1967, ad ind.; U. Cagliaritano, Mamma Siena, III, Siena 1971, pp. 577 s.; U. Schlegel, Per G. e Bartolomeo Mazzuoli: nuovi contributi, in Arte illustrata, V (1972), 47, pp. 6-8; H. Hawley, G. M.: Education of the Virgin, in The Bullettin of the Cleveland Museum of art, LX (1973), p. 295; M. Falorni, Senesi da ricordare, Siena 1982, p. 312; A. Negro, Nuovi documenti per G. M. e bottega nella cappella Pallavicini Rospigliosi a S. Francesco a Ripa, in Boll. d’arte, LXXII (1987), 44-45, pp. 158-164; M. Butzek, G. M. e le statue degli Apostoli del duomo di Siena, in Prospettiva, 1991, n. 61, pp. 75-77, 79-81; C. Sisi - E. Spalletti, La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Siena 1994, pp. 63, 468, 560; A. Angelini, G. M., la bottega dei fratelli e la committenza della famiglia De’ Vecchi, in Prospettiva, 1995, n. 79, pp. 81 s.; D. Frascarelli - L. Testa, Una nuova attribuzione a G. M., in Boll. dei Musei comunali di Roma, n.s., XVI (2002), pp. 67-77; T. Montanari, Pittura e scultura nella Roma di fine Seicento: un busto di G. M. da un dipinto di Jacob Ferdinand Voet, in Prospettiva, 2005, nn. 117-118, pp. 183-188; M. Butzek, Scultura barocca. Studi in terracotta dalla bottega dei Mazzuoli, Cinisello Balsamo 2007, pp. 26, 44, 48; M.V. Thau, Forni e dintorni. Pittori senesi a Roma e la cultura scientifica di Ulisse Forni, Firenze 2007, pp. 17 s., 22; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 316, 318 s.