MAZDAK
. Riformatore sociale e religioso persiano, vissuto tra la seconda metà del sec. V e la prima del VI d. C. Più che una dottrina originale, sembra che egli abbia con grande successo iniziale predicata e propagandata una riforma, secondo alcuni dell'ortodossia mazdea, secondo altri del manicheismo, enunciata già due secoli prima da un certo Zarādusht (identificato dal Christensen con un manicheo Bundos dell'epoca di Diocleziano, di cui è cenno in Giovanni Malala). Questa riforma, di carattere etico-sociale, mirava ad abolire i motivi della cupidigia e della discordia e inimicizia fra gli uomini, arrivando così da premesse ed esigenze schiettamente religiose (come quasi ogni movimento comunistico antico) a predicare la comunanza dei beni e delle donne. Vittorioso in un primo tempo per l'adesione datagli dal re sassanide Kavādh I, il movimento mazdakita finì tragicamente, allorché il re, ricuperato il regno che appunto per la sua politica filomazdakita aveva perduto, ritenne necessario riguadagnare il favore della nobiltà e del clero mazdeo gravemente danneggiati dal trionfo del mazdakismo. Sotto l'ispirazione e l'organizzazione del principe ereditario Khusraw (il futuro Cosroe Anūsharwān), Mazdak e gran numero di suoi seguaci furono invitati a una solennità a corte, e quivi massacrati (528 o 529 d. C.). Seguì la persecuzione e lo sterminio della setta in tutto l'impero.
Le notizie su M. e il suo movimento sono incertissime, risalenti tutte a fonti assai ostili, e fortemente colorite di particolari romanzeschi: certo è che la dottrina, originariamente di spiccato carattere speculativo e morale, nella pratica degenerò in sfrenata anarchia e violenza sociale; sue reviviscenze appaiono in molti movimenti comunistici sorti in Persia e nelle regioni limitrofe durante i primi secoli dell'Islām.
Bibl.: Fondamentale A. Christensen, Le règne du roi Kawadh I et le communisme mazdakite, Copenaghen 1925 (sviluppa la tesi dell'origine manichea del mazdakismo).