MAYNO, Giuseppe, detto Mayno della Spinetta
MAYNO (Maino), Giuseppe, detto Mayno della Spinetta. – Nacque a Spinetta Marengo (oggi frazione di Alessandria) da Giuseppe e Maria Roveda; la data precisa della nascita è ignota, né è possibile averne documentazione dal momento che i registri parrocchiali di Spinetta furono distrutti dalle truppe francesi dopo la battaglia di Marengo, nel giugno 1800, tuttavia si può supporre, grazie a indizi sui genitori e ai registri di leva, che il M. sia nato intorno al 1784. Non documentate sono le notizie che lo dicono seminarista, poi arruolato nell’armata di Bonaparte già nel 1796. Unico dato certo sulla gioventù del M. è quello relativo al matrimonio con Cristina Ferraris (o Ferrari), celebrato dal parroco di Spinetta Marengo il 19 febbr. 1803, quando nacque la sua leggenda di bandito inafferrabile.
La tradizione paesana imponeva che nei festeggiamenti fossero sparati in aria alcuni colpi di fucile, mentre la legge francese vietava alla popolazione civile la detenzione di armi. Gli spari fecero accorrere sul posto una pattuglia di gendarmi, che intimarono al M. e ai parenti di deporre le armi e consegnarsi alla polizia. Essi resistettero e nel conflitto uno dei gendarmi fu ucciso; essendo per questo prevista la condanna a morte, il giovane sposo si dette alla macchia insieme con i familiari nella cosiddetta Fraschetta alessandrina, corrispondente all’incirca alla zona pianeggiante compresa tra Alessandria, Tortona e Novi, dove la reazione antifrancese era divampata non appena i soldati repubblicani erano comparsi nella zona.
Principali sostenitori della ribellione erano stati i pochi signori locali e il clero. Questo aveva dipinto i Francesi come nemici della religione, spingendo i contadini a colpirli con rappresaglie e attentati. La dorsale appenninica tra Liguria e Piemonte era da secoli rifugio di briganti e contrabbandieri; la Fraschetta, in particolare, era da sempre luogo di attività delittuose. Già i governi di Torino e Milano avevano tentato in tutti i modi di eliminare la piaga del contrabbando, ma senza grandi risultati; l’arrivo delle truppe francesi fece aumentare i fuorilegge, che assunsero le vesti di difensori del popolo, vittima dei ladrocini e della violenza degli occupanti. Oltre al consenso della popolazione della zona, le bande di briganti trovarono affiliati tra coloro che non erano disposti a servire sotto le bandiere delle truppe d’occupazione.
In questo ambiente nacque la leggenda di «Mayno della Spinetta», che, se non fu l’unico brigante ad agire nella Fraschetta, fu certamente il più celebrato, soprattutto per le dimensioni della sua banda: si parlò di quasi 200 persone, numero che, anche a volerlo dimezzare, deve essere considerato straordinario per l’epoca. Dopo l’episodio delle nozze la sua popolarità crebbe di giorno in giorno.
La vita di bandito del M. è ricca di episodi leggendari: tra i più noti vi fu l’assalto alla carrozza di Pio VII, nel novembre 1804, mentre questi si recava a Parigi per incoronare imperatore Napoleone. Secondo la leggenda il convoglio papale fu fermato presso la località di San Giuliano Vecchio da alcuni membri della banda che s’inginocchiarono dinanzi al pontefice chiedendo perdono per le loro malefatte, offrendogli doni e una scorta per attraversare la Fraschetta. Documenti più attendibili riguardano assalti e scorribande dopo il 1805: secondo i dispacci della polizia imperiale, fonte principale sulle vicende del banditismo nell’Alessandrino, la banda si fece più attiva da quell’anno, tanto che la gendarmeria e le autorità del dipartimento di Marengo posero sulla testa del M. e dei suoi complici una taglia di 3000 franchi, scatenando una caccia all’uomo che non portò tuttavia a risultati apprezzabili. Frattanto la banda ingrossava le sue file: uomini di ogni parte d’Italia, che l’eco delle imprese del leggendario bandito di Spinetta iniziò a far convergere verso la Fraschetta, dove gli oppositori del nuovo regime potevano trovare nascondiglio sicuro.
Tra questi divennero noti G. Cangiaso, un Barberi (detto «Rattatuglia») e il sarto P. Ferraris, fratello della moglie del M.; il primo passò nella tradizione come il più sanguinario, mentre Ferraris come il letterato della compagnia, che fungeva da segretario e stendeva lettere, contenenti anche minacce ed estorsioni (Gasparolo).
Un episodio in particolare merita di essere ricordato, perché strettamente legato alla morte del M.: la rapina a una carrozza che trasportava il ministro di Polizia del Regno di Napoli C. Saliceti e il generale E.-J.-B. Milhaud. Dopo aver loro intimato di scendere dalla vettura, il M. ardì strappare dalla divisa di Milhaud la croce della Legion d’onore e appuntarsela al petto, sbeffeggiando i due.
Il 22 febbr. 1806 il cerchio intorno al fuggiasco cominciò a stringersi. Un tal Faccio, funzionario delle carceri di Torino, propose al prefetto di Marengo di affidargli l’incarico di prendere, vivo o morto, il M., ormai noto anche come «l’Empereur des Alpes» (Ernest d’Hauterive, La police secrète du premier Empire: bulletins quotidiens adressés par Fouché à l’empereur, 1804-1814, publiés… d’après les documents originaux inédits déposés aux Archives nationales, II, 1805-1806, Paris 1913, pp. 270 s.).
La taglia sul M. era stata caldeggiata dal segretario dell’ufficio di polizia locale, Verzoni, e C.-É. Galliot, comandante del 56° squadrone della gendarmeria imperiale, consapevoli che l’unico modo per catturarlo era spingere qualche membro della sua banda a tradirlo. La vera forza del M. stava infatti nella sua inafferrabilità, dovuta all’ottima conoscenza del territorio e a una fitta rete di parentele e conoscenze. Oltre a ciò contava su complici a lui legati da sentimenti di provata amicizia, che lo proteggevano da tradimenti e delazioni.
Il 12 apr. 1806 Galliot, appreso che il M. doveva incontrarsi a Spinetta con un seguace (probabilmente il cognato Luigi Ferraris), fece irruzione nella sua casa. Pur sorpreso, il M. combatté fino alla morte.
Secondo la tradizione popolare non fu ucciso dai gendarmi, ma preferì suicidarsi con un colpo di pistola piuttosto che cadere nelle loro mani. Da parte francese, il generale J.-F. Menou informò J. Fouché della fine del bandito in una lettera del 21 apr. 1806, attribuendone il merito ai soldati e in particolare a Galliot. La commissione militare di Alessandria espose in pubblico la salma del M. con la scritta «Le brigand Joseph Mayno, de la Spinetta, a vécu». La sua morte non significò, comunque, la fine della leggenda. La sua banda continuò per anni a operare sotto la guida di Cangiaso, che aveva giurato di vendicarlo. Il 2 maggio 1806 il maresciallo B.-A.-J. de Moncey comunicò a Fouché che la banda non era stata del tutto sgominata e che i compagni del M. avevano messo una taglia di 4000 franchi su Galliot.
Il personaggio di M. della Spinetta ha sempre suscitato curiosità e anche polemiche: per alcuni fu un eroe, per altri solo un criminale. Nella veste di bandito-gentiluomo ha anche ispirato numerosi romanzi, filastrocche, poesie, canzoni popolari, pièces teatrali; C. Lombroso ne studiò le fattezze, classificandolo come puro criminale. Certo è che, come Fra Diavolo (Michele Pezza) nell’Italia meridionale, egli incarnò perfettamente lo spirito antifrancese presente nella popolazione italiana in età napoleonica. L’arresto dei membri della banda pose fine a un tipo di brigantaggio che presentava ancora forti legami con le insorgenze e la controrivoluzione del 1799. Ci si può chiedere se l’azione del M. fu la conseguenza di quegli anni turbolenti o solo un fenomeno locale. Le insorgenze e il banditismo manifestarono peculiarità diverse a seconda delle aree geografiche e la stessa «grande controrivoluzione» del 1799 fu meno un fenomeno unitario che una serie di episodi dovuti a spinte e obiettivi eterogenei; proprio la mancanza di intenti comuni condusse al fallimento del movimento dei Viva Maria e di tutta la resistenza antifrancese alla fine del XVIII secolo. Il M. va dunque inserito in una precisa realtà locale: il suo odio per i Francesi nasceva infatti da ragioni personali e non certo dalla volontà di elevarsi a liberatore del popolo oppresso. Forse il suo mito, come altri, non fu creato dalle sue azioni ma dall’importanza delle sue vittime.
Fonti e Bibl.: F. Viganò, Il brigante di Marengo o sia M. della Spinetta, Milano 1845; G.A. Albera, M. della Spinetta, Parma 1873; Vita di G. Antonio M. della Spinetta capo di briganti nella quale si raccontano le sue straordinarie vicende, aggiuntavi la sentenza pronunciata dalla Suprema Commissione militare sedente in Alessandria in nome del re ed imperatore Napoleone I, Novara 1877; F. Gasparolo, La banda di M. della Spinetta. Contributo alla storia del brigantaggio in Italia nel sec. XIX, in Riv. di storia, arte e archeologia della provincia di Alessandria, XIX (1905), p. 350; V. Luciani, M. della Spinetta il brigante di Marengo. Racconto popolare, Milano 1913; V. Bellone, M. della Spinetta. Romanzo, Milano 1935; M. Ruggiero, Briganti del Piemonte napoleonico, Torino 1968, pp. 129-160; F. Castelli, M. della Spinetta. Un brigante fra storia e leggenda, Torino 1972; G. Masini, Il banditismo antifrancese nel distretto di Marengo (1789-1807): M. della Spinetta, tesi di laurea, Università degli studi di Pavia, a.a. 1978-79; P. Dellacà, La banda Mayno: un caso di brigantaggio nel Piemonte napoleonico (1802-1807), tesi di laurea, Università degli studi di Pavia, a.a. 1990-91.