MAYA
. I Maya o Maya-Quiché, che formano una delle famiglie etniche più omogenee dell'America Centrale (v. sotto: Etnologia moderna) vengono generalmente divisi in tre grandi gruppi: Maya dello Yucatàn e del Chiapas, Quiché del Guatemala e Huaxtec dello stato messicano di Vera Cruz. Ciascuno di essi presenta suddivisioni linguistiche regionali e locali. Benché alcune di queste lingue siano in via di estinzione ed altre estinte in epoca recente (quali l'Apay, il Coxoh e l'Uxab), si può affermare che dal sec. XV a ora non vi sono state grandi variazioni tranne che dal punto di vista numerico, e che l'area occupata dai Maya odierni corrisponde a quella del periodo della loro massima espansione in epoca precolombiana.
Sommario. - Archeologia: Cronologia relativa e assoluta (p. 626); Cultura materiale e sociale (p. 628). - Religione e mitologia (p. 630). - Scienze e lettere (p. 631). - Arte (p. 633). - Storia (p. 634). - Le attuali popolazioni maya: Etnologia (p. 635); Lingue (p. 635). - Bibliografia (p. 636).
Archeologia.
Cronologia relativa e assoluta. - L'attenzione della scienza europea si volse alla regione abitata da questi popoli solo nella prima metà del sec. XIX quando, nel 1834, venne pubblicato il resoconto dei tre viaggi compiuti dal capitano austriaco Dupaix nello Yucatán dal 1805 al 1807. Nel 1838 F. de Waldeck diede alle stampe i risultati del suo viaggio nell'America Centrale descrivendo varie rovine di edifici, seguito nel 1840-43 da J. Stephens la cui opera destò grande interesse, grazie anche agli ottimi disegni del Catherwood riproducenti i monumenti antichi.
Prima del sec. XIX, le antichità di quella zona erano solo vagamente conosciute attraverso alcune relazioni e descrizioni di monumenti, per lo più dello Yucatán, scritte dai conquistadores e dai loro compagni del sec. XVI. Fra queste relazioni emergono quella di Hernán Cortés, di B. Díaz del Castillo, di Juan Díaz, cappellano della spedizione di Juan de Grijalva, del vescovo Diego de Landa e soprattutto quella dell'anonimo compagno del delegato francescano per lo Yucatán nel 1586, in cui vengono descritte con sorprendente fedeltà le rovine della città di Uxmal.
L'importanza scientifica di queste relazioni deriva dal fatto che tutti gli autori sono concordi su due punti: nel notare la progressiva rovina di tutti i monumenti osservati e nel ritenere gli abitanti della regione discendenti, senza possibile dubbio, dagli antichi costruttori dei monumenti, quantunque la cultura di questi ultimi fosse di gran lunga superiore a quella dei supposti nipoti. Per confermare tali asserzioni sono state necessarie le recenti indagini archeologiche ed etnografiche che hanno dimostrato l'unità etnica degli antichi e moderni Maya, come pure la sopravvivenza fra questi ultimi di elementi culturali e idee religiose proprie ai primi.
Soltanto dopo il 1870 s'iniziarono ricerche, condotte con criterio scientifico, da uno stuolo sempre più numeroso di studiosi fra cui conviene notare D. Charnay, E. Seler, G. Byron Gordon, M. E. H. Thompson, E. P. Dieseldorff, S. V. Morley, K. Sapper, Th. W. F. Gann, T. A. Joyce e P. Blom, che scoprirono intere città morte, sepolte sotto la vegetazione tropicale, e vi raccolsero un'enorme quantità di materiale prezioso per la conoscenza di ciò che furono i Maya del passato.
Gli scavi condotti dal Gordon nelle grotte di Copán (Honduras) e dal Thompson in quella di Loltun (Yucatán) hanno rivelato l'esistenza di una popolazione, sinora sconosciuta, che abitava la regione anteriormente ai Maya. Questo popolo arcaico e poco numeroso che differiva profondamente dai suddetti Maya e la cui cultura aveva varî punti di contatto con quella dei primitivi abitanti delle Grandi Antille, è scomparso senza lasciare tracce importanti di sé, assorbito o distrutto dagl'invasori, provenienti forse dalla regione costiera del Messico settentrionale e dal bacino del Mississippi, come sostengono alcuni autori. Tale migrazione può farsi risalire a epoca relativamente recente: un millennio circa innanzi l'era volgare.
Negli ultimi venti anni le ricerche furono intensificate e condotte sistematicamente grazie all'interessamento di vari istituti scientifici europei e nord-americani, che hanno periodicamente inviato e continuano ad inviare sul posto degli specialisti forniti di larghissimi mezzi finanziarî. Emergono fra quelli europei il British Museum di Londra con le sue missioni archeologiche dirette dal Joyce nell'Honduras Britannico, e, fra quegli americani, la Carnegie Institution di Washington, che da circa 9 anni esegue monumentali lavori di scavo e di restauro delle rovine di Chich' en Itzá; la Tulane University of Louisiana, il Field Museum of Natural History di Chicago, ecc., le cui ricerche hanno, fra l'altro, contribuito moltissimo alla conoscenza della cronologia dei Maya, illustrando numerose iscrizioni cronologiche, determinando i varî periodi in cui si volse la civiltà di quelle popolazioni e fissando le caratteristiche dell'arte nei periodi suddetti.
È stato dimostrato dall'archeologia come i Maya abbiano avuto due epoche di splendore culturale, separate l'una dall'altra da un periodo di regresso durato varî secoli e dovuto a cause a noi sconosciute. Il primo periodo di floridezza viene chiamato "Vecchio Impero" per distinguerlo dal secondo, detto "Nuovo Impero" o "Rinascenza Maya" che, come il primo, decadde dopo alcuni secoli.
Le ricerche del Seler, di F. T. Goodman, da S. G. Morley, dello Spinden e particolarmente quelle di E. Förstermann hanno portato molta luce sul modo con cui i Maya rappresentavano i numeri, sia nelle iscrizioni sia nei manoscritti, scoperta che ha permesso di decifrare le date riportate in numerose iscrizioni e di conoscere così i varî sistemi cronologici usati da quei popoli.
Queste iscrizioni con date variano secondo che appartengono al Vecchio o Nuovo Impero per il sistema cronologico usato. Le prime, le più numerose, sono basate sul cosiddetto "Conto Lungo", mentre le seconde si servono dell'U Kahlay Katunob che è una semplificazione del primo sistema. I Maya possedevano un calendario con un anno sacro detto Tzolkin di 260 giorni e uno solare o Haab di 360 più 5 giorni. Il primo non era altro che il Tonalamatl azteco, mentre il secondo si basava su 18 periodi o mesi (Uinal), di 20 giorni (Kin) ognuno, che formavano una unità di tempo detta Tun di 360 giorni a cui ne venivano aggiunti 5 supplementari detti Xma-Kaba-Kin (giorni senza nome) per formare l'anno solare (v. calendario). Si sa inoltre che 20 Tun formavano un Katun di 7200 giorni e che 20 Katun formavano una unità di tempo di 144.000 giorni di cui non si conosce il nome in Maya e che viene chiamata Ciclo. Oltre queste vi erano ancor più alte unità quali il Gran Ciclo di 20 Cicli, il Gran-gran-ciclo di 400 Cicli e finalmente il Grangran-gran-ciclo di 8000 Cicli ossia di più di 3 milioni di anni.
Le iscrizioni cronologiche del Vecchio Impero vengono divise in: 1° serie iniziali, 2° serie secondarie, 3° date del giro del calendario, 4° date dei periodi terminanti.
Le serie iniziali vengono così chiamate da uno speciale geroglifico o glifo detto "Introduttore" che inizia invariabilmente tali iscrizioni. Dopo questo glifo segue, in senso verticale, un certo numero di geroglifici numerici, normalmente 5 gruppi di 2 glifi ognuno che vengono letti dall'alto in basso. Ogni glifo è composto da un moltiplicando rappresentato da numeri simili a quelli usati nel Messico o da teste di divinità aventi lo stesso valore, mentre il moltiplicatore è rappresentato da speciali geroglifici di periodi di tempo aventi i rispettivi valori di 1, 20, 360, 7200, 144.000 salendo dal basso in alto. Dopo questi geroglifici segue una data, composta da due glifi, che termina l'iscrizione (p. es. 13 Imix, 4 Ceh). Se si moltiplicano i suddetti moltiplicatori per i rispettivi moltiplicandi e si sommano insieme si ottiene un altissimo numero che rappresenta la differenza in giorni trascorsa fra il giorno espresso dalla data che termina l'iscrizione ed un certo giorno 4 Ahau 8 Cumhu, che è un punto base fissato dai Maya nello spazio del tempo passato. Per esempio noi abbiamo un'iscrizione che letta dall'alto in basso dà i seguenti numeri come moltiplicandi: 9 il primo gruppo, 19 il secondo, 3 il terzo, 4 il quarto, 1 il quinto e come data terminale 13 Imix 4 Ceh. Tale data può esprimersi nel seguente modo: 9-19-3-4-1, 13 Imix 4 Ceh. Se moltiplichiamo questi numeri per i rispettivi moltiplicatori, ossia 9×144.000, 19×7200, 3×360, 4×20, 1×i e sommiamo i risultati otteniamo 1.426.961 che rappresenta il numero dei giorni trascorsi fra il 4 Ahau 8 Cumhu e il 13 Imix 4 Ceh.
Tutte le serie iniziali conosciute, all'infuori di due, hanno la data 4 Ahau 8 Cumhu come punto di partenza. Le due serie anomale, la serie iniziale del lato ovest della stela C di Quirigua e quella che trovasi nel tempio della Croce a Palenque, partono invece dal giorno 4 Ahau 8 Zotz, circa 5000 anni innanzi il 4 Ahau 8 Cumhu. Appare evidente che queste due date di partenza non si riferiscono ad avvenimenti di carattere storico come è. p. es., la nascita di Cristo, punto di partenza della nostra cronologia, ma bensì a qualche importante evento mitico che può essere stato la nascita di qualche grande dio della mitologia maya per il 4 Ahau 8 Zotz e la creazione del mondo per il giorno 4 Ahau 8 Cumhu. In alcune serie iniziali il glifo del giorno (p. es. 13 Imix) nella data che termina l'iscrizione non è seguito immediatamente da quello del mese relativo (p. es. 4 Ceh), ma ne è separato da 6 o 7 glifi numerici che evidentemente debbono servire a completare la serie iniziale, ma di cui non è stato possibile trovare il significato. Tali serie di glifi dette "serie supplementari" sembrano però, specialmente in seguito alle ricerche del Teeple, riferirsi a calcoli relativi a periodi lunari, ipotesi convalidata anche dal fatto che il glifo della luna vi appare frequentemente.
Le serie secondarie appaiono nei monumenti in cui è stato necessario esprimere più date, per non dover ripetere più volte i calcoli relativi alle serie iniziali. In queste iscrizioni la data di partenza non è il 4 Ahau 8 Zotz o il 4 Ahau 8 Cumhu, ma bensì la data che termina la serie iniziale. Nella stela E di Quirigua: la serie iniziale 9-14-13-4-17, 12 Caban 5 Kayab, che è seguita da una serie secondaria di 6 Tun, 13 Uinal, 3 Kin; sommando il numero dei giorni componenti quest'ultima alla precedente serie iniziale si ottiene la data 9-15-0-0-0, 4 Ahau 13 Yaz di cui la posizione è fissata nel "Conto Lungo" senza la necessità di aver eseguito per essa i calcoli necessarî per la formazione di una nuova serie iniziale. Una serie secondaria che non si riferisce a una data terminale di una serie iniziale vien detta "data del giro del calendario", poiché non venendo a essere fissata la sua posizione nel "Conto Lungo", essa esprime solamente una delle 18.980 date contenute in un completo giro del calendario, ossia di un periodo di 52 anni. Tali date non offrono a noi alcuna possibilità per stabilire l'epoca che designano.
Le date dei periodi terminanti si avvicinano, per il sistema usato, al modo europeo di dare i due ultimi numeri di una data tralasciando il secolo a cui appartiene la medesima, come p. es. '34 per 1934, quantunque esse diano non un periodo di una determinata lunghezza quale un anno come nell'uso europeo, ma bensì un dato giorno che termina un certo periodo, normalmente il Katun. Queste date vengono espresse da tre fattori di cui i due primi sono assolutamente necessarî, mentre il terzo può mancare e che sono: 1° un dato periodo del Conto Lungo quale un Ciclo o un Katun, ecc., p. es. Ciclo 9 oppure Katun 16; 2° la data che riporta il giorno in cui si chiude il detto periodo, come p. es. 8 Ahau I3 Ceh, 13 Ahau 3 Zotz, che chiudono rispettivamente il Ciclo 9 il primo, ed il Katun 16 il secondo; 3° il segno indicante che la data si riferisce a un periodo che sta per terminare o che è terminato. Per es., in una delle tavolette del tempio della Croce a Palenque vi è la seguente data: 8 Ahau - 13 Ceh - glifo detto terminante - Ciclo 9. Essa può trascriversi in: 9-0-0-0-0, 8 Ahau 13 Ceh, fissando così la sua posizione nel Conto Lungo. Più comuni sono le iscrizioni che riportano la data in cui termina un certo Katun, come è per es. quella della stela 2 a Copán: 12 Ahau - 8 Ceh - glifo terminante - Katun 11, la cui trascrizione è: 9-11-0-0-0, 12 Ahau 8 Ceh se si ammette, come è logico pensare, che il numero del ciclo mancante sia 9. Altri periodi terminanti riportati dalle iscrizioni sono il Lahantun e il Hotun entrambi frazioni di un Katun. Queste date di periodi terminanti sono altrettanto pratiche ed esatte quanto quelle delle serie iniziali e secondarie, se si pensa che mentre in una serie iniziale la medesima data si ripresenta solamente dopo un intervallo di 374.400 anni, in una data che dà il ciclo terminante ciò non avviene che ogni 748.800 anni, in quella di un Katun terminante ogni 18.720 anni, spazî di tempo che rappresentavano praticamente l'eternità per i Maya.
Le serie iniziali sono rarissime durante il Ciclo 8; di esse le tre più antiche sono: 1° quella incisa su un piccolo idolo in giadeite detto la statuetta di Tuxla e che è: 8-6-2-4-17, 8 Caban 0 Kankin; 2° un'iscrizione con la data 8-14-3-1-12, 1 Eb 0 Yaxkin, pure incisa su una placca in giadeite che si trova attualmente nel museo di Leida; 3° la serie iniziale della stela 9 di Uaxactun, la più vecchia iscrizione cronologica Maya in situ, che dà la data: 8-14-10-13-15, 8 Mon 8 Kayab. Durante il Ciclo 9 le iscrizioni divengono più numerose raggiungendo un massimo verso 9-18-0-0-0; dopo diminuiscono rapidamente cessando completamente dopo 10-3-0-0-0 (stela 12 di Uaxactun).
Durante il periodo del Nuovo Impero i Maya del Yucatán usarono invece il metodo detto dell'U Kahlay Katunob (conto di Katun) essendo in esso presa come unità di misurazione cronologica il Katun o periodo di 7200 giorni. Questo sistema appare derivato da quello delle date dei periodi terminanti usato durante il Vecchio Impero. Dell'U Kahlay Katunob i soli periodi usati erano il Katun e il Tun, il primo dei quali veniva elencato mediante il giorno Ahau con cui immancabilmente terminava, seguito dal corrispondente numero, per es. Katun 9 Ahau, Katun 7 Ahau, ecc. o più semplicemente 9 Ahau, 7 Ahau. Questi tredici numeri che si succedevano nella seguente maniera: 7-5-3-1-12-10-8-6-4-2-13-11-9-7-5-3, ecc., permettevano di fissare una data in un periodo di 13 Katun (256 anni) con un'approssimazione di 1 Katun (20 anni). A volte, ma di rado, per rendere più esatta la data erano aggiunti l'anno, il giorno e il mese, p. es. Katun 13 Ahau Tun 9, 13 Imix 19 Zip.
Sino da epoca anteriore alla scoperta del Förstermann sono stati fatti numerosi tentativi di porre in correlazione le date maya con la nostra cronologia. Queste ricerche, quantunque non siano state coronate da un completo successo, hanno però dato, grazie ai recenti lavori di R. K. Morley, di H. J. Spinden, di R. C. E. Long e del Ludendorff, risultati assai soddisfacenti, tanto da poter affermare che l'esatta correlazione fra la cronologia maya e il calendario gregoriano sarà certamente raggiunta in un prossimo futuro. L'esame delle variazioni culturali e artistiche avvenute durante l'intero svolgersi della civiltà maya è stato di massima importanza nel raggiungimento di una cronologia relativa, poiché basandosi esclusivamente su criterî stilistici ed eseguendo un'accurata analisi artistica di un monumento datato da una semplice data del giro del calendario, e confrontandolo con altri su cui erano iscritte delle serie iniziali, si è riusciti a porre la suddetta data del giro del calendario nella sua esatta posizione nel Conto Lungo.
Lo Spinden, che ha lungamente studiato l'arte dei Maya, ha provato che tutti i monumenti datati di Copán corrispondono dal punto di vista stilistico alle date terminali in essi iscritte, ossia che i monumenti di tipo arcaico portano date molto più antiche di quelli artisticamente più evoluti. I cosiddetti "Libri di Chilam-Balam", opere di carattere storico in lingua maya (v. sotto: Scienze e lettere) contengono date secondo il metodo dell'U Kahlay Katunob, in relazione a eventi storici dal 163 dell'era volgare alla prima metà del sec. XVI. Queste serie di date acquistano una particolare importanza perché di alcuni fatti per i quali vi è la data maya e che sono avvenuti dopo l'arrivo degli Spagnoli, noi conosciamo per mezzo di alcuni cronisti l'epoca esatta in cui avvennero secondo il calendario gregoriano, permettendo così la correlazione fra il nostro sistema e la cronologia maya del Nuovo Impero.
Oltre che dai Libri di Chilam-Balam per la correlazione delle date del "Vecchio Impero" si è stati aiutati dalla cronologia relativa accertata attraverso le ricerche stilistiche e anche dall'astronomia, poiché varie date appaiono essere il ricordo di importanti eventi astronomici (eclissi ecc.). Che l'esatta correlazione fra il calendario gregoriano e la cronologia maya del Vecchio Impero non sia stata raggiunta, appare dalle seguenti correlazioni basate su teorie ugualmente convincenti che pongono il giorno 4 Ahau 8 Cumhu: 1. Bowditch, Joyce e Long il 10 febbraio 3641 a. C.; 2. Spinden il 14 ottobre 3373 a. C.; 3. Thompson il 13 agosto 3113 a. C.
Riguardo alla possibilità di far entrare gli eventi della storia dei Maya nel campo della nostra cronologia lo Spinden ha proposto la seguente divisione: 1. periodo protostorico (235 a. C. al 160 d. C.); 2. periodo arcaico (160 al 455 d. C.); 3. grande periodo (545 al 600); 4. periodo di transizione (600 al 960); 5. periodo della Lega (960 al 1195); 6. periodo Nahua (1195 al 1442); 7. periodo moderno (dal 1442).
Cultura materiale e sociale. - La maggior parte dell'alimentazione dei Maya era ricavata dall'agricoltura che essi praticavano in piccoli campi detti Kol, ottenuti mediante un periodico disboscamento fatto in comune dai membri del clan a cui apparteneva l'agricoltore. In questi campi venivano coltivati granturco, zucche, ignami, cotone, peperoni, ecc. Ai prodotti agricoli si aggiungevano quelli della caccia e della pesca praticata sia in comune con battute, sia individualmente con frecce, trappole e veleni. A quanto pare i Maya possedevano alcuni animali domestici, fra cui il tacchino, e inoltre allevavano api in grande quantità e l'archeologia ha provato che gli abitanti della regione costiera dello Yucatán solevano recarsi periodicamente nelle isole vicine alla costa per raccogliervi conchiglie e molluschi commestibili. Le abitazioni variavano secondo le classi sociali: quelle della classe meno agiata della popolazione, delle quali non è rimasta traccia dato il materiale deperibile, è assai probabile che fossero simili a quelle dei Maya odierni e cioè in foglie di palma, di forma rettangolare leggermente ellittica alle estremità e con tetto di paglia a doppio spiovente. Quanto a quelle dell'aristocrazia si sa, grazie ad alcuni cronisti del sec. XVI, che erano della stessa forma delle precedenti, ma di legno o di pietra. Queste ultime erano divise nel senso della lunghezza in una parte anteriore formante veranda, usata come luogo di ricevimento, e in una posteriore abitata dalla famiglia del proprietario; la parete di divisione era spesso ornata dal lato esterno con stucchi policromi e affreschi. Le case dei grandi capi e dei sacerdoti erano spesso di pietra e costruite su alture artificiali di forma generalmente piramidale e simili ai basamenti dei templi messicani, alte da 6 a 30 metri secondo l'importanza del monumento o anche secondo la regione in cui erano costruite. Le città erano formate dall'insieme di tali costruzioni usate sia per abitazioni sia per culto, talvolta riunite in gruppi separati l'uno dall'altro dalle asperità del terreno.
Risulta dalle relazioni dei cronisti spagnoli del sec. XVI e dai monumenti, che i Maya erano abilissimi nel tessere stoffe di cotone, spesso riccamente decorate. Di queste nulla è rimasto, salvo alcuni pezzi di tela bianca di cotone trovati dal Blom in un vaso ermeticamente chiuso, da lui scoperto nel 1928 a Cieneguilla presso Comitlán. Il vestiario dei Maya era assai semplice e subì poche variazioni durante l'intero periodo della loro civiltà. Gli uomini si cingevano le reni con una larga fascia di stoffa, le cui estremità, ornate di una frangia forse fatta di piume, ricadevano avanti e dietro il corpo. Vi veniva talora aggiunto un corto mantello fermato su una spalla e che alcuni autori, fra cui lo Schellhas, ritengono essere stato proprio di determinate classi sociali. Le donne portavano una lunga sottana dalle anche ai piedi che lasciava scoperta, come nel costume maschile, la parte superiore del tronco su cui ponevano una corta tunica aperta ai lati. Entrambi i sessi usavano sandali di cuoio o di fibre o anche vere e proprie calzature che ricoprivano completamente il piede; i capelli venivano lasciati crescere liberamente tanto dagli uomini quanto dalle donne, mentre la barba era raramente portata, preferendo i Maya ornarsi il volto con pitture o con tatuaggi dopo essersi depilati. Nelle alte classi sociali gli uomini si coprivano il capo, forse in date circostanze, con enormi e complicatissimi ornamenti di piume, usavano orecchini di forma cilindrica di varie materie (conchiglia, pietra verde e ceramica) e si foravano le labbra e le pinne nasali per introdurvi opportuni monili. Erano inoltre praticate la deformazione artificiale del cranio a tipo occipito-frontale e la limatura dei denti incisivi e canini allo scopo di aguzzarli. Vi era pure l'uso d'intarsiare nei medesimi, come presso alcune popolazioni precolombiane dell'Ecuador, dei pezzetti di ossidiana, di giadeite e di mastice nero accuratamente levigati. I cronisti spagnoli non ricordano però affatto questa pratica d'intarsio dentario, ed è probabile che essa fosse già in disuso all'epoca della conquista.
I Maya usavano come armi offensive asce e mazze di selce e di pietra dura, lance pure con la punta di pietra, una caratteristica spada di legno (il maquahuitl dei Messicani) la cui lama era formata da schegge di ossidiana e finalmentele frecce che venivano scagliate con l'arco nello Yucatán e con il propulsore, identico all'atlatl (v.) messicano, nel Guatemala e nell'Honduras. A scopo difensivo usavano scudi rotondi la cui armatura di giunchi era coperta di pelle di cervo, e speciali corazze di tela imbottita di cotone compresso e impregnato di sale, molto resistenti.
La ceramica aveva raggiunto una grande perfezione. La tecnica di fabbricazione è sempre stata la stessa durante i varî periodi, essendo i vasi modellati a mano su un piccolo disco di pietra posato a terra e fatto lentamente rotare dai piedi del vasaio. Alcuni vasi di tipo speciale venivano invece fatti con stampi e fra questi ultimi sono caratteristiche le piccole fiasche schiacciate speciali al Guatemala e all'Honduras, e appartenenti al periodo del Vecchio Impero, i cui due lati maggiori presentano in leggiero rilievo il busto del "Dio dal naso aquilino" o Dio D dello Schellhas (v. sotto: Religione e mitologia), mentre sui minori vi è una doppia colonna di geroglifici. Sono caratteristici e proprî al Vecchio Impero alcuni vasi cilindrici e dei piatti poco fondi, gli uni e gli altri sorretti da tre piccoli piedi. La decorazione delle ceramiche veniva eseguita con incisione, a champ-levé, con applicazione di rilievi modellati prima della cottura, e con pitture policrome (v. sotto: Arte).
Un'altra industria assai sviluppata era la lavorazione delle pietre dure (quarzo verde, giadeite, turchese, ecc.). Uno dei più famosi capolavori dell'arte lapidaria maya è la cosiddetta "tavoletta di Leida", piccola placca in giadeite sulla quale è incisa da un lato una divinità calpestante un essere umano e dall'altro un gruppo di geroglifici numerali che dànno una delle date più antiche del Vecchio Impero (19 novembre 60 era volgare, secondo la correlazione proposta dallo Spinden).
La metallurgia, di gran lunga inferiore a quella messicana, era limitata alla produzione di lavoretti di rozza fattura, come sonagli sferici di oro e rame, mentre invece l'intaglio in legno era assai progredito, come provano alcune stupende architravi di chichsapotl (Achras Zapota Linn.) provenienti da Tikal, oggi nel British Museum e nel museo di Basilea, e varî piccoli oggetti, fra cui un manico di coltello, alcuni ornamenti labiali con tracce di pittura e gli avanzi di sei propulsori recentementc scoperti nell'interno del pozzo sacro di Chich'en Itzá.
Poco si sa circa le istituzioni sociali e politiche dei Maya precolombiani, benché di grande utilità in proposito siano state le ricerche etnografiche di A. M. Tozzer fra i Lacandoni odierni, che sembrano discendere dal clan Itza (v. sotto: Storia) e conservano ancora alcune usanze degli avi. A quanto pare, la società era divisa in numerosi clan totemici esogamici, ad ognuno dei quali era attribuita in origine un'area di dispersione nettamente delimitata e sembra pure che molti nomi di città e paesi maya non siano che quelli delle famiglie e dei clan che vi dimoravano. L'autorità familiare era esercitata dal padre, al quale succedeva il primogenito o, nel caso della minore età di quest'ultimo, lo zio paterno. I figli, stando a un passo assai oscuro della relazione del Landa, aggiungevano al prefisso Na (figlio) il nome dei genitori, per cui il figlio di Chel e di Chan veniva chiamato Nachanchel oltre al proprio nome personale. I beni paterni, a eccezione dei titoli e delle cariche che erano trasmesse in linea retta maschile, venivano divisi in parti eguali fra tutti i figli maschi. La poligamia era pressoché sconosciuta; l'età del matrimonio fissata a circa 20 anni e, terminate le cerimonie nuziali, lo sposo doveva dimorare per cinque o sei anni presso i genitori della moglie, lavorando per essi; inoltre presso i Quiché era in uso il levirato, le vedove venendo sposate dal fratello del defunto marito. Il divorzio era assai frequente e per ottenerlo bastava l'abbandono del domicilio da parte di un coniuge. Pare che, almeno nel N. dello Yucatán, per capo-villaggio o yum (padre) fosse eletto l'uomo più anziano della comunità. Questi capi, chiamati holpop quando il territorio a loro sottoposto era di una certa importanza, dipendevano dal batab, signore ereditario della provincia che a sua volta obbediva all'halach-uinic (uomo vero) corrispondente all'incirca a un sovrano autocratico ereditario in linea retta maschile. Tre soli capi nello Yucatán (quelli di Mani, Mayapán, e Chich'en Itzá) avevano il titolo di halach-uinic ed erano assistiti da speciali funzionarî come l'ahkulel, il nuphtan, l'etahau di cui non si conoscono esattamente le funzioni: funzionarî portanti gli stessi titoli, però di grado minore, assistevano i batab provinciali. A tutti i capi di una certa importanza veniva dato il titolo di ahau (signore) mentre quello di halach-uinic, preso abusivamente dopo la distruzione di Mayapán (1446?) da numerosi batab, divenne sinonimo di "generale". La giustizia era amministrata dai batab e anche, nel caso di gravi delitti, dall'halach-uinic. Vigeva l'uso del pagamento del prezzo del sangue per la maggior parte dei delitti; il furto era punito con la schiavitù nel caso che il ladro non potesse indennizzare il danneggiato e se il colpevole ricopriva una carica pubblica gli venivano inoltre scarificate le guance. L'uomo adultero sorpreso in flagrante veniva abbandonato al marito tradito che poteva ucciderlo o perdonargli; la donna non veniva punita, ma scacciata dal domicilio coniugale.
Fra i divertimenti dei Maya il principale era quello in cui gruppi avversi di giovani dovevano far passare una palla attraverso un anello colossale di pietra fissato a una certa altezza in un muro. Questo giuoco che veniva fatto in apposite piazze, di cui si sono conservate le tracce in varie città, aveva forse un carattere rituale, come i drammi accompagnati da danze, che venivano spesso rappresentati in occasione di cerimonie religiose. La musica era semplicissima, anche a causa dei pochi strumenti usati, quali fischietti di terracotta da una a quattro note, tamburi di legno e flauti di osso.
Religione e mitologia.
Le scarse informazioni che si possiedono sulla religione degli antichi Maya provengono in gran parte dalle opere di scrittori spagnoli dei secoli XVI e XVII, quali D. de Landa, B. de Lizana, D. de Cogolludo, per quanto riguarda lo Yucatán, e l'Ordóñez y Aguiar per il Guatemala e la regione del Petén, notizie che si riferiscono tutte all'epoca della conquista. Per il periodo precedente vi è il Popol Yuh, l'unico lavoro letterario che ci sia pervenuto in lingua quiché, la cui compilazione risale probabilmente alla fine del sec. XVI ma che contiene varî elementi antichi come leggende cosmogoniche, canti rituali e tradizioni storiche che lo rendono un'opera di straordinaria importanza per la mitologia maya. Per la conoscenza delle divinità sono inoltre di grande utilità i tre codici Maya esistenti: il Peresiano, il Dresdense ed il Tro-Cortesiano, conservati rispettivamente nelle biblioteche di Parigi, Dresda e Madrid. Quanto alla religione praticata durante il Vecchio Impero l'unica fonte informativa è fornita dall'archeologia e dalle rappresentazioni di divinità che si trovano sui monumenti dell'epoca.
I Maya durante il Nuovo Impero adoravano numerosi dei, alcuni dei quali, circa dieci, maggiori. Fra questi il principale era Itzamna, dio civilizzatore che personificava l'Oriente come pure la luce, il sole nascente, la vita e la sapienza e il cui potere si estendeva sul cielo, sul giorno e sulla notte. Il centro del suo culto era nella città di Itzamnal nello Yucatán, ove affluivano numerosi pellegrini provenienti anche dal Guatemala. Della stessa importanza o di poco minore era Cuculcan "il serpente ricoperto di piume", il cui nome e le cui caratteristiche rendono evidente la sua identificazione con Quetzalcoatl, il dio dell'aria dei Messicani, il cui culto fu introdotto nella regione maya, probabilmente durante il Nuovo Impero, da un'invasione nahua proveniente dal Messico (v. sotto: Storia). Originariamente il culto di Cuculcan aveva come centro la città di Chich'en-Itzá, però in seguito fu venerato particolarmente a Mani ove il sedicesimo giorno del mese Xul venivano fatti in suo onore grandi festeggiamenti con sacrifici e rappresentazioni sacre. Un altro grande dio era Ahpuch, il dio della morte, a cui era connessa l'idea della morte, dei sacrifici umani e del suicidio per impiccagione. In stretta relazione con il sopraddetto erano Ek Ahau, dio dei viaggiatori, e un'altra divinità non bene identificata, forse il dio della guerra, di cui si trovano spesso le raffigurazioni sui codici, e Zotziha Chimalcam, il dio dei Cakchiquel in forma di pipistrello. In netto contrasto con queste divinità di violenza era Yum-Kaa, dio del granturco, deità benefica, forse una delle maggiori del pantheon maya, come pure Xaman-Ek, la stella polare, protettore dei mercanti a cui indicava la rotta da seguire.
Fra le dee conviene ricordare Ixchel, moglie di Itzamna, patrona delle partorienti, che veniva venerata in un tempio dell'isola di Cozumel, celebre per gli oracoli resi da una statua della dea, come pure Ixtubtun che proteggeva gl'incisori di pietre dure.
P. Schellhas ha identificato alcuni di questi dei con certe divinità frequentemente rappresentate nei codici, ognuna delle quali possiede speciali attributi e che egli aveva classificato in precedenti lavori mediante le lettere dell'alfabeto. Itzamna sarebbe il dio D o "dio dal naso aquilino", che ha come caratteristiche un naso aquilino, il volto da vecchio e un ornamento simile a una spirale intorno all'occhio. Cuculcan si identificherebbe con il dio B o "dio dal naso lungo", rappresentato con un lungo naso dall'estremità leggermente pendula. Ahpuch, invece, è facilmente riconoscibile nel dio A, che ha un teschio per testa e che spesso porta le vertebre visibili. Pure secondo lo Schellhas gli dei F e M si identificherebbero rispettivamente con il dio della guerra e col patrono dei viaggiatori. Sembra inoltre provato che il dio del granturco sia il dio E, che porta sopra il capo il glifo Kan che è la stilizzazione di un chicco di granturco e sopra questo glifo una pannocchia dello stesso vegetale circondata dalle sue foglie. È invece assai problematica l'identificazione di Xaman Ek con il dio C e di Ixchel con la dea I a cui appare connessa l'idea di tempeste e di distruzione.
Oltre questi grandi dei vi erano infinite deità minori fra cui i quattro Bacab che simboleggiavano i punti cardinali e a cui erano attribuiti, secondo un'usanza propria a molti popoli dell'America precolombiana, particolari colori quali designazioni: il bianco per il nord, il giallo per il sud, il rosso per l'est e il nero per l'ovest. Gl'idoli erano per lo più di terracotta, ma ve n'erano anche di legno e di pietra. La loro fabbricazione era considerata opera di grande importanza e i loro artefici si circondavano durante il lavoro di numerose precauzioni rituali. Oltre l'offerta di cereali, incenso e animali che venivano arsi innanzi agli dei, i Maya praticavano su sé stessi l'estrazione rituale del sangue che ottenevano incidendosi le orecchie, la lingua e il membro virile. Anche i sacrifici umani erano usati, e le vittime venivano sgozzate su un apposito altare simile al Techcatl messicano o uccise a colpi di frecce. A Chich'en Itzá invece le vittime erano affogate nel pozzo sacro o Cenote. Similmente ai Messicani i sacerdoti si rivestivano con la pelle delle vittime, le cui carni venivano divise fra il clero e i notabili per essere mangiate. Da un passo del Landa e da altre antiche fonti spagnole pare che i Maya avessero una specie di confessione dei peccati, che veniva fatta in pubblico a uno speciale sacerdote.
La cosmogonia offre molti punti oscuri; però, come è stato detto precedentemente, il Popol Vuh, che contiene d'altra parte molti elementi di origine tolteca, offre a questo proposito e riguardo alla mitologia dei Quiché del Nuovo Impero notizie della massima importanza. Gli dei, secondo il Popol Vuh, esistevano da tutta l'eternità, però come condizione alla loro esistenza era necessario che il loro nome fosse pronunciato da esseri che sarebbero diventati in tal maniera il loro sostegno. Dopo alcuni tentativi mal riusciti per creare un'umanità, tentativi che diedero vita agli animali e ad uomini formati di terra e di argilla, gli dei non soddisfatti delle loro creazioni incaricarono le due divinità della magia, i vecchi indovini Xpiyacoc e Xmucane, di creare gli uomini. Furono allora costruiti dei fantocci di legno che agirono e si moltiplicarono come fossero stati uomini, però, essendo privi di cuore e d'intelligenza, non si ricordarono dei loro creatori che si decisero a sterminarli. Acqua e tenebre circondarono gli "uomini di legno"; agli elementi si aggiunsero alcuni animali mitici oltre a quelli domestici e agli oggetti d'uso (armi, pietre da macinare, vasi, ecc.) a cui fu permesso di rivoltarsi contro i loro padroni. Il tema mitico della "rivolta degli oggetti" oltre che fra i Maya si incontra anche nel Perù pre- e postcolombiano e fra i Chiriguano dell'Argentina. I pochi superstiti di questa seconda umanità che sfuggirono alla distruzione furono i capostipiti delle scimmie. Nel frattempo Xpiyacoc e Xmucane ebbero due figli, Hunhunahpu e Vukubhunahpu che, giunti alla maggiore età, furono invitati dai demoni dello Xibalba, il regno sotterraneo, a competere quivi con loro in una partita di giuoco della palla. Avendo i due fratelli aderito a tale invito, furono sottoposti a numerose prove che, per la loro imperizia magica, non riuscirono a sormontare, venendo poi uccisi. La testa di Hunhunahpu fu appesa ad un albero, da cui fecondò la figlia di uno dei capi dello Xibalba sputandole nella mano. La fanciulla fuggendo per la sua incipiente gravidanza dal regno sotterraneo si rifugiò presso Xpiyacoc e Xmucane nella cui casa partorì due gemelli: Hunahpu e Xbalanque che, come il loro padre, giunti a una certa età ricevettero una sfida dai capi dello Xibalba. Per assicurarsi la vittoria fecero alleanza con gli animali e, grazie alla loro scienza magica, superarono tutte le prove, riuscendo a uccidere i demoni. Come ricompensa gli dei li fecero salire al cielo trasformandoli nel sole e nella luna. La terra essendo illuminata, furono allora definitivamente creati, fabbricandoli con il granoturco, quattro uomini: Balam-Quitze, Balam-Acab, Mahucutah e Yquibalam da cui discesero i quattro clan quiché. Questi ultimi antenati possedevano doti soprannaturali fra cui la visione del futuro, che fu però loro tolta dagli dei spaventati dalla potenza della loro creazione.
Quanto alla classe sacerdotale, nello Yucatán le numerosissime cariche religiose formavano un'assai complicata gerarchia a capo della quale era l'Ahau Can Mai che risiedeva a Mayapán e che era incaricato di esaminare i candidati al sacerdozio e di destinarli alle varie località. Egli era assistito da un consiglio formato di 12 sacerdoti di grado elevato ed era rappresentato in ogni provincia dall'Ahkulel che riuniva così in sé l'ufficio religioso con quello politico. Esistevano pure, a quanto pare, alcune sacerdotesse, ma le funzioni del culto erano per lo più riservate ai soli uomini. Fra i numerosi sacerdoti conviene citare i Chilan, che offrivano sacrifici agli dei rispondendo in nome degli stessi ai quesiti dei fedeli, gli Ahuai Chac che ottenevano le piogge, gli Ah Macik che scongiuravano i venti e gli Ahuai Xibalba che evocavano i morti.
I riti funebri variavano secondo le località e la classe sociale a cui apparteneva il defunto. In alcuni luoghi il cadavere veniva semplicemente seppellito sotto la propria abitazione; in altre regioni invece la classe meno agiata usava seppellire i morti in grandi cumuli artificiali poco elevati, di terra battuta, in cui venivano a volte deposti anche più di 50 individui. Il corpo era seppellito con le gambe retratte sull'addome, le braccia incrociate sul petto e la testa posta contro le ginocchia. Insieme con i cadaveri erano deposti alcuni oggetti di rozza fattura, sia di ceramica sia di pietra. In un altro tipo di sepoltura, praticato solamente dalla parte agiata della popolazione, il cumulo, d'altezza maggiore dei precedenti, conteneva un solo defunto posto nella medesima posizione e accompagnato però da una suppellettile funebre più numerosa e di miglior qualità. Esisteva anche, specie nel Guatemala e nel Honduras, l'uso di costruire camere funerarie di pietra ricoperte da un cumulo di terra alto da sei a quindici metri, tipo di sepoltura usato probabilmente per individui di alto rango sociale. Il corpo disteso supino era circondato da vasi, a volte policromi, di fattura finissima, insieme con armi di ossidiana o di selce e con ornamenti personali (collane, orecchini, ecc.) spesso di giadeite. In alcuni casi queste sepolture contenevano due o tre camere sovrapposte in cui il corpo del defunto occupava il vano superiore, mentre quelli inferiori erano riservati alla suppellettile funebre. Nello Yucatán la cremazione era usata comunemente per i capi. Le ceneri venivano spesso racchiuse nei grandi incensieri in terracotta con bassorilievi frontali usati nel territorio maya, oppure in appositi recipienti non decorati. Dato però che la cremazione appare essere stata usata solamente per defunti di classe elevata, è strano il fatto che in Chich'en-Itzá, ove il Gann stima che siano vissuti più di un milione di abitanti durante il suo millennio di esistenza, non si siano scoperte fino ad oggi che tre o quattro tombe. Un rito funebre notevolissimo che trova riscontro presso alcune popolazioni melanesiane è quello che era usato coi capi del clan Cocom al tempo della conquista. La testa del defunto era bollita per scarnificarla; in seguito veniva segata la parte posteriore del cranio e su quella anteriore, conservata religiosamente, venivano modellati i tessuti mancanti, per mezzo di un mastice speciale, tanto da ottenere la fedele riproduzione dei tratti del defunto.
Scienze e lettere.
La scoperta fatta dal Förstermann del sistema con cui i Maya esprimevano i numeri, ha rivelato l'alto grado da essi raggiunto nelle scienze matematiche e particolarmente nell'astronomia, che applicavano sia a scopi pratici, come la cronologia e l'elaborazione del loro calendario, sia rituali, per stabilire date di carattere magico.
I numeri dal 0 al 19 venivano espressi mediante due differenti metodi: 1. con forme dette "normali"; 2. per mezzo di appositi glifi, rappresentanti teste di divinità. Le forme normali possono essere paragonate al sistema numerico dei Romani. Infatti le forme normali maya sono anch'esse basate sulle combinazioni di due elementi: il punto e la linea, i cui valori erano rispettivamente fissati in una e cinque unità. I numeri dall'1 al 4 si formano mediante 1, 2, 3, 4 punti posti orizzontalmente, che sovrapposti a una linea formavano i numeri dal 6 al 9. Il numero dieci era espresso mediante due linee sovrapposte, come il 15 era nel medesimo modo rappresentato da tre linee. Sovrapponendo al 10 e al 15 un conveniente numero di punti si formavano i numeri dall'11 al 14 e dal 16 al 19. Lo zero e il venti erano invece indicati da speciali glifi.
Il secondo metodo di numerazione si avvicina al sistema arabico, essendovi una speciale e inconfondibile testa di divinità per rappresentare ogni numero dall'1 al 13, come per i numeri arabici vi sono nove figure diverse per indicare i numeri dall'1 al 9. Oltre il 13 per esprimere i numeri dal 14 al 19 veniva poi applicata la caratteristica essenziale del glifo indicante il 10 (un mascellare inferiore scarnito) alle teste che valgono rispettivamente da 4 a 9 unità, come nel sistema arabico si aggiungono i segni che rappresentano da 1 a 9 unità al numero 1 indicante la diecina.
I numeri superiori al 20 in entrambi i due metodi si ottenevano per "posizione", e, come nel sistema arabico aggiungendo un segno numerico verso destra si ottiene un aumento di ordine decimale nella serie numerica, i Maya ottenevano lo stesso risultato sul campo vigesimale, sovrapponendo un numero sopra l'altro partendo dal basso in alto invece di andare da sinistra verso destra come nel nostro sistema. Il numero più in basso era considerato moltiplicato per 1, quello a lui immediatamente superiore per 20, il terzo per 360, il quarto per 7200, il quinto per 144.000 e il sesto per 2.880.000, moltiplicatori che, eccetto per quello del terzo posto (il 360) che è il prodotto di 20 × 18 sono tutti formati dalla moltiplicazione vigesimale del numero immediatamente inferiore. Per es., un'iscrizione ridotta in cifre arabiche dà la seguente serie numerica, partendo dal basso in alto: 1-15-13-14-6-4. La somma dei risultati delle moltiplicazioni di ognuno di questi numeri per i loro rispettivi moltiplicatori dà il numero che l'iscrizione vuole esprimere (1 × 1 + 15 × 20 + 13 × 360 + 14 × 7200 + 6 × 144.000 + 4 × 2.880.000 = 12.499.781).
Notizie astronomiche di grande interesse sono contenute nelle iscrizioni e particolarmente nei codici. Nelle pagine 51-58 del Codice Dresdense si osservano dei calcoli che riguardano le rivoluzioni lunari, e si resta sorpresi nel constatare come il numero dei giorni (11.959) in cui l'ignoto astronomo maya autore di tali calcoli fissava il trascorrere di 405 rivoluzioni della luna, è inferiore soltanto di un 89/100 di giorno al risultato che si ottiene eseguendo i suddetti calcoli con metodi moderni. Una vera e propria esposizione dei movimenti che compie il pianeta Venere è contenuta nelle pagine 46-50 del medesimo codice. Il numero di 2920 giorni che spesso ricorre in quelle pagine contiene esattamente cinque anni venusiani di 584 giorni ciascuno (l'astronomia moderna ha fissato la rivoluzione sinodica di Venere in giorni 583, 920/1000). Inoltre l'astronomo maya aveva diviso ogni anno di questo pianeta in quattro periodi: uno di 236 giorni (in cui Venere appare come stella del mattino), uno di 90 giorni (periodo d'invisibilità per la congiunzione superiore), uno di 250 giorni (in cui appare come stella della sera) e finalmente uno di 9 giorni (periodo d'invisibilità per la congiunzione inferiore). È molto probabile che in altre pagine del Codice Dresdense e in numerose iscrizioni siano anche notate le rivoluzioni sinodiche di Mercurio, di Marte e forse di Giove e di Saturno e che i Maya per scopi forse rituali, oltre agli anni solari, lunari e venusiani, ne possedessero altri, calcolati sulle rivoluzioni dei suddetti pianeti.
Nel Codice Peresiano si nota una serie di tredici animali che è probabilmente la raffigurazione dello zodiaco maya composto di tredici divisioni, invece delle 12 o 28 del nostro. Non ci consta che quei popoli usassero forme geometriche nelle loro dimostrazioni, quantunque se, come affermano alcuni autori fra cui il Morley, le stele 10 e 12 di Copan fosgero state erette per formare una base astronomica usata per determinare solstizî ed equinozî, tale fatto sarebbe ampiamente provato. Il Blom ha, in ogni modo, scoperto a Uaxactum un gruppo di tre templi e una stele, per cui si potevano osservare le levate solstiziali ed equinoziali del sole.
Al contrario dei segni matematici di cui gran parte è stata decifrata, la lettura dei glifi non numerici che accompagnano spesso le iscrizioni cronologiche ha fatto ben pochi progressi dall'inizio delle ricerche, poiché all'infuori di una ventina di glifi di cui il senso è certo, la scrittura maya ha resistito a innumerevoli tentativi di decifrazione, tanto che ci sono ormai poche speranze di riuscita in un prossimo o anche lontano futuro.
Questa scrittura, conosciuta in tutta la regione occupata dai Maya sino dagl'inizî del Vecchio Impero, e che era ancora in uso all'epoca della conquista, si presenta su svariatissimi materiali; i glifi venivano infatti scolpiti nella pietra e sul legno; incisi o dipinti sullo stucco e sulla ceramica; incisi sui metalli, sull'osso, sulla conchiglia e sulle pietre dure; dipinti sui manoscritti formati di carta di fibre d'agave.
Le iscrizioni ricorrono più comunemente scolpite, specialmente durante il Vecchio Impero, sulle stele, giganteschi monoliti di pietra alti a volte alcuni metri, sui cui due lati maggiori sono frequentemente scolpite, in alto o basso rilievo, rappresentazioni di divinità o scene rituali. Associati spesso a queste stele sono enormi blocchi pure di pietra, di forma generalmente ellittica o cilindrica e di piccola altezza, frequentemente decorati con sculture, che in alcuni casi fanno assumere una forma zoomorfa all'intero monumento. Tanto questi ultimi, noti sotto il nome di altari, quanto le stele contengono spesso lunghe iscrizioni di carattere cronologico. Il significato tanto delle stele quanto degli altari non è ancora ben definito: mentre alcuni autori sostengono che questi monumenti siano stati eretti per fini rituali, altri ritengono che specialmente le stele si riferiscano al ricordo di eventi storici o astronomici.
Tre teorie sono state avanzate per l'interpretazione dei glifi non di carattere matematico: 1. che la scrittura maya fosse fonetica, ogni glifo rappresentando un suono; 2. che invece essa fosse ideografica, ogni glifo rappresentando un'idea; 3. che i glifi fossero nello stesso tempo fonetici e ideografici.
La prima ipotesi ebbe molto favore agl'inizî delle ricerche, grazie alla scoperta fatta nel 1863 dal Brasseur de Bourbourg a Madrid di un manoscritto contenente la Relación de las cosas de Yucatán scritta dal vescovo Diego de Landa verso il 1565. In quest'opera, fino allora ritenuta perduta, è riportato un alfabeto di ventisette segni che il de Landa presentava come la base della scrittura indigena. Ma la critica moderna ha tolto gran parte del valore che fu attribuito a quest'alfabeto, dimostrando come esso sia completamente inefficace per decifrare qualsiasi iscrizione maya. Con ogni probabilità l'alfabeto del de Landa è una creazione d'indigeni viventi in epoca posteriore alla conquista che, per imitazione o per istigazione dei loro padroni, cercarono di dare un valore fonetico o anche alfabetico ad alcuni segni della loro scrittura nazionale. La teoria che i glifi siano ideografici è stata sostenuta particolarmente dagli studiosi tedeschi, fra cui il Seler, lo Schellhas e il Förstermann. Quest'ultimo ha avanzato l'ipotesi ehe i glifi siano composti d'un elemento centrale di carattere ideografico a cui sono aggiunti dei prefissi e dei suffissi fonetici. Finalmente gli studiosi americani, come il Bowditch, il Brinton e il Morley, sostengono che i glifi siano basati sul principio della scrittura degli antichi Messicani, scrittura detta "iconomastica" di cui noi abbiamo un'esatta riproduzione nei rebus, in cui i segni non indicano gli oggetti che rappresentano, bensì i suoni dei loro rispettivi nomi.
È noto che i Maya, come i Messicani, scrivevano su una carta speciale fabbricata con la fibra del maguey (Agave americana). Questa carta, di un notevole spessore e dall'apparenza di feltro, veniva ridotta in lunghe strisce che, ricoperte di una speciale vernice calcarea, venivano ripiegate in forma di paravento e sui cui due lati erano in seguito dipinti i glifi e le immagini che illustravano il testo.
I tre soli manoscritti esistenti sono il Codice Dresdense, il Peresiano e il Tro-Cortesiano, quest'ultimo composto di due manoscritti, il Troano e il Cortesiano, entrambi conservati nel museo archeologico di Madrid e che le ricerche del Förstermann hanno dimostrato essere parti di uno stesso manoscritto.
Del Codice Troano il Thomas dà una chiara e concisa descrizione: "esso consiste in una striscia di carta di maguey che misura all'incirca m. 4,25 × 0,23; i due lati del foglio sono ricoperti da una pittura o vernice bianca. Questi due lati sono divisi in scompartimenti, di circa 15 cm. di larghezza, da linee nere e rosse eseguite nel senso della larghezza. In ogni scompartimento sono disegnate varie figure nei colori bruno, nero, rosso e azzurro, accompagnate da caratteri. La lunga striscia che forma il codice è piegata in 35 pagine di modo che, le iscrizioni e le illustrazioni coprendo i due lati della stessa striscia, il volume risulta formato da 70 pagine". Mentre i codici Dresdense e Peresiano sono eseguiti mn squisito senso artistico, il Tro-Cortesiano è di gran lunga inferiore. Tale fatto, accompagnato inoltre da una maggiore stilizzazione dei glifi, può far ritenere il manoscritto di Madrid di epoca assai più recente degli altri, nonostante l'origine comune dimostrata dalle ricerche microscopiche dello Schwede nel 1912 e da quelle stilistiche dello Schellhas nel 1926, che attribuiscono i detti manoscritti alla regione nord del Guatemala, essendovi fra l'altro da notare nelle figurazioni di divinità l'assenza assoluta dell'arco, mentre appare a più riprese il propulsore, arma tipica della suddetta regione. Questi manoscritti sono apparsi solo assai recentemente: il Codice Dresdense è noto dal 1739, epoca in cui si trovava a Vienna, e gli altri due sono stati conosciuti ancora più tardi. Nonostante tale fatto si può ritenere per cosa certa che essi furono portati in Europa subito dopo la conquista dello Yucatán e del Guatemala da qualche "conquistador" spagnolo. Riguardo all'epoca in cui furono scritti è difficile pronunciarsi, alcuni autori ritenendo il Codice Dresdense del sec. XI e altri invece del XIV o XV. Pure difficilmente apprezzabile per l'oscurità che circonda la scrittura maya è il contenuto dei suddetti codici, quantunque si possa affermare che mentre il Codice Dresdense e il Peresiano contengono principalmente calcoli astronomici accompagnati forse da alcune notizie storiche, il Tro-Cortesiano, presentando ripetizioni di glifi e di segni numerici, ha quasi certamente un contenuto d'esclusivo carattere magico.
All'infuori dei codici, esistono alcune produzioni letterarie per lo più di carattere storico, scritte con caratteri latini in varî dialetti maya da autori indigeni viventi in epoca posteriore alla conquista, di cui la più importante è il Popol Vuh, cosmogonia infinitamente preziosa il cui manoscritto originale, in lingua Quiché, fu scoperto verso la fine del sec. XVII a Santo Tomás Chichicastenango nel Guatemala dal padre Francisco Ximénez. Questi ne copiò il testo originale insieme con una sua traduzione in lingua spagnola in una miscellanea che rimase sconosciuta sino al 1854, epoca in cui lo Scherzer di Vienna la trovò casualmente nella biblioteca dell'università di Guatemala e colpito dall'importanza che presentava l'opera ivi contenuta, ne pubblicava nel 1857 a Vienna il testo spagnolo, mentre quello originale fu invece pubblicato l'anno seguente a Parigi dal Brasseur de Bourbourg sotto il titolo: Le Popol Vuh, livre sacré des Quichés. L'ignoto autore, che scriveva probabilmente verso la fine del sec. XVI, fuse insieme in questo lavoro varî elementi certamente antichi come leggende, canti rituali e tradizioni storiche, ottenendo un'opera assai omogenea d'indiscutibile interesse.
Fra gli altri documenti rimastici in lingua maya conviene ricordare i cosiddetti Libri di Chilam-Balam (v.), brevi manoscritti contenenti dati storici insieme con profezie. Queste opere, che portano il nome del paese in cui furono composte, hanno giovato moltissimo per la conoscenza della cronologia maya del Nuovo Impero secondo l'U Kahlay Katunob. Si possono citare, fra i tanti, quelli di Mani, di Chumayel e di Titzimin pubblicati dal Brinton, che contengono numerose informazioni storiche e geografiche sullo Yucatán all'epoca della conquista. Pure pubblicata dal Brinton è la Cronaca di Chac-xulub-Chen, così chiamata dal villaggio in cui fu composta. Il suo autore, Nakuk Pech di Motul, fu battezzato dagli Spagnoli di cui divenne un fedele funzionario.
Un'altra opera importante è uno scritto in lingua cakchiquel, pure pubblicato dal Brinton, opera dell'indigeno Francisco Hernández Arana Xahila, che la compose a prova di alcuni diritti territoriali del proprio clan Xahila per una causa che doveva essere discussa dinnanzi al Consiglio delle Indie.
Oltre a questi documenti nelle varie lingue indigene, vi sono alcuni lavori storico-giuridici composti da autori maya in spagnolo. I più noti sono i Títulos de los señores Quichés de Totonicapan e i Títulos antiguos de nuestros antepassados... de Otzoya, interessanti per le notizie che contengono, ma di scarso valore letterario.
Arte.
Nel campo delle arti plastiche i Maya furono indubbiamente superiori a qualsiasi popolo dell'America precolombiana, sia per l'alto livello tecnico da essi raggiunto, sia per lo squisito senso artistico che permette di distinguere con relativa facilità le loro opere d'arte da quelle prodotte dai popoli messicani, nonostante che nell'arte maya appaiano anche elementi stilistici importati dal Messico, da Costarica e persino dal Chiriquí (Panamá).
L'arte maya, in seguito alle recenti ricerche condotte specie dallo Spinden, appare essersi sviluppata sul posto sotto l'egida della religione che ne compose probabilmente i canoni estetici. Tale ipotesi spiega come, tenendo conto naturalmente delle differenze prodotte dall'epoca e dal luogo, l'arte maya si sia conservata singolarmente omogenea in tutti i tempi.
L'architettura e la scultura furono le arti in cui eccelsero i Maya; invece la pittura, quantunque di gran lunga superiore a quella messicana, non raggiunse mai il livello delle altre arti. Fra i motivi ornamentali caratteristici dell'arte maya conviene notare il motivo del serpente, del dragone a due teste, dell'uccello a testa di serpente, del dio dal naso lungo, del dio dal naso aquilino, della cosiddetta sbarra cerimoniale, e dello scettro dell'ometto. Il più frequente è quello del serpente, che s'incontra a volte rappresentato sotto forma realistica tanto da permettere di riconoscere il comune serpente a sonagli dell'America Centrale (Crotalus Durissus), mentre in altri casi il motivo ofidiomorfo appare profondamente idealizzato essendo rappresentato a volte ricoperto con le penne dell'uccello quetzal, oppure in varie forme di transizione verso l'antropomorfismo, forme di cui una, peculiare all'arte maya, è la rappresentazione di teste di serpente nelle cui fauci aperte è contenuta una testa umana. Il dragone a due teste, come fu definito dal Maudslay, è una mostruosa creatura il cui corpo sorretto da quattro zampe, spesso rappresentato di profilo e altamente stilizzato, reca una testa grottesca a ogni estremità, teste di cui una viene presentata di fronte mentre l'altra è vista di profilo. L'uccello a testa di serpente si compone del corpo del quetzal a cui è aggiunta una testa molto convenzionale di serpente. Questa creatura mitica, che sembra aver avuto un importante significato religioso, forse in relazione al culto di Quetzalcoatl, si trova spesso raffigurata su un ramo di un albero stilizzato in forma di croce, albero che rappresenta probabilmente il mitico Vahom Che, che aveva le radici nel mondo sotterraneo e, attraversando la terra con il suo tronco, raggiungeva con i suoi rami il cielo. Due oggetti pure di singolare importanza artistico-cerimoniale che s'incontrano solamente sulle scultute e non nei codici sono la cosiddetta sbarra cerimoniale e lo scettro dell'ometto. La sbarra cerimoniale è composta di un serpente a due teste, ognuna posta a una estremità del corpo, rappresentato piuttosto tozzo, a volte leggermente ricurvo, mentre in altri prende l'aspetto di una sbarra. Quest'oggetto viene normalmente raffigurato sostenuto da entrambe le mani di personaggi di carattere probabilmente sacerdotale, come pure lo scettro dall'ometto, che deriva forse da un'ascia cerimoniale, sulla cui estremità superiore riposa la figura di uno gnomo.
La scultura dei Maya veniva trattata principalmente mediante il basso e l'altorilievo. Il tutto tondo ebbe grande importanza solamente a Copán, data forse la qualità della pietra, più facile a lavorarsi che in altre regioni. A volte l'altorilievo si presenta con sculture eseguite su due o più piani, altri ancora mostrano l'unione della tecnica dell'alto e bassorilievo. I personaggi della maggiore parte delle stele di Piedras Negras e di Quiriguá hanno il corpo eseguito in bassorilievo mentre la testa è ottenuta in altorilievo o a tutto tondo.
Tenuto conto della primitività dei mezzi usati, l'esecuzione delle sculture maya è particolarmente accurata, specialmente durante il Vecchio Impero. Le figurazioni umane, nonostante la pesantezza di linee e la sovraccarica ornamentazione delle vesti e delle acconciature, acquistano a volte una vita singolare, anche per i giuochi di luce prodotti dalla profondità del rilievo, che spesso raggiunge parecchi centimetri.
Oltre le sculture su pietra esistono esempî di bassorilievi in stucco, come quelli celebri del tempio della Croce a Palenque e di intagli in legno, di cui dànno un ottimo esempio gli architravi di Tikal. La maggior parte delle sculture veniva inoltre decorata mediante pitture a colori vivacissimi, come può desumersi da alcune stele di Copán e di Piedras Negras.
Quanto all'architettura, gli edifici, alcuni dei quali di notevoli dimensioni (la cosiddetta "Casa del Governatore" a Uxmal misura m. 98 per 12), venivano normalmente costruiti su alture artificiali di pianta quadrangolare o poligonale. Queste costruzioni, che appaiono particolarmente destinate a uso religioso, avevano spesso la pianta rettangolare o quadrata; i pochi monumenti che esistono di pianta circolare, come il Caracol (osservatorio) di Chich'en Itzá, debbono attribuirsi a influenze culturali provenienti dal Messico. Le costruzioni si estendevano in lunghezza, ma con scarsa altezza; le mura enormi, composte di pareti esterne in pietre squadrate con l'interno formato da un riempimento di terra e pietre, racchiudevano numerosi corridoi che facevano comunicare fra loro alcune piccole stanze oscure: la vòlta propriamente detta essendo sconosciuta ai Maya, questi avevano immaginato delle false vòlte a decrescenza ricoperte da grandi lastre piatte.
Il Sapper divide le costruzioni maya, secondo le regioni in cui furono eseguite, in tre grandi gruppi stilistici suddivisi in numerosi sottogruppi. Nel primo, o stile di Vera Paz, le agglomerazioni sono piccole e le costruzioni, orientate secondo i punti cardinali, ci rivelano che l'uso della calce era pressoché sconosciuto. Nel secondo gruppo, o stile delle tribù delle montagne (Quiché, Mame, ecc.), le agglomerazioni sono dense e caratterizzate da edifici la cui pianta è in forma di H. Questo secondo gruppo si divide in tre sottogruppi: a) stile Tzental, in cui le costruzioni non sono orientate e in cui non è fatto uso della calce; b) stile Mame, con costruzioni anch'esse non orientate ma in cui era usata la calce; c) stile Quiché, con edifici orientati e uso di calce. Il terzo gruppo, o stile delle tribù delle pianure, è caratterizzato da muri di pietra squadrata ed edifici orientati. Esso si divide in tre sottogruppi, di cui il primo è lo stile Maya in senso proprio che si distingue per la presenza di alte piramidi a forte pendenza e di architravi intagliate in legno di chichsapotl. Questo stile si divide a sua volta in tre sottodivisioni: a) stile del Petén, in cui gli edifici, costruiti con uso di calce e sfarzosamente ornati all'esterno da mosaici in rilievo di pietra scolpita, sono assai vicini l'uno all'altro con abbondanza di terrazze e protetti da fortificazioni; b) stile del sud dello Yucatán, in cui le costruzioni sono più distanti l'una dall'altra; c) stile del nord dello Yucatán, con edifici più sparsi ancora e con i muri esterni profusamente ornati da sculture. Il secondo sottogruppo è dato dallo stile Chol ove gli architravi sono di pietra e l'ornamentazione dei muri è spesso eseguita mediante finissimi bassorilievi su stucco. Il terzo sottogruppo o stile Chorti è caratterizzato dallo sviluppo preso dalle piramidi e dall'abbondanza di terrazze.
Una delle principali caratteristiche dell'architettura maya del Vecchio Impero è offerta dalla cosiddetta "cresta" che sormonta numerosi edifici. Si tratta di una soprastruttura che riposa sul tetto piatto delle costruzioni e che è composta da due muri che si stendono parallelamente per tutta la lunghezza dell'edificio sottostante. Questi muri, inclinati l'uno verso l'altro in modo progressivo, tanto da riunirsi nell'estremità superiore, offrono numerose aperture o finestre poste simmetricamente, tanto da produrre l'apparenza di una galleria che sormonti il tetto dell'edificio, galleria il cui scopo era esclusivamente ornamentale, non esistendo che assai raramente una comunicazione permettente di penetrarvi dall'interno dell'edificio.
Caratteristico dell'arte maya della decadenza è invece l'uso di colonne ofidiomorfe, come quelle del Tempio dei guerrieri a Chich'en Itzá, oppure a forma di atlanti. Tali colonne debbono attribuirsi all'influenza di correnti artistiche messicane durante il periodo tolteco.
Dai pochi esempî rimastici della pittura monumentale dei Maya, quali il noto affresco del Tempio dei guerrieri a Chich'en Itzá, appare che la pittura murale era eseguita a colori vivacissimi. Tali dipinti, nonostante la mancanza di prospettiva, offrono un insieme armonico intonato all'ambiente (v. tav. CXXIX).
Di grande valore artistico appaiono i prodotti dell'arte ceramica che possono dividersi secondo lo Spinden in sei classi: 1. vasi con decorazioni incise; 2. vasi con decorazioni prodotte da stampi; 3. vasi con decorazioni modellate in rilievo; 4. vasi a forma di animali o di frutti; 5. vasi con decorazioni dipinte; 6. figurine fittili, fischietti zoo- e antropomorfi, ecc. Il tipo più fine, artisticamente parlando, è il quinto gruppo. I vasi eseguiti con un'argilla finissima di color grigio chiaro alla frattura sono ricoperti esternamente da una mano di vernice color giallo-arancione o rosso dall'apparenza di lacca. Su questo sfondo sono dipinti disegni geometrici oppure scene di carattere storico-religioso, essendo usati come colori il nero e varie gradazioni di arancione, rosso, giallo e bruno. Queste pitture eseguite molto accuratamente raggiungono a volte, come in due vasi scoperti a Chamá nel Guatemala dal Dieseldorff e in altri di Nebaj, un alto livello artistico, di gran lunga superiore a qualsiasi produzione ceramica degli altri popoli civilizzati dell'America precolombiana all'infuori di alcune culture della costa del Perù.
V. tavv. CXXVII-CXXX.
Storia.
La ricostruzione della storia dei Maya offre molte difficoltà, dato che nelle scarse opere di carattere storico scritte in lingua maya con caratteri latini che sono giunte sino a noi, incontriamo molte incertezze e notevoli contraddizioni con i dati forniti dall'archeologia, specialmente per quanto riguarda il periodo del Vecchio Impero, tanto da far sorgere il dubbio che buona parte degli eventi narrati siano di carattere prettamente leggendario.
Secondo quanto asseriscono gli scrittori indigeni, pare che il loro popolo provenisse da un lontano paese situato al nord del Messico. Dopo essere giunto per via marittima a Pánuco ove sostarono alcuni secoli, i Maya si spinsero ancora più a sud sino a raggiungere la Laguna de Terminos nell'odierno stato di Campeche. Una delle tribù che componevano questa emigrazione, quella degl'Itza, si separò allora e, sotto la guida dell'eroe Itzamna, personaggio forse più mitico che reale (v. sopra: Religione e mitologia), penetrò nello Yucatán ove fondò le città di Champotón e di Chich'en Itzá, occupando tutta la regione, compresa l'isola di Cozumel. Pare che gl'Itza non fossero le prime popolazioni di lingua maya che penetrarono nello Yucatán essendo probabile che al tempo della loro invasione il paese fosse sotto il dominio dei Chontal che appartengono al sottogruppo Tzental della famiglia linguistica maya (v. sotto "Etnologia") e che ancor oggi vivono nel Tabasco, nell'Oaxaca e nel Nicaragua e che al tempo della conquista spagnola furono trovati nel territorio occupato dagl'Itza che li disprezzavano. Alcuni secoli più tardi, pure alla Laguna de Terminos, apparve un nuovo popolo, anch'esso proveniente dal nord, i Tutul-Xiu che, secondo l'ipotesi più probabile, appartenevano alla famiglia linguistica uto-azteca. Questo popolo, d'indole bellicosa, riuscì a impadronirsi della città di Chich'en Itzá da cui fu però rapidamente cacciato ad opera degl'Itza che, avevano costituito allo scopo una federazione fra le città di Chich'en Itzá, Tihoo e Champotón con uguali poteri. Dopo alcuni decennî di pace, i Tutul-Xiu, approfittando di alcune discordie nate nella confederazione, si diressero su Tihoo che stavano per conquistare quando si trovarono alle prese con un nuovo invasore: i Toltechi, popolazione messicana di lingua nahua, che dopo aver dominato per varî secoli nella regione centrale del Messico furono obbligati ad emigrare e sotto la guida di un gran sacerdote, Topiltzin Axitl Quetzalcoatl, si diressero verso lo Yucatán. Dopo aver sottomesso rapidamente le popolazioni Tzental dell'Usumacintla e averle riunite in tre grandi città (Valum Votán, Huehueta e Nachán), Cuculcán (nome maya di Quetzalcoatl) occupò l'intero dominio degl'Itza, tranne l'isola di Cozumel rimasta indipendente fino alla conquista spagnola.
Per diminuire l'influenza politico-religiosa di Uxmal, centro dei Tutul-Xiu, Cuculcán fondò la città di Mayapán accentrandovi il potere politico, mentre all'altra rimase quello religioso.
Date le scarse notizie che possediamo sulla religione degl'Itza e dei Tutul-Xiu, non possiamo suffcientemente apprezzare le modificazioni introdotte da Cuculcán nell'antico culto. È però indubbio che egli impose a tutti i popoli assoggettati l'adorazione del dio dell'Aria (il Quetzalcoatl messicano) facendo costruire a tale scopo numerosi templi e introducendo l'uso corrente di sacrifizî umani. Il potere religioso fu affidato alla famiglia maya di probabile origine tolteca mentre quello politico fu invece prerogativa della famiglia dei Cocom che sembrano essere stati dei Maya alleati a Cuculcán.
Poiché Chich'en Itzá cadeva in rovina, Cuculcán la fece ricostruire dandone il comando a una famiglia maya di cui s'ignora il nome; la regione dello Yucatán venne così divisa in tre parti: i vincitori toltechimaya con Mayapán, gl'Itza con Chich'en Itzá e i Tutul-Xiu con Uxmal, questi due ultimi sotto la supremazia di Mayapán. Cuculcán dopo aver regnato varî anni nello Yucatán si diresse, a capo di numerose truppe, nel Guatemala che invase e dove morì, in circostanze rimasteci ignote, nella città di Copán dopo aver diviso il suo regno fra i suoi varî capi militari.
Dopo circa due secoli la federazione fra Uxmal, Mayapán e Chich'en Itzá si sciolse in seguito a discordie avvenute fra i Cocom e i capi di Chich'en Itzá. Il capo dei primi, aiutato da mercenarî messicani, distrusse la capitale degli avversarî. Ma la vittoria fu di breve durata poiché i TutulXiu di Uxmal e di Mani si rivoltarono riuscendo a occupare Mayapán.
Allora il capo dei Cocom rifugiatosi a Campeche chiese aiuto a Montecuzoma il Vecchio, tlacatecutli degli Aztechi. Con gli aiuti fornitigli riuscì a occupare Mayapán in cui però il suo successore Nacotcocom o Cocom XIII venne ucciso da rivoltosi, capitanati dai Tutul-Xiu. Distrutta Mayapán, il territorio dei Cocom fu diviso fra i Tutul-Xiu e i capi Itza loro alleati, salvo una piccola provincia che il legittimo erede dei Cocom riuscì a conservare. I Tutul-Xiu presero il titolo di "signori di Mayapán" trasportando le cerimonie religiose a Mani. Dopo alcuni anni di pace il capo Cocom conchiuse un'alleanza con Montecuzoma il Giovane, che inviò in suo aiuto numerose truppe. La lotta si iniziava favorevolmente per i Cocom quando giunsero gli Spagnoli.
I primi Spagnoli che ebbero contatto con lo Yucatán furono una ventina di soldati gettativi nel 1511 da una tempesta che fece naufragare la nave che li trasportava dal Darien a San Domingo. Appena giunti a terra caddero nelle mani di un capo che sacrificò immediatamente agli dei il capo della spedizione, Valdivia, e quattro suoi compagni, mentre gli altri furono custoditi per ingrassarli aspettando l'epoca propizia al loro sacrificio. Riusciti a fuggire, si rifugiarono presso un capo nemico del primo che li trattenne come schiavi. Due soli sopravvissero ai disagi: Jerónimo Aguilar e Gonzalo Guerrero di cui il primo fu ritrovato da Cortés nel 1519, mentre il secondo, avendo adottato i costumi e la religione degli indigeni e sposata una donna di alto rango divenne un capo importante: fu ucciso dagli Spagnoli nel 1528 o 29 durante uno scontro.
La vera scoperta dello Yucatán fu opera di Francisco Hernández de Córdoba che, partito da Cuba nel 1517 alla ricerca di nuove terre, raggiunse Campeche. Ritornato a Cuba morì poco dopo in seguito alle ferite ricevute durante uno scontro con gl'indigeni presso Champotón. Nel 1518 e 1519 lo Yucatán fu meta di due spedizioni, la prima delle quali, condotta da Juan de Grijalva, fallì miseramente, mentre la seconda, posta sotto il comando di Hernán Cortés, dopo aver toccato l'isola di Cozumel costeggiò tutto lo Yucatán dirigendosi verso nord e iniziando così la conquista del Messico.
Nel 1527 l'adelantado Francisco de Montejo sbarcò a Cozumel con 400 fanti e 150 cavalieri prendendone possesso in nome del re di Spagna. Recatosi sulla terraferma ne iniziò la conquista riuscendo a occupare Chich'en Itzá ove si trattenne sino al 1531, anno in cui fu obbligato da una rivolta a ritornare a Cuba. Suo figlio che gli era omonimo volle ritentare nel 1540 l'impresa. Giunto a Champotón riuscì ad allearsi con i Tutul-Xiu mediante atto solenne del 15 febbraio 1541 e, dopo aver costruito una solida piazzaforte (Mérida) sulle rovine di Tihoo, iniziò la conquista dei territorî dell'interno, conquista che dopo alterne vicende terminò nel 1548, quando la provincia dello Yucatán fu annessa al Messico.
Quanto alla regione del Petén-Itzá la sua sottomissione non fu possibile ottenerla che nel 1699. Altri piccoli stati, come Chan Santa Cruz, Chichanha, Icaiche, Ixanca, conservarono la loro libertà sino alla seconda metà del sec. XIX e anche oggi esistono alcuni gruppi semi-indipendenti nelle regioni poco note delle frontiere dell'Honduras Britannico.
Le attuali popolazioni maya.
Etnologia. - Le attuali popolazioni maya, quando si faccia astrazione dai 50.000 Huaxtec dello stato di Vera Cruz, staccati dal gruppo principale, abitano un territorio molto unito, che comprende una parte del Messico orientale, l'Honduras britannico, il Guatemala e l'Honduras settentrionale. Il loro numero totale si calcola a 1.300.000 individui. Secondo A. M. Tozzer essi si compongono dei seguenti gruppi: 1. i Maya propriamente detti (Maya dello Yucatán e Chiapas, Itza del Petén e Lacandoni dell'Usumacinta), 300.000; 2. i Tzental (Tzental, Tzo'tzil, Chañbal e Chol in Chiapas Tabasco e Guatemala), circa 160.000; 3. Mame e le tribù affini (Mame, Ixile e Aguateca) nel Guatemala occidentale, 180.000; 4. i Quiche e Cakchiquel del Guatemala meridionale (circa 420.000); 5. i Pokonchí, Quekchi e Pokoman, pure del Guatemala (130.000); 6. i Huaxtec del Messico.
Malgrado la civiltà spagnola e la sua grande influenza, i Maya dello Yucatán e del Guatemala hanno conservato tenacemente la loro nazionalità; essi tengono molto alla loro lingua, anche se parlano spagnolo alla presenza di stranieri, e i preti spagnoli che visitano le piccole città devono fare le loro prediche in lingua maya. Gl'indigeni sono contadini o coltivatori nelle piantagioni degli stranieri; laboriosi finché si tratta del proprio campo, ma altrimenti, e specialmente nelle zone più calde, poco inclini a lavori pesanti.
Il loro cibo principale è ancora il granturco e varî gruppi, per esempio i Quekchi, venerano ancora, benché siano esteriormente cristiani, la divinità del granturco che è per loro l'elargitrice di ogni bene: il Quekchi le dà il nome di Caguá Tzul-tacá e la chiama "Padre e Madre" nella preghiera. Questa divinità non è naturalmente che una delle molte, che si chiamano tutte Tzul-tacá, e che s'immaginano personificate in tutti i fenomeni naturali, come le montagne, le rocce, i fiumi, le sorgenti. Il dio del male che combatte col dio del granturco è oggi confuso col diavolo cristiano.
Come siano ancora vive le antiche idee è dimostrato dall'uccisione di cinque turisti che pernottavano nel 1917 sul vulcano S. Maria (presso Quezaltenango) per godere lo spettacolo dell'alba. Si trovarono i cadaveri sull'orlo del cratere dove erano stati trascinati per essere offerti in sacrificio perché non si rinnovasse un'eruzione. Istigatori del delitto erano stati gli stregoni, che godono ancor oggi di grande autorità; e varî esploratori hanno potuto osservare e segnalare numerose cerimonie, stregonerie e preghiere antichissime sotto la sottile vernice cristiana presso la maggior parte delle tribù maya.
Lingue. - La famiglia linguistica maya è la più importante dell'America centrale; si divide in due rami: 1. Huaxtec, 2. Tzental-Maya che a sua volta si suddivide in due gruppi: a) Tzental; b) Pokonchí-Quiché-Mam. Il ramo Huaxtec comprende il Huaxtec propriamente detto e il Chicomucelteco. Il Huaxtec è parlato, secondo Orozco y Berra (Geografía de las lenguas y carta etnografica de México, Messico 1864, pp. 206), lungo il Golfo del Messico, da Vera Cruz a San Luis Potosí, estendendosi probabilmente all'interno dello stato di Tamaulipas. Il dialetto Chicomucelteco secondo Sapper, è parlato nel sud-est del Chiapas e confina col Chañabal. Il ramo Tzental-Maya comprende: a) la famiglia Maya con parecchie varietà, la più importante delle quali è il Maya propriamente detto (o Mayathan) parlato in tutta la penisola dello Yucatán, nella parte settentrionale dell'Honduras britannico, nella parte occidentale dello stato di Tabasco e al nord-ovest del Guatemala; il Lacandone, parlato nella regione montagnosa del corso superiore dell'Usumacinta (nel nord-ovest del Guatemala e nel Chiapas orientale); lo Itza o Petén, parlato nel Guatemala settentrionale e nelle regioni adiacenti dell'Honduras britannico, e il Mopán, poco conosciuto, e parlato nella parte meridionale dell'Honduras britannico; b) il gruppo Tzotzil che comprende lo Tzental, parlato nello stato di Chiapas; lo Tzotzil nello stesso stato e che secondo Stoll (Zur Ethnographie der Republik Guatemala, Zurigo, 1884, pag. 76) corrisponde alla lingua dei popoli che gli antichi storici spagnoli chiamavano Quelenes: il Chañabal, parlato al sud del Chiapas; il Chol parlato sulla riva sinistra del fiume Usumacinta; Il Chuhe (Chuje) assai affine al Chol, parlato presso la frontiera occidentale del Guatemala; lo Jacalteco parlato presso Jacaltenango; il Motozintleco e il Chortí. Secondo alcuni autori questi ultimì idiomi formerebbero un sottogruppo Chon.
Il gruppo Pokonchí-Quiché-Mam comprende tre sottogruppi: a) Pokonchí (o Pokom), parlato presso le sorgenti del Cahabón nel Guatemala centrale; il Quekchi, parlato al centro del Guatemala; il Pocomán, parlato al sud-est del Guatemala; b) il sottogruppo Quiché che comprende il Quiché propriamente detto, nel Guatemala centrale il Cakchiquel, parlato fra il lago Atitlán e la città di Guatemala, lo Tzutuhil, parlato fra il Quiché e il Cakchiquel e infine lo Uxpanteco, parlato nel centro del Guatemala; c) il sottogruppo Mam che comprende il Mam propriamente detto o Zaklohpakap, uno dei più arcaici linguaggi della famiglia maya, parlato nel Guatemala occidentale da presso Soconusco, verso sud-est fino all'Oceano Pacifico; l'Ixil parlato nel Guatemala centrale; l'Aguateco parlato nei pressi di Aguatecán e di Huehuetenango; e forse l'estinto Achís che, secondo Brinton (The American Race, New York 1891, p. 158) era parlato nel Guatemala orientale. Parecchie concordanze precise fra le lingue della famiglia maya e quelle della famiglia mixezoque sono state messe in evidenza da P. Radin.
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